Teofilo Folengo
Orlandino
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QUINTO CAPITOLO

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QUINTO CAPITOLO

 

                                 1.    O  donna mia, c'hai gli occhi, c'hai l'orecchie    Caritunga

quelli di pipastrel, queste di bracco,

non vedi come Amor per te m'invecchie,

tal che Saturno fatto son di Bacco?                         Di rosso, smorto

Non mi guardar ch'aggia le scarpe vecchie,

no 'l boccalone, la schiavina, il sacco;

ch'i' son tale però qual non fu mai,

e, se tu 'l provi, forse piangerai.

 

                                 2.    Ché s'una fiata mi concedi un baso

in quella guancia, qual persutto, rossa,

et anco ch'un sol tratto i' ficca 'l naso

in cul non dico già, ma in quella fossa

di tue mammille sin al bosco raso,

ubi Platonis requiescunt ossa,

forse piú con le schiene che col fiato

lo mio sonar di piva ti fia grato.

 

Narrazione

 

                                 3.    Tornata era a la stanza già Frosina,

ove Milon avea rotta la porta                                      Metafora

di sua madonna e fatta tal ruina

che di mai racconciarla si sconforta.

Sopra un forciero il letto suo distina,

e tutta notte di vegghiar supporta

mentre gli amanti gioccan a le braccia,

dicendo nel suo cor: - Bon pro' gli faccia! -

 

                                 4.    Fugge la breve notte col solaccio,

e dicono gli augelli che 'l vien giorno.

La provida Frosina c'ha l'impaccio

veder ch'i duo non abbian qualche scorno,

vassine al letto e trovali ch'in braccio

dormendo l'un di l'altro fan soggiorno;

destali pianamente e dàlli aviso

che 'l sole trovaralli a l'improviso.

 

                                 5.    Con l'émpito e prestezza con cui sòle

Milon saltar a l'arme for di letto,                               Comparazione

quand'ha sopra di sé la grave mole

di coppie armate e stanne con sospetto,

sferrasi amaramente dal bel sole

de' soi pensieri e lascia ogni diletto,

prende la spada et anco un bascio tale

che fu principio poi d'un lungo vale.

 

                                 6.    Solo soletto mille stanze passa

fin che pervenne a l'uscio del suo loco;

spingelo presto, l'urta, batte e quassa;

non è chi l'apra, onde tutt'arse in foco;

corre col piede e 'l cardine fracassa

che rissonò d'un strepito non poco;

lo camarier non trova, et ei, corcato,

subitamente si fu adormentato.

 

                                 7.    Turpin quindi si parte ad Agolante,                         Digressione di Turpino

che passar in Europa si destina;

chiede Mambrino seco et arma tante                      Mambrino

coppie di bella gente saracina

che spera in tempo breve por le piante

su 'l collo a Carlo con sua gran ruina.

Dopò' scrive d'un dio Demogorgone,                     Demogorgone

ch'era sopra le fate e fatasone.

 

                                 8.    Depinge il suo giardino su nei monti

Rifei, d'oro et argento fabricato;

narra le ripe, i fiumi, l'ombre, i fonti

et un palazzo d'ambra edificato.

Narra di molte capillate fronti,

figliole di Fortuna e del gran Fato,                           Fortuna, Fato

fra le qual ninfe (o fate altri l'appella)

era Morgana e Alcina sua sorella.                            Morgana, Alcina

 

                                 9.    Narra Demogorgon aver per moglie

Pandora, de le fate la piú bella,                                 Pandora

donde nascon le pene, affanni e doglie

e di lor empion questa parte e quella

di tutto 'l mondo; et egli par ch'invoglie

far al suo modo il tempo et ogni stella.

Volge Turpin lo stile poi narrando

un caso di Milone atro e nefando.

 

                                 10.  Or che far deve Berta essendo gravida,

e 'l ventre di in le vien piú tumido?

Si pente mille volte che tropp'avida

fu di mischiar col dolce caldo l'umido;

teme 'l fratello e piú sempre vien pavida,

col volto scolorito e l'occhio fumido.

