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1. Bramo la coda aver del rubicondo
ch'eri nel fin del canto dissi a caso;
la piaccarei di santa Citta al tondo Santa Citta
acciò ch'ad ambi e' volti avesse il naso.
Quanto so ben che, s'io pescassi a fondo
di questi santi ippocriti nel vaso, Ipocriti
vi trovarei (che 'l Ciel tutti li perda!)
non muschio esser il suo, ma pura merda!
2. Tu mi dirai, lettor, ch'io sia scorretto
e che 'n parlar, anzi cagar, mi slargo;
rispondo che, se 'l buco cosí stretto
stato fusse d'alcun com'era largo,
né Giuvenal né Persio avrebber detto Giuvenal, Persio
le sporche mende altrui co gli occhi d'Argo.
Perché, come potrassi dir la causa
di qualche puzzo e non ti render nausa?
3. Vò' tu saper qual sia la cosa che
cercando non ti curi trovar già?
Quest'è: quando a l'oscuro non si ve',
ch'un soldo a te caduto e qua e là
or cerchi co la mano et or col pè,
fin che la mano in qualche stronzo va;
tosto la odori e trovi quel che no
trovar volevi, e il tuo cercar fe' ciò.
4. Ch'io voglia dir su questo, ben contare
potrei, ma uscito m'è for di cervello;
tal atto spesso avien in predicare
del libro arbitrio a qualche fraticello; Predicatori del libero arbitrio
tu l'odi su le spalle a Dio montare
e cacciar per un ago il suo gambello;
ma uscita non ha poi né sa trovarla:
chi ascolta poco intende, e men chi parla.
5. Torniamo dunque al testo, ché la torta
mi sente piú di stizzo che di lardo;
ma voglio qui pigliar la via piú corta
per non giunger Orlando troppo tardo.
Quivi Turpin la storia sua trasporta Digressione di Turpino
in Africa, scrivendo del gagliardo
Almonte primo figlio d'Agolante,
d'animo, forza e di beltà prestante;
6. le gran prove che fece e la soprana
vertú ch'al mondo sparse per avere
d'Ettorre il nobil brando, Durindana; Durindana
e come mai no 'l puòte possedere,
fin che non descendesse ne la tana
d'un mago, Atlante, il quale con minere Atlante mago
di piú metalli e col suo Farfarello
fe' in quattro mesi un incantato annello:
7. quell'incantato anello, cui la figlia Angelica
ebbe con seco a grande meraviglia,
celandosi d'altrui quand'era uopo;
e ruppe ogni altro incanto, ché vermiglia
v'era una petra dal sin Etiopo.
Poi si ritorna il mio dottor, seguendo Turpino
di Berta dir, a cui mie rime i' spendo.
8. Ella sí per amor e sí perch'era
donna, come son l'altre, impaziente,
per una sua fidata messaggera, Frosina
a cui scoperto avea la fiamma ardente,
manda pel saggio duca di Bavera,
e seco ragionando il fe' repente
portar al suo fratello un'ambasciata,
alquanto d'un sdegnetto avelenata.
9. Sorrise Carlo senza altra risposta.
Tacendo assai risponde un gran Signore! Natura de' Signori
E quando annebbia gli occhi, senza sosta
scampa nel porto ché 'l mar fa rumore;
ma se 'l guardo ridente miri: - Accosta,
accòstati! - ti dico, ché del cuore
l'occhio sempr'è messaggio o lieto o torbo;
e questo imprende ognun, fora ch'un orbo.
10. Adunque, sazio del giostrar mendace,
bandisce, rinnovando e' patti, il vero: Bando di re Carlo
ma per servar tra soi baroni pace,
anco per nova festa e gioco intiero
(come signor che 'l popol suo compiace),
fa bando ch'ogni principe e guerrero
non porti a lato spada, stocco o maccia,
ma con le lanze sol guerra si faccia.
