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1
Chi dará, lasso! al mio
parlar un tono,
un vento di sospiri, un mar di pianto?
Chi m’ornerá d’altr’uom di quel ch’i’ sono,
ch’a questo pelo irsuto e nigro manto
e de le rime al lamentabil suono,
di miei falli risponda il duol, fintanto
ch’io dica, sollevando al ciel la voce,
d’amor fatto stolticcia in su la Croce:
2
– Ingrati cieli, e voi,
perfide stelle,
s’aveste occhi a mirar sí duro scempio
di Chi formovvi prima chiare e belle,
ornamento e splendor del suo gran tempio,
e non pioveste in noi vive facelle
ch’arder dovean la terra, e ’nsieme l’empio
abitator di lei, ch’ebbe sí pronte
le mani a batter la divina fronte;
3
e tu, Padre del ciel, se pur
a core
hai di quest’uomo tanto la salute,
che sommetter del Figlio vuoi l’amore
a quel d’un servo che sí lordo pute,
a che ’l vendi per man d’un traditore?
a che tante guanciate, urti e ferute?
E se pur morto il vuoi, almen contento
sia ch’una volta muoiasi, non cento!
4
Ben hai molto stimati noi,
vil seme,
se di necessitade a fren ponesti
l’alto valor de le tue forze estreme:
dico ’l tuo Figlio, ch’a li cani desti!
E questo maggiormente mi ange e preme,
pensando agli error nostri manifesti,
ché, per di tanto duono esser ingrati,
saremo dal promesso ciel cacciati. –
5
A piè del sacro monte
d’Oliveto
stendesi piana una riposta valle,
ove Iesú col povero suo ceto,
qualora gli parea voltar le spalle
al volgo e starsi per orar secreto,
spesso venía per disusato calle,
ma piú ne l’ora che ’n purpureo manto
l’alba ci desta gli ucelletti al canto.
6
Giá molte stelle avea la
notte, avara
di luce, intorno sparse al freddo polo.
In questa sera, inconsueta e rara,
vi arriva il Salvator col dolce stolo:
verdeggia un orticel che si ripara
di macchie intorno, ed havvi pur l’usciuolo;
passa per quello, ed accennò con mano
che non si rompa il sonno a l’ortolano.
7
E come il buon pastor, che,
vigilante
piú che di sé, tien cura de l’armento,
d’undeci puri agnei, che ’l giorno avante
sofferto avean nel cor e pioggia e vento,
otto quivi ne lascia, i quai l’instante
e stracco sonno vinse in un momento:
ma tre, ch’eran degli altri meno lassi,
oltra seco portò ben cento passi.
12
Quell’anima gentil, ch’ad
esser l’angue
fatt’era, ch’alzò Mòse nel deserto,
dover tre dí lasciar quel corpo langue,
tant’è la sua bellezza e sommo merto;
di che s’attrista sí, che ’l vivo sangue
stillava de le vene chiaro e aperto,
e, s’angel può dolersi, quel si dolse,
che ’l nostro pregio in bianco velo accolse.
13
Fatto poi questo, debilmente
s’erge,
dal lungo orar, funesto e sanguinoso;
a Pietro e gli altri duoi tornando perge,
ma trova lor, ch’un fiume lagrimoso,
com’è costume suo, nel sonno imerge:
sonno digiuno, inqueto e pauroso.
Tre volte orò Iesú, tre volte stolse
lor tre dal sonno, e di Simon si dolse.
14
Dolsesi del buon Pietro, il
quale inanti
fu promissor d’invitta fideltade:
però, se gli occhi esterni non costanti
fôr contra il sonno e l’ocio e securtade,
men fian gl’interni, avegna che prestanti
sian di ragione, a qualche aversitade,
ché ’l troppo confidarsi di se stesso
fa l’uom piú volte obliar ciò c’ha promesso.
15
Disse lor dunque: – Deh! ché
non potesti,
o Pietro, una sol’ora vegghiar meco,
che tanto ardito al Mastro tuo t’offresti,
onde fosse periglio morir seco;
e tu, figliuol Giovanni, mi chiedesti
per bocca di tua madre, e Giacom teco,
sedermi a fianchi nel mio regno: e pure
di voi non è che vigilando dure!
16
Non fia giamai ch’un
sonnacchioso quadre
con l’esser mio, ché ’l sonno ombr’è di morte.
Ma sento venir giá l’armate squadre:
non sará in voi chi l’émpito sopporte!
Quant’era meglio, o Giuda, che tua madre
madre non fosse stata, o che mai pòrte
t’avesse le mammelle, poi ch’avaro,
piú che del sangue mio, se’ del danaro! –
17
Pietro, che d’amor sempre
ardeva in core,
or arde ancora di vergogna in faccia:
potean scusarsi alquanto del dolore
ch’avean di lui: pur voglion che si taccia,
perc’hanno piú che certo a tutte l’ore
fuor che Iesú non esser chi ben faccia.
Però, senz’altro dir, chiedon perdono
di quello e mill’error, ch’uomini sono.
