Teofilo Folengo
Orlandino
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SECONDO CAPITOLO

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SECONDO  CAPITOLO

 

                                 1.    Dammi perdono, priegoti, Cupidine,

s'or ti biasmai co' la tua madre Venere;

so ben che mai, senza vostra libidine,

possibile non è ch'uomo s'ingenere.

Tu sei degno d'onor e di formidine,

ché senza te saria già 'l mond'in cenere;

onde, talor s'io straparlassi, tolera;

la colpa non è mia, ma de la colera.

 

                                 2.    Anzi ringrazio te, gentil gargione,

che m'hai fatto baron di gran nomanza:

ho sempre un centenaio di persone,

boni da stocco et ottimi da lanza;

giamai non si mi parton dal galone,                         Doglie di mal francese

e fra loro grido al cielo: «Franza, Franza!»;

la qual, senza passar tant'alpe o piano,

con un trattato presi a Cunniano.                              Cunniano

 

                                 3.    Godea 'l Spagnolo che sotto Pavia

avea fatto prigion di Franza el roy;

et io nel grembo a Caritunga mia

ho preso tutta Franza per ma foy.

A che voler Italia in sua balía,

passando or Ada or il Tesin et Oy?

Venite ad me, signores, faciam todos

baron di Franza e cavallier di Rodos.

 

                                 4.    Ma questa corte sempre qui sen stia,                      Pedocchi

che giura non andarmi mai luntano.

Per me sol un contento si desia,

che 'l cancaro mangiasse il Taliano,

il qual, o ricco o povero che sia,

desidra in nostre stanze il tramontano.

Ora torniamo al testo di Turpino;

m'aveggio ben ch'i' son for di camino.

 

Narrazione

 

                                 5.    Levavasi già 'l sole for di l'acque

con un visaggio carco di vin còrso,

quando a Parigi il strepito rinnacque

di tante genti per lo gran concorso.

La giostra ch'anti a Berta il re compiacque

si mette in punto: chi 'l stafil, chi 'l morso,

chi concia 'l barbozzale al suo destriero

per non depporr'il culo sul sentiero.

 

                                 6.    Di fronde, erbette e floride corone

pien'è la terra, e pare ch'ivi pasca

Titiro la sua greggia; ma Carlone,

acciò che gara alcuna non vi nasca,

ne' patti fa cotal condizione:

«Chi giú d'arzone nel bagordo casca,

non fia capace piú del pregio posto;

ma de la lizza fora uscisca tosto».

 

                                 7.    Scemano li giostranti con tal gioco,

fin che l'ultimo resti vincitore.

Quivi non giostra sguatarococo,

ma re, duchi, marchesi e d'altr'onore;

lo premio è un scuto d'or, che 'n alto loco           Premio de la giostra

pende con un rubin di tal splendore

ch'ove non del sol entrar il lume,

esso del sol, ardendo, fa 'l costume.

 

                                 8.    Sentesi già 'l rumor al ciel diverso

di trombe e gridi d'uomini e cavalli;

era ne l'aere un tempo chiaro e terso

né un picciol fumo sorge da le valli;

chi qua, chi , chi al lungo, chi al traverso

urta 'l cavallo, affrena, stringe e dàlli;

chi su, chi giú, chi va, chi vien, chi sede;

chi , chi no, per la gran calca vede.

 

                                 9.    Re Carlo in mezzo a cento capi d'oro

fermato s'era in logo piú eminente;

ciascun mira e vede il gran tesoro

che 'ntorno lui splendea riccamente;

Minerva non giamai bel lavoro

trapunse di sua mano a suo parente

quant'era il manto ch'egli in cotal giorno

aver fra tanti regi vols'intorno.

 

                                 10.  Ma pria ch'al ver contrasto e ragionevole

si vegna, odi, lettor, ché vi è da ridere;

perch'una tramma occulta e solaccievole

fra' duodeci re Carlo fa dividere.                             Duodeci paladini

Ecco improvisa venne una festevole

vecchiarda, che comincia forte a stridere

con un suo corno et a cavall'un'asina,

parendo che venisse da la masina.

