Teofilo Folengo
Orlandino
Lettura del testo

TERZO CAPITOLO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

TERZO CAPITOLO

 

                                 1.    Bramo la coda aver del rubicondo

ch'eri nel fin del canto dissi a caso;

la piaccarei di santa Citta al tondo                           Santa Citta

acciò ch'ad ambi e' volti avesse il naso.

Quanto so ben che, s'io pescassi a fondo

di questi santi ippocriti nel vaso,                              Ipocriti

vi trovarei (che 'l Ciel tutti li perda!)

non muschio esser il suo, ma pura merda!

 

                                 2.    Tu mi dirai, lettor, ch'io sia scorretto

e che 'n parlar, anzi cagar, mi slargo;

rispondo che, se 'l buco cosí stretto

stato fusse d'alcun com'era largo,

GiuvenalPersio avrebber detto                     Giuvenal, Persio

le sporche mende altrui co gli occhi d'Argo.

Perché, come potrassi dir la causa

di qualche puzzo e non ti render nausa?

 

                                 3.    ' tu saper qual sia la cosa che

cercando non ti curi trovar già?

Quest'è: quando a l'oscuro non si ve',

ch'un soldo a te caduto e qua e

or cerchi co la mano et or col ,

fin che la mano in qualche stronzo va;

tosto la odori e trovi quel che no

trovar volevi, e il tuo cercar fe' ciò.

 

                                 4.    Ch'io voglia dir su questo, ben contare

potrei, ma uscito m'è for di cervello;

tal atto spesso avien in predicare

del libro arbitrio a qualche fraticello;                     Predicatori del libero arbitrio

tu l'odi su le spalle a Dio montare

e cacciar per un ago il suo gambello;

ma uscita non ha poi né sa trovarla:

chi ascolta poco intende, e men chi parla.

 

Narrazione

 

                                 5.    Torniamo dunque al testo, ché la torta

mi sente piú di stizzo che di lardo;

ma voglio qui pigliar la via piú corta

per non giunger Orlando troppo tardo.

Quivi Turpin la storia sua trasporta                         Digressione di Turpino

in Africa, scrivendo del gagliardo

Almonte primo figlio d'Agolante,

d'animo, forza e di beltà prestante;

 

                                 6.    le gran prove che fece e la soprana

vertú ch'al mondo sparse per avere

d'Ettorre il nobil brando, Durindana;                      Durindana

e come mai no 'l puòte possedere,

fin che non descendesse ne la tana

d'un mago, Atlante, il quale con minere                Atlante mago

di piú metalli e col suo Farfarello

fe' in quattro mesi un incantato annello:

 

                                 7.    quell'incantato anello, cui la figlia                           Angelica

di Galafrone molto tempo dopo

ebbe con seco a grande meraviglia,

celandosi d'altrui quand'era uopo;

e ruppe ogni altro incanto, ché vermiglia

v'era una petra dal sin Etiopo.

Poi si ritorna il mio dottor, seguendo                      Turpino

di Berta dir, a cui mie rime i' spendo.

 

                                 8.    Ella per amor e perch'era

donna, come son l'altre, impaziente,

per una sua fidata messaggera,                                  Frosina

a cui scoperto avea la fiamma ardente,

manda pel saggio duca di Bavera,

e seco ragionando il fe' repente

portar al suo fratello un'ambasciata,

alquanto d'un sdegnetto avelenata.

 

                                 9.    Sorrise Carlo senza altra risposta.

Tacendo assai risponde un gran Signore!             Natura de' Signori

E quando annebbia gli occhi, senza sosta

scampa nel porto ché 'l mar fa rumore;

ma se 'l guardo ridente miri: - Accosta,

accòstati! - ti dico, ché del cuore

l'occhio semprmessaggio o lieto o torbo;

e questo imprende ognun, fora ch'un orbo.

 

                                 10.  Adunque, sazio del giostrar mendace,

bandisce, rinnovando e' patti, il vero:                    Bando di re Carlo

ma per servar tra soi baroni pace,

anco per nova festa e gioco intiero

(come signor che 'l popol suo compiace),

fa bando ch'ogni principe e guerrero

non porti a lato spada, stocco o maccia,

ma con le lanze sol guerra si faccia.

