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1. Dammi perdono, priegoti, Cupidine,
s'or ti biasmai co' la tua madre Venere;
so ben che mai, senza vostra libidine,
possibile non è ch'uomo s'ingenere.
Tu sei degno d'onor e di formidine,
ché senza te saria già 'l mond'in cenere;
onde, talor s'io straparlassi, tolera;
la colpa non è mia, ma de la colera.
2. Anzi ringrazio te, gentil gargione,
che m'hai fatto baron di gran nomanza:
ho sempre un centenaio di persone,
boni da stocco et ottimi da lanza;
giamai non si mi parton dal galone, Doglie di mal francese
e fra loro grido al cielo: «Franza, Franza!»;
la qual, senza passar tant'alpe o piano,
con un trattato presi a Cunniano. Cunniano
3. Godea 'l Spagnolo che sotto Pavia
avea fatto prigion di Franza el roy;
et io nel grembo a Caritunga mia
ho preso tutta Franza per ma foy.
A che voler Italia in sua balía,
passando or Ada or il Tesin et Oy?
Venite ad me, signores, faciam todos
baron di Franza e cavallier di Rodos.
4. Ma questa corte sempre qui sen stia, Pedocchi
che giura non andarmi mai luntano.
Per me sol un contento si desia,
che 'l cancaro mangiasse il Taliano,
il qual, o ricco o povero che sia,
desidra in nostre stanze il tramontano.
Ora torniamo al testo di Turpino;
m'aveggio ben ch'i' son for di camino.
5. Levavasi già 'l sole for di l'acque
con un visaggio carco di vin còrso,
quando a Parigi il strepito rinnacque
di tante genti per lo gran concorso.
La giostra ch'anti a Berta il re compiacque
si mette in punto: chi 'l stafil, chi 'l morso,
chi concia 'l barbozzale al suo destriero
per non depporr'il culo sul sentiero.
6. Di fronde, erbette e floride corone
pien'è la terra, e pare ch'ivi pasca
Titiro la sua greggia; ma Carlone,
acciò che gara alcuna non vi nasca,
ne' patti fa cotal condizione:
«Chi giú d'arzone nel bagordo casca,
non fia capace piú del pregio posto;
ma de la lizza fora uscisca tosto».
7. Scemano li giostranti con tal gioco,
fin che l'ultimo resti vincitore.
Quivi non giostra sguataro né coco,
ma re, duchi, marchesi e d'altr'onore;
lo premio è un scuto d'or, che 'n alto loco Premio de la giostra
pende con un rubin di tal splendore
ch'ove non pò del sol entrar il lume,
esso del sol, ardendo, fa 'l costume.
8. Sentesi già 'l rumor al ciel diverso
di trombe e gridi d'uomini e cavalli;
era ne l'aere un tempo chiaro e terso
né un picciol fumo sorge da le valli;
chi qua, chi là, chi al lungo, chi al traverso
urta 'l cavallo, affrena, stringe e dàlli;
chi su, chi giú, chi va, chi vien, chi sede;
chi sí, chi no, per la gran calca vede.
9. Re Carlo in mezzo a cento capi d'oro
fermato s'era in logo piú eminente;
ciascun là mira e vede il gran tesoro
che 'ntorno lui splendea sí riccamente;
Minerva non giamai sí bel lavoro
trapunse di sua mano a suo parente
quant'era il manto ch'egli in cotal giorno
aver fra tanti regi vols'intorno.
10. Ma pria ch'al ver contrasto e ragionevole
si vegna, odi, lettor, ché vi è da ridere;
perch'una tramma occulta e solaccievole
fra' duodeci re Carlo fa dividere. Duodeci paladini
Ecco improvisa venne una festevole
vecchiarda, che comincia forte a stridere
con un suo corno et a cavall'un'asina,
parendo che venisse da la masina.
11. Tacquer le trombe tutte, e la bertuccia
(ché proprio di bertuccia apparve in atto)
soffia nel corno quanto pò la buccia,
rendendo un sòno tutto contrafatto.
Ma Berta a tal novella si coruccia,
presaga già del torto che l'è fatto;
e vede che 'l Danese nel stecato Giostra solaccievole
era s'un mulo magro e vecchio entrato.
12. S'un mulo magro, vecchio e zoppo ancora Mulo
entrat'era 'l Danese ne la lizza;
toccalo ai fianchi, e quello in men d'un'ora
si volge ratto al freno, salta e guizza.
