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1. Oscuri sensi et affetate rime
qual è chi dica mai compor Limerno?
Tal volse del Petrarca su le cime
salir, ch'or giace in terra con gran scherno;
Icaro, per montar troppo sublime, Icaro
credendosi avanzar il vol paterno,
perse con l'arte l'encerate piume
e venne giú dal ciel in un volume.
2. Non tutti Sannazarri et Ariosti, Sannazzarro, Ariosto
non tutti son Boiardi et altri elletti, Boiardo
li cui sonori accenti fur composti
de l'alma Clio negli ederati tetti;
tetti sí larghi a lor, a noi sí angosti
e rari son pur troppo gli entro accetti!
Però che meraviglia se 'l gran sòno
di lor sentenzie in tanto pregio sono?
3. Milon, dopoi che 'l vecchio pose fine
a la novella di quel scarso prete,
dimandagli se porto in quel confine
vi era; ché, mentre l'aure sono quete,
vorrebbe oltra passar l'acque marine,
dando al nochier le solite monete.
- Non dubitate, - disse 'l vecchio alora -
lo porto non luntano qui dimmora. -
4. Disse Milon: - Se quel non è luntano,
voglia guidarci in questo tuo battello;
e per l'atto gentil e piú ch'umano
che fusti a darne cibo tanto snello,
questa giumenta lascioti, e con mano
propria la sottoscrivo e ti suggello.
- Mille mercé; - risponde il vecchio - senza
tanti notari prestovi credenza.
5. Entrati pur in barca, ch'in un tratto
voglio condurvi al porto qui vicino.
Lasciamo qui la bestia, che diffatto
io mandarò levarla un mio cugino;
e penso già di farne bon baratto
drento di Corsia in un carro di vino;
perché, vi giuro, mai non pesco bene,
se di bon vin non son le fiasche piene. -
6. Cosí parlando, accostasi a la barca;
e Berta il vecchiarel prende al traverso;
poi d'esso peso il suo legnetto carca,
che, pargoletto, quasi vien sommerso;
e, tolto il remo, navigando innarca Comparazione
le schiene, com'un serpe d'oro terso
lo qual va sdrucciolando per un prato,
s'avien che 'l pè d'un bue l'aggia calcato.
7. E col soave nòto, ch'un acquatico Comparazione
mergo tra folghe segue alcun piscicolo
nel lito e primo mar de l'Adriatico,
tal va per l'onde salse il trave piccolo
sotto governo di quel vecchio pratico,
che mai di mar non teme alcun pericolo;
e per levar il tedio e farli ridere,
cantar comincia e con gran voce a stridere.
8. Ma, giunti al porto, trovano ch'un grande
legno si parte verso Italia in fretta.
Accostasi Milone, e su vi scande
con la compagna e lascia la barchetta.
Non è chi lui conosca o che 'l dimande,
e pur d'esser compreso vi sospetta.
Sta sempre armato e porta cinto 'l brando,
come sòl far c'ha taglia, posto in bando.
9. Già Febo l'aurea testa in l'onde attuffa
e lascia il freddo lume a la sorella, Luna
quando pel vento che 'n le poppe buffa
issasi 'l velo, come 'l volgo appella Issare
Quel grave legno, spinto, l'onde acciuffa
e rompe 'l mar che 'ntorno gli saltella,
fa nove miglia o dieci in men d'un'ora
e fende ciò che 'ncontra l'alta prora.
10. Soldati, mercadanti, preti e frati
eran con altra gente in quel naviglio:
chi guata il fier Milon dagli omer lati;
e chi 'l bel volto candido e vermiglio
di Berta, c'ha d'amor e' gesti ornati,
contempla sí che dàlle già di piglio;
ma la presenzia di Milon robusto
tien in cervello ogni lascivo gusto.
11. Or un signore v'era di Calabra Calabria
con trenta ben armati soi famigli;
brama di Berta egli basciar le labra
e agguccia, per rapirla, già gli artigli.
Milon non sa quella sua mente scabra,
bench'egli co' compagni si consigli
e l'un con l'altro parli ne l'orecchia,
ch'ognun nel ben altrui sempre si specchia.
12. Farrebbon già l'assalto; ma che 'l giorno
sparito venga in tutto attendon prima.
Berta con altre donne fa soggiorno
sotto coperta de la prora in cima;
d'ogni altra cosa pensa che del scorno
lo qual in lei quel tristo far estima;
onde, corcata in grembo d'una schiava,
col sonno le sue membra ristorava.
