Piero Gobetti
L'editore ideale
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L'EDITORE IDEALE

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L'EDITORE IDEALE6

Ho in mente una mia figura ideale di editore. Mi ci consolo, la sera dei giorni piú tumultuosi, 5, 6 per ogni settimana, dopo aver scritto 10 lettere e 20 cartoline, rivedute le terze bozze del libro di Tilgher o di Nitti, preparati gli annunci editoriali per il libraio, la circolare per il pubblico, le inserzioni per le riviste, litigato col proto che mi ha messo un errore nuovo dopo 3 correzioni, mandato via rassegnato dopo 40 minuti di discussione il tipografo che chiedeva un aumento di 10 lire per foglio, senza concederglielo; aiutato il facchino a scaricare le casse di libri arrivate troppo tardi quando ci sono solo piú io ad aspettarlo, schiodata io stesso la prima cassa per vedere i primi esemplari e soffrire io solo del foglio che è sbiancato in una copia, e consolarmi che tutto il resto va bene, che né il legatore né il macchinista non han fatto nessuna gherminella alla [...]; arrivato con 30 soli secondi di ritardo alla stazione dove tra un treno e l'altro devo combinare un contratto con un editore straniero, ricevute 20 telefonate, 10 facce nuove che vengono con le proposte piú bislacche e bisogna sentire, per vedere l'idea che vi portano, scrutarle, scegliere il giovane da aiutare e il presuntuoso da metter subito alla porta,

[qui il ms. risulterebbe interrotto].

Quattordici ore di lavoro al giorno tra tipografia, cartiera, corrispondenza, libreria e biblioteca (perché l'editore dev'essere fondamentalmente uomo di biblioteca e di tipografia, artista e commerciante) non sono troppe anche per il mio editore ideale. L'importante è ch'egli non debba aver la condanna del nostro pauperismo, non debba vivere di ripieghi tra le persecuzioni del prefetto, il ricatto della politica attraverso il commercio.

Penso un editore come un creatore. Creatore dal nulla se egli è riuscito a dominare il problema fondamentale di qualunque industria: il giro degli affari che garantisce la moltiplicazione infinita di una sia pur piccola quantità di circolante. Il mio editore ideale che con una tipografia e un'associazione in una cartiera controlla i prezzi; con quattro librerie modello conosce le oscillazioni quotidiane del mercato, con due riviste si mantiene a contatto coi piú importanti movimenti d'idee, li suscita, li rinvigorisce, non ha bisogno di essere un Rockfeller. La sua forza finanziaria deve esser tutta nella sua capacità di moltiplicare gli affari.

Il mio editore stampa io collezioni, trova i competenti dove sembra che non ci siano, può creare una storia universale, un'enciclopedia...

Basta che egli sia stato logico; non abbia fatto transazioni coi suoi principi di uomo colto, che pubblico e scrittori siano sicuri di lui. Un paese in cui ci fossero tradizioni, che non si debba improvvisare come succede a noi, la potenza di un editore antico è praticamente illimitata. Paravia e Sonzogno in Italia possono fare ciò che vogliono. È un peccato che si siano dedicati soltanto alle edizioni scolastiche e alla divulgazione corrente.

* * *

Il centro della crisi del libro dunque è la crisi dell'editore. In Italia non si crede all'editore. Quasi tutti gli editori sono tipografi o librai...

L'amico Ferrari, uno dei piú intelligenti librai d'Italia, ha sollevato le ire dicendo che non ci sono editori in Italia...

(Alle prime tre pagine manoscritte ne facciamo seguire un'altra distaccata, di un tempo posteriore, nella quale è evidente la ripresa dell'argomento).

Se il discorso si riferisce soltanto all'Italia, l'Italia non ha crisi libraria: voglio dire che la produzione non è diminuitapeggiorata in confronto ad altri periodi della nostra storia intellettuale. La crisi è sempre esistita e continuerà se si paragona la qualità e la quantità della nostra produzione editoriale con quella dei paesi civili, specialmente Germania, Francia, Inghilterra. (In Bulgaria, in Svezia, in Cecoslovacchia, La pace di F. Nitti si è venduta due volte piú che in Italia, dunque proporzionalmente col numero degli abitanti 8, 15, 20 volte piú che in Italia: e bisogna aggiungere che nel 1925 La pace di Nitti è la piú alta tiratura del libro politico raggiunta in Italia).

Il nostro commercio librario, dicono, non è bene organizzato, i dazi doganali sulla carta e sulle macchine tipografiche pesano due volte sul prezzo del libro, non sappiamo esportare nell'America del Sud ecc. ecc. ecco tante ragioni della crisi che è piú vecchia delle tesi del Bonghi e del Martini sull'impopolarità della letteratura e l'inesistenza del teatro italiano. Il libro di cultura in Italia si stampa normalmente in 2.000 copie, in Germania in 5.000; la prima edizione di un nostro romanzo importante è di 5.000 copie, in Francia di 20.000; l'edizione italiana della Storia di Cristo ha toccato 100.000 copie, le edizioni americane quasi 1.000.000 di copie.

La verità è che paragonata colla cultura europea moderna l'Italia manca di autori, di editori, di librai, di pubblico.





6 Quattro pagine manoscritte, senza data (ma 1925). Titolo redazionale.

 



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