 

                                 11.  Questa fu la cagion: che due figliuole

avea Namo, Armelina e Beatrice;                             Armelina, Beatrice

s'ambe fusser al mondo belle sole,

ciascun le vòle e meritarle dice.

Danese ebbe la prima; l'altra vòle

Amon, se può; ma l'ira emulatrice

de' Maganzesi tenta Carlo e Namo

che l'abbia il conte traditor Ginamo.

 

                                 12.  L'editto dunque fu a ciascuno grato,

sol ai signori di Maganza spiacque;

ad ogni sceleragine e peccato

questa canaglia maladetta nacque;

vorria veder di Carlo e gente e stato

sommerso in terra o 'n le maritime acque;

gli capi d'esti cani malvagi

è Manfredon, Ginamo e Bertolagi.

 

                                 13.  Buttò Ginamo il brando via con sdegno,

ch'avelenato avea lo ribaldone;

fra loro congiurati era dissegno                                 Coniurazione di Maganzesi

ch'egli ferisca cautamente Amone

tenendosi lor certi ch'ad un segno

sol di stoccata morirà 'l barone

e che sol data sia la colpa al brando,

pur ch'abbian poi Beatrice al suo commando.

 

                                 14.  Scingesi ognun la spada con gran fretta,

per non opporsi al bando imperiale.

Ecco 'l Danese al sòno di trombetta

con l'asta dritta attende chi l'assale.

Stava una torma de Spagnoli stretta,

de' quali Falsiron è caporale,                                      Falsiron

et anco era concorde con Maganza

di scavalcar i paladin di Franza.

 

                                 15.  Elli già non sapean tal tramma ordita,

di che contra Danese va Ivvone;

Morando similmente fa partita

dal luogo suo correndo in ver' Bovone;

Bovone contra lui, ch'ognun s'aita

mandar il suo contrario al sabione:

ma stetter fermi questi quatro in sella

et iron l'aste rotte a la mia stella.

 

Digressione

 

                                 16.  La stella di Saturno o sia pianeta

è quella che mi fa d'uomo chimera,

lo qual non ebbi mai né avrò mai queta

la mente, in fantasie matin e sera:

ciò dico, perché officio è del poeta

giovar e dilettar con tal mainera

di stile che 'l lettore non si attedia;

e ciò fa Dante ne la sua Comedia.

 

                                 17.  Quel Dante, sai?, lo qual «Omer toscano»           Lode di Dante

appellar deggio sempre, come ancora

Virgilio è detto «Omero mantovano»,

per cui la patria mia tanto s'onora                            Mantoa

e chi 'l Petrarca fa di lui soprano,                             Petrarca

ne l'arte matematica lavora,

ché Dante vola piú alto, e questo dico

col testimonio di Giovanni Pico.                               Giovanni Pico

 

                                 18.  Lo quale disse ch'ambi hanno l'onore,

questo di senso e quello di parole:

vero è che quant'al frutto cede il fiore,

quanto del sol il lume ad esso sole,

cotanto d'ogni stile il bel candore

concede a quella vasta e orrenda mole

d'un alto ingegno, d'un concetto tale

ch'oltra l'ottavo cerchio spiega l'ale.

 

                                 19.  Tal dico ancor, ch'un Chirie di Iosquino,             Iosquino

come assai piú val di tante e tanti

canzone e madricai del Tamburino                         Tamburino

(o «merdagalli» gli appellàr alquanti),

cosí parmi che Dante alto e divino

si lascia po' le spalle gli altrui canti,

che quanto piú de l'opre val la fede,

a Beatrice tanto Laura cede.                                        Beatrice, Laura

 

                                 20.  Lettor, sta' queto e tien piú corto il naso:

lode di Dante non biasman Francesco;

credil a me, se Scotto e san Tomaso

ebber l'onor dinnanzi, or un Tedesco,

o sia di Franza, Erasmo, aperse il vaso,                 Erasmo

lo qual de' frati il stile barbaresco

avea rinchiuso che nullo odore

piú si sentia d'alcun primo dottore.