 

                                 11Tacquer le trombe tutte, e la bertuccia

(ché proprio di bertuccia apparve in atto)

soffia nel corno quanto la buccia,

rendendo un sòno tutto contrafatto.

Ma Berta a tal novella si coruccia,

presaga già del torto che l'è fatto;

e vede che 'l Danese nel stecato                                Giostra solaccievole

era s'un mulo magro e vecchio entrato.

 

                                 12.  S'un mulo magro, vecchio e zoppo ancora          Mulo

entrat'era 'l Danese ne la lizza;

toccalo ai fianchi, e quello in men d'un'ora

si volge ratto al freno, salta e guizza.

L'elmo di zucca, l'arme son di stora,

la sopravesta inversa di pellizza;

e per cimer ha in capo una cornacchia,

ch'ivi legata si dimmena e gracchia.

 

                                 13.  Driccia un forcone su la coscia, e vòle

che tal sua lanza il scuto d'or guadagne.

Ecco s'una cavalla, che si duole                                Cavalla

da quatto piedi et ha cento magagne,

Morando qual limaca par che vole

coperto a fine piastre di lasagne;

e porta una pignata per elmetto,

la qual si fa cimier del suo cazzetto.

 

                                 14.  Abbassa una cannuccia e fassi targa

contra 'l Danese con un calderone;

sprona la bestia e vien gridando: - Guarda! -

Danese volge a lui col suo forcone;

dànnosi un'aspra botta, benché tarda

fusse per spazio di quatr'ore bone;

fra 'l qual tempo Rampallo vi vien anco,

di speronar un asinel già stanco.                       Asino

 

                                 15.  Un asinel poledro che vint'anni                                 La discrezion de l'asino

stentato avea de frati in un convento.                    ove fu tolta

Pensate quante pene, quanti danni

ivi sofferse l'animal scontento!

Al fin ruppe 'l capestro e for d'affanni

calci e corregie trette piú di cento;

e, scampandone, fe' da bon ladrone:

rubbò a gli frati la discrezione.

 

                                 16.  Credette a me, ch'un'oncia, ch'una mica

non vi lasciò di quella il gran dottore!

Rampallo, che gli è adosso, s'affatica

urtar innanzi un tanto corridore.

Egli, ch'in mente avea già la rubrica

del breviario tutto drento e fore,

lieto andava in simil essercicio

come gli frati in coro a dir l'ufficio.

 

                                 17.  Abbassa il capo e levasi a la coda

per porre a terra il peso inconsueto;

sprona Rampallo, et egli par che goda

andar un passo innanzi e quatro adrieto;

cade 'l barone su la terra soda;

scampa, gridando, l'animal discretto;

ride la turba; e il cavallier, levato,

corregli drieto et anco l'ha pigliato.

 

                                 18.  Senza toccar la staffa, che non v'era,                     Prova di Rampallo

salta quel paladino in cima al basto;

arme non have for ch'una pancera

di ferro tutta, ruginoso e guasto,

ma di tal tempra, ma di tal minera

ch'al becco d'un moscon faria contrasto;

e l'elmo poi di splendor adorno

che 'l sol no'l vide mai se non quel giorno.

 

                                 19.  Un baston di pollaio è la sua lanza,

di perle tutta ornata e di merdaglie;

ponela in resta al dritto de la panza

d'uno chi 'ncontra vien coperto a maglie.

Era costui Ginamo di Maganza,                                Inganno di Ginamo

ch'armi non volse già di carte o paglie,

ma di piastre; e per celarsi alquanto

di canape vestitte sol un manto.

 

                                 20.  Et un zanetto ancora, che di foco                             Zanetto

esser parea, lo traditor cavalca;

contra Rampallo il stringe e mancò poco

che, mentre adesso lui troppo si calca,

quell'indiscreto non guastasse il gioco,

e con un trave quasi lo scavalca,

perché 'l poltrone, per far ben del saggio,

venne a la giostra con quel gran vantaggio.

