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1. Quel stridulo cantar ch'una cicada
muove quando sul palo il cui dimena,
tal l'arpa mia, ch'assai poco m'aggrada,
mentre m'aggraffio 'l sangue d'ogni vena;
e pur convien tornarmi su la strada
e farvi udir un'altra mia sirena Per gola del villan
ch'un carro sona, il qual mal onto e tardo la rota stride
si duole che 'l patron gli mangia il lardo.
2. Ma se talor cantando ella scapuzza,
candido mio lettor, qual tu ti sei,
perché dolerti? anch'a' signori muzza
qualche correggia in mezzo a quatro o sei.
S'io mangio male, il fiato poi mi puzza. Povertade
«Mangiate quae apponuntur, fratres mei»
chiama 'l Vangelo; benché tal precetto
servato vien da molti al suo dispetto.
3. Stette Milone solo nel stecato
come tal volta sòl far il leone, Comparazione
che, fra lo stolo d'altre bestie entrato,
o fa o finge far del compagnone;
ma quelle in fuga vòlte gli dan lato,
di qua di là cercando alcun macchione;
et egli solo resta in un istante,
quelle mirando a sé scampar davante.
4. Né piffaro né tromba né cornetto
tacquer a la vittoria del barone;
grida ciascuno, e grande e parvoletto,
intorno a lui: - Milon, viva Milone! -
Et ecco di luntan con molto affetto
contra gli vien l'imperator Carlone,
lo quale col gran stolo contra vàlli,
e l'acquistato dono e premio dàlli.
5. Balzato era di sella il cavalliero,
vista la nobil schiera ch'a lui vene,
sciolvesi l'elmo e gittalo al sentiero,
e prono in terra l'alta gloria ottiene.
Cosí la santa umilità di Piero San Piero
mertò 'l papato dopo le catene
e il Ciel dopo la croce; onde mi vanto
ch'io 'l chiamo in veritade «Padre santo».
6. Passato avea già Febo l'orizonte, Descrezzione
portandone da l'altra parte il giorno; d'una cena regale
lo siniscalco entrato era ne l'onte
e fumide cocquine, ove d'intorno
sguatteri, cuoghi e feminelle pronte
fanno de vari cibi il luogo adorno,
et ove cani, gatte, crudo e cotto
sonano un campo d'arme quand'è rotto.
7. Chi cuoce latesini e chi figàti,
chi volge in speto quaglie, oche, fasani;
qui son caponi a lardo impergotati,
qui taglian polpe e dan l'osse a li cani;
qual fa pastelli et altri cibi strani;
chi 'l foco innanti e chi drieto lo tira;
l'odor del fumo fin al ciel s'aggira.
8. Fra questo tanto cento paggi belli,
de' quali è capo il provido Rugiero,
ornati de costumi, pronti e snelli,
scorren di qua di là col piè liggero,
portando banche, scanni, urne e vaselli,
razzi, tapeti, e ciò che fa mistero;
taccio l'argens e d'oro la credenza,
e ciò ch'ogni alto roy non può star senza.
9. Berta che 'l grande onor e pompa vide
fatta per Carlo al suo diletto amante,
pieno d'amar dolcezza e piagne e ride,
or lieta or triste, or molle or d'adamante;
ragion piú nulla può, ch'Amor s'asside
vittorioso in lei, saldo e costante;
però delibra, vòle e ferma il chiodo
parlare con Milon ad ogni modo.
10. De tutti gli animali non è 'l piú
impaziente d'una amante donna,
ch'ogni rispetto lascia e manda giú
di Lete al fiume, ove drento l'assonna.
Poscia 'l desio le sale tanto in su
ch'in capo non si vede aver la gonna;
e tanto il folle suo pensier la punge
ch'al fin si trova da sé stessa lunge.