18
Giá di facelle ardenti e
d’armi insieme
ecco vi appar gran copia di lontano:
fuggon l’ombre d’intorno e per l’estreme
ripe va ’l finto dí, va per lo piano.
Iesú nel petto l’alta doglia preme,
voltando a Pietro e agli altri il viso umano,
e parla: – Ecco, chi m’ha tradito viene!
Campate voi, ch’io pur sciorrò le pene! –
19
Cosí dicendo, andava ver’ le
torme
d’armati a piastre, scudi, elmetti e maglia.
Pietro sen corre presto, ed ove dorme
Andrea si ’l desta, e gli altri ancor stravaglia.
– Su! – chiama – ognun di voi seguite l’orme
ché viene in qua di gente una battaglia! –
E, tolto sotto l’un de’ duoi coltelli,
ritorna presto e dietro gli van quelli.
20
Giuda, ribaldo e pessimo
mercante,
il qual d’apostol fatto è barigello,
vien di gran lunga e ratto agli altri inante,
avendo dato aviso a lor che quello
in bocca bacerebbe, ad un istante
legato fosse, quando ch’un fratello
sia del suo Mastro assai conforme a lui,
sí che lo sceglian ben fra luoghi bui.
21
Vien dunque avanti quella
fronte attrita,
e salutò suo Mastro e poi baciollo;
baciollo su la bocca e con l’ardita
e scelerata man gli strinse il collo.
Parse a Iesú questa primier’ ferita
prender mezzo del cor; né ributtollo,
né gli distorse gli occhi duri o mesti,
ma lieto disse: – Amico, a che verresti? –
22
Non v’era giunto Pietro, che
’n quell’atto
addentato l’arría co’ morsi al naso:
ch’ei fosse il traditore, avea giá fatto
certo pensier con Giacomo e Tomaso,
non sol perch’era tutto contrafatto
in viso di pallor, ma che rimaso
era degli altri fuor dinanzi e allora
ch’usciron tutti del cenacol fuora.
23
Data che fu la simulata pace,
presto d’armati un campo sovragiunge.
Giuda, ch’agli omer ha piú d’una face
di Tisifon che sempre il caccia e punge,
vassene via celando, ed ove tace
un bosco stassi a riguardar da lunge:
allora i lupi circondâr l’Agnello,
ma nullo fu ch’osasse prender quello.
24
Agnel non parve allor, ma un
gran leone,
al qual fiera non va che non paventi:
quel mansueto a lor tutto si spone,
qual umil lepre al cane che l’addenti;
ma fiero alán non ha sí forte ungione,
non pel sí rabuffato e lunghi denti,
come quel dolce aspetto ardente e piano
parve a coloro atroce ed inumano.
25
Non valse, a l’apparir di
tante spate,
non si scoprir Divinitá nel volto,
per punir l’uom di sua temeritate,
ch’è tanto disleal, ch’è tanto stolto:
se conoscer non vuol la maiestate
del sommo Verbo in quelli membri avolto,
conosca almen ch’un’incolpevol vita
non può da legge o altronde esser punita.
26
Ma quei sí come statue immoti
stanno:
sí dentro ’i rode un paventoso tarlo!
Vedendo allor Iesú che lunge vanno
da quel pensier di piú voler pigliarlo,
né fra lor esser chi osi fargli danno,
ma levan gli occhi sol per sol mirarlo,
umanamente loro interrogando
disse: – Ch’andate voi per qua cercando?
27
– Noi – risposer a ’n grido
tutti quanti –
Iesú cercando andiam, quel nazareno. –
Tacque l’Umanitade, acciò ch’inanti
a lei Divinitá ragioni appieno;
la qual non solo a quei dignò, ma a quanti
di natura giamai capper nel seno,
far la risposta su da l’alto trono
e con terribil voce dire: – Io sono.
28
Io son Colui che solo ha
l’esser pieno:
voi, miseri, caduci, polve ed ombra! –
Trema la terra a quello «Io son», non meno
che quando il vento sotterrán l’ingombra:
cade sosopra ognun, ché ’n un baleno
gran nebbia gl’intelletti loro adombra;
e Giuda ancor, ch’è lunge un tirar d’arco,
cascò di miserabil téma carco.
29
Dico ch’a quel chiamar di
morir franco:
«Io son», tutti n’andâro in un volume:
chi la faccia, chi gli omeri, chi ’l fianco
percuote a terra senza mente e lume;
ma poi, venuta in lor la téma a manco,
parlar non volse piú l’eterno Nume.
Quelli si drizan anco, ma storditi,
ma da non so che folgor impediti.
30
La parte allora umana
interrogolli
benignamente a che venían armati:
e quei, d’esser qua giunti omai satolli,
risposer ch’eran da’ giudei mandati
per prendere un Iesú, ma che ’n quei colli
gli aveva un suo discepol mal guidati.
E Cristo disse: – Quel son io per certo!
Ecco ch’a voi mi son di voglia offerto.
31
Ma, se mandati siete per
pigliarme,
me, ch’apporto salute e pace in terra,
a che rumor soperchio di tant’arme,
di tanti fuoghi e machine di guerra?