 

                                 21.  Tal atto spiacque a tutti; ma re Carlo

tanto piú piacque a l'atto ch'or succede:

manda for del steccato a congietarlo.

Egli, scornato, a la sua tenda riede:

gli scherni de la turba non vi parlo,

ch'ognun gli chiocca drieto e man e piede;

sol Magancesi rodon la catena,

ma Chiaramonte n'ha letizia piena.

 

                                 22.  Fra tanto Amon e 'l suo fratell'Ottone

eran entrati insieme a sòn di corno;

parean che ducent'anni col carbone

servito avesser di Vulcan al forno;

l'un Satanaso e l'altro par Plutone,

tant'ale, come e fiamme hanno d'intorno;

et a due vacche han posto briglia e sella;              Vacca

quest'ha un lavezzo e quell'una padella.

 

                                 23.  Ciascun il suo forcone mette in resta

e move al corso quelle bestie pegre.

Ecco Bovo e Raineri non s'aresta

per tema ch'aggia de le faccie negre;

portan due nasse da pescar in testa,

ma indosso di castron le pelle integre;

le lanze son due scope in un bastone;

le targhe, una barille et un cestone.

 

                                 24.  Cavalcan senza sella doi stalloni                              Stalloni

rognosi e pronti a far di le sue zarde,

grassi cosí ch'agli ossi de' galoni

hanno appiccato, come fusser barde,

duo gran botazzi, over dirò fiasconi,

acciò le genti tosche e le lombarde

intendan quel ch'io parlo; e s'io vaneggio,

che meraviglia? sentirete peggio.

 

                                 25.  Lascio di dirvi e' colpi che si danno

con quelle lanze sue non mai piú usate;

tal è la gara e 'l gioco lor che fanno

rumper di risa il petto a le brigate:

dand'e togliendo pel steccato vanno

e pugni e calzi e bone bastonate;

non però ch' alcun mai si turbasse

né che 'ndiscretamente altrui pestasse.

 

                                 26.  Fra tanto Salomone con gran fretta

vien con un perticon da filo in resta;

cavalca di gualoppo una muletta,                             Muletta

et ha cusito a l'elmo e sopravesta

gonfie vesiche, et una assai mal netta

bragazza da bifolco tien in testa,

et una conca per sua targa porta,

et al galon di legno una gran storta.

 

                                 27.  Ma per servar Ivvon la vecchia usanza,                Foggia antica di combattere

s'un carro a gran stridor di rote viene;

lo stimulo da boi porta per lanza,

e la corba del fen per scuto tiene;

dritto non sta, ma con la testa avanza

for de le scale apena; e, per star bene,

agiatamente sede su la paglia

quel baron forte e cavallier di vaglia.

 

                                 28.  Un bove solo il tira infermo e lento,                       Bove

e Namo fa l'ufficio de l'auriga:

pensate mo, lettori, quanto stento

era di lui condur quella quadriga!

Or giunti al fine drento il torniamento,

a tòr e dar ad altri la castiga;

già Namo di menar non si sparagna,

la spata no, ma il capo e le calcagna.

 

                                 29.  Vedestú mai qualche poltron villano                      Comparazione

poltron» s'appella di suo proprio nome)

discalzo cavalcar il suo germano

(l'asino dico) a mezzo inverno, come

spesso mena le gambe come insano,

acciò di Borea il spirito no'l dome?

Cosí Namo facea cazzando il bove

ch'ad ogni cent'urtate un passo muove.

 

                                 30.  Or son meschiati insieme que' baroni

su quelli animaluzzi magri e vecchi;

pignate e pignatelle e calderoni,

padelle, zucche, barilloti e secchi

fan gran rumore, mentre co' bastoni

si dan bone derate su gli orecchi,

orecchi di destrieri, intendi bene:

scherzo che doglia tra lor non conviene.           Cortese gioco

 

                                 31.  Otton s'era affrontato col Danese,

quello sul mulo e questo su la vacca;

gettan lor aste e vengon a le prese

et abbraciati ognun di lor s'attacca.