L'elmo di zucca, l'arme son di stora,
la sopravesta inversa di pellizza;
e per cimer ha in capo una cornacchia,
ch'ivi legata si dimmena e gracchia.
13. Driccia un forcone su la coscia, e vòle
che tal sua lanza il scuto d'or guadagne.
Ecco s'una cavalla, che si duole Cavalla
da quatto piedi et ha cento magagne,
Morando qual limaca par che vole
coperto a fine piastre di lasagne;
e porta una pignata per elmetto,
la qual si fa cimier del suo cazzetto.
14. Abbassa una cannuccia e fassi targa
contra 'l Danese con un calderone;
sprona la bestia e vien gridando: - Guarda! -
Danese volge a lui col suo forcone;
dànnosi un'aspra botta, benché tarda
fusse per spazio di quatr'ore bone;
fra 'l qual tempo Rampallo vi vien anco,
di speronar un asinel già stanco. Asino
15. Un asinel poledro che vint'anni La discrezion de l'asino
stentato avea de frati in un convento. ove fu tolta
Pensate quante pene, quanti danni
ivi sofferse l'animal scontento!
Al fin ruppe 'l capestro e for d'affanni
calci e corregie trette piú di cento;
e, scampandone, fe' da bon ladrone:
rubbò a gli frati la discrezione.
16. Credette a me, ch'un'oncia, ch'una mica
non vi lasciò di quella il gran dottore!
Rampallo, che gli è adosso, s'affatica
urtar innanzi un tanto corridore.
Egli, ch'in mente avea già la rubrica
del breviario tutto drento e fore,
sí lieto andava in simil essercicio
come gli frati in coro a dir l'ufficio.
17. Abbassa il capo e levasi a la coda
per porre a terra il peso inconsueto;
sprona Rampallo, et egli par che goda
andar un passo innanzi e quatro adrieto;
cade 'l barone su la terra soda;
scampa, gridando, l'animal discretto;
ride la turba; e il cavallier, levato,
corregli drieto et anco l'ha pigliato.
18. Senza toccar la staffa, che non v'era, Prova di Rampallo
salta quel paladino in cima al basto;
arme non have for ch'una pancera
di ferro tutta, ruginoso e guasto,
ma di tal tempra, ma di tal minera
ch'al becco d'un moscon faria contrasto;
e l'elmo poi sí di splendor adorno
che 'l sol no'l vide mai se non quel giorno.
19. Un baston di pollaio è la sua lanza,
di perle tutta ornata e di merdaglie;
ponela in resta al dritto de la panza
d'uno chi 'ncontra vien coperto a maglie.
Era costui Ginamo di Maganza, Inganno di Ginamo
ch'armi non volse già di carte o paglie,
ma sí di piastre; e per celarsi alquanto
di canape vestitte sol un manto.
20. Et un zanetto ancora, che di foco Zanetto
esser parea, lo traditor cavalca;
contra Rampallo il stringe e mancò poco
che, mentre adesso lui troppo si calca,
quell'indiscreto non guastasse il gioco,
e con un trave quasi lo scavalca,
perché 'l poltrone, per far ben del saggio,
venne a la giostra con quel gran vantaggio.
21. Tal atto spiacque a tutti; ma re Carlo
tanto piú piacque a l'atto ch'or succede:
manda for del steccato a congietarlo.
Egli, scornato, a la sua tenda riede:
gli scherni de la turba non vi parlo,
ch'ognun gli chiocca drieto e man e piede;
sol Magancesi rodon la catena,
ma Chiaramonte n'ha letizia piena.
22. Fra tanto Amon e 'l suo fratell'Ottone
eran entrati insieme a sòn di corno;
parean che ducent'anni col carbone
servito avesser di Vulcan al forno;
l'un Satanaso e l'altro par Plutone,
tant'ale, come e fiamme hanno d'intorno;
et a due vacche han posto briglia e sella; Vacca
quest'ha un lavezzo e quell'una padella.
23. Ciascun il suo forcone mette in resta
e move al corso quelle bestie pegre.
Ecco Bovo e Raineri non s'aresta
per tema ch'aggia de le faccie negre;
portan due nasse da pescar in testa,
ma indosso di castron le pelle integre;
le lanze son due scope in un bastone;
le targhe, una barille et un cestone.