Queste ad un ladro convenir piú parme
che ’n qualche torre per rubar si serra.
Me spesse volte predicar vedeste;
e perché dunque allor non mi prendeste?
32
Ma, siavi certo, quei che vi
mandâro
far ciò che ’l lor giudiccio punir deve,
ed anco il famigliar mio dolce e caro
che meco prende ’l cibo e meco beve,
piú di voi nocquer tutti ed oltraggiâro
Natura, Legge e il mondo. Però breve
sia questo gaudio lor, ma piangan sempre,
tal che d’essi non sia che ’l mio ciel tempre.
33
Or dunque al piacer vostro mi
legate,
ch’io mi vi do di core tutto in preda,
con patto tal ch’ir questi miei lasciate,
se vendetta dal ciel non vi succeda. –
Cosí lor disse, e con le man sforzate
(come far questo par che Dio lor ceda),
l’han preso chi davanti e chi di dietro,
finché vi arriva l’ortolano e Pietro.
34
Pietro, che vede il bel tesor
celeste
da cosí rio legnaggio esser distratto,
cader dagli omer lasciasi le veste,
avendo il ferro giá di scorza tratto,
e disse: – Signor mio, soffrirò queste
ingiurie in te senza vendetta? – e a un tratto
non aspettò, ma, come entrasse in guerra,
l’orecchia d’un di quelli pose in terra.
35
L’ortolan ch’una vesta tien
sul nudo,
da dormir tolto e al suon de l’arme corso,
non ha con che l’aiuti, o lancia o scudo:
di che sen fugge con veloce corso,
lascia lo manto a dietro e, tutto ignudo,
corre agli apostol per chiamar soccorso.
Ma quei non stetter saldi; anzi, ferito
che fu ’l pastor, l’armento andò smarrito.
36
Non fu se non d’estrema
meraviglia
veder un vecchio, e a l’arme non molt’atto,
entrar fra cento armati, e gli scompiglia
e gli ributta e sangue n’ha giá tratto.
Non è chi a lui s’affronti; ciascun piglia
consiglio di voler campare a un tratto:
se non ch’un cenno di Iesú ripresse
quel zel di Pietro, che ’l cortel rimesse.
37
– Pon’ – disse, – o Pier,
quel ferro che da noi
per altr’uso di questo a l’uom fu dato:
dato fu a l’arti agevole, ma voi
di sangue uman l’avete adulterato.
Quel calice ch’abbiam da ber non vuoi
ch’io primo il bea, se berlo è destinato?
Ed oltre a ciò non sai che chi ferisce
di ferro altrui, di ferro anch’ei perisce? –
38
Cosí parlando, il Medico
celeste
ornò le norme sue d’un bello essempio,
ché per li suoi seguaci non si reste
giovare a chi di lor fa scherno e scempio,
né vuol che ’n regno suo da noi si preste
atto verun, ch’abbia pur forma d’empio:
l’orecchia, che di Malco piú non era,
nel loco suo rappiccia e rende intiera.
39
Giovanni solo, il casto
giovenetto,
non piú di vinti passi sta lontano,
ma troppo fuor di sé, ché ’l cor gli ha stretto
quanto stringer può mai ghiacciata mano.
Ahi quanto dur gli par che ’l suo diletto
e cosí dolce Mastro, e cosí umano,
ebbe occhi da veder con tante corde
tratto da rie persone, infami e lorde!
40
Pensa ciò che dé’ far, né vi
ha partito,
ché quinci amor, quindi paura il caccia:
quel di seguire il suo Signor fa invito,
questa di rimaner, finché la faccia,
ch’un rio dagli occhi manda in su quel lito,
col cor insieme per dolor si sfaccia,
e mentre or dubbia or fermasi ’l pensiero,
vi sopravien l’addolorato Piero.
41
Tien un coltello in mano ed
un nel core,
ché ’l Mastro tolto gli è, tolt’è la vita:
vita non ha piú in petto né d’amore
può misurarsi quanta è la ferita.
Giován gli disse: – Pietro, ov’è ’l Signore?
Lasso! chi ne l’ha tolto? e chi l’aita?
non hai veduto quante e quai persone
legato il tranno in guisa di ladrone?
42
Non giá son queste
l’impromesse, o Pietro,
fatte da noi di gir con seco a morte!
Ecco che non di selce, ma di vetro,
noi siamo al tempo di contraria sorte:
esso va inanzi e noi torniamo a dietro,
cosa d’uomo non giá costante e forte.
Oh vil guerrier, che ’n pace al fianco siede
del capitano, e ’n guerra fugge e cede! –
43
Risponde Pietro: – S’esso
vuol morire
e noma chi ’l contrasta «Satanaso»,
che poss’io far? chi può contravenire?
Né tu né io né Giacom né Tomaso!
Io cominciai, ei mi vietò ferire:
so ben piú d’una orecchia e piú d’un naso
avrei giú di que’ volti e tempie tratto;
non volse, e quanto sfeci ebbe rifatto.
