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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
[285]
Era venuta nella mente mia
La gentil donna, che per suo valore
Fu posta dall’altissimo Signore
Nel ciel dell’umiltade ov’è Maria
Disegno di G. A. Sartorio.
Fototipia Danesi Roma
[286]
[287]
Questo rondò è composto, metricamente, sopra un esemplare di Clemente Marot. Li altri quattro sono composti a similitudine di quelli (più propriamente Rondels) attribuiti a Francesco Villon, che son meno esatti. L’ultimo segue la regola di Carlo d’Orléans.
Leggendo l’elegantissima traduzione che ultimamente Judith Gautier ha fatta di talune poesie giapponesi, tentai di riprodurre in italiano la struttura di una outa; ed aggiunsi le rime.
I Giapponesi, pure ammirando i versi chinesi e talvolta imitandoli, si attengono di preferenza alla poesía nazionale che chiamasi outa. Due specie di outa vi sono: l’outayé-outa, da cantarsi con compagnía di stromenti o senza; e la yomi-outa, da leggersi. La prima è più lunga, spesso lasciva ed oscena; la seconda è più corta, si compone di pochissime linee senza rima e senza ritmo, ma d’un determinato numero di sillabe seguentisi in un ordine stabilito.
La più elementar forma di poesía giapponese è la strofa di cinque versi, di cui il primo è di cinque piedi, il secondo di sette, il terzo di cinque, e di sette li altri due. In complesso, trentun piedi.[288]
Per esempio, ecco una outa della principessa Issé:
Harou
goto ni
Nagarourou Kawa o
Hanato mité
Orarénou mizou ni
Sodé ya Norénamou.
La quale outa vuol dire: «Per cogliere i fiori di prugno, i cui colori agita l’acqua, io mi son chinata verso l’acqua; ma, ahimè!, io non ho colto i fiori e la mia manica è tutta bagnata.»
Nella mia occidentale la frequenza della rima e il ritmo troppo accentuato tolgono alla strofa gran parte del suo carattere primitivo.
Donna Francesca, VIII, pagina 241.
Alcune particolarità descrittive di questa poesía sono tratte dal Tentation de Saint Antoine di Gustavo Flaubert. E la poesía in sè non ha nemmen l’ombra d’una intenzione antireligiosa; ma è una semplice e pura ed anche, se si vuole, oziosa esercitazione di stile e di metrica.
Donna Francesca, X, pagina 243.
Fra Bartolomeo Della Porta, domenicano di San Marco, uno dei più singolari artefici del Rinascimento fiorentino, soleva, prima di cercar le pieghe delle vesti per le sue figure sacre, disegnare i corpi nudi dal vero. La pittura di cui si parla è una tavola che gli fu allogata da Piero Soderini per la sala del Consiglio, «nella quale sono tutti e’ protettori della città di Fiorenza, e que’ Santi che nel giorno loro la città ha aute le sue vittorie», come porta il Vasari.
La Galleria delli Uffici possiede alcuni bellissimi disegni che il Frate fece per la detta tavola. Uno di quei disegni (n. 1204), eseguito a penna, rappresenta nude le figure comprese nella parte inferiore[289] della composizione; e tra le figure è la Vergine assisa con su le ginocchia il bambino Gesù.
Donna Francesca, XII, pagina 245.
La miniatura del Breviario del cardinal Grimani, attribuita al Memling, rappresenta li angeli che offrono a Dio l’anime de’ nuovi eletti. È del quattrocento; e si trova a Venezia, nella Biblioteca di San Marco.
A Giuseppe Cellini, II, pagina 277.
Il fresco di Sandro Botticelli, raffigurante Giovanna Tornabuoni e le tre Grazie, si trova ora nel Museo del Louvre, guasto in più parti. È, come quasi tutte le opere di quel meraviglioso pittore, d’una straordinaria bellezza.[290]
argin-bottom:.0001pt'>In torno, i domitori-di-cavalli
Bevean, coperti di
carbonchi, in torno
satrapi enormi da la barba d’oro
il chalibon, rarissimo tesoro,
in un corno sottil di liocorno.[239]
I dottori, i
grammatici, i salmisti,
ed i leviti, i giudici, li scribi,
e i mercatanti, e i musici, commisti,
disperdean su la mensa i rari cibi.
Le vestimenta lor,
tinte di fuchi
preziosi, brillavan di lontano.
Alcuni, taciturni, aveano strano
aspetto di carnefici o d’eunuchi.