11. Questa fu la cagion: che due figliuole
avea Namo, Armelina e Beatrice; Armelina, Beatrice
s'ambe fusser al mondo belle sole,
ciascun le vòle e meritarle dice.
Danese ebbe la prima; l'altra vòle
Amon, se può; ma l'ira emulatrice
de' Maganzesi tenta Carlo e Namo
che l'abbia il conte traditor Ginamo.
12. L'editto dunque fu a ciascuno grato,
sol ai signori di Maganza spiacque;
ad ogni sceleragine e peccato
questa canaglia maladetta nacque;
vorria veder di Carlo e gente e stato
sommerso in terra o 'n le maritime acque;
gli capi d'esti cani sí malvagi
è Manfredon, Ginamo e Bertolagi.
13. Buttò Ginamo il brando via con sdegno,
ch'avelenato avea lo ribaldone;
fra loro congiurati era dissegno Coniurazione di Maganzesi
ch'egli ferisca cautamente Amone
tenendosi lor certi ch'ad un segno
sol di stoccata morirà 'l barone
e che sol data sia la colpa al brando,
pur ch'abbian poi Beatrice al suo commando.
14. Scingesi ognun la spada con gran fretta,
per non opporsi al bando imperiale.
Ecco 'l Danese al sòno di trombetta
con l'asta dritta attende chi l'assale.
Stava una torma de Spagnoli stretta,
de' quali Falsiron è caporale, Falsiron
et anco era concorde con Maganza
di scavalcar i paladin di Franza.
15. Elli già non sapean tal tramma ordita,
di che contra Danese va Ivvone;
dal luogo suo correndo in ver' Bovone;
Bovone contra lui, ch'ognun s'aita
mandar il suo contrario al sabione:
ma stetter fermi questi quatro in sella
et iron l'aste rotte a la mia stella.
16. La stella di Saturno o sia pianeta
è quella che mi fa d'uomo chimera,
lo qual non ebbi mai né avrò mai queta
la mente, in fantasie matin e sera:
ciò dico, perché officio è del poeta
giovar e dilettar con tal mainera
di stile che 'l lettore non si attedia;
e ciò fa Dante ne la sua Comedia.
17. Quel Dante, sai?, lo qual «Omer toscano» Lode di Dante
appellar deggio sempre, come ancora
Virgilio è detto «Omero mantovano»,
per cui la patria mia tanto s'onora Mantoa
e chi 'l Petrarca fa di lui soprano, Petrarca
ne l'arte matematica lavora,
ché Dante vola piú alto, e questo dico
col testimonio di Giovanni Pico. Giovanni Pico
18. Lo quale disse ch'ambi hanno l'onore,
questo di senso e quello di parole:
vero è che quant'al frutto cede il fiore,
quanto del sol il lume ad esso sole,
cotanto d'ogni stile il bel candore
concede a quella vasta e orrenda mole
d'un alto ingegno, d'un concetto tale
ch'oltra l'ottavo cerchio spiega l'ale.
19. Tal dico ancor, ch'un Chirie di Iosquino, Iosquino
sí come assai piú val di tante e tanti
canzone e madricai del Tamburino Tamburino
(o «merdagalli» gli appellàr alquanti),
cosí parmi che Dante alto e divino
si lascia po' le spalle gli altrui canti,
che quanto piú de l'opre val la fede,
a Beatrice tanto Laura cede. Beatrice, Laura
20. Lettor, sta' queto e tien piú corto il naso:
lode di Dante non biasman Francesco;
credil a me, se Scotto e san Tomaso
ebber l'onor dinnanzi, or un Tedesco,
o sia di Franza, Erasmo, aperse il vaso, Erasmo
lo qual de' frati il stile barbaresco
avea rinchiuso sí che nullo odore
piú si sentia d'alcun primo dottore.
21. Molta scienzia i' trovo d'ogni sorte,
ma pochi bon scrittori e men giudicio;
però col tempo s'aprino le porte
di saper sceglier la virtú dal vicio;
o sante, o benedette, o degne scorte
a conoscer di Cristo il beneficio!