 

                                 21.  Molta scienzia i' trovo d'ogni sorte,

ma pochi bon scrittori e men giudicio;

però col tempo s'aprino le porte

di saper sceglier la virtú dal vicio;

o sante, o benedette, o degne scorte

a conoscer di Cristo il beneficio!

Ma perché forse i' passo gli confini                  Il testo

ora torniamo ai quatto paladini.

 

                                 22.  Ma che faranno, che non hanno spate

e sol un breve tronco in man gli resta?

Ecco el piacer de gli urti e bastonate,

che dannosi co' fusti su la testa;

rideno, ciò vedendo, le brigate,

riden e quelli che si dan la pesta;

fra tanto ancora di piú appreziati

baron insieme sonosi taccati.

 

                                 23.  Vinti Franzesi e tanti altri Spagnoli                          Francesi, Spagnoli

si vanno incontro con lor ast'al segno;

diece Toscani e cinque Romagniuoli                      Toscani, Romagnoli

sfideno insieme quindeci del Regno;                      Del Regno

tutti ad un tempo questi armati stoli

pongon e' colpi dov'è lor disegno;

grand'è 'l polvino, il sòno, il grido, il strepito

del pazzo volgo e de le trombe il crepito.

 

                                 24.  A l'investir de l'aste ecco e' tronconi

volan in cielo, e molti son in terra;

alzan le piante in luogo de' pennoni,

e già si vien a la piacevol guerra;

quivi a le pugna giocasi e bastoni,

e questo quello, e quello questo attera;

non hanno spade, brandi, mazze o stocchi;

qual col pugno e qual col deto in gli occhi.

 

                                 25.  Mentre si ride accosto di qualcuno,

trenta Lombardi e trenta Maganzesi                        Lombardi, Maganzesi

correndo fan di polve l'aere bruno.

Ma di Maganza vinti son distesi

e di quel scorno ride ciascaduno;

sol de' Lombardi cinque Novaresi,                          Novaresi

tre Bergamaschi e da Cremona un paro                 Bergamaschi, Cremonesi

non ebber al cascar alcun riparo.

 

                                 26.  L'aperta sua vergogna ebbe a dispetto

Ginamo di Maganza e Bertolaggi.

Mossero trenta conti e , in conspetto

di Carlo Mano e tanti uomini saggi,

contra Lombardi vanno, chi 'n obbietto

non han se non le pugna e bon coraggi.

Spiacque l'atto villano al re Carlone

et accennò Rampallo e 'l forte Amone.

 

                                 27.  Rampallo abbassa un legno molto grosso

e verso Bertolagi va rinchiuso;

in mezzo de la faccia l'ha percosso

e un tomo fagli far col capo in giuso.

Ruppesi d'una spalla il nervo e l'osso;

pensate s'el mastin restò confuso!

Similemente Amone senza scale

smontar fece Ginamo suo rivale.

 

                                 28.  Ivvon, Bovo, Danese con Morando,

spartiti l'un da l'altro, quasi fiacchi,

entroron ne la torma fulminando,

e fanno a questo e quello gli occhi macchi.

Chi vòl di pugni, n'have al suo commando,

s'avien ch'adosso l'ungie Amon gli attacchi;

già vinti n'ha mandato al sabione,

empiendo il capo lor di stordigione.

 

                                 29.  Chiunque for di sella si ritrova

mistier gli fa ch'uscisca de la sbarra;

sei paladini già son a la prova

e con le pugna fan pugna bizzarra;

ma par che a lor adesso il mondo piova,

ché Falsiron è quello che li abbarra;

abbarrali mandando molti in frotta,

poi ch'ebbe ognun di loro l'asta rotta.

 

                                 30.  Qual li percuote a drieto e qual davante,

chi ne le spalle e chi 'n le gambe i piglia;

al povero Morando in un instante

del suo cavallo tratta fu la briglia;

Ivvone fatto è, d'uomo d'arme, un fante,

e come in terra sia si meraviglia;

Danese n'ha cinquanta che 'l ritiene,

in fin che diede in terra de le rene.

 

                                 31.  Giamai non fu veduto un tal combattere,

per cui si slegua il popolo di ridere;

vedi Bovo e piedi e mani sbattere,

sol per puotersi dal rumor dividere;

qua su e giú Rampallo tende a battere,

ma la gran calca puotelo conquidere;

Bovo, ch'ognun il tocca, pista e vapola,

in terra ne le cinge al fin s'incapola.