Morando ch'indi passa tosto prese

la coda al mulo, e col tirar si stracca;

Danese da le man d'Otton si snoda,

ché for del cul si sente andar la coda.

 

                                 32.  Volge la briglia per girar l'armento,

ma tanto fa se quello fusse un muro.

Morando tien tirato, e tal tormento

sent'il mulazzo che, per star sicuro

di non perder la coda, e pioggia e vento

spruzzò dal buco e d'un impiastro puro

unse talmente il volto a chi 'l tenea

ch'egli non uomo, anzi sterco parea.

 

                                 33.  Lascia la coda il bon Morando presto

- Heu, quia incolatus sum - gridando forte.

Amon, ch'era de li altri 'l piú rubesto,

su l'altra vacca giunge quivi a sorte;

a Bovo tolto avea la scopa e 'l cesto

e quasi al suo stallon diede la morte;

ma non vede Rainer che per la coda

tien anco la sua vacca e via la snoda.

 

                                 34.  Spiccolla via di netto in un sol crollo                     Comparazione

con la facilità ch'ad un pullastro

smembrar vidi talor dal busto il collo;

onde 'l tapin senza Garbin e Mastro

andò pur giú da banda, e riversollo

col suo destrier in guisa di pillastro;

né anco Rainer per quel tirar con forza

puòte star saldo, ma giú cadde ad orza.

 

                                 35.  La coda c'have in man saltella e guizza,

come sòl far una luserta monca.                               Lacerta

Eccoti Bovo al lungo de la lizza

corre, c'ha tolto a Salomon la conca;

quello il persegue e finge averne stizza,

e tanto or slunga il passo or la via tronca

ch'al fin lo giunse ove Ivvon gran briga

prende sul carro col suo istesso auriga.

 

                                 36.  Ma Namo per combatter faccia a faccia,

vòlto al contrario, fa di coda briglia;

Ivvon di paglia grande coppia abbraccia

e tutta in capo al bon Namo scompiglia;

egli, sommerso, non sa chi si faccia,

crollasi tutto et ha la barba e ciglia,

la bocca, il naso pien di busche e polve,

et in un fascio a terra si provolve.

 

                                 37.  Re Salomone, quando Namo vide

sepolto in un pagliaio andar a terra,

- Non dubitar, baron! - gridando ride

e con Ivvon comincia un'aspra guerra;

quello su 'l carro al basso giú s'asside

e pugni e calzi e qua e disserra;

ché Bovo ancor intorno lo lavora,

stigando questo a poppa e quell'a prora.

 

                                 38.  Morando, Otton, Danese con Rampallo

son attacati stretti in una calca,

e van facendo intorno un strano ballo,

mentr'un adosso l'altro piú si calca;

ciascun, per non tomar giú da cavallo,

col cul al basto, quanto , cavalca;

e presi s'han per piedi, mani e braccia,

e scavalcarsi insieme ognun procaccia.

 

                                 39.  Rampal si volge del Danese al mulo,                      Prodezza de l'asino

che co' denti gli tiene l'asinello;

fallo lasciar, e l'asinetto, su lo

girar di testa, fece un atto bello:

urta del naso e colse in mezo al culo

della cavalla, e sente odor in quello,

odor grato a' stalloni, e mentre il lambe,

trovasi aver, di quatro, cinque gambe.

 

                                 40.  Alor con la sua voce assai sonora                            Metafora

quel musico gentil chiamò mercede;

poi, dritto per giostrar anch'esso, esplora

quella targa investir ch'anti si vede;

sta su duo piedi, ma Rampallo alora,

spietato e duro, tosto gli provede;

salta del basto e d'un legnaio in colmo

quanto puote portar carcollo d'olmo.

 

                                 41.  E 'l mastro di capella, ch'avea cura

accommodar la voce a l'istrumento,

non stette saldo a quella battitura,

come al martello non sta falso argento;

la chiave di be lungo forte e dura,

fatta be molle, si ritrasse drento,

come la limaca far si sòle                                        Comparazione

quando s'encontra a chi beccar la vòle.