13. Milon, che di saper volge 'l desio
se di Parigi alcun sapesse nova,
dimanda forte: - Ditemi, per Dio
(s'alcun ch'il sappia dir tra voi si trova),
è vero ch'un Milon malvagio e rio
ha fatto contra Carlo un'empia prova? -
Risponde un grande vecchio: - È con effetto;
e dirtelo saprò, se n'hai diletto. -
14. Chi sia cotesto vecchio in fronte grave,
c'ha lunga barba et occhi di Saturno, Saturno
niuno sa di quelli entro la nave;
ché 'l finto volto et anco il ciel notturno
lo asconde lor, né senton che 'l gran trave,
mosso non da Levante o da Volturno,
ma del suo spirto, vola in tal prestezza
ch'un veltro non va piú, anzi una frezza.
15. Volendo, in mille forme cangia 'l volto,
tant'è ne l'arte magica perito; Arte magica
scioglie d'amor il vinto e vinge 'l sciolto
affrena i fiumi e chiama e' pesci a lito;
fa 'l matto saggio, e 'l saggio venir matto
e cava l'ombre d'Orco e di Cocito; Orco, Cocito
la luna, stelle, foco, piante e marmi
constringe a la violenza de soi carmi.
16. Ma 'l nigromante, degno di gran lodo,
oprar non sa, se non in ben, tal arte.
Fauni, folletti et incubi, che 'l vodo Fauni, Folletti
cerchio tra 'l foco e terra e la gran parte Incubi, Aere
tengon del centro mezzo al nostro sodo,
tutti scongiura a sue sacrate carte;
Demogorgone, arpie, fate e strige,
sepolcri, ombre, sibille, Cao e Stige. Inferno
17. Sa quanto alcun mai seppe d'erbe o piante,
non d'aconito pur, tasso e cicute,
ma mille e mille che furon innante
non mai da nigromante alcun sapute.
Taccio 'l magnete ferro et adamante;
sa di metalli e pietre ogni virtute;
onde nascoso tien di argento et oro
ne' monti di Carena un gran tesoro.
18. Ne' monti di Carena entro le grotte
sta 'l seggio suo di smalto e sasso fino.
Atlante ha nome, che di mezza notte Atlante
d'una sibilla nacque e di Merlino. Sibilla, Merlino
Or con turbato cuor e voglie rotte
lassiato avea de l'Africa 'l domino
per un anello, il qual fece ad Almonte, Anello che fu di Angelica
che poscia gli dovea far danno et onte.
19. Or dunque, posto ch'egli sol per arte
saper potesse aver anti Milone,
no 'l sa però, ché rado apre le carte
de' spirti rei, se non per gran cagione.
Ver è che dianzi Giove opposto a Marte
dissegli che di lui nasce un barone,
il qual, Orlando detto, non avria Orlando
egual d'ingegno, forza e cortesia.
20. Ora per sotisfar al suo dimando,
ch'è di saper quel che sapendo poscia
ne pianga, odendo l'impeto nefando
(non credo piú nefando esser mai poscia)
di Carlo, anzi Neron, in ciò che 'l brando
cosí vibrò ch'ancor al Ciel l'angoscia
e gli urli van per l'empia occisione
d'omini fatta in scherno di Milone:
21. - La causa che m'indusse (poich'attenti, Lungo ragionamento
vostra mercé, vi veggio, vo fondarvi di Atlante
assai piú innanzi miei ragionamenti)
venir in Franza e poco tempo starvi,
fu la prolissa guerra, i fier lamenti,
la trista occision de' grandi e parvi,
che ratto de' patir la vostra Europa
de gente tartaresca et etiopa.
22. Chi fia di tanto mal cagion? Amore, Biasimo in Amore
Amor che sempre fu la peste lorda
de' miseri mortali. Ah, in quant'errore
ci spinge questa fiamma tant'ingorda!
Odo già l'alte strida, il gran rumore
d'arme, ch'aggira in foco e 'l ciel assorda;
ché dove fiscia Amor, cosí fier angue,
subito appare ferro, foco e sangue.
23. Già si rinova quel furor vetusto
che 'l mondo quasi trasse al primo Cao,
quando 'l lascivo Paride et ingiusto Paride
chiamossi drieto l'empio Menelao,
il quale tutta l'Asia ebbe combusto,
ove Patroclo, Ettor, Protesilao,
Achille, Troilo et altri capitani
restòr tra un million d'uccisi ai piani.