Ma perché forse i' passo gli confini Il testo
ora torniamo ai quatto paladini.
22. Ma che faranno, che non hanno spate
e sol un breve tronco in man gli resta?
Ecco el piacer de gli urti e bastonate,
che dannosi co' fusti su la testa;
rideno, ciò vedendo, le brigate,
riden e quelli che si dan la pesta;
fra tanto ancora di piú appreziati
23. Vinti Franzesi e tanti altri Spagnoli Francesi, Spagnoli
si vanno incontro con lor ast'al segno;
diece Toscani e cinque Romagniuoli Toscani, Romagnoli
sfideno insieme quindeci del Regno; Del Regno
tutti ad un tempo questi armati stoli
pongon e' colpi dov'è lor disegno;
grand'è 'l polvino, il sòno, il grido, il strepito
del pazzo volgo e de le trombe il crepito.
24. A l'investir de l'aste ecco e' tronconi
volan in cielo, e molti son in terra;
alzan le piante in luogo de' pennoni,
e già si vien a la piacevol guerra;
quivi a le pugna giocasi e bastoni,
e questo quello, e quello questo attera;
non hanno spade, brandi, mazze o stocchi;
qual dà col pugno e qual col deto in gli occhi.
25. Mentre si ride accosto di qualcuno,
trenta Lombardi e trenta Maganzesi Lombardi, Maganzesi
correndo fan di polve l'aere bruno.
Ma di Maganza vinti son distesi
e di quel scorno ride ciascaduno;
sol de' Lombardi cinque Novaresi, Novaresi
tre Bergamaschi e da Cremona un paro Bergamaschi, Cremonesi
non ebber al cascar alcun riparo.
26. L'aperta sua vergogna ebbe a dispetto
Ginamo di Maganza e Bertolaggi.
Mossero trenta conti e lí, in conspetto
di Carlo Mano e tanti uomini saggi,
contra Lombardi vanno, chi 'n obbietto
non han se non le pugna e bon coraggi.
Spiacque l'atto villano al re Carlone
et accennò Rampallo e 'l forte Amone.
27. Rampallo abbassa un legno molto grosso
e verso Bertolagi va rinchiuso;
in mezzo de la faccia l'ha percosso
e un tomo fagli far col capo in giuso.
Ruppesi d'una spalla il nervo e l'osso;
pensate s'el mastin restò confuso!
Similemente Amone senza scale
smontar fece Ginamo suo rivale.
28. Ivvon, Bovo, Danese con Morando,
spartiti l'un da l'altro, quasi fiacchi,
entroron ne la torma fulminando,
e fanno a questo e quello gli occhi macchi.
Chi vòl di pugni, n'have al suo commando,
s'avien ch'adosso l'ungie Amon gli attacchi;
già vinti n'ha mandato al sabione,
empiendo il capo lor di stordigione.
29. Chiunque for di sella si ritrova
mistier gli fa ch'uscisca de la sbarra;
sei paladini già son a la prova
e con le pugna fan pugna bizzarra;
ma par che a lor adesso il mondo piova,
ché Falsiron è quello che li abbarra;
abbarrali mandando molti in frotta,
poi ch'ebbe ognun di loro l'asta rotta.
30. Qual li percuote a drieto e qual davante,
chi ne le spalle e chi 'n le gambe i piglia;
al povero Morando in un instante
del suo cavallo tratta fu la briglia;
Ivvone fatto è, d'uomo d'arme, un fante,
e come in terra sia si meraviglia;
Danese n'ha cinquanta che 'l ritiene,
in fin che diede in terra de le rene.
31. Giamai non fu veduto un tal combattere,
per cui si slegua il popolo di ridere;
là vedi Bovo e piedi e mani sbattere,
sol per puotersi dal rumor dividere;
qua su e giú Rampallo tende a battere,
ma la gran calca puotelo conquidere;
Bovo, ch'ognun il tocca, pista e vapola,
in terra ne le cinge al fin s'incapola.