Sola Frosina è sola fida ancilla,                                 Fideltà di ancilla

che con avisi rendela tranquilla.

 

                                 11Fidel ancilla non fu già Diambra                              Diambra

ch'empir la sua lassivia non potendo,

entrò di sua madonna ne la ciambra                       Catarina moglie di Rodulfo

di notte, ove l'ancise, lei stringendo

nel collo co le man, s'una Sicambra

o Mora fusse stata; ch'io m'incendo

d'ira, di rabbia, quando mi rammento

una Taís aver Lucrezia spento!                                  Putana e pudica

 

                                 12.  Rampallo da Milone seppe il tutto;

teme a l'amico piú ch'a sé medemo;

vedel esser in faccia smorto e brutto,

come in un colmo di dolor vedemo;

nulla di manco acciò ch'egli destrutto

non resti o morto per affanno estremo,

leval sovente con parlar salubre,

rendendolo men tristo e men lugúbre.

 

                                 13.  D'udirsi piú la facultà vien tolta

(proverbio: «Ch'ogni giorno non è festa»!);        Proverbio

torno al palazzo va Milon tal volta,

ché 'l desio di vederla lo molesta;

ma nulla fa, ch'ella se 'n sta sepolta

come donna vergine et onesta;

ond'egli piú che mai sospira e langue

e piú non ha color, vitasangue.

 

                                 14.  Ecco 'l dolce piacer tosto e breve,                       Amonizione

c'hanno sovente insieme i ciechi amanti,

se giustamente equiperar si deve

a' succedenti affanni e lunghi pianti!

Eccoti, amante, s'esto Amor è leve

che cangia in un momento in lutto i canti;

e poi che t'ha condutto al teso laccio,

fugge 'l protervo e làsciati 'n impaccio.

 

                                 15.  Mentre celatamente passa il fatto

e 'l grosso ventre ancor non sospetto,

giunse a Parigi un cardinal diffatto,

che a grande onore fu da Carlo accetto.

Papa Adrian il manda molto ratto,                           Adriano

per tosto opporse al stol di Macometto,

lo qual possede già Cicilia tutta;

mezza Calabria in foco è già destrutta.

 

                                 16.  Lo capitan di questi Turchi e Mori

è re Guarnero, frate di Agolante,                              Guarnero

quell'Agolante che d'imperatori                                 Agolante

del mondo è il piú superbo et arrogante.

Costui li Cristian d'Italia fori

scacciar voria per vindicar Barbante

suo padre, il qual ancise Carlo Mano

per Gallerana nel contato ispano.

 

                                 17.  Or al consiglio Carlo si riccorre

per contraporsi al foco già vicino;

qui lo senato in un pensier concorre,

che 'l gran Milone, sommo paladino,                      Milon fatto capitano

com'è sua cura, vogliasi disporre

fornir la impresa contra il Saracino.

Pensate in qual travaglio alor trovossi!

Non ha pensier che tutto no 'l disossi.

 

                                 18.  Fra questo tanto, mentre il duca Amone

sentesi di la spalla molto male,

Ginamo di Maganza si dispone

voler per mezzo di quel cardinale

impetrar Beatrice da Carlone

per moglie sua; né vòl premio dotale,

anzi per contradote a carte schiette                          Promessa d'un traditore

maria et montes dar a lei promette.                   Proverbio

 

                                 19.  Lo saggio Namo, ch'è padre di quella,

temendo fra Maganza e Chiaramonte

non pululasse costion novella,

al duca non pendendo piú ch'al conte,                  Duca Amone, Conte Ginamo

condusse al re Carlone la dongiella,

dicendo che cagion di cotant'onte

esser già non volea, ma ch'egli stesso

dia lei marito come par ad esso.

 

                                 20.  Milon, odendo ciò, guarda in traverso

Ginamo, se talor lo 'ncontra in via.