24. Quant'era meglio che 'l conte Milone
lasciato avesse Berta nel suo letto!
Carlo testé gli rende 'l guiderdone,
ché sua famiglia tutta per dispetto
destrugge in ferro e foco; ma un leone Mambrino
è per strigner a lui la gola, il petto:
piú non avrà l'ardir di Chiaramonte
che 'l scampi da le man d'un fier Creonte Agolante
25. Novo Creonte in queste parti viene
per spander tutto il cristiano sangue.
Carlo fia 'l primo che volga le schiene
al negro tòsco e fiscio d'un tal angue;
non gli varrà gridar: «Chi mi soviene?».
Le membra stanno mal, se 'l capo langue. Proverbio
Italia, Franza, Spagna et Ingleterra
Cupido e Marte gitteran a terra.
26. Ahi, maladetta stirpe di Maganza,
ch'or godi e canti per l'altrui dolore!
Non sperar già (ché falsa è tal speranza)
gioir troppo luntan di quel favore,
posto ch'abbi scacciato for di Franza
di Chiaramonte la radice e 'l fiore;
volge la rota, ma 'l destin è fermo,
ch'al fin a tua ruina non fia schermo.
27. O stelle, o punti, o troppo tardi segni,
che prometteti al mondo un sí bel sole,
apríti, ch'oggi è tempo, e' raggi pregni
a l'aureo seclo, a l'aspettata prole!
Nascan li quatto di vertú sostegni,
per cui rumor eterno al mondo vole;
nasca quel forte Orlando, alto coraggio, Orlando
Renaldo, e 'l mio Rugier, Guidon Selvaggio! Rinaldo, Rugiero, Guidone
28. D'Orlando una colonna nascer deve, Colonesi
che non pur Roma, anzi sostien il mondo;
ma de Rinaldo un orso tanto greve Orsini
che di sue forze il Ciel sentir fa il pondo.
Rugiero il sangue d'Esto in sé riceve, Estensi
d'ingegno saldo e di vertú profondo:
ma 'l mio Guidone infonderà Gonzaga Gonzaghi
per cui sol nacque la tebana maga. Manto maga
29. Guidon Selvaggio, di Renaldo frate,
la sore di Rugier avrà per moglie; Marfisa
quindi verrà quell'inclita bontate
Gonzaga, ch'in un punto il mondo accoglie:
Mantoa famosa per il primo vate, Virgilio, Mantoa
ma piú famosa pei trofei e spoglie
che riportar in lei Gonzaga deve
dal Gange al Nilo et iperborea neve. -
30. Parlava lagrimando il negromante,
et era per narrar il gran conquasso
che Carlo a Chiaramonte il giorno avante
diede, poscia ch'entese quel fracasso
dal fier Milone fatto in un instante,
ch'in una notte mandò quasi al basso
tutta la Casa di Maganza, e Berta
rapita aver tenea per cosa certa;
31. quando Raimondo (ché Raimondo detto Raimondo
era quel duca o conte calavrese)
lassivamente Berta, nel conspetto
d'uomini e donne, stretta in braccio prese,
volendo ch'abbia il suo pensier effetto,
com'uomo villano, perfido e scortese.
Berta che dorme destasi gridando;
Milon, che l'ode, tratto ha fora il brando.
32. Corre veder la causa di tal voce,
ma risospinto fu da trenta in drieto;
pensate s'ira e sdegno il cuor gli coce,
vedendo farsi un atto sí indiscreto.
Ma l'arroganzia le piú volte nòce.
Salta Milon in mezzo di quel ceto
e vi comincia dimmenarsi intorno,
quantunque fusse già sparito il giorno.
33. A cui la testa, a cui la spalla fende,
a cui lo braccio, a cui la gamba tronca;
Berta contra Raimondo si diffende,
ché a caso in man venuta gl'è 'na ronca;
ma quel rubaldo in un battello scende,
drieto le poppe, simil a 'na conca;
quatro famigli alor prendon in fretta
la donna e giú la mandan in barchetta.
34. Assai contrasta loro, e pur si vede
al fin Berta d'un ladro esser prigione.
Chiama piangendo su dal Ciel mercede,
poi che l'aiuto è vano di Milone;
lo qual mentre cervelli rompe e fiede,
già presso al fin de l'aspra occisione,
la grossa nave per Libecchio vola, Libecchio vento
ma la piccina drieto resta sola.