 

                                 42.  La risa non vi narro de le donne,

che ciò, fingendo non guardar, vedeano;

e chi cercato ben sotto le gonne

alor avesse, forse che rideano

con altra bocca fra le due colonne,

ove molte formiche discorreano

per brama di mangiar non pan o vino,

ma sol di fra Bernardo il scapuccino.                Fra Bernardo

 

                                 43.  Berta sol è colei che mai non ride,

anzi lo riso d'altri piú l'offende;

tace di for, ma drento smania e stride,

ché l'ira quinci, amor quindi l'incende.

Carlo, che di luntano star la vide

cosí sospesa, gran piacer ne prende;

ella s'accorge e via si tolse presta,

fingendo dol di madre o pur di testa.

 

                                 44.  Fugge alla ciambra e, come da 'l costume            Furia amorosa

d'amanti, al letto buttasi con fretta;

ben si dimostra al guardo, al torbo lume,

ch'una man fredda al cor le gran stretta;

e se di pianto al fine un largo fiume

non vi rompea, l'ardor de la saetta

l'arrebbe incesa come far si sòle

d'un legno che cent'anni cocque il sole.

 

                                 45.  Levasi al fine e un paggio di dieci anni

chiama, ch'un cherubin non è piú bello;

tutt'era adorno in strafoggiati panni,

d'un capriolo piú leggiadro e snello;

chiedelo Berta, vòlta in grandi affanni,

e commanda dicendo: - Or va', dongello,

va' ratto ratto in piazza e, tra le squadre

cercando, fa' che vegna a me tuo padre. -

 

                                 46.  Non ti pensar che 'l fante le risponda,

anzi qual presto gatto giú descende.

Acciò chi sia 'l citello non s'asconda,

dirollo, poi che 'l senso qui vi pende:

quest'angioletto da la chioma bionda,

che 'n grembo a Vener qual Adoni splende,       Adoni

Rugier da Risa nomasi, ch'è figlio                            Rugiero

del pro' Rampallo, bianco quant'un giglio.

 

                                 47.  Qual giglio, qual ligustro è 'l suo candore,

co gli occhi negri et ha capo romano,

di sguardo lieto, d'animoso core,

di ben quadrato petto, gamba e mano.

Taccio la sua destrezza, il suo valore;

gratto a ciascun, piú grato a Carlo Mano,

che da Rampal suo padre il volse in dono

e quell'ornò del brando et aureo sprono.

 

                                 48.  Non cessa dunque mai, non mai s'attriga,

in fin che trova il padre al stolo drento.

Esso cogli altri uscito era di briga,

ch'eran caduti in quel torniamento,

quando vide 'l figliuolo, che s'intriga

fra li cavalli senza alcun spavento;

pensi qualunque padre se gran pena                       Natura d'un padre

cacciògli 'l sangue al cor for d'ogni vena!

 

                                 49.  Scridalo forte et al tornar l'affretta,

come 'l severo padre al figlio sòle;

egli, securo, d'arme non sospetta,

taglia del padre l'ultime parole:

- Venite, padre, - dice - che v'aspetta

madonna Berta che parlar vi vòle -;

poscia si volge e scampa ritornando;

Rampallo il segue a piedi, sol col brando.

 

                                 50.  Verso il pallazzo vola quel barone,

e con Rugier fu inanzi a quella diva;

la qual, vedendol, presta in tal sermone

proruppe, in volto neghitosa e schiva:

- O belle prove che vostre persone

san far in giostre! voglio che si scriva

cotesti vostri fatti nelli annali

di Franza a quelli de' Roman eguali!

 

                                 51.  Chi v'ha ben instrutti? dite: quale                        Furia di donna

fu bon mastro vostro di brocchero?

Dricciar potrassi un carro triunfale

a gli alti capitan del nostro impero!

O franchi cavallier, che con le scale

sugli asini si balzan di ligiero,

che benedetta sia la grazia vostra,

poi che m'ornati d'una simil giostra!