44
Ma non terrammi alcun ch’ora
nol segua
e mostri aperto a chi nol crede, forse,
che Pietro l’ama ed arde e si dilegua,
né come vil guerrier da lui si torse. –
Cosí parlando, come quel ch’adegua
tanto l’amor quanto ’l dolor che ’l morse,
ritorna di morir fermo e costante:
ma guardi che ’n sua noia ’l gal non cante!
45
Giovanni, che non ha fra gli
altri eguale,
dico fra i corteggian del suo Signore,
di saper riconoscer quanto e quale
sia l’alto effetto del presente orrore
(di gire a tanta altezza ebbe allor l’ale,
che chiuse gli occhi in grembo al Redentore),
toccò ’l buon Pietro, come dir si suole,
sul vivo acciò sen vada ove non vuole.
46
Come vezzoso bracco, in su la
traccia
giunto a le macchie ove covar porria
o lepre o volpe, dentro non si caccia,
visto di spine un bosco, e passa via;
ma subito, ad un grido che si faccia
dal cacciator, si torna, vi entra e spia,
né vi è cespuglio d’alti vepri chiuso
ch’esso, latrando, non vi metta ’l muso:
47
tal Simon Pietro, al tempo
degli affanni
avendo il dolce Mastro abandonato,
tornò subitamente e da Giovanni
e da’ fraterni avisi castigato;
poi esso, ancor che d’aquila sui vanni
poggiò, come giá dissi, al divin stato,
seguillo appresso e alfin per breve calle
d’un basso colle sel lasciò da spalle.
48
Andrea, ch’addolorato vi è
rimaso
insieme con Simon, Bartolomeo,
Filippo, Levi e l’utile Tomaso,
con l’uno e l’altro Giacom e Tadeo,
stretti gli accoglie, ma di speme raso,
e sé colpando al ciel d’ogni mal reo,
però ch’al suo Maestro fu ritroso
al tempo travagliato e nebuloso.
49
Come, dapoi l’exercito
spezzato,
sen fuggon i percossi da fortuna,
col viso de la morte e ’l cor gelato,
in qualche poggio ed un di lor gli aduna,
il qual, sí come cavaglier provato,
la sorte lor, che sia men importuna,
cerca di racquetar e giú di strada
stassi con loro ad aspettar ch’accada;
50
non men di Pietro il frate,
al me’ che valse,
contrasse in un drapello quei dispersi;
e, dopo alcune ben stimate e salse
parolette fra lor, dove tenersi
debbian sicuri, alfine amor prevalse
contra timor c’han degli ebrei perversi;
e fu conclusion d’entrar la terra,
né per pace lasciarla né per guerra.
51
Era non so qual uomo, nel cui
tetto
il Salvator cenò la sera inanti,
luogo non ampio giá che dar ricetto
potesse agiatamente al Re de’ santi:
pur volsevi allogiare, angosto e stretto,
il Re de’ re cogli undeci giganti,
e d’umiltade far le basse prove
Colui che ’n se sol cape e non altrove.
52
Fe’, dico, qui l’altissimo
Signore
bassissime le prove d’umiltade;
e ne fu prima in fatti precettore,
in detti poi per nostra sicurtade,
quando, da Pietro infino al traditore
incominciando, l’unica Bontade
lavò non giá lor mani, non lor colli,
ma lavò i piedi, gli asciugò, baciolli.
53
Parvi, signor, che d’umiltá
sul fondo
a quanto mai puotéo calar s’assise,
se le man formatrici del gran mondo
a un atto sí negletto sottomise?
Atto negletto no, ch’un piede immondo
in quelle monde man Superbia uccise,
la uccise sí, ma ravvivisse allora
che Constantin lasciò fra noi Pandora.
54
Qui s’occultâr gli apostoli,
qui s’ebbe
l’umil principio del papal fastigio,
quindi de’ regni su le cime crebbe
de’ pescatori un picciolo navigio,
qui documento aver tal uom potrebbe
d’amar vertú piú che temer prodigio
d’ondante fiume o di codata stella;
ch’ov’è bontá, la sorte invan flagella.
55
Fra tanto, ad Anna il Re del
ciel condutto,
stettegli avanti in foggia di ladrone;
le man, le braccia, ’l collo, ’l corpo tutto
carco di nodi avea fin al talone.
Giovanni evvi presente, ch’introdutto
havvi similemente il buon Simone,
e quel giá incorso nel premier suo fallo,
ch’al terzo canterá l’arguto gallo.
56
Anna, che d’un tant’uomo il
grave aspetto
si vede inanzi, fa come ’l villano
ch’andato in guerra non per altro effetto
che per rubar, gli viene a sorte in mano
compíto il fatto d’arme, a lui suggetto
qualche onorato e nobil capitano;
vilmente fagli onor contra sua voglia,
e, perché ladro nacque, alfin lo spoglia.
57
A prima fronte ricercollo,
senza
porvi molt’olio e sal, di sua dottrina.
Oh pronto antiveder di chi udienza
dá sempre al popol tutto, e gli dovina!