 

                                 32.  Morando, il cui cavallo non ha freno,                    Scorno di Morando

di trotto al suo dispetto corre intorno:

vole attrigarlo et or la man al creno

or a l'orrechia il prende, ma ritorno

non fa la bestia, ch'ad un puoco feno

al fin si resta, e del patron con scorno

prese un boccon la rozza di quel strame

e 'nsieme mastigando fea letame.

 

                                 33.  Cosí mangiando insieme a stercorando

fa che la risa intrica le trombette;

ei ch'è schernito vennesi turbando

e d'ucciderlo tosto si promette;

pone la destra per cavar il brando,

ma no 'l ritrova, onde confuso stette.

Stringesi ne le spalle, e for di lizza

escie pien di vergogna e piú di stizza.

 

                                 34.  Già sol de' paladini Amon è in sella;

tirano li altri a drieto lor cavalli

col capo chino e rossa la massella,

gridando il volgo intorno: «Dàlli, dàlli!».

Gode Maganza et il Spagnol saltella,

et anco improverando drieto vàlli.

Onde re Carlo n'ebbe gran dispetto

e fu per porvi fin senza rispetto.

 

                                 35.  Convien ch'a molti ancora ciò dispiaccia

vedendo tanti contrastar pochi.

Amon soletto fassi dar la piaccia                              Prodezza di Amone

e cangia in un momento cento lochi,

spicca le piastre e sol con l'ungie straccia

e fa col pugno i visi negri e fiochi,

e pur fu già per far de' piedi testa,

s'era la lanza di Rainer men presta.

 

                                 36.  Però che, in quello corso che fa un cervo

quand'ha depposto de le corna il peso,

vien ratto col suo fusto di bon nervo

et un Piccardo in terra ebbe disteso;

poi seguíl Namo ch'un Spagnol protervo

spinse for di l'arzone a capo peso;

Ottone corre ugual a Salomone:

quel batte un Savoin, quest'un Vascone.

 

                                 37.  Cotesti quatto in un momento a piede

posero quanti occorser a cavallo.

Or spera Falsiron che fian eredi

del premio i soi Spagnoli senza fallo.

- Io son in porto, - disse - già mi cedi,

Carlo, l'onore, c'ho ridotto il ballo

al voto nostro in scherno de' Franceschi,

ch'ognun di lor non sa ciò che si peschi. -

 

                                 38.  Punge 'l destriere e driccia l'asta al ciglio,

e contra Salomone si disserra,

lo qual senz'ulla in mano die' di piglio

a quatro spanne d'asta ch'era in terra.

Sta saldo a Falsirone, ma 'l periglio

de l'inegual contrasto giú l'aterra.

Con simile vantaggio Balugante

fece ch'al ciel mostrò Rainer le piante.

 

                                 39.  - O belle prove - grida il duca Namo -

che fare sanno i vantator spagnoli!

Ripportarete il vittoroso ramo

mercé le frode e li trammati doli. -

Risponde Falsirone: - Or presi a l'amo

avemo pur di Marte li figliuoli!

- Secondo il nome tuo fai! - disse Ottone,

poi ruppeli su 'l capo il suo bastone.

 

                                 40.  Ma Balugante, c'ha lo fusto integro,

percotelo nel fianco e 'n terra il getta;

molt'era il falso Falsiron allegro,

e por di sella Namo studia e affretta.

Amon che per stracchezza omai vien pegro

n'avea cinquanta intorno a grande stretta,

onde qui spiacque l'atto villano

a' Parigini, e via piú a Carlo Mano.

 

                                 41.  Lo qual, volgendo l'occhio alto e soperbo,

chiede perché non vi è Milon d'Angrante.

Bovo ch'era vicino disse: - Io serbo

in altro tempo queste ingiurie tante,

senza rispetto per lo giusto verbo,

c'hanno confuso il gioco a te davante.