 

                                 52.  Qual meraviglia poscia se l'Ispani

vi dicon «botaglion, baghe di vino»!

Voi, di bravar sol boni, gli altri strani

chiamati «allé villen, paglié, cuchino»;

quand'è poi tempo di menar le mani,

séte peggior del sesso feminino,

e pel vostro supé ben spesso accade

ch'Italia vi ritien nel fil di spade. -

 

                                 53.  Rampallo ch'alor vede per grand'ira

la donna dir quel che non sa che dica,

sorride alquanto e 'n parte si ritira

ove d'udirla pone ogni fatica,

finché smaltisca quella voglia dira

che la memoria et il parlar intrica;

ma, racquetato poi tal vento e pioggia,                  Prudenzia de l'uomo

egli parlando piano a lei s'appoggia:

 

                                 54.  - Madonna, i' vi ringrazio ch'io sia tale

cui dir si poscia ciò che dir vi piace;

v'accerto ben che, se 'l sia ben o male

quel che 'n giostra intervien, per me si tace

(anch'io giostrai su quel vil animale                        Asino

per non esser fra gli altri il contumace);

quando che chiar vi faccio e manifesto

l'imperator esser cagion di questo.

 

                                 55.  Ver è, perché ciò faccia, dir non so,

for che Carlo altra persona il sa;

quod autem habeo tantum hoc tibi do,                  Petri sententia

ch'un vero mio pensier a me anco 'l da;

vero anzi no, ma dubbio dirlo vo'

perché la cosa molto queta va:

lo re per voi questo tal scherzo fe',

per mal non già, ché v'ama quanto sé.

 

                                 56.  come aviene, par ch'ognun s'appaghi

di far l'amico scorocciarsi alquanto;

ma non gridate piú, ché da imbriaghi

cotal giostra non de' proceder tanto;

sarà chi 'l scotto innanzi sera paghi,

se non me 'nganno; e poi darassi vanto                 Vantator spagnolo

quel che si vanta sempre, lo Spagnolo:

aver vittoria un tratto senza duolo.

 

                                 57.  Se noi «baghe di vino» e «bottaglioni»

chiamano, dican questo a quei di Franza,

perché di Carlo e' duodeci baroni

sono, for che la stirpe di Maganza,

scesi da Roma, da que' Scipioni,                              Paladini di sangue taliano

Corneli, Fabii, o d altra nominanza,

che Cesar, espugnando questa parte,

lasciòvi assai del popolo di Marte;

 

                                 58.  e di cotesto poscio farvi fede

col testimon del vescovo Turpino,                           Turpino

ch'un libbro vecchio e autentico possede

lo qual Silvestro scrisse a Costantino,                    San Silvestro, Costantino

ove la nostra origine si vede:

Mongrana, Chiaramonte e di Pipino.

Non siamo ispani, franchialemani,

non arabeschi, no, ma taliani.

 

                                 59.  Italia bella, Italia fior del mondo,                             Lode de' Italiani

è patria nostra in monte et in campagna,

Italia forte arnese che, secondo

si legge, ha spesso visto le calcagna

dell'inimici, quando a tondo a tondo

ebbe talor Tedeschi, Franza e Spagna;

che, se non fusser le gran parti in quella,

dominarebbe il mondo Italia bella. -

 

                                 60.  Berta, ch'ode il germano esser cagione

di quel tal scherzo d'asini da basto,

ma che giostrar si de' poi con ragione,

non fece di parole altro contrasto,

ma chiede sol perché non v'è Milone

armato de villani al vero pasto:

perché, se sei villan e vòi star bene                         Recetta per lo villano

recipe un pezzo d'olmo su le schiene.

 

                                 61.  Rampallo disse a lei: - Mi meraviglio,

madonna, assai di questo che non venne;

or or m'avento a lui perché consiglio

pigliar volemo insieme del solenne

contrasto ch'esser deve; or stanne, figlio,

qui con madonna. - E detto ciò, le penne

spiegando a' piedi, l'alte scale scende

et alla stanza di Milon si stende.