Di’, porco immondo, se non hai scienza
di stupro, d’omicidio o di rapina,
perché legato inanti a te s’addusse,
s’adúlter, omicida e ladro fusse?
58
I monti, le campagne, i
fiumi, i laghi
èbben orecchie a udirlo, e tu nol sai?
Chi piú di te l’ha da saper, se vaghi
sí sempre ne la legge i pensier hai,
se sí d’esterna maiestá t’appaghi,
quando sul scanno di Moisé ti stai?
Or odi la risposta over ripulsa
conveniente a tua domanda insulsa!
59
– Di ciò ch’al mondo in vista
ho detto e fatto
parlan costor ch’al seggio intorno tieni,
essi, che ’l san, ponno informarti affatto;
con lor ne son le strade e i tetti pieni;
e s’abbia meritato d’esser tratto
in questo vituperio ch’or mi tieni,
lo tempio il dica, e, s’esso nol sa dire,
potrá la sinagoga in ciò mentire? –
60
Mentre dicea quest’ultime
parole
Colui che ’n cielo tuona e i venti sferra,
Colui che rompe il mar, ch’oscura il sole,
ch’entra ’n gli abissi e scòtevi la terra,
Colui che fa, disfá, che vuol, disvuole
ciò che gli par lá sú, qua giú, sotterra,
Colui che sopra i re nud’ha la spata,
tolse per man d’un servo una guanciata!
61
Sí veramente non parrammi
strano,
Padre del ciel, s’oltraggio tal comporti!
Non dico ch’una mercenaria mano
abbia con quanti diti, tante morti;
ma i lupi ora che fan? ch’a bran a brano
quel pontefice pien di mille torti
non squarcian ad essempio altrui, che caro
un atto ebbe a veder sí temeraro?
62
Dionisio e l’altra infamia di
Ciciglia,
che cosse l’uom nel bue del ferro ardente,
Neron, Mezenzio e quanti mai vermiglia
fêron del ciel la faccia crudelmente,
qui rallentata non avrian la briglia
de l’impietá, ch’alcun cosí vilmente
permettesser giamai negli occhi loro
fosse battuto senza altrui martoro.
63
Stette, a quell’empia man,
cosí la faccia
di quel vittorioso ed umil Agno
come sta vecchia palma, ove s’abbraccia
col ciel Idume, al Borea ed al compagno;
anzi chi rende al mar quella bonaccia
c’ha fontana tranquilla o cheto stagno,
tranquillo e cheto in gli occhi a quelli fuore
fece apparir com’era dentro il core.
64
Parve a Giovanni (il quale a
le mill’onte
fatte al Maestro mille volte muore)
quella percossa a la serena fronte
come tanaglie gli stringesse il core;
non puote oltra soffrir le troppo cónte
malvagitá del brutto e rio pastore:
fugge piangendo, e ’l petto e ’l crin si lania
fin che pervenne a Lazar di Betania.
65
Turbossi oltra misura Pietro
allotta,
come si turba il mar, percosso il cielo;
e se non che rimembra l’interrotta
dal Mastro impresa di ferir col telo,
forse di quel villano a l’empia botta
levato avrebbe a piú d’un Malco il pelo:
io dico «forse», ché dubbiar mi face
d’un’ancilluzza il mormorar loquace.
66
Al rimbrottar d’un’unta,
affumicata
e venal fante, il cavaglier, che poco
dianzi animoso insanguinò la spata
e fe’ da cento armati darsi luoco,
ecco impaurito trema; e quella amata
tua Pietra, o buon Iesú, che a l’almo fuoco
scelt’hai per sovra imporvi la tua Ròcca,
ecco se a lieve soffio in giú trabocca!
67
Dico ch’una bisunta e laida
serva,
uscita forse allor de le patelle,
vede scaldarsi Pietro, il quale osserva
del Mastro le risposte accorte e belle.
Tutta si gli rivolta, qual proterva
cagna, cui vòte pendon le mamelle,
che, visto il poverel, gli corre adosso,
ed esso al me’ che sa se n’ha riscosso.
68
Alza l’arguta voce, onde le
genti
accorrer fa, gridando: – E tu di quelli
sei pur, mal uomo! – E Pietro fra li denti
risponde a lei: – Non so quel che favelli! –
Al qual contrasto un de’ piú vil sergenti
guatollo e disse: – Inver di quei rubelli
tu se’ di Galilea, ch’io t’ho qui scorto,
e vidi te con quell’Iesú ne l’orto. –
69
– Anzi – soggiunse un altro –
è proprio desso,
ch’al mio parente giá spiccò l’orecchia. –
Trasse allor téma Pietro di se stesso,
e gli fe’ un viso qual di volpe vecchia,
ch’alfin, caduta in laccio, tutta in esso,
che tese a lei, con umiltá si specchia:
– Non, v’ingannate! – disse – ch’io quest’uomo,
per Dio! né so chi sia né come il nomo. –
70
Allora, in questa fin di tre
menzogne,
Iesú, che vi ha le orecchie via piú pronte
che le risposte a l’improbe rampogne
di quel prelato e de’ suoi mimi a l’onte,
acciò che ’l car discepol si vergogne
d’un error tanto, a lui piegò la fronte;
donde una fiamma lampeggiò sí forte,
che spinse Pietro al rischiò de la morte.