24. Cavalcan senza sella doi stalloni Stalloni
rognosi e pronti a far di le sue zarde,
grassi cosí ch'agli ossi de' galoni
hanno appiccato, come fusser barde,
duo gran botazzi, over dirò fiasconi,
acciò le genti tosche e le lombarde
intendan quel ch'io parlo; e s'io vaneggio,
che meraviglia? sentirete peggio.
25. Lascio di dirvi e' colpi che si danno
con quelle lanze sue non mai piú usate;
tal è la gara e 'l gioco lor che fanno
rumper di risa il petto a le brigate:
dand'e togliendo pel steccato vanno
e pugni e calzi e bone bastonate;
non sí però ch' alcun mai si turbasse
né che 'ndiscretamente altrui pestasse.
26. Fra tanto Salomone con gran fretta
vien con un perticon da filo in resta;
cavalca di gualoppo una muletta, Muletta
et ha cusito a l'elmo e sopravesta
gonfie vesiche, et una assai mal netta
bragazza da bifolco tien in testa,
et una conca per sua targa porta,
et al galon di legno una gran storta.
27. Ma per servar Ivvon la vecchia usanza, Foggia antica di combattere
s'un carro a gran stridor di rote viene;
lo stimulo da boi porta per lanza,
e la corba del fen per scuto tiene;
dritto non sta, ma con la testa avanza
for de le scale apena; e, per star bene,
agiatamente sede su la paglia
quel baron forte e cavallier di vaglia.
28. Un bove solo il tira infermo e lento, Bove
e Namo fa l'ufficio de l'auriga:
pensate mo, lettori, quanto stento
era di lui condur quella quadriga!
Or giunti al fine drento il torniamento,
a tòr e dar ad altri la castiga;
già Namo di menar non si sparagna,
la spata no, ma il capo e le calcagna.
29. Vedestú mai qualche poltron villano Comparazione
(«poltron» s'appella di suo proprio nome)
discalzo cavalcar il suo germano
(l'asino dico) a mezzo inverno, come
spesso mena le gambe come insano,
acciò di Borea il spirito no'l dome?
Cosí Namo facea cazzando il bove
ch'ad ogni cent'urtate un passo muove.
30. Or son meschiati insieme que' baroni
su quelli animaluzzi magri e vecchi;
pignate e pignatelle e calderoni,
padelle, zucche, barilloti e secchi
fan gran rumore, mentre co' bastoni
si dan bone derate su gli orecchi,
orecchi di destrieri, intendi bene:
scherzo che doglia tra lor non conviene. Cortese gioco
31. Otton s'era affrontato col Danese,
quello sul mulo e questo su la vacca;
gettan lor aste e vengon a le prese
et abbraciati ognun di lor s'attacca.
Morando ch'indi passa tosto prese
la coda al mulo, e col tirar si stracca;
Danese da le man d'Otton si snoda,
ché for del cul si sente andar la coda.
32. Volge la briglia per girar l'armento,
ma tanto fa se quello fusse un muro.
Morando tien tirato, e tal tormento
sent'il mulazzo che, per star sicuro
di non perder la coda, e pioggia e vento
spruzzò dal buco e d'un impiastro puro
unse talmente il volto a chi 'l tenea
ch'egli non uomo, anzi sterco parea.
33. Lascia la coda il bon Morando presto
- Heu, quia incolatus sum - gridando forte.
Amon, ch'era de li altri 'l piú rubesto,
su l'altra vacca giunge quivi a sorte;
a Bovo tolto avea la scopa e 'l cesto
e quasi al suo stallon diede la morte;
ma non vede Rainer che per la coda
tien anco la sua vacca e via la snoda.
34. Spiccolla via di netto in un sol crollo Comparazione
con la facilità ch'ad un pullastro
smembrar vidi talor dal busto il collo;
onde 'l tapin senza Garbin e Mastro
andò pur giú da banda, e riversollo
col suo destrier in guisa di pillastro;
né anco Rainer per quel tirar con forza
puòte star saldo, ma giú cadde ad orza.
35. La coda c'have in man saltella e guizza,
come sòl far una luserta monca. Lacerta
Eccoti Bovo al lungo de la lizza
corre, c'ha tolto a Salomon la conca;
quello il persegue e finge averne stizza,
e tanto or slunga il passo or la via tronca
ch'al fin lo giunse ove Ivvon gran briga
prende sul carro col suo istesso auriga.
36. Ma Namo per combatter faccia a faccia,
vòlto al contrario, fa di coda briglia;
Ivvon di paglia grande coppia abbraccia
e tutta in capo al bon Namo scompiglia;
egli, sommerso, non sa chi si faccia,
crollasi tutto et ha la barba e ciglia,
la bocca, il naso pien di busche e polve,
et in un fascio a terra si provolve.