11. Chiama Frosina e tosto le commanda
ch'a sé faccia venir il bel Rugiero:
Frosina l'ubedisce e d'ogni banda
cerca e ricerca il nobile scudero;
ma nulla fa, ché 'l siniscalco il manda
co li altri paggi (e ognun ha 'l suo doppiero)
di ciambra in ciambra, e dan l'acque a le mani
a re, duchi, marchesi e castellani.
12. Berta, che rotto vede il suo disegno,
la cosa in altro tempo differisce,
si crucia fra sé stessa e n'ha gran sdegno,
ch'Amor piú che mai caldo l'assalisce;
onde, fatta per lui pronta d'ingegno, Amor fa la persona
trenta belle dongielle a lei s'unisce, industriosa
ch'entrar delibra in sala con tal pompa
che, se Milon ha cor di pietra, il rompa.
13. Già mille torzi da gli aurati travi
pendon accesi e fan di notte giorno.
Carlo fra cento capi onesti e gravi
entra ne l'apparato tanto adorno.
Quivi usurari, preti, frati o schiavi
non ponno far un minimo soggiorno:
tutti scacciati sono a la mal ora,
ché 'n ta' luoghi non denno far dimora.
14. Ma Febo e Cintia e tutte l'altre stelle
ecco, da lunge, in l'ampia sala entraro;
Berta e Beatrice son de le piú belle,
che 'l fiato a milli amanti alor cavaro. Sospiri
Carlo, venendo incontro, accetta quelle,
al cui commando tutte s'assentaro,
et esso in cima del convito sede,
ove li discombenti al lungo vede.
15. Stanno le donne a petto de' baroni
e sonan gli organetti co' pedali.
Cinto s'avea Cupido a li galoni
duo gran turcassi colmi di piú strali.
Volan e' paggi, e cento bandigioni
de cervi, lepre, vituli, cingiali
portan di su di giú per lunghe scale,
come convien d'un rege al carnevale.
16. Sedea Milon rimpetto a la sua Berta:
pensa qual fogo tra quegli occhi nacque!
Egli di lei, et ella di lui piú certa
si fa, quant'in amarsi ad ambi piacque;
quivi con cenni occulti fann'offerta
de' cuori loro, e questo a quel compiacque;
Rampallo se n'avede, e piú Frosina,
Rampallo a lui, Frosina a lei vicina.
17. Cosí l'uno per l'altro si distrugge
nei cauti sguardi e 'n quel sembiante opposto.
Sponga di sangue che lor vene sugge
son gli occhi loro, il cui lume discosto
giamai non va dal suo voler, né fugge,
ma piú sempre al desio si fa disposto;
e tanto lor instiga et urta Amore Proprietà di Amore
ch'ivi non s'ama, anzi pur s'arde e more.
18. O insidioso aspetto muliebre,
quando che piaccia a gli occhi di chi 'l mira!
Ma quanto piú bel pàrti in le tenèbre,
ove 'l splender de li doppier l'aspira!
Vedi le labbra, il collo, le palpèbre
d'Elena, di Faustina o Deianira; Elena, Faustina, Deianira
e chi contempla quelle già non crede
puoter di tal beltade farsi erede.
19. E se risponde mai cotal bellezza
ch'un core l'altro aggrada, e gli occhi gli occhi
(o pensier dolce piú de la dolcezza!),
qual fermo stato ch'ivi non trabocchi?
Non è sí grata e sí sovave frezza
che dolcemente in loro Amor non scocchi;
ma non si partan già questo da quello, Zelosia
ché non fu mai del suo magior flagello.
20. Era la fame già smarita e persa,
le mense e le vivande son rimosse;
una sonora musica e diversa Musica
di tre laugutti e due viole grosse
trasse al concento ogni anima dispersa
ch'ognun si sente liquefarsi l'osse.
Qui voci umane giunte a quelle corde
mostròr che 'l Ciel di lor men è concorde.
21. E pur trovo ch'alcuni vecchi padri
biasmòr di concordanze cotal pratica;
non so, lettor, se chiaramente squadri
esser stata la mente sua lunatica.