35. Perché tagliò la fune il fier Raimondo
di quel schiffetto, alor che l'ebbe drento;
e mancò poco non andasse al fondo
la picciol barca, già ingrossando il vento.
Or qui scriver non vogliovi, secondo Digressione
Turpin, diffusamente qual evento
fu di Milone o di quel mago Atlante,
ch'alor alora sparve in un instante.
36. Né di Milon, il qual dopoi la morte
sanguinolenta di que' tapinelli,
ebbe fortuna tal che le ritorte,
arbore, vela, remi, arme, vaselli,
lo stesso legno al fin andò per sorte
del mar in preda, e con e' soi fardelli
li mercadanti al fondo si trovaro,
né lor scampò la coppia del dinaro.
37. Pur animosamente il cavalliero,
trattosi l'arme, nudo come nacque,
buttossi di fortuna ne l'impero,
di qua di là sbalzato per su l'acque.
Al fin giunse in Italia, ma, liggero
di forze e panni, su la rena giacque;
poscia, levato da non so qual fata,
seco sen stette e l'ebbe ingravidata.
38. Di costei nacque il principe Agolaccio, Agolaccio
come 'l dottore in la sua deca scrive;
ma ritorniamo a Berta che 'n impaccio
di quel fellone, non sa come 'l schive;
egli già se l'avea recata in braccio
per adempir le voglie sue lascive;
la donna, che schermirsi piú non puote, Atto nobilissimo di Berta
d'un suo coltello sotto lo percuote.
39. Ché, mentre finge aprir le gambe a quello
et al giostrar corcarsi agiatamente,
cacciògli ne le viscere il coltello,
raddoppiando e' colpi virilmente.
Quel misero ferirla volse anch'ello
d'un suo pugnale, ma 'l dolor repente
di morte l'impedisce; e Berta in mare
spinselo fora, e s'ebbe a conservare.
40. Or sola in quel vasello va sbalzando
la pudica dongella su per l'onde.
- O sommo Dio, - parlava lagrimando - Supplicazione di Berta
porgimi la tua man, che non s'affonde
l'infermo legno! Non che 'l mio nefando
viver né le mie colpe lorde immonde
mertin pietà; ma quella criatura
c'ho in ventre, o Padre Eterno, rassicura!
41. Da te ricorro, non a Piero, Andrea,
ché l'altrui mezzo non mi fa mistiero:
ben tengo a mente che la Cananea Cananea
non supplicò né a Giacomo né Piero.
A te, somma bontà, sol si credea;
cos'io sol di te sol, non d'altro, spero.
Tu sai quel ch'èmmi sano over noioso;
fa' tu, Signor, ch'altri pregar non oso!
42. Né insieme voglio errar col volgo sciocco,
di soperstizia colmo e di mattezza,
che fa soi voti ad un Gotardo e Rocco, Gotardo, Roco
e piú di te non so qual Bovo apprezza, Bovo
mercé ch'un fraticello, al dio Molocco Dio Molocco
sacrificante spesso, con destrezza
fa che tua madre su nel Ciel regina
gli copre il sacrificio di rapina.
43. Per ciò che di pietà sotto la scorza
fassi grande vindemia de dinari;
o co l'altare di Maria si ammorza Maria Virgine
l'empia ingordigia de' prelati avari.
Et anco la lor legge mi urta e sforza
ch'ogni anno ne l'orecchie altrui dischiari
le mende mie: ch'io son gioven e bella,
e il fraticello ch'ode si flagella. Confessione
44. Flagellasi patendo le ferute
che mie parole di lascivia pregne
gli danno, le qual sono tanto acute
al cor ch'al fin convien ch'egli s'ingegne
con vari modi e losinghette astute
ch'io di tacer la fede mia gl'impegne;
e qui trovo ben spesso un confessore
esser piú roffiano che dottore.
45. Però, Signor, che sai gli cuori umani
e vedi la tua Chiesa in man de' frati,
a te col cor contrito alzo le mani,
sperando esser già spenti e' miei peccati;
e se, Dio mio, da questi flutti insani
me scampi, che mi veggio intorno irati,
ti faccio voto non prestar mai fede
a ch'indulgenzie per dinar concede! -
46. Cotal preghere carche d'eresia
Berta facea, mercé ch'era tedesca,
perché in quel tempo la teologia
era fatta romana e fiandresca;
ma dubito ch'al fin ne la Turchia
si trovarà, vivendo a la moresca;
perché di Cristo l'inconsutil vesta Vesta di Cristo
squarciata è sí che piú non vi ne resta.