Egli che di quei traiti è 'l piú perverso,                   Traito» per «traditore» posto

guardasi ben la pelle, e tuttavia

va praticando, e con modo diverso

drieto a Milone tien sempre la spia,

per intender chiaro il suo consiglio,

per saper cavarsi di periglio.

 

                                 21.  Ecco la gara in piede, ecco 'l travaglio

levato già per colpa di libidine;

ma Carlo vòl frenar de' brandi il taglio,

ché sempre allogia Marte con Cupidine.

Taccò a la coda subit'un sonaglio

di Maganzesi a molta sua formidine,

perché destina ch'ambi duo giostrando,

chi vince abbia la donna al suo commando.

 

                                 22.  Or qui Ginamo perde ogni speranza,

sapendo ben che 'l pregio fia d'Amone;

va inanzi a Carlo, et ha seco Maganza,

Pontieri e tutta l'altra nazione;

pensa smarir, bravando, il re di Franza,

e dicegli sul volto che cagione

non ha di far a lui cotanto torto

per un Amon stroppiato e mezzo morto.

 

                                 23.  Milon, ch'ode il rumore stando in piazza,

ratto su per le scale vien sbalzando,

e fra la folta turba anti si cazza

con tre famigli, e cinto ha sotto il brando;

sente che 'l traditor forte minazza,

se non avrà Beatrice al suo comando.

- Non l'averai tu già, se pria non giostri

- disse Milon - e quel che sei non mostri. -

 

                                 24.  Ginamo a quel parlar si volse indrieto,

vede Milon e ratto si scolora.

Conte Macario, piú de li altri inqueto,                    Contenzione fra

risponde alteramente: - A la bon'ora!                     Macario e Milone

Non siamo morti, no; ma starti queto

farestú meglio e non destar chi dorme.

- Anzi pur vegghi troppo - disse il conte -

in far a Chiaramonte oltraggi et onte. -

 

                                 25.  Macario c'ha la lingua for di denti,

tenendo su la spada la man destra,

rispose: - Per la gola tu ne menti! -

e per ferirlo subito s'addestra.

Milon non stette a dir: - Tu ne stramenti! -

anzi un roverso con la man sinestra

menò ratto ch'un poltrone zaffo

non ebbe mai da 'n bravo il piú bel schiaffo.

 

                                 26.  Levasi Carlo tostamente in piede

che già duo millia spade esser cavate

e contra quatro sol vibrar le vede.

Milon, che 'n mezzo tanti brandi e spate               Prodezza di Milone

era con tre famigli, vi provede

ben tosto in quelle genti al mondo nate

per tradir sempre et ingrassar la terra

di sangue et ovpace porvi guerra.

 

                                 27.  Con quella rabbia ch'un leon tra cani                     Comparazione

vidi cacciarsi sotto Giulio a Roma,                          Papa Giulio

smembrandovi mastini, bracchi, alani

con la virtú altera e mai non doma;

cosí Milon fra quei lupi inumani

convien che 'l brando in lor mal giorno proma,

troncando spalle, busti, gambe e braccia;

et ov'è 'l stolo denso, vi si caccia.

 

                                 28.  Ma duo de' soi scuderi crudelmente

già son in mille pezzi andati a terra;

lo terzo si ritira virilmente                                            Terigi

appresso il suo patrone, il qual non erra

over spartir la testa in fin al dente

o fin al petto, e tanti già n'aterra

ch'un monte n'ha dintorno in sangue merso,

chi tronco de la testa e chi a traverso.

 

                                 29.  Re Carlo, di gridar già fatto roco

bandendo e minacciando or quest' or quello,

addirasi talmente che di foco

parea nel volto aver un Mongibello.

Onde decorse del baston al gioco,

rompendo qua e piú d'un cervello;

ma nulla o poco fa la sua presenzia,

ove non è rispetto e men clemenzia.

 

                                 30.  D'ogni altro piú Macario di Susanna

ferir le schiene di Milon s'affretta,

il qual, secondo il merto, lo condanna

e fa del suo mentir aspra vendetta:

perché la lingua e denti ne la canna

gli caccia d'una punta benedetta,

onde 'l meschin ne cade, et una palma

di lingua sbocca fora e 'nsieme l'alma.