 

                                 62.  Ma ritorniamo al rustico certame

de' paladini fatti mulatieri;

or vòto il carro avea Ivvon di strame,

e d'altro schermo gli era già mistieri;

ecco 'l suo vecchio bove fea letame:

e mentre co' le spalle i cavallieri

contendon lui col carro traboccare,

si corse al cul del bove a riparare.

 

                                 63.  Ivi suppose ambo le man con fretta:

pensate qual fritada vi raccolse!

e fece un, non già d'acqua benedetta,

asperges me, che Bovo proprio accolse

del volto in mezzo; e poscia qual saetta

pien anco i pugni di quel puzzo tolse,

e cosí dritto il bon arcier il scocca

ch'a Salomon stoppò gli occhi e la bocca.

 

                                 64.  Elli, abbattuti piú da la vergogna,

fuggon for del steccato immantenente;

Carlo gli fa, per piú scherno e vergogna,

sbatter gli piedi e man drieto la gente.

Lo mulo del Danese, ch'in Bologna,

anzi a Parigi stato era studente,

ficca la testa in giú da valent'uomo

e col cul alto fecevi un bel tomo.

 

                                 65.  Fecevi un tomo tale che 'l Danese

una stretta da mulo ebbe alla panza;                       Proverbio

Morando con Otton venne a le prese,

et ambo di cascar stann'in balanza.

Ivvon, ch'era sul carro, qui comprese

ch'alla vittoria poco tempo avanza:

caccia lo bove e tanto il driccia e punge

ch'ove son abbracciati al fin si giunge.

 

                                 66.  E qui con quella soga, ch'al gran trave                   Comparazione

noda il bifolco e stringe paglie o feno,

acconcia un laccio, e poi ch'acconcio l'have,

lor osservando va, né piú né meno

ch'altrui losinga e move il piè soave,

s'un fugito caval segue col freno;

fin ch'a l'orrechia o altrove di mano,

torna la briglia, e poi gli è duro e strano.

 

                                 67.  Cosí Ivvon mentr'a fatica muove

il carro, s'accostava a li baroni;

poi, visto il tratto, gitta il groppo, e dove

segnato avea, la corda, su' galoni

cadendo tira e quei legati smove,

traendoli sul carro da gli arzoni;

come talor si vede stanco e lasso                              Comparazione

lo villanel tirar di legna un fasso.

 

                                 68.  Ben vi so dir che gli sudò la braga,

nanti ch'avesse il carco su le scale;

e se di lor ognun stretto non caga,

convien che for coreggie almanco exale.

Non mai veduto fu cosa piú vaga,

ché gli ha legato le braccia e l'ale

che non si moven piú, se fusser zocchi,

e se si moven punto, moven gli occhi.

 

                                 69.  Or qui de trombe piú di cento intorno

comincia il tararan con gran rumore;

vittoria ciascun grida d'ogn'intorno;

la vecchia di la turba salta fore,

e nuda come nacque col suo corno

or sona forte, or grida in tal tenore:

- Ivvon! viva Ivvon! viva Bordella,                        Bordella è citade di Ivvone

ch'empie di croste e voda la scarsella! -

 

                                 70.  Poi spicca un salto e balzasi sul bove

quella vacca leggiadra benché vecchia,

e quinci il carro triunfante smove,

tanto con le calcagna il bue puntecchia!

Ciascuno di Ivvon viste le prove,

buttargli fior e frondi s'apparecchia;

e cosí stando de' prigion in mezzo,

uscí for del steccato a pezzo a pezzo.

 

Conclusione

 

                                 71.  Dunque ti dico, o savio e spuda senno,

ch'esser ti pare un potta modenese,

che qualche fiata le persone denno,

tutto che nobil sian, far del cortese.

Ecco del suo signor ch'a 'n sol cenno,

han fatto Bovo, Otton, Namo, Danese;

e tu ti sdegni, rustico villano,

aver se non il dio degli orti in mano?


 


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