32. Morando, il cui cavallo non ha freno, Scorno di Morando
di trotto al suo dispetto corre intorno:
vole attrigarlo et or la man al creno
or a l'orrechia il prende, ma ritorno
non fa la bestia, ch'ad un puoco feno
al fin si resta, e del patron con scorno
prese un boccon la rozza di quel strame
e 'nsieme mastigando fea letame.
33. Cosí mangiando insieme a stercorando
fa che la risa intrica le trombette;
ei ch'è schernito vennesi turbando
e d'ucciderlo tosto si promette;
pone la destra per cavar il brando,
ma no 'l ritrova, onde confuso stette.
Stringesi ne le spalle, e for di lizza
escie pien di vergogna e piú di stizza.
34. Già sol de' paladini Amon è in sella;
tirano li altri a drieto lor cavalli
col capo chino e rossa la massella,
gridando il volgo intorno: «Dàlli, dàlli!».
Gode Maganza et il Spagnol saltella,
et anco improverando drieto vàlli.
Onde re Carlo n'ebbe gran dispetto
e fu per porvi fin senza rispetto.
35. Convien ch'a molti ancora ciò dispiaccia
vedendo tanti contrastar sí pochi.
Amon soletto fassi dar la piaccia Prodezza di Amone
e cangia in un momento cento lochi,
spicca le piastre e sol con l'ungie straccia
e fa col pugno i visi negri e fiochi,
e pur fu già per far de' piedi testa,
s'era la lanza di Rainer men presta.
36. Però che, in quello corso che fa un cervo
quand'ha depposto de le corna il peso,
vien ratto col suo fusto di bon nervo
et un Piccardo in terra ebbe disteso;
poi seguíl Namo ch'un Spagnol protervo
spinse for di l'arzone a capo peso;
Ottone corre ugual a Salomone:
quel batte un Savoin, quest'un Vascone.
37. Cotesti quatto in un momento a piede
posero quanti occorser a cavallo.
Or spera Falsiron che fian eredi
del premio i soi Spagnoli senza fallo.
- Io son in porto, - disse - già mi cedi,
Carlo, l'onore, c'ho ridotto il ballo
al voto nostro in scherno de' Franceschi,
ch'ognun di lor non sa ciò che si peschi. -
38. Punge 'l destriere e driccia l'asta al ciglio,
e contra Salomone si disserra,
lo qual senz'ulla in mano die' di piglio
a quatro spanne d'asta ch'era in terra.
Sta saldo a Falsirone, ma 'l periglio
de l'inegual contrasto giú l'aterra.
Con simile vantaggio Balugante
fece ch'al ciel mostrò Rainer le piante.
39. - O belle prove - grida il duca Namo -
che fare sanno i vantator spagnoli!
Ripportarete il vittoroso ramo
mercé le frode e li trammati doli. -
Risponde Falsirone: - Or presi a l'amo
avemo pur di Marte li figliuoli!
- Secondo il nome tuo fai! - disse Ottone,
poi ruppeli su 'l capo il suo bastone.
40. Ma Balugante, c'ha lo fusto integro,
percotelo nel fianco e 'n terra il getta;
molt'era il falso Falsiron allegro,
e por di sella Namo studia e affretta.
Amon che per stracchezza omai vien pegro
n'avea cinquanta intorno a grande stretta,
onde qui spiacque l'atto sí villano
a' Parigini, e via piú a Carlo Mano.
41. Lo qual, volgendo l'occhio alto e soperbo,
chiede perché non vi è Milon d'Angrante.
Bovo ch'era vicino disse: - Io serbo
in altro tempo queste ingiurie tante,
senza rispetto per lo giusto verbo,
c'hanno confuso il gioco a te davante.