71
E tutto a un tempo, quattro e
cinque volte
scosse l’augel crestato l’ale a’ fianchi;
poscia, curvando il collo, a canne sciolte
garrí dicendo: – Pietro, di fé manchi! –
Subito amare lagrime giú vòlte
dagli occhi, e misti a lor sospiri stanchi,
rupper a un tratto, come al Pado l’onde,
rompon soperchie a le mal ferme sponde.
72
Quindi si parte tacito, ma
drento
sentesi aver bevuto il mortal tosco;
corre fuor di citá, ché ’l violento
liquore il caccia in un selvaggio bosco:
ivi abondò cosí di pioggia e vento,
che ’l ciel di conscienza irato e fosco
tornossi lieto, e reso il bel sereno
di viva speme, cosse il mal veleno.
73
Anna, dubbioso di venire al
punto
de la ragion dove ne sia confuso,
a Caifa il manda, ch’ivi erasi giunto
de’ farisei lo stol, secondo l’uso.
Stava quel lupo, da gran fame punto,
mezzo a le volpi digrignando il muso,
che giá li par cacciarsi in ventre quello,
addutto inanzi a sé, pascale Agnello.
74
Hanno questi ribaldi assai
tra loro
pensato e ripensato, detto e fatto,
come di frodi tessano un lavoro,
per cui l’Innocentissimo sia tratto
a morte ria, per uno di coloro
ch’abbiano spesso un popolo disfatto
per lor sedizione, o con inganno,
per regnar essi, ucciso alcun tiranno.
75
Due facce alfin sfacciate,
duoi di quelli
che per vil prezzo il «sí» pel «no» diranno,
che, ladri, falsi, adúlteri, rubelli,
s’ombrano il dí, la notte intorno vanno,
posti gli sono avanti e, arditi e felli,
con giuramento in testimon si dánno,
ch’ei detto avea potere in poco d’ora
strugger lo tempio, e poi rifarlo ancora.
76
L’esser bugiardo, falso e
traditore
(s’io non m’inganno) vien fin dal prim’ovo.
Nei figurati detti, che ’l Signore
lor fea, cosí parlato aver ritrovo:
– Sciogliete questo tempio, c’ho valore
in spazio di tre dí rifarlo nuovo! –
Ma del corporeo suo bel tempio disse,
che, per lor sciolto, poi tre dí ravvisse.
77
Oh malvagio costume! Quanto è
presto,
quanto è spedito a fare il mal pensato!
Vedean l’amor del popol manifesto,
che a lui va sempre inanti, dietro e a lato;
vedean ch’Erode, che ’l pretor, che ’l resto
dei nobili romani aveanlo grato.
Però vi alzò Pluton la coda, e astuccia
fuora spruzzò con forma di bertuccia.
78
Va questa ladra simia e
maladetta,
nata per secar piante ed ogni fiore,
uscitasi di parte sí mal netta,
va de l’antica sua magion nel core
degli asini giudei, malvagia setta;
ed òpravi cosí, che, ’n odio amore
cangiato, chiamerá, chi chiamò «osanna!»:
– Sia crocifisso! a morte tu ’l condanna! –
79
Caifa, contento giá piú
ch’allor fue
quando s’ornò del manto ambizioso,
improverando grida: – Or l’opre tue
son chiare omai, né tu puoi star nascoso!
Odi tu quanto dicon queste due
degne di fé persone? Tu tant’oso,
tu tanto temerar, che sfar, rifare
un tempio puoi, del mondo il singolare? –
80
Non degna il modestissimo
Maestro
risponder ad un’alma pertinace.
Foggia non è che spirto tanto alpestro
lentar potesse mai; però sen tace.
Levò quell’arrogante il braccio destro
verso del ciel, giurando pel verace
e vivo Dio, ch’a sé certezza dia
s’egli è Figliuol di Dio, s’egli è ’l Messia.
81
Non tacque allora il gran
Figliuol; ma, stretto
dal caro amor paterno ed infiammato,
rispose: – Da te stesso, ecco, l’hai detto!
Ma dico il vero a te, popol ingrato,
ch’ancor vedrai de l’uomo ’l Figlio eletto
sedersi del suo Padre al dritto lato,
al qual sopra le nebbie a suon di tromba
si scuopriran chi corvo, chi colomba! –
82
A tanto dir quell’impazzito e
fiero,
s’una stoccata in petto avesse tolta,
si ruppe il manto al petto, ch’era intiero,
e con man si ferí piú d’una volta:
prodigio aperto, ché del vecchio Piero
la barca fia divisa per la molta
discordia de’ prelati e per la poca
lor fé, ch’ora gelata stassi e fioca!
83
Chi giamai vide a la catena
l’orso,
ch’abbia di pietra un colpo ricevuto,
arrabbiar di stizza e dar di morso,
forte ruggendo, a l’omer suo velluto?