Ver è ch'e' gargionetti assai legiadri Notabile
fur grati piú ne la scola socratica
di tante note, ch'appeloron «buse»,
quasi se 'l buco a loro non s'incuse.
22. Dicean che molle, vago, effeminato
come se 'l pescar fezza in bucco lato
non via piú molle effeminato sia.
di santimonia, come va per via?
Non t'accostar, figliuolo, perché porta
nel corno il feno et ha sotto la storta. Proverbio
23. Chi danna il canto (vòi che chiaro il dica?),
qualunque biasma il canto ha del coione.
Se grata e grave et utile fatica
fu quella di Virgilio e Cicerone, Virgilio, Tullio
già non fia manco, mentre s'affatica
per noi Iosquin comporre e Gian Motone: Iosquin, Gian Motone
itene dunque, sporchi, al vostro ufficio,
ch'è di sterco purgar l'altrui ospicio.
24. Poscia ch'ebber sonato la Stanghetta,
la Mora, il De tous biens del tempo vecchio,
Carlo depose la regal bachetta,
acciò ch'a' rispettosi fusse specchio;
in bel giuppone cavasi con fretta,
dicendo: - Orsú, signori, i' m'apparecchio
voler danzar; cosí mi segua ognuno;
poi voglio che 'l suo ballo aggia ciascuno. -
25. E ciò parlando viene a la regina,
che gravamente alzò prima le ciglia,
poi si rileva et umile s'inchina
a l'alto imperator ch'a man la piglia.
Li altri, che stann'intenti a la rapina,
seguendo lui, ciascuno s'assotiglia
prender il meglio o quel che meglio pare;
e cosí alor cominciasi a danzare.
26. Cominciasi danzare a son de' pifari
con un cornetto fra lor aggradevole,
al cui sòno que' volti, anzi Luciferi,
quel conspetto di donne losinghevole,
que' drappi d'oro larghi et odoriferi,
que' passi, quell'incesso convenevole,
gli occhi de' spettatori sí teneano
ch'innanimate statue vi pareano.
27. Quivi ben convenia quel sí nomato
cornetto padoano, Zan Maria: Zan Maria dal Cornetto
non fu, non è, non mai sarà lodato
meglior di lui, anzi ch'egual gli sia;
lo qual, come si dice, si ha mangiato
le lingue d'ogni augello e l'armonia.
Silvestro vagli appresso e 'n suo germano Silvestre, Girolamo
e quel trombon venuto di Bassano. e Aloviggi
28. Ma per sonar gagliarde e lodesane,
piferi mantovani aggian il vanto!
Tu senti quelle lingue piú che umane
in mille millia R mandar un canto;
tu vedi poscia for di quelle tane
sul Po saltar villane d'ogni canto;
ché per balzar in alto e rotolarsi
ogni altra stirpe a lor non può 'guagliarsi.
29. Mentre qui dunque sonano a misura,
Rampallo invita Berta e dàlle mano.
Parve a Milone strana cosa e dura,
e chiamalo fra sé crudo, inumano;
ma Venere, per lui ch'anco procura,
gli pose in cuor un atto assai soprano:
di Berta prese a man la camarera,
dico Frosina, e va co' li altri in schiera.
30. Or nel serrar de mani si comprende,
danzando, s'in amar sperar si deve:
qui de la donna il cuore l'uomo intende,
la qual è di natura dolce e leve. Natura molle de la donna
Se stretta stringer debbia, dubbia pende;
al fin lunga reppulsa le par greve,
temendo che l'amante non si sdegni
e piú non segua gli amorosi segni.
31. Qui gli occhi ambasciatori al tener cuore
dicchiarano lor grazie e lor bellezze;
qui cresce piú l'audacia e piú l'ardore,
quanto piú mancan l'ire e le durezze.
Amor insegna qui di qual valore,
di qual effetto sono le sue Frezze, Cimon Galese: cerca nel
pel cui vigore ogni Cimon Galese Decamerone di Boccaccio
di rustico divien dolce e cortese.