Ma le femmine
cinte di ghirlande,
con denti bianchi come il gelsomino,
rideano tra ’l vapor de le vivande,
suggean da coppe di smeraldo il vino.
Il lor nitido riso
giungea grato
ai cuori, come un verso numeroso.
Stendean le braccia, con un grazioso
gesto, a mostrare il cùbito rosato;
e prendean su la
mensa i cedri, i fichi,
e le mandorle, i datteri, le olive.
Ne ’l bacio offrian, con belli atti impudichi,
la molle polpa su le lor gencive.
— Or mangiate e
bevete, e di piacere
inebriate il vostro cuor mortale;
chè da l’ebrezza a Dio l’inno risale,
grato, come l’odor da l’incensiere[240] —
diceva Eleabani.
Ed era immune
il cuor suo da l’ebrezza ed era chiara
la sua voce; e splendeano come lune
ferme le perle de la sua tiara.
[241]
— Francesca, o
amica, o trepida colomba,
perchè piegate voi su ’l sen la testa,
pallida udendo il tuon de la tempesta,
che improvviso ne l’anima rimbomba?
Perchè torcete ne
’l dolor le mani,
le care mani, i fior gracili e snelli,
che pur ieri sapevan, con sì piani
blandimenti, solcare i miei capelli?
Francesca, o amica
mia, perchè piangete?
Le vostre membra treman così forte,
e così roca su le labbra smorte
vi muor la voce, ch’io non ho quiete. —
Ed ella: — Io
guardo nel cuor mio; che, ardente
come una lampa, è tutto avviluppato
da una spoglia di serpe, transparente,
su cui l’orrido Inferno è figurato.
[242]
Come a notte in un
tempio una fontana
mormora ascosa e dà voci di lire,
fa il sangue in noi pe ’l ritmico fluire
una musica assai dolce e lontana.
Veramente io non
so quali parole
il buon sangue ne ’l capo mi favelli
volgendo sue misteriose ambagi;
ma ben io so che mai gighe o viuole
ornaron di più vaghi ritornelli
serenate d’amor sotto i palagi.
Canta, o buon sangue! Ed i pensier malvagi,
tutti, qual vin, da l’anima discaccia.
Nel mezzo del mio cor ride una faccia,
guardando la vendemmia allegra e sana.
[243]
Se pure il verso
mio, Francesca, è reo
d’aver la vostra natural piacenza
ritratta intiera, in un lavacro, senza
la casta zona e senza il conopeo,
fu tempo già che
Fra Bartolomeo,
pingendo i Protettori di Fiorenza,
la Nostra Donna in sua gentil movenza
ritrasse ignuda in mezzo a ’l gran corteo.
Or dunque se il
buon frate di San Marco,
il quale è assunto ne l’eterne stelle,
ebbe per l’opra sua cotale ardire,
non io potrò ne ’l
verso mio scoprire
de ’l vostro sen le due beltà gemelle
e de le late spalle il candid’arco?
[244]
Quando su per le
scale ampie d’argento
la Reina salìa verso l’altare,
levata li umidi occhi a ’l Sacramento,
pallida e fredda, se volea pregare,
dava il bianco
metallo un vibramento
sonoro in ritmo a li urti de ’l calzare:
tutte le scale come uno stromento
si mettevano in gloria a risonare.
O Francesca, così
la vostra bionda
bellezza da ’l disìo chiamata ascende
or de’ miei versi il mistico edifizio.
Fremono a i vostri
piedi, con un’onda
di suoni, i versi; e a ’l culmine vi attende
tra i profumi de l’urne il sacrifizio.
[245]
Aveva un tempo il
cardinal Grimani
ne ’l breviale suo, fino tesoro,
un’image ove molti angeli in coro,
ceruli e biondi, da’ bei volti umani,
su li omeri o su
le agili ale d’oro
o su l’èsili palme de le mani
offrìan cinte de’ nimbi cristiani
l’anime de li Eletti al Signor loro.
Ignude erano
l’anime: più bella
tra l’altre una figura feminina,
ne la sua dolce nudità, salìa.
Amo io così
raffigurarti, o pia
Sposa, lungo l’azzurra erta divina,
su l’ali d’una candida angelella.[246]
O del Signore
ancella,
soffuso di pudore il vivo giglio
de le tue membra apparirà vermiglio
e per tutte le
anella
fiammeggerà la celebrata chioma
simile ad una gran face d’aroma.
[247]
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