 

                                 31.  Poscia ferir Bernardo non s'arresta

fendendolo dal capo fin al petto,

e vibra una stoccata cosí presta

ch'a Dudo passa il ventre et Ugoletto;

a 'n altro fa due parti de la testa,

a 'n altro un braccio, a 'n altro taglia netto

dal busto il capo, e molti a la cintura

tronca, se pasta fusse l'armatura.

 

                                 32.  Piú di mille n'ha morto, e gli altri caccia

e taglia e tronca e crudelmente svena;

volano gli elmi con le teste e braccia

mentre punte, fendenti e scarsi mena.

L'imperatore tuttavia minaccia

e batte col troncon; ma non raffrena

l'ira però, né rabbia di Milone,

che 'n tal error si manca di ragione.

 

                                 33.  - Cessa, Milon, - dicea - non far, ti dico,

io til comando, lascia di ferire;

se non, spera d'avermi tal nemico

qual studia giorno e notte altrui punire! -

Milon cotal parole men d'un fico

alor potea stimar in quel schermire;

onde, non l'ascoltando, caccia quelli

giú per le scale in guisa de stornelli.

 

                                 34.  Un sopra l'altro al fondo de le scale,

a vinti, a trenta vanno rotolando;

Milon sgombra di lor tutte le sale,

fin su la piazza i traditor cacciando;

dil che re Carlo in tanta furia sale,

perch'ei non ubedisce al suo comando,

ch'alor alor gli fa bandir la testa,

s'andar giú del paese non s'appresta.

 

                                 35.  Un termine gli sol d'una notte,

perché già Febo scampa con la luce.

Or que' tapini per caverne e grotte

ove né solluna mai traluce,

sonsi appiattati e temen altre bòtte,

che Chiaramonte e quel fiero duce,

che li ha scemati piú di mezza parte,

ivi non li arda in tutto e li disquarte.

 

                                 36.  In quella istessa notte (o crudel rabbia!)

cadde Milone in tanta bizarria

che cento Maganzesi, come in gabbia,

venne assaltare drent'un'ostaria;

né vi si parte mai fin che non li abbia

mandati tutti a pezzi in beccaria:

eravi Manfredon, padre di Gano,

cui trasse il core di sua propria mano.

 

                                 37.  E 'n la medesma notte lo affise

nel mezzo de la piazza con la testa,

e un breve scritto sopra quelli mise,

che dice: «Ancor il tuo, Carlo, mi resta

Oltra di questo in cotal notte uccise

un capitan chiamato il Gran Tempesta,                 Tempesta

lo qual con la sbiraglia in men d'un'ora

cacciò Milon di questo mondo fora.

 

                                 38.  Omai di sangue sazio in quell'instante

a vinti soi compagni combiato,

fra' quali v'è Terigi, quel bon fante,                        Terigi

che 'l giorno in sala sempre al fido lato

stette del suo patron a Carlo avante,

et or per ubedirlo s'è spiccato.

Costui fu dopo a Orlando sempre caro

e di sue cose fido secretaro.

 

                                 39.  Milon si parte solo e gli altri lassa,

né mai per lor preghere seco i volse;

sotto 'l regal palazzo intorno passa,

e drieto a quel per un sentier si volse

fin che, di pietre e sassi ad una massa

venuto, di salirvi cura tolse;

montavi arditamente a l'alta cima,

e come entri 'n palazzo secco stima.

 

                                 40.  Vede spuntar di fora un certo trave;

levasi in alto, e quel saltando giunge,

e benché d'arme sia carcato e grave,

pur forza con amor suso il punge.

Salito è molto spazio, e già non pave

ficcar gli piedi e de le mani l'ungie

per buchi e per fissure di quel muro,

tanto che giunse ad un balcon sicuro.