32. Speranza è la nutrice de' pensieri,
tanto ch'i guardi e deti gara fanno.
Sotto 'l fallace lume de' doppieri,
doppie bellezze in viso le donn'hanno.
Però piú tira Amor di cento arcieri;
qual empie di allegrezza e qual d'affanno,
e molte un cotal foco hann' a la coda
che 'l fiato l'escie for, non che la broda.
33. O misere dongielle, o stolte madri,
ch'avete sí le danze a gran diletto,
s'amor d'onor è in voi, questi leggiadri
giochi di cortigian siavi a dispetto!
Un bel rubbar ci fa sovente ladri,
ch'ov'è la causa seguevi l'effetto;
e questo in ballo avien, che ruffiana Notando
si fa la madre e la figlia putana.
34. Frosina avea pietà di sua madonna;
or esser tempo d'aiutarla vede;
tira Milone a drieto una colonna,
mentre che 'l gioco libero procede.
- Venite mecum - disse - e non v'assonna
viltà di cuor, ché voglio farvi erede
del piú ricco tesoro ch'aggia 'l mondo,
ché l'occhio di Fortuna vi è secondo. -
35. Egli non sa, ma ben fa coniettura
sopra l'amor di Berta, onde la segue.
Un trepidante affetto, una sciagura
lo batte sí ch'ei pare si dilegue;
volgesi drieto spesso, et ha paura
ch'alcun osservatore no 'l persegua.
Al fin, giunti a la camera di Berta,
Frosina drento il caccia, pronta, esperta.
36. Benché a Milone un atto temerario
gli paia star di Berta nel cubicolo,
nulla di manco vede necessario
esser a chi ama sponersi a pericolo.
Frosina innante il fa suo secretario,
e senza troppo lungo diverticolo
gli aperse largamente il grande ardore
di sua madonna, e come per lui more;
37. e che continuamente s'ange e lania
per lo crudel arciere che la stimula;
e ch'a le volte vienle tal insania
che a gran fatica in volto la dissimula;
insognasi di notte, langue e smania,
chiamando lui signor e dolce animula;
onde, per rimovérle un tanto assedio,
convien che d'esso lui vegna 'l remedio.
38. Qui ciò ch'ebbe Milone a lei rispondere,
lasciànlo star, ch'ognun il può comprendere;
non molto fiato fa mistier effondere
a chi col solfo l'esca vòl incendere.
Torno a Rampallo, che non puote ascondere
a Berta il tutto, anzi le fece intendere,
cosí danzando e ragionando insieme,
le fiamme di Milon per lei sí estreme.
39. Berta ch'a l'esca prende foco e vento,
quivi a Rampallo già non vòl celarlo;
narragli accortamente il suo tormento,
e che per prova mai non può scacciarlo.
Ma non finitte il loro parlamento
che la sua danza termina re Carlo,
e vòl che la seguente abbia Milone,
e poi di grado in grado ogni barone.
40. - Milon? ov'è Milon? - ciascun dimanda;
ma nulla fan, ch'altrove sta rinchiuso.
Ch'egli si trovi Carlo alor commanda,
al cui precetto van chi su chi giuso.
Rampallo astuto e sospettoso manda
(poi ch'ebbe posto giú, sí come è l'uso,
Berta) Rugier il figlio a ritrovarlo
e dirli che con fretta il chiama Carlo.
41. Lo accortignolo e pratico dongiello
danzar lo vide dianzi con Frosina;
ratto fece un pensier il giottarello
che gito fusse a goder la rapina;
onde correndo va dritto a pennello
dov'erano a la ciambra, e qui s'inchina
per ascoltar a l'uscio, ma non ode
del basso lor parlar se non le code.
42. Urta la porta ben due fiate o tre;
torna Rugiero e scotela col pè:
Milon temendo sotto il letto va.
Bussa il fanciullo, e chiamavi: - Chi c'è? -
Frosina disse alor: - Chi batte là?