Or lodano pur te, ch'al tuo commando
non si trovammo a lato mazza o brando. -
42. Mentre Bovo e' Spagnoli ancider vòle
e Carlo provedervi si dispone,
Rampallo già di Berta a le parole
entrato era 'l palazzo di Milone.
Corre a la ciambra come correr sòle
l'amico a l'altro, e grida: - Ah vil poltrone!
che fai nel letto? - e mentre il sconcia e tira, Famigliar parlare
ode ch'acerbamente egli sospira.
43. - Ahimè! che veggio? e perché lagni tu?
che da fanciulli sempre tra noi fu,
chi ti move a dolerti? dillo a me.
Ahi, quanto duro questo parmi! e piú
(che di prudenzia egual non hai) di te!
Pur quel proverbio al saggio sol si fa: Proverbio
«Tema di traboccar chiunque sta».
44. - Ben trabboccato son - rispose quello - Lamento di Milone
ne sullevarmi piú giamai vi spero. contra Amore
Deh fato ingiusto e di pietà rubello,
che sí cangiato m'ha di bianco in nero!
Potea Fortuna piú crudel flagello
di questo ritrovarmi, o cavalliero?
Chi mi consiglia dunque? e che varrammi Amaro consiglio
s'alcun contra 'l desio consigliarammi? contra 'l desio
45. Pàrtiti dunque, ché non è curabile
lo mal che 'n le medolle i' sento pungere;
ogni altra peste creggio esser sanabile
a mille vie di cibo, taglio et ungere;
amor sol è quel tòsco inevitabile
cui morbo alcun egual non si può giungere,
né vi si trova al mondo un sol rimedio,
for che morir d'affanno e lungo tedio! -
46. Stette Rampallo in quel parlar sí fiso
che tutto in volto venne contrafatto.
- Tu m'hai, - disse - fratello, quasi ucciso,
e posto a tal che for di me son tratto.
Per qual sí altero e sí legiadro viso
puote smarire un animo sí fatto?
Tu, che di saviezza non hai pare,
ti lassi dunque in tanto error cascare?
47. E chi è costei? saria forse Costanza
o pur di Namo la figliuola bella?
Né creder voglio che facci mancanza,
di Carlo amando Berta la sorella.
Tant'alto chi ponesse sua speranza
porria sperar dal ciel trar ogni stella. -
Milon non puote continersi alora,
ma, senza pensar altro, saltò fora.
48. Arcana cogit Amor confiteri, Virgilio
disse l'Omero nostro mantoano.
E cosí alor Milone i suo' pensieri
scoperse al fido sozio a man a mano;
ma ch'eran gli occhi d'ella tanto alteri
che porvi speme già cred'esser vano;
e pur, se non gli vien tal fiamma tolta,
omai dal corpo l'alma sua fia sciolta.
49. Né che sa imaginare modo e via,
onde speri sfocarsi il miser core.
Però lo non aver quel si desia, Passioni amorose
già 'l conduranno al simile furore
che tolse a Fili, Piramo e Didone
la vita stessa, non che la ragione.
50. Rampallo a cotal detto fiso ascolta
et ascoltando ruppe un largo pianto.
Trarlo di quella mente iniqua e stolta
con boni avisi, già non si dia vanto;
non mai verragli tanta pena tolta,
se non alluntanandol da lei tanto
che non la veda; e cosí a poco a poco
spera ritrarlo dal maligno foco.
51. Dunque comincia il saggio ad invitarlo
se gir in Barbaria seco gli agrada.
Ma non sí tosto mosse a confortarlo,
ecco improviso al lungo di la strada
correndo viene il nunzio di re Carlo,
si trovi armato in piazza con la lanza
per rifrancar l'onor perso di Franza.
52. Milon, ch'ascolta l'ambasciata, presto
salta di letto e chiede l'armatura.
Con lieta fronte copre il senso mesto
e calca in petto la mordace cura.