 

                                 41.  Trova qui drento un logo bisognoso

a l'uomo, quando 'l ventre scarca e leva;

quindi partito, da la notte ascoso

va queto queto e, mentre un piè solleva,

l'altro tien che men sia strepitoso,

in fin che giunse ove Berta piangeva,

la qual in ciambra già non può dormire,

ma, se 'l piacesse a Dio, voria morire.

 

                                 42.  Milon accenna a l'uscio leggiermente:                    Milon rapisce Berta

Berta sentendo trema di sospetto,

chiama Frosina, ma colei non sente;

onde Milon, per esser drento accetto,

disse qual era, e Berta immantenente,

senza pensarvi, salta for di letto,

corre a la porta aprendola di botto

e qui comincia un lagrimar dirotto.

 

                                 43.  Ma poscia che Milon ad invitarla

si mise per condurla seco in bando,

ella, cadendo in terra, piú non parla,

ché perse ogni vigor a tal dimmando.

Vòl pur il cavalliero confortarla,

che far non voglia contra 'l suo commando;

ma nulla fa, ché 'n viso impallidita

lei vede for di mente esser uscita.

 

                                 44.  Frosina dorme, né 'l rumor ascolta,

ché 'l pianto dianzi fatto con madonna

in un profondo sonno l'ha sepolta.

Milone d'un lenzolo e d'una gonna

in un fardello tosto fa riccolta,

poscia, gagliardo, toltasi la donna

sul collo, via la porta con gran fretta,

già sazio contra Carlo di vendetta.

 

                                 45.  Già sazio di vendetta contra Carlo,

ché fe' dopo 'l macello tal rapina;

ma sol amore non può saziarlo,

c'ha posto a quella ninfa pelegrina.

Portasi 'l dolce pesolasciarlo

mai volse in fin ch'al logo s'avicina

dond'or ne venne per la finestrella,

e, quivi giunto, in terra pose quella.

 

                                 46.  Ma non tosto giú posata l'ebbe

che riede al seggio lor il spirto e 'l sangue.

Aperse gli occhi, e l'animo le crebbe:

- Dove sei, vita mia? - dicendo langue.

Milon risponde: - Donna, omai ti debbe

tornar il bel colore al volto essangue;

tessi pur tele Carlo, s'ei sa tessere;

s'è Amor per noi, chi contra noi vòl essere?

 

                                 47.  Guidarti meco voglio, se 'l ti piace,

e trarti, ch'oggi è tempo, di periglio.

Sol Dio m'è testimon quanto mi spiace

doverti condur meco in tal essiglio.

Ma per locarti al fine ove sia pace,

far voglio da leon, non da coniglio,

e dèi saper ch'assai minor è 'l danno                       Notando

di pover libertà che un fier tiranno. -

 

                                 48.  Cosí parlando, tuttavia le cinge

la gonna intorno, seco anti recata,

gonna non già di quelle ch'oro pinge,

ma da portar sotto be' manti usata.

Poscia le copre il capo e la finge

che 'n altra donna par esser mutata;

Berta in nulla guisa piú parea,

ma Filide, Neera o Galatea.

 

                                 49.  Qui poi di terra il gran lenzolo piglia

e quel divide in fascie lunghe e strette;

annoda i capi loro, e qui s'appiglia

con le man Berta, da Milon ben rette;

calla per quella corda, e s'assotiglia

ferma tenersi fin che 'n terra stette;

Milon drieto li manda il drappo d'alto

et animoso venne giú d'un salto.

 

                                 50.  Qual timidetta agnella che 'l pastore                        Comparazione

del lupo da le sanne abbia reddenta,

non anco cessa palpitarle il core,

né mai l'orribil tèma si rallenta;

cosí Berta, seguendo il suo rettore,

par sempre ch'alle spalle Carlo senta

chi la persegua, e spesso a drieto guarda,

onde di correr forte mai non tarda.

 

                                 51.  Giratto avea già mezza notte il cielo,

ché passo passo vannosi le stelle;

anco non era caldo né anco gelo,

ma la staggion quando le viti belle                           Autunno

son carche d'uve, et ogni ramo e stelo                   Pomi

di rosso e gialo par che 'l mondo abbelle;

Milone finalmente giunge al muro

de la cittade, molto grosso e duro.