- Io son Rugiero; è qui signor Milone?
Ditegli che lo chiama il re Carlone.
43. Di su, di giú lo cerco in ogni loco,
né in ciel né in terra possio ritrovarlo;
a la regal famiglia sin al cuoco
imposto fu che debbian dimmandarlo.
Di che, se indizio n'hai, dimmil un poco,
ch'instantemente chiedelo re Carlo.
Io che danzar con teco in sala il vidi,
mi penso te saper ove 'l s'annidi. -
44. Non men Frosina pronta che sagace, Ogni barone avea la camera
risponde: - Va, dongello, e dilli presto sua nel regal palazzo
come Milone nel suo letto giace,
ché per la giostra d'oggi è franto e pesto. -
Alor Rugier non fe' del contumace,
ritorna in sala e con volpino gesto
parla ch'ognun intende aver trovato
Milon stracco nel letto suo corcato.
45. Tal scusa accetta Carlo e chi chi sordo
non è a saper il marzial costume,
perché le bastonate del bagordo
caccian sovente a l'oziose piume.
Dunque la festa seguesi d'accordo,
la qual non finirà che 'l bianco lume
del giorno trovaralli anco saltare,
come ben spesso in Corte solsi fare.
46. Frosina timedetta, che non save
come la sorte di Milon succede,
chiudalo in ciambra e seco tien la chiave,
poi su la danza occultamente riede.
Berta che quinci spera e quindi pave,
quando tornar a sé Frosina vede,
fatta zelosa, disse in voce piana: Zelosia di Berta
- C'hai fatto con Milon, brutta puttana? -
47. Risponde a lei Frosina sorridendo:
- So ben che zelosia vi fa ciò dire;
non, come imaginate, condescendo
sí largamente al dolce proferire!
Mai non provai, ma ben provar intendo,
farsi dal nostro medico guarrire; Medecina de le donne
però, se star con lui mi cale e giova,
a che portarne invidia di tal prova?
48. Non dubitate, o credula patrona,
del vostro mal non è lunge 'l remedio.
Pur tutto questo ch'ora si ragiona
porria col tempo farci qualche tedio,
ché forse alcuna incognita persona
ci tenderia ne l'ascoltar assedio.
Meglio sarà ch'andiamo a riposare,
ché l'alba già comincia roscigiare.
49. - Ove parli ch'andiamo? - disse Berta;
quella rispose: - A letto, che 'l n'è l'ora;
mi fa mistier il vostro ben adverta,
ché 'l vegliar troppo il viso vi scolora. -
Disse la dama: - Questa è cosa certa:
vengan le torze! - e quindi senza mora,
facendo al re Carlone e 'gli altri inchino,
verso la stanza prendon lor camino.
50. Rampallo già non pote piú induggiare;
si mise raggionando a compagnarla.
Fu sempre in Franza l'uso di parlare Costume de Franza
ciascun con qualche dames e basciarla:
né qui malizia né sospetto appare,
pur che non voglia ad altro provocarla;
onde tal atto molto par di strano
in queste nostre parti al Taliano.
51. Lo qual, vedendo in casa sua volere
basciar alcun Francese la sua moglie:
- Che fai, - tosto gli parla - o bel missere? Costume de Italia
Perché farti signor de l'altrui spoglie? -
Cosí dicendo, col pugnal il fere,
togliendogli non pur l'accese voglie,
anzi la vita istessa; perché mecco
lo Talian vòl esser, e non becco.
52. Or dunque vedi se di Cipria il figlio Venere cipria
conduce ben la tramma e non si 'ntoppa:
quantunque porti un drappo avolto al ciglio,
pur l'arte e la malizia non gli è stoppa;
l'arte ch'in navigar ogni periglio
sprezza de l'onde, quando Amor è in poppa.
Milon, Rampallo e Berta nulla sanno,
et ecco insieme al fin si trovaranno.
53. Non perché fusse in lor patto veruno:
Cupido sol è il mastro, sol il guida.