Or lodano pur te, ch'al tuo commando

non si trovammo a lato mazza o brando. -

 

                                 42.  Mentre Bovo e' Spagnoli ancider vòle

e Carlo provedervi si dispone,

Rampallo già di Berta a le parole

entrato era 'l palazzo di Milone.

Corre a la ciambra come correr sòle

l'amico a l'altro, e grida: - Ah vil poltrone!

che fai nel letto? - e mentre il sconcia e tira,       Famigliar parlare

ode ch'acerbamente egli sospira.

 

                                 43.  - Ahimè! che veggio? e perché lagni tu?

Non odi tu, Milone? per la

che da fanciulli sempre tra noi fu,

chi ti move a dolerti? dillo a me.

Ahi, quanto duro questo parmi! e piú

(che di prudenzia egual non hai) di te!

Pur quel proverbio al saggio sol si fa:                    Proverbio

«Tema di traboccar chiunque sta».

 

                                 44.  - Ben trabboccato son - rispose quello -                Lamento di Milone

ne sullevarmi piú giamai vi spero.                           contra Amore

Deh fato ingiusto e di pietà rubello,

che cangiato m'ha di bianco in nero!

Potea Fortuna piú crudel flagello

di questo ritrovarmi, o cavalliero?

Chi mi consiglia dunque? e che varrammi           Amaro consiglio

s'alcun contra 'l desio consigliarammi?                  contra 'l desio

 

                                 45.  Pàrtiti dunque, ché non è curabile

lo mal che 'n le medolle i' sento pungere;

ogni altra peste creggio esser sanabile

a mille vie di cibo, taglio et ungere;

amor sol è quel tòsco inevitabile

cui morbo alcun egual non si può giungere,

né vi si trova al mondo un sol rimedio,

for che morir d'affanno e lungo tedio! -

 

                                 46.  Stette Rampallo in quel parlar fiso

che tutto in volto venne contrafatto.

- Tu m'hai, - disse - fratello, quasi ucciso,

e posto a tal che for di me son tratto.

Per qual altero e legiadro viso

puote smarire un animo fatto?

Tu, che di saviezza non hai pare,

ti lassi dunque in tanto error cascare?

 

                                 47.  E chi è costei? saria forse Costanza

o pur di Namo la figliuola bella?

creder voglio che facci mancanza,

di Carlo amando Berta la sorella.

Tant'alto chi ponesse sua speranza

porria sperar dal ciel trar ogni stella. -

Milon non puote continersi alora,

ma, senza pensar altro, saltò fora.

 

                                 48.  Arcana cogit Amor confiteri,                                      Virgilio

disse l'Omero nostro mantoano.

E cosí alor Milone i suo' pensieri

scoperse al fido sozio a man a mano;

ma ch'eran gli occhi d'ella tanto alteri

che porvi speme già cred'esser vano;

e pur, se non gli vien tal fiamma tolta,

omai dal corpo l'alma sua fia sciolta.

 

                                 49.  Né che sa imaginare modo e via,

onde speri sfocarsi il miser core.

Però lo non aver quel si desia,                                   Passioni amorose

e l'inusato et inegual amore,

lo tòsco, lo velen di zelosia

già 'l conduranno al simile furore

che tolse a Fili, Piramo e Didone

la vita stessa, non che la ragione.

 

                                 50.  Rampallo a cotal detto fiso ascolta

et ascoltando ruppe un largo pianto.

Trarlo di quella mente iniqua e stolta

con boni avisi, già non si dia vanto;

non mai verragli tanta pena tolta,

se non alluntanandol da lei tanto

che non la veda; e cosí a poco a poco

spera ritrarlo dal maligno foco.

 

                                 51.  Dunque comincia il saggio ad invitarlo

se gir in Barbaria seco gli agrada.

Ma non tosto mosse a confortarlo,

ecco improviso al lungo di la strada

correndo viene il nunzio di re Carlo,

e dice che Milone senza bada

si trovi armato in piazza con la lanza

per rifrancar l'onor perso di Franza.

 

                                 52.  Milon, ch'ascolta l'ambasciata, presto

salta di letto e chiede l'armatura.

Con lieta fronte copre il senso mesto

e calca in petto la mordace cura.