 

                                 52.  Montavi sopra et ha pur seco il panno,

del qual un capo tiene, l'altro giuso

a Berta manda, cui pareva un anno

ogni momento uscir di loco chiuso;

ma svelsela Milon di quell'affanno,

che su la trasse e poi con essa giuso

callò del muro fora in su la sabbia;

di bosco ucelli già, non piú di gabbia.

 

                                 53.  Tutta la notte vanno senza posa,

dal timor spinti e da speranza tratti;

pur dove qualche poggio o via petrosa,

per cui Berta convien che giú s'appiatti;

Milon, encontra, già non si riposa,

ma in collo si la reca, e su per ratti

monti lei porta come fido amante,

se azzaio fusse dal capo a le piante.

 

                                 54.  Scoprendosi poi l'alba for d'un monte

trova un villano addosso una cavalla,

lo qual s'affretta d'arrivar un ponte,

e d'un serrato trotto al fiume calla.

Milon chiamagli drieto, e ch'ei dismonte

prega e riprega; ma 'l villan non falla

dal suo costume rozzo e discortese:

niente l'ascolta, e la via corta prese.

 

                                 55.  Prese la via piú corta verso il fiume,

che a guazzo quello trapassar vorebbe:

alor Milon, s'avesse a piedi piume,

aventasigli drieto e giunto l'ebbe,

ove cosí correndo anco ressume

la cura d'insegnarli come debbe

caritativamente e con ragione

di quella donna aver compassione.

 

Digressione

 

                                 56.  Mi meraviglio ben del cavalliero

ch'usar volesse tanta pazienzia;

perch'esser al villan crudo e severo

altro non è se non bontà e clemenzia;

anzi dirò ch'un fusto grosso intiero

è quello che gli spira gran prudenzia;

dalli pur bastonate sode e strette,

ché non s'ha di guarrirlo altre recette.

 

                                 57.  Passava Giove per un gran villaggio                       Creazione del villano

con Panno, con Priapo et Imeneo;

trovan ch'un asinello in sul rivaggio

molte ballotte del suo sterco feo.

Disse Priapo: - Questo è gran dannagio:

En, Domine, fac homines ex eo.

- Surge, villane - disse Giove alora;

e 'l villan di que' stronzi saltò fora.

 

                                 58.  Et in quel punto istesso, quanti pani

fu di letame o d'asin o di bove,

insurrexerunt totidem villani

per tutto 'l mondo a far de le sue prove,               Virtú del villano

cioè pronte in rubbar aver le mani,

e maledir il Ciel quando non piove,

esser fallaci, traditor, maligni,

di foco e forca per soi merti digni.

 

Narrazione

 

                                 59.  - Aspettami, ti prego, caro amico,

- dicea Milon - e non aver spavento! -

Ma quel poltrone, d'ogni ben nemico,

vedendo ch'egli 'l tien nel vestimento,

- Lasciami, - disse alor - lascia, ti dico;

non so chi sei? tu n'hai spogliato cento,

io ti conosco ben che ladro sei:

rubasti l'arme, il brando, ancor colei.

 

                                 60.  Né men di me, comprendesi villani

esser de voi soldati la piú parte,

se vi lasciati calcular le mani

dai chiromanti nostri, che san l'arte

di zappe et altri libbri rusticani

meglio che portar picca sotto Marte;

e pur, quantunque bravi insuperbiti,

tutti sète villani stravestiti. -

 

                                 61.  E, ciò parlando, trasse una sua daga

lucida quanto avea sotto 'l calcagno;

Milon, ch'è di natura sempra vaga

piú presto dar che tòr l'altrui guadagno,

or dignamente ad un furfante impaga:

volendolo purgar d'acque di bagno,

afferra ne la coda la cavalla,

et ambi drento un fosso d'acque avalla.

 

                                 62.  Quel sciagurato in guisa di ranocchio

resta nel fango, e la giumenta uscisce.

