Teofilo Folengo
Orlandino
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SETTIMO CAPITOLO

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SETTIMO  CAPITOLO

 

                                 1.    La donna che dal Ciel trasse l'origine

mi riconduce al passo convenevole

a qualunque si sferra di caligine

per acquistarsi un stile piú lodevole;

ma l'abito maligno e la rubigine

d'un incesso balordo e strabuchevole,

difficili mi rende, anzi contrarie,

le vie che mai non seppe la barbarie.

 

                                 2.    Et oggi pur a nostro vituperio

passate son di le bone letere,

mercé ch'abbiam commesso un adulterio

tal che smarite sono l'arti vetere.

Veggio fatto volgar fin al salterio,

cantando su pei banchi ne le cetere;

passo per taverna o per botega

che Plinio od altro simil non si lega.

 

Narrazione

 

                                 3.    La fresca Aurora piú che mai leggiadra

da l'orizonte omai scotea le piume;

surge 'l pastore a beverar la squadra

di sue care caprette al chiaro fiume;

poi leva gli occhi al cielo e ben lo squadra,

che schietto nascerà di Febo il lume;

di che, tolto 'l bastone, s'assicura

e for guida l'armento a la pastura.

 

                                 4.    Berta sola rimane a la capanna

et anco dorme di stracchezza piena;

pur l'alma entro 'l pensier tanto s'affanna

che non s'acqueta la sospesa lena;

onde nel moto d'una picciol canna

ratto si sveglia e sente al cor gran pena

ché 'l suo Milone a lato non ritrova;

e qui di pianto un fiume si rinova.

 

                                 5.    Stavasi dunque tutta pensorosa,

la guanza riposando su la destra;

Febo, che vòl, possendo, d'ogni cosa                     Matino

rendersi certo, venne a la finestra;

quando la dongelletta paventosa

del parto, su quel strato di ginestra,                         Doglie del partorire

sentir comincia pene di tal sorte

che di men doglia crede esser la morte.

 

                                 6.    Stride con alta voce, rugge e freme,

torcendosi su l'uno e l'altro fianco;

verun non è che 'n quelle doglie estreme

poscia parlando confortarla almanco;

chiama Frosina et altre donne, insieme

chiama Milone, et il chiamar vien manco,

e solamente in quelle stalle immonde

un parete di sassi le risponde.

 

                                 7.    Ragion è ben che, d'un tal ventre uscendo

il fior del mondo e l'unica possanza,

difficil parto sia, duro et orrendo

e faticoso assai piú de l'usanza;

ché, se le gran prodezze sue comprendo,

quale fu mai, né mai sarà nomanza

di forza immensa, d'animo prestante,

simile a quella del Signor d'Anglante?

 

                                 8.    Qui nacque Orlando, l'inclito barone;

qui nacque Orlando, senator romano;

qui nacque Orlando, forte campione;

qui nacque Orlando, grande capitano;

qui nacque Orlando, padre di ragione;

qui nacque Orlando, piú d'ogni altro umano;

qui nacque il gran spavento e la ruina

de' Maganzesi e gente saracina.

 

                                 9.    Guàrdati, Almonte; guàrdati, Agolante;                 Almonte, Agolante

guàrdati, Agricane e re Gradasso;                             Agricane, Gradasso

guardative, Lusbecco e Durastante,                         Lusbecco, Durastante

Troian, Ancroia, e tu crudel Gurasso;                    Troiano, Ancroia, Gurasso

guardasi piú degli altri ogni gigante,

ch'or nasce in sua ruina il gran fracasso;

qual durezza di monte o fin azzale

porrà star saldo al suo ferir mortale?

 

                                 10.  Nasce dunque l'infante in quella grotta,

senz'ullo testimonio de commadre.

Ma cosa di stupor apparve alotta:

poscia che spinto for l'ebbe sua madre,

ecco de lupi arrivavi una frotta,

di quelle selve uscendo folte et adre,

ch'andavano d'intorno forte urlando,                     Urlando

onde per nome poi fu detto Orlando.                     Orlando

 

                                 11Sentí la terra un tanto nascimento,

sentillo il mare, i fiumi, rivi e fonti;

sentillo il ciel dissopra, fora e drento;

sentillo poggi, piani, valli e monti,

grandine, piogge, nevi et ogni vento,

città, castella, porti, ville e ponti;

sentillo pesci, armenti, fiere, augelli,

e 'ntorno lui par sol che 'l sol s'abbelli.