37. Re Salomone, quando Namo vide
sepolto in un pagliaio andar a terra,
- Non dubitar, baron! - gridando ride
e con Ivvon comincia un'aspra guerra;
quello su 'l carro al basso giú s'asside
e pugni e calzi e qua e là disserra;
ché Bovo ancor intorno lo lavora,
stigando questo a poppa e quell'a prora.
38. Morando, Otton, Danese con Rampallo
son attacati stretti in una calca,
e van facendo intorno un strano ballo,
mentr'un adosso l'altro piú si calca;
ciascun, per non tomar giú da cavallo,
col cul al basto, quanto pò, cavalca;
e presi s'han per piedi, mani e braccia,
e scavalcarsi insieme ognun procaccia.
39. Rampal si volge del Danese al mulo, Prodezza de l'asino
che co' denti gli tiene l'asinello;
fallo lasciar, e l'asinetto, su lo
girar di testa, fece un atto bello:
urta del naso e colse in mezo al culo
della cavalla, e sente odor in quello,
odor grato a' stalloni, e mentre il lambe,
trovasi aver, di quatro, cinque gambe.
40. Alor con la sua voce assai sonora Metafora
quel musico gentil chiamò mercede;
poi, dritto per giostrar anch'esso, esplora
quella targa investir ch'anti si vede;
sta su duo piedi, ma Rampallo alora,
spietato e duro, tosto gli provede;
salta del basto e d'un legnaio in colmo
quanto puote portar carcollo d'olmo.
41. E 'l mastro di capella, ch'avea cura
accommodar la voce a l'istrumento,
non stette saldo a quella battitura,
come al martello non sta falso argento;
la chiave di be lungo forte e dura,
fatta be molle, si ritrasse drento,
sí come la limaca far si sòle Comparazione
quando s'encontra a chi beccar la vòle.
42. La risa non vi narro de le donne,
che ciò, fingendo non guardar, vedeano;
e chi cercato ben sotto le gonne
alor avesse, forse che rideano
con altra bocca fra le due colonne,
ove molte formiche discorreano
per brama di mangiar non pan o vino,
ma sol di fra Bernardo il scapuccino. Fra Bernardo
43. Berta sol è colei che mai non ride,
anzi lo riso d'altri piú l'offende;
tace di for, ma drento smania e stride,
ché l'ira quinci, amor quindi l'incende.
Carlo, che di luntano star la vide
cosí sospesa, gran piacer ne prende;
ella s'accorge e via si tolse presta,
fingendo dol di madre o pur di testa.
44. Fugge alla ciambra e, come da 'l costume Furia amorosa
d'amanti, al letto buttasi con fretta;
ben si dimostra al guardo, al torbo lume,
ch'una man fredda al cor le dà gran stretta;
e se di pianto al fine un largo fiume
non vi rompea, l'ardor de la saetta
l'arrebbe incesa come far si sòle
d'un legno che cent'anni cocque il sole.
45. Levasi al fine e un paggio di dieci anni
chiama, ch'un cherubin non è piú bello;
tutt'era adorno in strafoggiati panni,
d'un capriolo piú leggiadro e snello;
chiedelo Berta, vòlta in grandi affanni,
e commanda dicendo: - Or va', dongello,
va' ratto ratto in piazza e, tra le squadre
cercando, fa' che vegna a me tuo padre. -
46. Non ti pensar che 'l fante le risponda,
anzi qual presto gatto giú descende.
Acciò chi sia 'l citello non s'asconda,
dirollo, poi che 'l senso qui vi pende:
quest'angioletto da la chioma bionda,
che 'n grembo a Vener qual Adoni splende, Adoni
Rugier da Risa nomasi, ch'è figlio Rugiero
del pro' Rampallo, bianco quant'un giglio.
47. Qual giglio, qual ligustro è 'l suo candore,
co gli occhi negri et ha capo romano,
di sguardo lieto, d'animoso core,
di ben quadrato petto, gamba e mano.
Taccio la sua destrezza, il suo valore;
gratto a ciascun, piú grato a Carlo Mano,
che da Rampal suo padre il volse in dono
e quell'ornò del brando et aureo sprono.
48. Non cessa dunque mai, non mai s'attriga,
in fin che trova il padre al stolo drento.