- Va', - disse al nonzio - dilli che mi vesto
l'armi, quantunque manco di natura,
perch'una lenta febbre al mio dispetto
m'avea ridutto alquanto sopra il letto. -
53. Mentre che 'l messagiero si diparte,
Rampallo torna al suo ragionamento:
- Vòi tu, - disse - fratello, ruinarte?
Vòi tu sí pazzo gir al torniamento?
Sveglieti di tal furia, mentre l'arte Exortazione contra Amore
d'Amor ragion in te non anco ha spento.
Molti son e' remedi al novo male,
ma lo 'nvecchito al tutto vien mortale.
54. Non ti scordar la fama tua, barone,
non il splendore, non quel savio petto.
Se tu non hai di te compassione,
ben l'arrai manco di l'altrui diffetto.
Ritorna virilmente a la ragione
né voler darti a femina soggetto,
perché tu perdi, seguitando Amore,
te stesso, Carlo e l'acquistato onore.
55. Tu reggeresti l'universo mondo,
In tuo servigio forte mi confondo
vedendo quella gloria tua soperna
vilmente sottoporsi a 'n capo biondo
d'una (non anco so s'ella discerna
il ner dal bianco) tenera fanciulla,
tolta testé di fascie e de la culla.
56. Tu pur hai milli essempi avanti gli occhi, Laude de le donne
quanto mal vien dal sesso muliebre;
nulla di manco, in guisa de' ranocchi,
siamo in tal fango sin a le palpebre,
né conoscemo l'arti e li fenocchi
ch'usano quelle in l'amorosa febre,
fin che proviamo, poi, che queste scroie
bastanti sono d'arder mille Troie.
57. O misero chi segue la lor traccia!
ch'en sé di ben non han for che le forme,
donde scolpita vien l'umana faccia,
quantunque in luogo putrido e deforme.
O misero chi darsi si procaccia
in preda ad una belva e mostro enorme,
cagione, da ch'è 'l mondo, d'ogni male,
crudele, invidiosa e bestiale! -
58. Mentre Rampallo tende a confortarlo,
ecco su vien un altro ambasciatore.
Narra la doglia et ira de re Carlo,
che 'l Spagnol esser debba vincitore.
Milon, udendo ciò, per aiutarlo
e riparar col suo l'altrui splendore,
non altro al cavalliero vi risponde,
corre a la stalla e tutto si confonde.
59. Salta in arzone tosto e l'asta piglia;
urta 'l corsier, gualoppa e non dimora.
Berta, ch'attende, fassi meraviglia
ch'omai non vien; perché l'amante un'ora
esser mill'anni giura, et assotiglia
lo 'ngegno sí che tienesi talora
veder quel che non vede, e poi, se 'l vede,
tant'è 'l piacer che ciò veder non crede.
60. Tessuto avea con la sua man arguta
una gierlanda d'amarissim'erba,
qual è l'ascenzio e l'incendosa ruta
e la morte di Socrate sí acerba; Socrate
ma perché al naso è grave la cicuta, Cicuta
con rose il mal odore dissacerba.
Poi cautamente diedel a Rugiero,
che ratto quella porti al cavalliero.
61. Il qual anco non era in piazza giunto,
quando Rugier, avendo l'ale al piede,
volando va né si dimmora punto,
in fin che di luntano il sente e vede.
Chiamagli drieto, e poi che l'ebbe aggiunto,
guardasi prima in cerco, e qui gli diede
dicendo la persona che la manda.
62. Non avampò mai polve cosí ratto, Comparazione
quando riceve la bombarda il foco,
come subitamente il conte tratto
fu di sí acerba doglia in lieto gioco.
Non piú vòle col Ciel tregua né patto,
e sí d'ogn'altro ben gli cale poco
che sempre soffrirebbe starne privo,
pur che sol Berta onori, e morto e vivo.
63. Imponesi quel dono al bel cimero,
bascia 'l fanciullo e segue la sua via.