Non meno Caifa, essendogli concorso
al core, a l’ugne il fele conceputo,
cosí graffiossi, che spartí la toga
pontifical de l’empia sinagoga.
84
Al muso, come porco, tien le
schiume,
e grida e latra e dice: – Ha bestiemato:
usurpasi l’onor del santo Nume,
e s’ha del proprio error testimon dato!
Che vi par dunque? Or quanto si presume
questo vil fabro, in picciol terra nato! –
Cosí parlando, gli sputò nel viso,
e ’n quella ognun gridò che fosse ucciso.
85
O gran Motor del ciel, perché
non schianti
la vigna ingrata e ’n centro non l’assorbi?
Trann’ecco il dolce figlio a Ponzio avanti
quegli tuoi israeliti pazzi ed orbi:
esso, come colomba, tace a tanti
scherni d’ungiuti astorri e negri corbi:
chi sputalo nel viso, chi ’l percuote,
chi pela il mento e graffiagli le gote.
86
Allor Pilato, avegna fosse
adorno
d’ogni sceleratezza da che nacque,
quando cosí bell’uomo in sí vil scorno
videsi addure, in gli occhi assai gli spiacque:
mosche non van sí spesse al mele intorno
come quei lupi al biondo Agnel, che tacque
sempre a chi l’urta, improvera, calpesta
tutta la notte insino a l’ora sesta.
87
Dunque sgridolli quel roman
superbo,
donde fûr tosto mille mani ascose;
poi, vòlto a’ farisei, con volto acerbo
– Queste son – disse lor – di quelle cose,
che voi sapete far senz’osso e nerbo:
cose sinistre, insulse e dispettose!
Qual causa v’insta sí, che vostra rabbia
in un tant’uomo a disfogarsi s’abbia? –
88
Al qual risponde il piú degli
altri astuto:
– Signore, inver troviamo ch’ei soverte
la gente nostra e nega che ’l tributo
a Cesare si dia; poi con scoperte
bugie va divolgando esser venuto
quel giá predetto Cristo, il qual ne accerte,
come figliuol di Dio, come Re nostro,
dover toglier da noi lo giogo vostro. –
89
Pilato, ch’è romano e a lunga
prova
nel governo avezzossi a creder poco,
credette nulla, perché cosa nuova
non gli è di quei ribaldi l’esca, il fuoco;
e pur con loro simular gli giova,
ché fuor si turba e dentro ne fa gioco.
Volgesi al Re del cielo e dice: – Sei
re tu, come va ’l grido, degli ebrei? –
90
Il Re risponde: – Tu per te
lo dici! –
Pilato a lui: – Non odi tu la voce
in danno tuo di questi tuoi nemici? –
Tacque Iesú per non vietar la croce,
ché, quando contrastar quegli infelici
voluto avesse, quel roman feroce
lor svergognati avrebbe, lui francato
e come savio e nobile osservato.
91
Ma Giuda, in questo mezzo,
erede fatto
di quante chiome squarcian le tre sori,
va quinci acceso, quindi mentecatto,
spegnendo l’erbe ovunque passa e i fiori.
Porta l’argento in man del crudel patto;
ma l’odia il tristo re de’ traditori:
anzi sen viene a Caifa e grida: – Guai
a me, che disperando in Dio peccai!
92
Peccai, misero me! ch’io v’ho
tradito
per avarizia il sangue giusto e santo:
pigliate il vostro argento, ch’io pentito
son giá del fallo mio, né valmi il pianto! –
A cui risposer: – S’hai di ciò fallito,
ch’abbiamo a farne noi? Tu questo tanto
porta con te, ché noi ne siamo netti:
guarda com’al giudiccio ti sommetti! –
93
Partesi quel mal seme
disperato
e, non lontan da dove piagne Pietro,
s’ebbe a la corda il gozzo avvilupato
presso ad un tronco non di canna o vetro,
il qual poi ch’ebbe intorno rimondato,
mira ch’alcun nol vegga inanti e dietro:
monta l’infausto sorbo e giú si lancia;
restavi impeso e scoppiagli la pancia.
94
Era tra Ponzio ed il secondo
Erode
cresciuto, come avien, non picciol sdegno,
ché per superbia lor, per ira e frode
mai duo’ tiranni non abbraccia un regno.
Iesú, che de la pace piú si gode
che non si duol del vituperio indegno,
mentre da questo a quel, da quello a questo
tratt’era, ogni lor furia smosse presto.
95
Erode avea gran tempo avuto
brama
vedere il Salvator, non perché voglia
creder in lui, ma la mirabil fama,
ch’ognor crescendo monta in ciel, l’invoglia
di veder segni; e sol perché non ama
ch’a sé de le sue mende il carco toglia
piú che levare un morto e vivo gire,
puotelo sol veder, nol puote udire.
96
Mosso da leggerezza, sí gli
chiede
che ’n sua presenzia qualche segno faccia,
perché gli ne dará quella mercede
che d’oro o gemme od altro aver gli piaccia.