Esso cogli altri uscito era di briga,
ch'eran caduti in quel torniamento,
quando vide 'l figliuolo, che s'intriga
fra li cavalli senza alcun spavento;
pensi qualunque padre se gran pena Natura d'un padre
cacciògli 'l sangue al cor for d'ogni vena!
49. Scridalo forte et al tornar l'affretta,
come 'l severo padre al figlio sòle;
egli, securo, d'arme non sospetta,
taglia del padre l'ultime parole:
- Venite, padre, - dice - che v'aspetta
madonna Berta che parlar vi vòle -;
poscia si volge e scampa ritornando;
Rampallo il segue a piedi, sol col brando.
50. Verso il pallazzo vola quel barone,
e con Rugier fu inanzi a quella diva;
la qual, vedendol, presta in tal sermone
proruppe, in volto neghitosa e schiva:
- O belle prove che vostre persone
san far in giostre! voglio che si scriva
cotesti vostri fatti nelli annali
di Franza a quelli de' Roman eguali!
51. Chi v'ha sí ben instrutti? dite: quale Furia di donna
fu sí bon mastro vostro di brocchero?
Dricciar potrassi un carro triunfale
a gli alti capitan del nostro impero!
O franchi cavallier, che con le scale
sugli asini si balzan di ligiero,
che benedetta sia la grazia vostra,
poi che m'ornati d'una simil giostra!
52. Qual meraviglia poscia se l'Ispani
vi dicon «botaglion, baghe di vino»!
Voi, di bravar sol boni, gli altri strani
chiamati «allé villen, paglié, cuchino»;
quand'è poi tempo di menar le mani,
séte peggior del sesso feminino,
e pel vostro supé ben spesso accade
ch'Italia vi ritien nel fil di spade. -
53. Rampallo ch'alor vede per grand'ira
la donna dir quel che non sa che dica,
sorride alquanto e 'n parte si ritira
ove d'udirla pone ogni fatica,
finché smaltisca quella voglia dira
che la memoria et il parlar intrica;
ma, racquetato poi tal vento e pioggia, Prudenzia de l'uomo
egli parlando piano a lei s'appoggia:
54. - Madonna, i' vi ringrazio ch'io sia tale
cui dir si poscia ciò che dir vi piace;
v'accerto ben che, se 'l sia ben o male
quel che 'n giostra intervien, per me si tace
(anch'io giostrai su quel vil animale Asino
per non esser fra gli altri il contumace);
quando che chiar vi faccio e manifesto
l'imperator esser cagion di questo.
55. Ver è, perché ciò faccia, dir non so,
né for che Carlo altra persona il sa;
quod autem habeo tantum hoc tibi do, Petri sententia
ch'un vero mio pensier a me anco 'l da;
vero anzi no, ma dubbio dirlo vo'
perché la cosa molto queta va:
lo re per voi questo tal scherzo fe',
per mal non già, ché v'ama quanto sé.
56. Sí come aviene, par ch'ognun s'appaghi
di far l'amico scorocciarsi alquanto;
ma non gridate piú, ché da imbriaghi
cotal giostra non de' proceder tanto;
sarà chi 'l scotto innanzi sera paghi,
se non me 'nganno; e poi darassi vanto Vantator spagnolo
quel che si vanta sempre, lo Spagnolo:
aver vittoria un tratto senza duolo.
57. Se noi «baghe di vino» e «bottaglioni»
chiamano, dican questo a quei di Franza,
perché di Carlo e' duodeci baroni
sono, for che la stirpe di Maganza,
scesi da Roma, da que' Scipioni, Paladini di sangue taliano
Corneli, Fabii, o d altra nominanza,
che Cesar, espugnando questa parte,
lasciòvi assai del popolo di Marte;
58. e di cotesto poscio farvi fede
col testimon del vescovo Turpino, Turpino
ch'un libbro vecchio e autentico possede
lo qual Silvestro scrisse a Costantino, San Silvestro, Costantino
ove la nostra origine si vede:
Mongrana, Chiaramonte e di Pipino.
Non siamo ispani, franchi né alemani,
non arabeschi, no, ma taliani.