Ben col destriero va, ma col pensero
vola di questa in quella fantasia;
studia de l'erbe intender il mistero
né mai si ferma in una allegoria;
e già qualche indovino aver delibra,
che d'un secreto tal gli apra le fibra. Metafora tolta d'un sacrificio
64. Non tanta commentaria sopra 'l Sesto,
Decreti, Decretali e Pisanelle,
di Galafron la figlia e tutto 'l resto Angelica
aedificarunt fratres e sorelle,
quanta facea Milone su quel testo
de le confuse erbette e rose belle;
né mai vi ha fine, come fa 'l scotista Scotista
contra l'utrum e probo del tomista. Tomista
65. Finge chimere, sogni e fantasie,
quali non pose mai Merlin Cocaio,
lo qual di Cingar sotto le bugie
scrisse, che piú mai fece alcun notaio,
d'alcuni menchionazzi le pazzie,
che intendon rari, et io son il primaio
che l'ho provate e forse ancora scritte
fra genti negre, macilenti, afflitte.
66. Ma pervenuto già dov'è 'l bagordo,
voltosse a lui ciascuno a grand'onore.
Lo pazzo volgo, di veder ingordo,
senza pensarvi su, vien a rumore;
a le cui voci e gridi fatt'è sordo
co' circonstanti l'alto imperatore.
Milon tocca 'l destrier, e quell'in alto
ben vinti piedi spicca un doppio salto.
67. Percosse 'l ciel un sòno via mischiato
di varie voci, trombe, plausi e corni,
quand'egli fece il salto smisurato
e reverenzia ai biondi cape' adorni
de le dongelle, ove, 'l suo dono grato
esser stato mirando e come adorni
ben l'elmo del suo dolce amar Milone,
Berta sola si trasse ad un balcone.
68. Chiamasi accanto la sua camarera,
la quale, de le donne contra l'uso,
c'hanno la lingua in dir via piú leggiera
del deto a l'ago, a la conocchia, al fuso,
de suo' secreti consapevol era
tenendo un buco aperto, l'altro chiuso. Orecchia e bocca
- Dimmi, Frosina mia, che pàrti d'ello?
fu mai né 'l piú gagliardo né 'l piú bello?
69. A le sue forze, a la sua pulcritudine
ben mostra nato sia d'un Marte e Venere.
Oh s'egli seglié ben l'amaritudine
de l'erbe e fior, c'ha in capo acerbe e tenere!
Verd'è l'amor, ma se vicissitudine
non ha, qual è dolor che piú s'ingenere
acerbo e piú mortal in ciascun' anima? Amaro assenzio Mortal cicuta
Qual fier destino piú 'n bel volto exanima? -
70. Cosí, mentr'ella si rallegra e duole
e mescie il dolce insieme con l'amaro,
vien detto al gran Milone che la prole
spagnarda e maganzesca scavalcaro
d'accordo e' piú gagliardi, perché vòle
Ginamo, tributando col denaro Astuzia e avarizia
e quest'e quello capitan spagnolo,
restar in lizza vincitore solo.
71. Milon prudente al volgo non risponde, Prudenzia non risponder
ma, vòlto il freno ad un vecchio palaccio, al volgo
entravi dentro e for di certe fronde
trass'un lungo truncone ch'al suo braccio
grosso, verde, nodoso corrisponde,
per mostrar che 'l diamante come un giaccio
pottrebesi spezzare con quel stecco,
contra 'l senso di Plinio, senza 'l becco.
72. Gitta la lanza, e con un stran saluto Saluto
vòl salutarne mille, non che un matto.
Quando la turba lunge ebbel veduto
col codicil senza notar contratto, Codicil
ridea dicendo: - Quest'è ben douto
che 'n miglior forma il scritto sia ritratto! - Parla de la coniurazione
Or Balugante lascia star Amone,
veduto ch'ebbe in lizza entrar Milone.
73. L'asta, ch'accortamente avea servata
in piú oportuno tempo fin alora,
tosto ripiglia, et in Milon dricciata,
spera il menchion di sella trarlo fora.