Tace Iesú, né a quel delir succede,
ché quanto il prega piú, non piú gli taccia:
donde, sdegnato, il fa vestire a bianco
e con mill’onte a Ponzio tornal anco.
97
Il qual, vedendol ritornar
coperto
di bianchi panni, giudica colore
tal esser d’innocenzia un segno aperto,
qual fu per scorno dato e per disnore:
onde dicea: – Perché m’avete offerto
voi cotest’uomo pio per malfattore?
Ecco, s’Erode il rende salvo, a cui
sta di punirlo, a che far questo nui? –
98
Risposer quelli: – Se
foss’uomo giusto,
e non rubel, com’è, né scelerato,
giá non si chiederebbe che combusto
o posto in croce fosse o scorticato.
Sapiamo ben che de l’invitto augusto
Tiberio avete a cor servar lo Stato,
e ch’aspramente si punisce quello
che gli è, come costui, vasal rubello! –
99
Pilato disse: – Voi che
gelosia
avete sí di legge, vostra moglie,
ecco, pigliatel voi, ché ’n me non sia
gesto verun che di ragion si spoglie:
fatene strazio, incendio e notomia,
beetevi quel sangue a piene voglie! –
A questo dire ognun di loro grida:
– Legge non vuol ch’altri per noi s’uccida! –
100
Allor sen riede al tribunale
e fassi
condurre avanti un sí gentil prigione,
che ’ntenerire avria possuto i sassi.
Tratto come si suol trar un ladrone,
col capo chino e muto a l’onte stassi:
né fa pur motto in sua defensione,
se consapevol fosse ben di qualche
sua gran sceleritá che dentro il calche.
101
Parla il romano e dice: – Or
voglio certo
esser (non mel negar!) se tu re sei:
giá molti e molti dí mi vien referto
starsi nascosto un re degli giudei. –
Allor quell’Agno in su l’altare offerto
risponde umilemente: – Io giá ’l direi;
ma l’hai tu detto in prima; e donde ’l sai?
o pur da te riconosciuto l’hai? –
102
Signor, mirate con qual arte
giri
datorno a questo il cacciatore accorto,
acciò ch’a la sua rete un’alma tiri,
ché senza legge va per calle torto;
sfoga dal santo petto alti sospiri,
non piú perch’abbia tosto ad esser morto
che per disio di riparare, inanti
l’andata sua, tanti perduti e tanti!
103
Sa che la moglie di costui,
romana,
o Sergia o Giulia o d’altra nobil prole,
non so qual visione orrenda e strana,
che rado agli mortali accader suole,
avea veduta e non pensata vana,
e dettone al marito piú parole,
il qual temea veder, se Cristo ancide,
vegghiando ancor, ciò ch’essa in sogno vide.
104
Al qual Iesú: – Non è di
questo mondo
il regno mio; ché, quando cosí fosse,
quanti fedel ministri altrove ascondo
farian sentire a voi, mortai, lor posse!
Tengo ’l mio stato piú alto e piú profondo:
colá son quinci per tornar, ma scosse
che l’arme sian di man del re de l’ombre,
donde convien ch’una gran gente sgombre.
105
Qua venni per aprire a l’uomo
cieco
gli occhi de lo ’ntelletto a Veritade,
di cui son testimonio e l’ho qui meco
con Fé, Pietá, Fortezza e Caritade. –
A cui Pilato: – Hai Veritá qui teco?
e chi è? – Cosí, poi ch’ebbe detto, cade
il sciagurato in merito di mai
non pervenir d’un tanto sole a’ rai.
106
S’affaccia del palazzo ad un
balcone,
ché ’l popol sta lá giú per non v’entrare:
entrar non vuol né può, sol per cagione
del dí pascale, a lor sí singolare.
Stanno da settemillia e piú persone
in su la piazza grande ad aspettare,
tra quelli che Iesú vorian vedere,
tra quei c’han voglia in lui sol di nocère.
107
Parla Pilato a loro: – I’ non
ritrovo
causa perch’un uom tale morir deggia.
Ho di sua vita cerco dal prim’ovo:
dubbio non ha, costui gli dèi pareggia:
ma, sendo un uso in voi non strano e nuovo
ch’un simil mio, ch’al popol signoreggia,
da Pasca un reo di carcere vi dona,
vi donerò chi porta in voi corona. –
108
Ratto di mille voci alzossi
un grido:
– Non costui, no, ma Barabam ci lascia! –
Era Barabam ladro ed un bel nido
d’ogni sceleritá da prima fascia.
Oh volgo infame, oh trascurato, oh infido
a chi ti leva di sí lunga ambascia!
Ma tosto n’averai secondo il merto
larga mercede: tientilo per certo.
109
Vieni, Vespasian; vien, Tito;
e voi,
romani altieri e domator del mondo,
schiantate questa vite a tal, che poi
non mai rinverda da la cima al fondo!
Sopra sé il sangue e sopra i figli suoi
sia di quel santo e puro Agnel, secondo
si chiameranno i duri di cervice
del ciel sopra di sé la man ultrice!