Piero Gobetti
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INTENZIONI

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INTENZIONI3

29 ottobre, ore 12

Un programma di vita per uno spirito non romantico non può essere che una confessione. Anche scrivendo per se stessi è difficile non avvertire i pericoli di misura che si nascondono nel confessarsi. Si perde il senso delle proporzioni; l'autobiografia come problema non è la piú pacifica delle conquiste. Osservare i giusti rapporti tra la valutazione di sé e la valutazione delle cose sembra meno agevole che l'inserirsi con la mera azione in un processo storico.

Credo di poter riconoscere le mie qualità più innate in una fondamentale aridezza, e in una inesorabile volontà.

L'aridezza rappresenta insieme la mia passività e la mia misura, la serenità e l'ironia. Tutto ciò che di tragico vi può essere nella mia vita si riferisce invece alla mia volontà.

Se ripenso agli anni primi, quando gli impulsi sono piú netti e precisi, quando la barbarie si compromette senza cautele, ritrovo me stesso nudo, non maturo, potenziale, con una ingiustificata fiducia e una avvertita debolezza.

Sono dotato dalla natura come un primitivo. Sono ricco per istinto, per un impulso originario alla vita; povero, solo, per tutto il resto. Ho l'anima e l'inquietudine di un barbaro, con la sensibilità di un cinico; la storia non mi ha dato eredità di sorta; l'ambiente in cui son vissuto non mi ha offerto comunicazioni, non ha alimentato i miei problemi; non devo nulla a nessuno. Se ho voluto la storia me la son dovuta creare io; se ho voluto capire ho dovuto vivere; il mio gusto si è formato per un duro proposito. Ho peccato per amore quasi infantile per la cultura, per la filosofia: bisognava bene che amassi qualcosa, con tutta l'oscura violenza nascosta della mia originaria volontà di vivere; e a ciò che hai creato artificialmente bisogna che t'attacchi in un certo momento con piú passione. Dovevo anche fare in fretta; se mi guardo ora vedo proprio il desiderio gretto e feroce del povero che vuol arricchire.

Cinico perché arido, forte perché solo e spregiudicato.

Io ignoro le qualità che i romantici hanno attribuito ai primitivi. Anche bambino non ho conosciuto l'idillio. Ho soffocato la gioia e la confidenza nella precocità della riflessione.

Vivevo a quattro anni in campagna con la mentalità di un cittadino spostato e prepotente. Questo mi viene dalla famiglia (figlio di contadiniemigratidiventati piccoli borghesi per gretto arrivismo di avventura). (Invece dell'arrivismo trovate in me dell'incertezza – mi sento spostato). Se cancello i ricordi che corrispondono soltanto all'ideale pedagogico proposto attraverso l'esempio dei genitori, mi restano pochi segni decisivi del mio spirito d'allora.





3 Tre pagine manoscritte, senza data. Il titolo è dell'Autore. Le pubblicò Il Contemporaneo, anno III, n. 7, 18 febbraio 1956.

 



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