Milon, che 'l vede, leva il ciglio e guata
prima colei che tanto l'innamora,
poi contra l'arroganzia che gli viene
abbassa il legno con sue forze piene. Legno
74. Tacque ciascuno e tien la bocca aperta
al smisurato incontro de' duo tori.
Di Balugante fu la botta incerta,
perché la lanza affise troppo fori.
Ma ben Milone, che si tien a l'erta
per bel principio dei presenti onori,
diedeli un urto tale col stangone Stangone
che mezzo il sotterò nel sabione.
75. Poi quella turba de li congiurati
rompe col tronco in resta e li disperde. Tronco
In quatro colpi trenta scavalcati
l'un sopra l'altro andòr distesi al verde.
L'altri confusamente rammeschiati,
chi l'elmo, chi 'l braccial, chi l'asta perde,
come sòl far il can mastino ch'apre Comparazione
un qualche storno di barbute capre.
76. Già piú di cento surgeno di sabbia
e for di lizza sbalorditi vannosi.
Quivi si prova del baston la rabbia, Bastone
e molti l'ossa racconciare fannosi.
Correno in rota, come gatti in gabbia,
quelli Spagnoli et al scampare dànnosi,
perché non hanno tergo molto agevole,
cui si confaccia unguento sí spiacevole. Unguento
77. Bernardo di Maganza e Falsirone
c'han steso Namo con lanzate a terra,
per contraporsi al crudo perticone Perticone
ch'e' congiurati doma e tutti aterra,
gli vanno addosso insieme per gallone,
mentr'egli incauto altrove piglia guerra;
dànnogli con due lanze un colpo duro,
ma puoteno inclinar piú tosto un muro.
78. Non creder che Milone si contamine
del colpo di gran forza e poca gloria;
volgesi a loro, e quel suo medicamine Medicamine
di Falsiron impose a la memoria;
stendesi al piano, ma sotto velamine
di racquistare contra Amon vittoria,
Bernardo torna a lui con l'asta al cubito,
ma di Cariddi in Silla cadde subito. Proverbio
79. L'astuto Amon sí seppelo scansare
che, mentre il colpo di Bernardo scorre,
con tanta furia un pugno gli ebbe a dare
ch'un monte rotto avria, non ch'una torre;
ch'Amon puote del colpo mal disporre;
coglie il cavallo e sfiaccagli la testa,
et egli, nel vibrar, spallato resta.
80. Spiacque tal caso a Carlo, spiacque al popolo,
ch'Amon si mostra esser d'un braccio inutile.
Quel pugno avria spezzato un sasso, un scopolo,
ma verso un traditor fu vano e futile.
Or sopra ciò non piú rime v'accopolo;
Amon è in terra, di giostrar poco utile;
fuvi raccolto, e chiamasi chi 'l medica;
concialo il mastro et a le piume il dedica.
81. Milon già piú non fa di l'olmo lanza, Olmo
ma ben da un capo il piglia con due mani:
or qui comincia la piú bella danza
che mai si vide ai feraresi piani,
quando, la biscia entrata ne la stanza Comparazione
di mille millia rane in que' pantani,
chi su, chi giú, chi al lungo, chi al traverso,
fugge scampando con dirotto verso.
82. Non fu giamai bastone agevol tanto
in cacciar cani di cocina fora,
o castigar un ostinato, quanto
era quel di Milon, ch'in men d'un'ora
sgombrò tutto 'l steccato d'ogni canto,
non vi restando un sol soletto alora.
Pensàti se Carlone e Berta gode,
e se Ginamo e Falsiron si rode.
83. Amor e forza il tenne in sella fermo
qual scoglio in mar da l'onde combattuto.
Or per dar fine al mio gridar infermo,
allenta, o Musa, il canto del laguto,
ché da' grisoni non facendo schermo Pedochii
qui sonar d'arpa voglio in nostro aiuto;
e se 'l raggio del sol non m'è rubello,
spero di loro farne un gran macello.