- Va', - disse al nonzio - dilli che mi vesto

l'armi, quantunque manco di natura,

perch'una lenta febbre al mio dispetto

m'avea ridutto alquanto sopra il letto. -

 

                                 53.  Mentre che 'l messagiero si diparte,

Rampallo torna al suo ragionamento:

- Vòi tu, - disse - fratello, ruinarte?

Vòi tu pazzo gir al torniamento?

Sveglieti di tal furia, mentre l'arte                             Exortazione contra Amore

d'Amor ragion in te non anco ha spento.

Molti son e' remedi al novo male,

ma lo 'nvecchito al tutto vien mortale.

 

                                 54.  Non ti scordar la fama tua, barone,

non il splendore, non quel savio petto.

Se tu non hai di te compassione,

ben l'arrai manco di l'altrui diffetto.

Ritorna virilmente a la ragione

né voler darti a femina soggetto,

perché tu perdi, seguitando Amore,

te stesso, Carlo e l'acquistato onore.

 

                                 55.  Tu reggeresti l'universo mondo,

et una feminella ti governa?

In tuo servigio forte mi confondo

vedendo quella gloria tua soperna

vilmente sottoporsi a 'n capo biondo

d'una (non anco so s'ella discerna

il ner dal bianco) tenera fanciulla,

tolta testé di fascie e de la culla.

 

                                 56.  Tu pur hai milli essempi avanti gli occhi,             Laude de le donne

quanto mal vien dal sesso muliebre;

nulla di manco, in guisa de' ranocchi,

siamo in tal fango sin a le palpebre,

conoscemo l'arti e li fenocchi

ch'usano quelle in l'amorosa febre,

fin che proviamo, poi, che queste scroie

bastanti sono d'arder mille Troie.

 

                                 57.  O misero chi segue la lor traccia!

ch'en sé di ben non han for che le forme,

donde scolpita vien l'umana faccia,

quantunque in luogo putrido e deforme.

O misero chi darsi si procaccia

in preda ad una belva e mostro enorme,

cagione, da ch'è 'l mondo, d'ogni male,

crudele, invidiosa e bestiale! -

 

                                 58.  Mentre Rampallo tende a confortarlo,

ecco su vien un altro ambasciatore.

Narra la doglia et ira de re Carlo,

che 'l Spagnol esser debba vincitore.

Milon, udendo ciò, per aiutarlo

e riparar col suo l'altrui splendore,

non altro al cavalliero vi risponde,

corre a la stalla e tutto si confonde.

 

                                 59.  Salta in arzone tosto e l'asta piglia;

urta 'l corsier, gualoppa e non dimora.

Berta, ch'attende, fassi meraviglia

ch'omai non vien; perché l'amante un'ora

esser mill'anni giura, et assotiglia

lo 'ngegno che tienesi talora

veder quel che non vede, e poi, se 'l vede,

tant'è 'l piacer che ciò veder non crede.

 

                                 60.  Tessuto avea con la sua man arguta

una gierlanda d'amarissim'erba,

qual è l'ascenzio e l'incendosa ruta

e la morte di Socrate acerba;                                  Socrate

ma perché al naso è grave la cicuta,                        Cicuta

con rose il mal odore dissacerba.

Poi cautamente diedel a Rugiero,

che ratto quella porti al cavalliero.

 

                                 61.  Il qual anco non era in piazza giunto,

quando Rugier, avendo l'ale al piede,

volando va né si dimmora punto,

in fin che di luntano il sente e vede.

Chiamagli drieto, e poi che l'ebbe aggiunto,

guardasi prima in cerco, e qui gli diede

con umile saluto la girlanda,

dicendo la persona che la manda.

 

                                 62.  Non avampò mai polve cosí ratto,                           Comparazione

quando riceve la bombarda il foco,

come subitamente il conte tratto

fu di acerba doglia in lieto gioco.

Non piú vòle col Ciel treguapatto,

e d'ogn'altro ben gli cale poco

che sempre soffrirebbe starne privo,

pur che sol Berta onori, e morto e vivo.

 

                                 63.  Imponesi quel dono al bel cimero,

bascia 'l fanciullo e segue la sua via.