- Ecco, - disse Milon - sazia, pedocchio,

ch'avien ad un villan che 'nsuperbisce.

Rubaldo che tu sei! perder un occhio

dovria chi del tuo mal non ti punisce;

or pesca ben, c'hai modo di pescare,

et io fra tanto voglio cavalcare. -

 

                                 63.  E detto ciò, riprese la giumenta,

non per la coda piú, ma nel capestro.

Berta, che n'ha fastidio e si tormenta

per lo primier incontro assai sinestro,

salir su la cavalla non fu lenta,

maledicendo quel villan alpestro;

Milon va innanzi e fa de lo staffero,

tirandosila drieto pel sentiero.

 

                                 64.  Tutto quel giorno e la notte seguente

non mai di caminar elli cessaro.

Berta sempre a le spalle Carlo sente

crede di scansarlo aver riparo;

però vanno di trotto con la mente

chimerizando, in fin ch'elli arrivaro

d'una grossa fiummara in capo, dove

scopreno l'alto mar che vi si move.

 

                                 65.  Lungo a la spiaggia volgon il sentero,

lasciando in sabbia lor vestigi sculti;

né molto vanno ch'un simil a Piero                         San Piero

vecchietto piscator a li ami occulti

vedeno trar nel legno suo leggero

appesi con inganno e' pesci stulti.

- Se in te - gridò Milon - avrai bontade,

tu ci darai mangiar per caritade.

 

                                 66.  E Cristo poi ti renda guiderdone,

dandoti quella destra del navigio,

che diede a Gianni, Iacomo e Simone,

quando alleluia trasser di litigio. -                            Alleluia

Risponde il vecchio: - Quest'è ben ragione! -

e ratto a terra volge lo remigio,

ove arrivato for di barca scese,

portando il pesce quanto mai ne prese.

 

                                 67.  Poi scote accortamente d'un azzaio

e d'una selce il foco su le fronde.

Milon che vede ciò porta un legnaio

de pruni e de vergulti còlti a l'onde;

acceso il foco, Berta a piú d'un paio

de pesci cava l'intestine immonde;

Milon a la cavalla trae la sella,

sedevi suso e tiene la patella.

 

                                 68.  Stride su 'l foco il pesce drento l'olio                      Pallade olio, Vulcano foco

e Pallade si scampa da Mulcibero.

Berta tien stimulato sotto 'l dolio

fronde di tamariso e di giunibero;

vin muffo e forte e pan di faba e lolio

poscia espedisce quel vecchietto libero.

Milon si abbruccia e gli occhi spesso tange,

com'uomo che soi peccati al fumo piange.

 

                                 69.  Onde Berta sen ride e si consola

vedendo quel tant'uomo fatto coco,

a cui pel fumo e gli occhi e il naso cola

e bruggiasi le gambe al troppo foco.

Milon, che ben l'intende, una parola,

piangendo tuttavia, disse per gioco:

- Tre cose l'uomo cacciano di casa:

il fumo, il foco e la moglie malvasa. -                   Proverbio

 

                                 70.  Berta risponde: - E pur non cura l'uomo

spiccarsi da le spalle tal urtica;

cotanto dolce fu l'acerbo pomo

ch'Adam gustò, porgendol Eva antica,                   Adam, Eva

che, benché sol per lei de propria domo

scacciato fusse, parvegli fatica

lasciar la causa drieto del suo male,                        Femina

perché dura è ragion al sensuale.

 

                                 71.  Cosí ti vien, Milon, che per la fame                        Rime in beschizzo

d'indi non po' levarti questo fumo. -

Egli risponde: - Son le belle dame

che ci han post'a la coda questo dumo. -

Berta ne ride, e senza voglie grame

su 'l pesce sparge omai di sal un grumo,

lo qual già cotto rende saporito,

e poi lo mette in tavola su 'l lito.

 

                                 72.  Quel vecchiarello, a gentilezza dedito,

arrecavi le sue vivande povere;

egli non ha de campi o feudi redito,

se non la barca, il mar, il sol e 'l piovere.