59. Italia bella, Italia fior del mondo, Lode de' Italiani
è patria nostra in monte et in campagna,
Italia forte arnese che, secondo
si legge, ha spesso visto le calcagna
dell'inimici, quando a tondo a tondo
ebbe talor Tedeschi, Franza e Spagna;
che, se non fusser le gran parti in quella,
dominarebbe il mondo Italia bella. -
60. Berta, ch'ode il germano esser cagione
di quel tal scherzo d'asini da basto,
ma che giostrar si de' poi con ragione,
non fece di parole altro contrasto,
ma chiede sol perché non v'è Milone
armato de villani al vero pasto:
perché, se sei villan e vòi star bene Recetta per lo villano
recipe un pezzo d'olmo su le schiene.
61. Rampallo disse a lei: - Mi meraviglio,
madonna, assai di questo che non venne;
or or m'avento a lui perché consiglio
pigliar volemo insieme del solenne
contrasto ch'esser deve; or stanne, figlio,
qui con madonna. - E detto ciò, le penne
spiegando a' piedi, l'alte scale scende
et alla stanza di Milon si stende.
62. Ma ritorniamo al rustico certame
or vòto il carro avea Ivvon di strame,
e d'altro schermo gli era già mistieri;
ecco 'l suo vecchio bove fea letame:
e mentre co' le spalle i cavallieri
contendon lui col carro traboccare,
si corse al cul del bove a riparare.
63. Ivi suppose ambo le man con fretta:
pensate qual fritada vi raccolse!
e fece un, non già d'acqua benedetta,
asperges me, che Bovo proprio accolse
del volto in mezzo; e poscia qual saetta
pien anco i pugni di quel puzzo tolse,
e cosí dritto il bon arcier il scocca
ch'a Salomon stoppò gli occhi e la bocca.
64. Elli, abbattuti piú da la vergogna,
fuggon for del steccato immantenente;
Carlo gli fa, per piú scherno e vergogna,
sbatter gli piedi e man drieto la gente.
Lo mulo del Danese, ch'in Bologna,
anzi a Parigi stato era studente,
ficca la testa in giú da valent'uomo
e col cul alto fecevi un bel tomo.
65. Fecevi un tomo tale che 'l Danese
una stretta da mulo ebbe alla panza; Proverbio
Morando con Otton venne a le prese,
et ambo di cascar stann'in balanza.
Ivvon, ch'era sul carro, qui comprese
ch'alla vittoria poco tempo avanza:
caccia lo bove e tanto il driccia e punge
ch'ove son abbracciati al fin si giunge.
66. E qui con quella soga, ch'al gran trave Comparazione
noda il bifolco e stringe paglie o feno,
acconcia un laccio, e poi ch'acconcio l'have,
lor osservando va, né piú né meno
ch'altrui losinga e move il piè soave,
s'un fugito caval segue col freno;
fin ch'a l'orrechia o altrove dà di mano,
torna la briglia, e poi gli è duro e strano.
67. Cosí Ivvon mentr'a fatica muove
il carro, s'accostava a li baroni;
poi, visto il tratto, gitta il groppo, e dove
segnato avea, la corda, su' galoni
cadendo tira e quei legati smove,
traendoli sul carro da gli arzoni;
come talor si vede stanco e lasso Comparazione
lo villanel tirar di legna un fasso.
68. Ben vi so dir che gli sudò la braga,
nanti ch'avesse il carco su le scale;
e se di lor ognun stretto non caga,
convien che for coreggie almanco exale.
Non mai veduto fu cosa piú vaga,
ché gli ha legato sí le braccia e l'ale
che non si moven piú, se fusser zocchi,
e se si moven punto, moven gli occhi.
69. Or qui de trombe piú di cento intorno
comincia il tararan con gran rumore;
vittoria ciascun grida d'ogn'intorno;
la vecchia di la turba salta fore,
e nuda come nacque col suo corno
or sona forte, or grida in tal tenore:
- Ivvon! viva Ivvon! viva Bordella, Bordella è citade di Ivvone
ch'empie di croste e voda la scarsella! -
70. Poi spicca un salto e balzasi sul bove
quella vacca leggiadra benché vecchia,
e quinci il carro triunfante smove,
tanto con le calcagna il bue puntecchia!
Ciascuno di Ivvon viste le prove,
buttargli fior e frondi s'apparecchia;
e cosí stando de' prigion in mezzo,
uscí for del steccato a pezzo a pezzo.
71. Dunque ti dico, o savio e spuda senno,
ch'esser ti pare un potta modenese,
che qualche fiata le persone denno,
tutto che nobil sian, far del cortese.
Ecco del suo signor ch'a 'n sol cenno,
han fatto Bovo, Otton, Namo, Danese;
e tu ti sdegni, rustico villano,
aver se non il dio degli orti in mano?