Ben col destriero va, ma col pensero

vola di questa in quella fantasia;

studia de l'erbe intender il mistero

né mai si ferma in una allegoria;

e già qualche indovino aver delibra,

che d'un secreto tal gli apra le fibra.                       Metafora tolta d'un sacrificio

 

                                 64.  Non tanta commentaria sopra 'l Sesto,

Decreti, Decretali e Pisanelle,

di Galafron la figlia e tutto 'l resto                           Angelica

aedificarunt fratres e sorelle,

quanta facea Milone su quel testo

de le confuse erbette e rose belle;

né mai vi ha fine, come fa 'l scotista                      Scotista

contra l'utrum e probo del tomista.                          Tomista

 

                                 65.  Finge chimere, sogni e fantasie,

quali non pose mai Merlin Cocaio,

lo qual di Cingar sotto le bugie

scrisse, che piú mai fece alcun notaio,

d'alcuni menchionazzi le pazzie,

che intendon rari, et io son il primaio

che l'ho provate e forse ancora scritte

fra genti negre, macilenti, afflitte.

 

                                 66.  Ma pervenuto già dov'è 'l bagordo,

voltosse a lui ciascuno a grand'onore.

Lo pazzo volgo, di veder ingordo,

senza pensarvi su, vien a rumore;

a le cui voci e gridi fatt'è sordo

co' circonstanti l'alto imperatore.

Milon tocca 'l destrier, e quell'in alto

ben vinti piedi spicca un doppio salto.

 

                                 67.  Percosse 'l ciel un sòno via mischiato

di varie voci, trombe, plausi e corni,

quand'egli fece il salto smisurato

e reverenzia ai biondi cape' adorni

de le dongelle, ove, 'l suo dono grato

esser stato mirando e come adorni

ben l'elmo del suo dolce amar Milone,

Berta sola si trasse ad un balcone.

 

                                 68.  Chiamasi accanto la sua camarera,

la quale, de le donne contra l'uso,

c'hanno la lingua in dir via piú leggiera

del deto a l'ago, a la conocchia, al fuso,

de suo' secreti consapevol era

tenendo un buco aperto, l'altro chiuso.                  Orecchia e bocca

- Dimmi, Frosina mia, che pàrti d'ello?

fu mai né 'l piú gagliardo né 'l piú bello?

 

                                 69.  A le sue forze, a la sua pulcritudine

ben mostra nato sia d'un Marte e Venere.

Oh s'egli seglié ben l'amaritudine

de l'erbe e fior, c'ha in capo acerbe e tenere!

Verd'è l'amor, ma se vicissitudine

non ha, qual è dolor che piú s'ingenere

acerbo e piú mortal in ciascun' anima?                  Amaro assenzio Mortal cicuta

Qual fier destino piú 'n bel volto exanima? -

 

                                 70.  Cosí, mentr'ella si rallegra e duole

e mescie il dolce insieme con l'amaro,

vien detto al gran Milone che la prole

spagnarda e maganzesca scavalcaro

d'accordo e' piú gagliardi, perché vòle

Ginamo, tributando col denaro                                  Astuzia e avarizia

e quest'e quello capitan spagnolo,

restar in lizza vincitore solo.

 

                                 71.  Milon prudente al volgo non risponde,                  Prudenzia non risponder

ma, vòlto il freno ad un vecchio palaccio,           al volgo

entravi dentro e for di certe fronde

trass'un lungo truncone ch'al suo braccio

grosso, verde, nodoso corrisponde,

per mostrar che 'l diamante come un giaccio

pottrebesi spezzare con quel stecco,

contra 'l senso di Plinio, senza 'l becco.

 

                                 72.  Gitta la lanza, e con un stran saluto                         Saluto

vòl salutarne mille, non che un matto.

Quando la turba lunge ebbel veduto

col codicil senza notar contratto,                              Codicil

ridea dicendo: - Quest'è ben douto

che 'n miglior forma il scritto sia ritratto! -           Parla de la coniurazione

Or Balugante lascia star Amone,

veduto ch'ebbe in lizza entrar Milone.

 

                                 73.  L'asta, ch'accortamente avea servata

in piú oportuno tempo fin alora,

tosto ripiglia, et in Milon dricciata,

spera il menchion di sella trarlo fora.