Frosina tiensi certa ch'in niuno
tal secretezza, for ch'in lei, s'annida.
Credesi anco Rampallo esser quell'uno,
in cui sol Berta e sol Milon si fida.
Voria Frosina che Rampallo andasse;
egli, che Berta lei licenziasse.
54. Or giunti a l'uscio, per entrarvi drento
apre Frosina, onde tremò Milone.
Berta diede congedo a piú di cento
fra paggi, fra dongelle, fra matrone;
ma per sfogar in parte il suo tormento,
guida con seco in camera il barone.
Frosina chiude l'uscio, e quivi Berta
fra l'uno e l'altro sede a lingua aperta.
55. A lingua aperta e faccia vereconda,
un petto de sospiri e pianti sciolse.
Rampal stupisce ch'ella non s'asconda,
perché Frosina in terzo luogo volse.
Milon ascolta il tutto sotto sponda
e sue dolci parole ben raccolse.
Or qui Frosina et or Rampallo parla,
cercando con speranza consolarla.
56. Milon comprende l'amistà sí rara
del suo Rampallo e l'animo di Berta,
la qual dicea ch'avrebbe morte amara,
se non le fia concesso far offerta,
dovendo maritarsi, di sua cara
virginitade a quello che la merta;
e se colui che già l'ha tolto il cuore,
anco non tolga il resto, il frutto e 'l fiore.
57. Né al sòno di tal voce, né a l'invito
di tal dolcezza puòte star Milone,
che ratto di là sotto, bello, ardito
non apparessi in un d'oro giuppone.
- Eccome - disse; alora scolorito
stette Rampallo in gran confusione.
Berta sol fece un grido, e poi si tenne,
compreso in parte il bene che a lei venne.
58. - O sola, - Milon disse - o sola quella,
c'hai posto il freno a 'n cuore sí superbo!
Cosí volse non so che bona stella,
ch'essendo al sesso vostro iniquo, acerbo
e d'una mente a me stesso rubella,
or sol per tuo vigor mi dissacerbo,
e tanto in me la tua sembianza valse
ch'in ghiaccio m'arse il core e 'n foco m'alse. -
59. Poscia a Rampallo vòlto et a Frosina,
mille grazie lor rende e poi li abbraccia.
Berta, che a morte quasi s'avicina,
mira lui fiso e par che si disfaccia
qual cera al foco e qual al sole brina;
non puote star, ma, sparse ambe le braccia
(perché in Amor non cape alcun rispetto),
cinsegli 'l collo e strinsesil al petto.
60. - Ormai, - disse - ben mio, dispona il Cielo
di me come gli giova, e la Fortuna:
sue stelle, influssi, punti, caldo e gelo
non temo piú, quando questa sol una
grazia ch'or tengo in l'amoroso velo
non mai tolta mi sia, perché niuna
altra non voglio eccetto che vederti
et a mia vita e morte sempre averti.
61. Perché già non potrebbe piú addolcirme
la morte in altro tempo, che s'io moro
in queste voglie mie stabil e firme.
Morir per te, mio spirto, mio tesoro!
Qual esca dolce può meglio nudrirme
di questo pianto e sí grato martoro?
Io mi consummo, e ciò mi piace e giova,
pur che 'l mio ben da me non si rimova.
62. Itene, prochi, omai; mi sète a noia:
destina il Ciel ch'i' sia d'un tanto eroo.
Tal nasca d'ambi noi ch'unque non moia Profezia d'Orlando
sua fama da l'occaso al sin eoo;
tal fia quel figlio, qual mantenne Troia
mentre che visse o qual vinse Acheloo; Ercule
nasca di noi tal Cesare, tal Marte
che de' soi fatti s'empino le carte! -
63. Milon ai dolci accenti per rispondere
de la sua diva già movea la bocca,
quando a la porta venne a lor confondere
non so qual voce, e chi repente chiocca.