Onde di simil sue ricchezze predito,

quel suo vin muffolente e pan di rovere

appone in sua presenzia, e dice: - Inopia

chi mangia di cotesta, mai non scoppia.

 

                                 73.  Quanto mi trovo, tanto ne la vostra

presenzia, o miei patroni, ho qui diffuso.

In me il voler, ma no 'l poter si mostra

di far com'è tra vostri pari l'uso;                               Notando

ma svaria molto questa voglia nostra:

chi tien aperto il pugno, chi 'l tien chiuso;

tal poco n'ha, ch'altrui quel poco imparte;           Liberalitade

tal molto n'ha, che robba l'altrui parte.                   Avarizia

 

                                 74.  S'io avessi in arca l'oro di Tiberio                            Tiberio

e li pomi del drago ch'ancise Ercule,                      Esperidi, Ercule

credeti a me (ciò dico a vituperio

de' ricchi), men sarian coteste fercule.

Questi avarazzi fanno quel suo imperio

col sparagnare in fin a le cesercule,

le scope et altre cose frali e frivole,

che per disdegno tutte non descrivole.

 

                                 75.  E s'io potessi, fondarei tal legge,

cui meglio non fondòr li antichi padri,

che chi è signore e gli uomeni corregge,

dricciar faria le forche a pochi ladri;                      Nova legge contra li avari

e chi la robba e vita sua ben regge,

verrebbe al sol de' loghi oscuri et adri;

ch'oggi vertú sta serva del dinaro

come 'l pover dottore a l'usuraro.

 

                                 76.  - Qual legge è questa? - dissegli Milone -

narraci, ti pregamo, padre caro.

- Voglio - risponde - che niun ladrone

abbia d'esser appeso alcun riparo,

se piglia quel d'altrui contra ragione,

eccettuando sol ciò c'ha l'avaro;

anzi vorei che 'l pover s'appiccasse

se, potendo, l'avaro non rubbasse.

 

                                 77.  Tu vederesti l'integri Catoni                                        Sapienti

piú grati al mondo e dal predon sicuri;

tu vederesti l'improbi Neroni

a povertade men crudeli e duri;                                 Avari

tu vederesti li empi Licaoni,                                        Ladri

pigliata la lor parte, non piú furi:

la parte sua, che sta ne l'altrui copia,

ché 'l tuo superfluo causa la mia inopia.

 

                                 78.  Che maladetta sia l'ingorda rabbia

di questa lupa, e chi adorarla vòle!

Ché se quante son miche in questa sabbia           Comparazione

e quanti cascan attomi dal sole,

tanti denari avien ch'el miser abbia,

apre, per anche averne, mille gole,

né pur si sazia la sua mente avara;

onde qual sia 'n piacer mai non impara.

 

                                 79.  Tal biasmo non v'adduco senza causa;

c'ho fatto d'un avaro mille prove.

E se 'l mio dir non vi facesse nausa,

direi di lui la miser vita, e dove. -

Rispose alor Milone: - Io faccio pausa,

eccoti, di mangiare; ché 'l mi move

l'aspetto tuo talmente ch'io starei

digiuno, per udirti, giorni sei. -

 

                                 80.  Qui narra il vecchio una faceta istoria

d'un prete fierentino tant'avaro                                  Prete Arrigo canonico

ch'al fin di doglia perse la memoria,

già divenuto pazzo pel dinaro.

Ma voglio ch'abbian altri questa gloria

dirlo meglio di me; ché sol m'è caro

venirne finalmente ad Orlandino,

già molto al nascimento suo vicino.

 

Conclusione

 

                                            81.     Ma Caritunga mia chiedemi a cena;

tenetivi, signori, ch'io vi lasso.

Penso mangiar una cornacchia piena

de sogni, che non scrive il mio Tricasso;              Tricasso

poscia vo' bere d'una certa vena

d'acque distanti a quelle del Parnasso,

le quali a molti toglion il cervello,

ma queste li denari col mantello.


 


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