Milon, che 'l vede, leva il ciglio e guata

prima colei che tanto l'innamora,

poi contra l'arroganzia che gli viene

abbassa il legno con sue forze piene.                     Legno

 

                                 74.  Tacque ciascuno e tien la bocca aperta

al smisurato incontro de' duo tori.

Di Balugante fu la botta incerta,

perché la lanza affise troppo fori.

Ma ben Milone, che si tien a l'erta

per bel principio dei presenti onori,

diedeli un urto tale col stangone                               Stangone

che mezzo il sotterò nel sabione.

 

                                 75.  Poi quella turba de li congiurati

rompe col tronco in resta e li disperde.                  Tronco

In quatro colpi trenta scavalcati

l'un sopra l'altro andòr distesi al verde.

L'altri confusamente rammeschiati,

chi l'elmo, chi 'l braccial, chi l'asta perde,

come sòl far il can mastino ch'apre                         Comparazione

un qualche storno di barbute capre.

 

                                 76.  Già piú di cento surgeno di sabbia

e for di lizza sbalorditi vannosi.

Quivi si prova del baston la rabbia,                         Bastone

e molti l'ossa racconciare fannosi.

Correno in rota, come gatti in gabbia,

quelli Spagnoli et al scampare dànnosi,

perché non hanno tergo molto agevole,

cui si confaccia unguento spiacevole.               Unguento

 

                                 77.  Bernardo di Maganza e Falsirone

c'han steso Namo con lanzate a terra,

per contraporsi al crudo perticone                           Perticone

ch'e' congiurati doma e tutti aterra,

gli vanno addosso insieme per gallone,

mentr'egli incauto altrove piglia guerra;

dànnogli con due lanze un colpo duro,

ma puoteno inclinar piú tosto un muro.

 

                                 78.  Non creder che Milone si contamine

del colpo di gran forza e poca gloria;

volgesi a loro, e quel suo medicamine                   Medicamine

di Falsiron impose a la memoria;

stendesi al piano, ma sotto velamine

di racquistare contra Amon vittoria,

Bernardo torna a lui con l'asta al cubito,

ma di Cariddi in Silla cadde subito.                         Proverbio

 

                                 79.  L'astuto Amon seppelo scansare

che, mentre il colpo di Bernardo scorre,

con tanta furia un pugno gli ebbe a dare

ch'un monte rotto avria, non ch'una torre;

ma Satanaso volsel aiutare,

ch'Amon puote del colpo mal disporre;

coglie il cavallo e sfiaccagli la testa,

et egli, nel vibrar, spallato resta.

 

                                 80.  Spiacque tal caso a Carlo, spiacque al popolo,

ch'Amon si mostra esser d'un braccio inutile.

Quel pugno avria spezzato un sasso, un scopolo,

ma verso un traditor fu vano e futile.

Or sopra ciò non piú rime v'accopolo;

Amon è in terra, di giostrar poco utile;

fuvi raccolto, e chiamasi chi 'l medica;

concialo il mastro et a le piume il dedica.

 

                                 81.  Milon già piú non fa di l'olmo lanza,                      Olmo

ma ben da un capo il piglia con due mani:

or qui comincia la piú bella danza

che mai si vide ai feraresi piani,

quando, la biscia entrata ne la stanza                     Comparazione

di mille millia rane in que' pantani,

chi su, chi giú, chi al lungo, chi al traverso,

fugge scampando con dirotto verso.

 

                                 82.  Non fu giamai bastone agevol tanto

in cacciar cani di cocina fora,

o castigar un ostinato, quanto

era quel di Milon, ch'in men d'un'ora

sgombrò tutto 'l steccato d'ogni canto,

non vi restando un sol soletto alora.

Pensàti se Carlone e Berta gode,

e se Ginamo e Falsiron si rode.

 

                                 83.  Amor e forza il tenne in sella fermo

qual scoglio in mar da l'onde combattuto.

Or per dar fine al mio gridar infermo,

allenta, o Musa, il canto del laguto,

ché da' grisoni non facendo schermo                     Pedochii

qui sonar d'arpa voglio in nostro aiuto;

e se 'l raggio del sol non m'è rubello,

spero di loro farne un gran macello.


 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License