Milon temendo tornasi nascondere;
Rampallo, che lo vede in fida rocca,
apre la porta; et è chi 'l chiama presto,
ché a sorte gli toccava il ballo sesto.
64. Partisi dunque tosto il cavalliero
per non fallir di Carlo a l'ordinanza.
Frosina vagli dianzi, e col doppiero
la semplicetta fin ove si danza
accompagnollo insieme col scudero.
Rampallo se ne ride, ché 'n la stanza
di Berta era Milon restato solo;
pensate se star puote il rosignuolo!
65. Or ivi dunque Amor in un stecato Metafora
ha ricondotto quelli gladiatori;
ma innanti ch'al duello insanguinato
si vegna da quei duo feroci tori,
assai vi fu che dire; al fin cascato
l'un sopra l'altro, vi convien che mori;
e quelle bòtte fur di tal possanza
che Berta ne portò piena la panza.
66. O Ciel benigno, assai qui ti conviene
esser gagliardo in fabricar Orlando,
lo qual non sol si cria de' lombi e rene, Criazione d'Orlando
ma l'alto Genitore vòl che, quando
scorre 'l vivace sangue da le vene,
forma nel vaso matrical pigliando,
ogni tua stella di benigne tempre Fama
s'inchini a lui, ch'in gloria duri sempre;
67. forza, bontà, prudenzia e cortesia Virtú ch'ebbe in
scendano in lui su da l'eterne idee, desertar le fate
che, discacciando l'orco et arte ria
de strige e fate e innumere Medee,
formino il corpo et aprine la via
ove quell'alma in mezzo a le tre dee Grazie
infonda, per ristor di tutto 'l mondo,
alto inteletto e imaginar profondo. Sapienza
68. Santificato dunque, e non fatato,
fu Orlando ne le viscere materne,
ch'esser non puote da ferro impiegato,
come ordinòr in lui le menti eterne;
quantunque i' poscia dal celeste fato
fatato nominarlo, ché l'inferne
fate non l'affatòr, ché d'affatare Orlando fatato
forza non han, ma sol di affaturare.
69. Tu mi dirai, lettor, ch'io son lombardo
e piú sboccato assai d'un bergamasco;
grosso nel proferir, nel scriver tardo,
però dal tosco facilmente i' casco.
Io ti rispondo che se l'antiguardo
e retroguardo mio, ch'è 'l sacco e fiasco, Pan duro
non fusse la fortezza di Durazzo, Vin forte
forse sarei Petrarca e Gian Boccazzo.
70. Io qui non cerco fama, e men la fame
quella mi fugge, e questa mi vien dietro,
anzi m'entra nel ventre e fa letame Chi mal mangia
duro cosí ch'io canto un strano metro; duro caca
e, se mai vien che presto alcun mi chiame,
quando quel sasso for del buco i' spetro,
mi levo amaramente con la coda
smaltita in quatro giorni ferma e soda.
71. Non cerco fama, no, ch'io n'ho pur troppo,
e tal mi crede questo, ch'io son quello.
Guardativi dal sguerzo, gobbo e zoppo, Enigma
signori mei, che l'è di Dio rubello.
Benché 'l zoppo non corre, va galoppo,
in fin ch'intenda il nome mio novello;
ben maladico lui, che, se 'l mi scopre,
da voi, signori mei, non mi ricopre.
72. E se pur noto fia, perché scontento
viver mi deggia causa non ritrovo;
anzi di superstizia il guarnimento
ho riprovato e tuttavia riprovo.
E chi m'addimandasse s'io mi pento
cangiar il basto vecchio per il novo,
io ratto gli rispondo: - Domine, ita,
mi doglio esser mai stato a cotal vita. -
73. La causa dir non voglio, anzi m'incresce
che tutti omai siam figli di puttana;
e benché mi vien detto che qual pesce
io son for d'acqua e talpa for di tana,
questo parlar non oggidí riesce,
ma meglio assai quod scriptum est de rana,
la qual non viver sa for del pantano,
come senza robbar n'anche 'l villano.