47. Non volse Dio però guardar a quella
perfidia d'una donna d'Alemagna;
ma fece che con lei la navicella
pervenne ove le ripe l'onda bagna.
Qui stanca e smorta uscisce la dongella
e tanto va per monte e per campagna,
di Lombardia passando in la Toscana,
che for di Sutri giunse ad una tana. Sutri cittade
48. Taccio la fame e sete e il caldo grande
e lo timor de stupratori e ladri,
che soffre la meschina in quelle bande,
ove son molti boschi orrendi et adri.
Mangia sovente more, corni e giande,
come facean gli antiqui nostri padri;
acqua, se non de fonti, almen de stagni
convien che sorba, e poi ch'altr'acqua piagni.
49. Per che sempre facendo aspro lamento
va misermente contra la Fortuna;
pur finalmente giunse a salvamento
(sí come dissi poco avanti) ad una
spelunca, ove trovò che molto armento,
venendo notte, un pegoraro adduna.
- Deh, padre caro, - disse - abbi mercede
di me, ch'omai non possío star in piede! -
50. Quel vecchio alor di somma cortesia
lascia le capre e lei benigno accolse;
onde ne vegna o vada o che si sia,
in quel principio chiederla non volse;
ma dolce, umano e lieto, tuttavia
ch'ella riposa, un suo scrignolo sciolse;
trassevi pane, caccio e molte frutta,
e l'umile sua mensa ebbe construtta.
51. Berta c'ha fame, e drento chi la sugge,
dico lo già di diece mesi infante,
a quelle rozze fercole confugge,
che 'l bon pastore l'arrecò davante:
quivi la fame e gran dolor sen fugge,
ch'avea del suo perduto caro amante,
e benché stia sospesa e 'n volto smorta,
pur, tolta l'esca, molto si conforta.
52. Ma qui diverte e narra il gran dottore Digressione di Turpino
sí come di Pavia re Desidero, Re Desiderio
udito d'arme in aere il gran rumore,
perché Agolante vien per tòr lo impero
di Europa a Carlo e farsene signore,
mandagli prestamente un messagiero
per farsegli compagno, e Italia poi
soggiugar tutta a' Longobardi soi.
53. E come qui Milone capitando
trovò sotto Appenino entro le grotte
un popol infinito, ch'aspettando
dal Ciel aiuto, s'erano ridotte
per trarsi omai dissotto a quel nefando
re Desiderio e darli tante bòtte
che sia poi specchio agli altri tramontani
che non s'impaccian mai con Taliani.
54. Quivi Milon, orando lungamente,
trasseli for di tenebre a la luce;
la qual ben ordinata e bella gente
in un vallon de Insubria ricconduce;
e come una citade grossamente
le diero il nome; dopo il volgo insano
non piú Milon, ma l'appellòr Milano. Milone, Milano
55. Quel gran Milan, ch'a tradimento e forza Digressione
vien tolto spesso da li tramontani
al nostro talian signore Sforza, Sforza
onde sempre con lor siamo a le mani,
facendoli lasciar drieto la scorza,
che poi mangiati son da lupi e cani;
e ben scriver si pote su le mura:
56. Ché veramente in quell'orribil giorno Giorno del Giudicio
ch'in Iosafatto sonarà la tromba,
facendosi sentire al mondo intorno,
e i morti saltaran for d'ogni tomba,
non sarà pozzo, cacatoio e forno,
che, mentre il tararan del Ciel ribomba,
non gitti fora Sguizeri, Francesi,
Tedeschi, Ispani e d'altri assai paesi.
57. E vederassi una mirabil guerra,
fra loro combattendo gli ossi soi:
chi un braccio, chi una man, chi un piede afferra,
ma vien chi dice: - Questi non son toi.
- Anzi son mei. - Non sono -; e su la terra
molti di loro avran gambe de boi,
teste di muli, e d'asini le schiene,
sí come a l'opre di ciascun conviene.
58. Cosí col mio cervello assai lunatico,
fantastico e bizarro sempre i' masino.
Confesso ben ch'io son puro grammatico, Purus grammaticus,
che tant'e dire quanto un puro asino, purus asinus
assai meglior d'un puro mattematico.
Ma perché i capuzzati non mi annasino,
io credo in tutto 'l Credo e, se non vale,
io credo ancor in quel di Dottrinale.