 

                                 12.  Dricciasi Berta con gran stento in piede:

pensate a qual pietà movea li sassi!

leva 'l figliuol, d'inopia sol erede,

e portalo ad un fiume a lenti passi;

lavalo stessa, e su la ripa sede,

sciugalo prima e dopoi il fascia e stassi

a contemplarlo sempre lagrimando,

e già 'l dolor del parto ha posto in bando.

 

                                 13.  Bascialo spesso, e non può saziarsi

succiar la fronte, gli occhi, bocca e mento;

sentesi di dolcezza liquefarsi,

onde le par men aspro ogni tormento.

Poi riede a la capanna per corcarsi,

ché 'n starsen dritta non ha valimento,

in fin che 'l vecchio pegoraro torni,

ch'omai temp'è che 'l caldo lo ritorni.

 

                                 14.  Eccolo giunto co le greggie innante,

sovente drieto a quella sibilando.

Va ne la tana con uman sembiante

e vagir sente il pargoletto Orlando.

La donna con vergogna in un instante

levatasi sul braccio, il come, il quando

nacque 'l fanciullo mentre a lui racconta,

per debolezza quasi vi tramonta.

 

                                 15.  Lo provido vechietto non risponde,

ma col piè tosto e con la fronte allegra

le man corre lavarsi a le fresch'onde;

poi chiama una capretta bianca e negra,

la qual, presto lasciando l'erbe e fronde,

non fu di alzar la gamba al vecchio pegra.

Egli trasse di latte un suo vasetto,

non stomacoso no, ma bianco e netto.

 

                                 16.  E mentre vi si ammolla un mezzo pane,

corre di tre galline al comun nido;

un par di uova nate in quella mane

sul cener caldo pose in loco fido.

Poi torna al latte e con sue voglie umane

lo porge a Berta; et ella: - Io mi confido

- disse - nel Ciel, o padre mio, ch'ancora

verrà, che di ciò renda il cambio, l'ora.

 

                                 17.  Non sempre in me Fortuna turbarassi,

non sempre, i' spero, mi serà matregna,

ché se a clemenzia i' movo e fiere e sassi,

via piú ch'ella si pieghi è cosa degna. -

Cosí parlando, di quel latte vassi

nutrendo a poco a poco, e par si spegna

la fame insieme col dolor del parto,

lo qual sopra ogni pena è acerbo et arto.

 

                                 18.  Poi sorbe l'ova et acque dolce beve,

di che ne prende molto di ristoro;

cosí, di giorno in giorno, e l'aspro e greve

vassi diminuendo il suo martoro,

e dal pastore tanto ben riceve

che reputa del mondo tutto l'oro

bastevole non esser, per il quale

supplir potesse un beneficio tale.

 

                                 19.  Pigliava l'arco suo matin e sera,

quel sovra tutti bono pegoraro,

e mentre di sue pecore la schiera

iva pascendo in loco solitaro,

cercava il monte, il bosco e la rivera,

seguendo gli augelletti; e ben fu raro

quel ch'addocchiato fusse e saettato,

morto non riportasse il stral al prato.

 

                                 20.  Con questi poi nudriva la dongella,

e di pastore fatto era già coco,

infin che piú che mai ligiadra e bella

depose il volto macilente e fioco.

Ma l'Orlandino già corre e saltella,

già, qual poledro, nescit stare loco,

scampasi da la madre omai slattato,

a quel pastor piú del suo armento grato.

 

                                 21.  Cavalca una cannuccia e con la spada

di legno tira dritti e manroversi;

sempre discorre questa e quella strada

sa d'alcun affanno mai dolersi;

convien che cada, surga e poi ricada,

ché 'n piede fermo anco non sa tenersi;

ond'ha sul volto, mentre in terra il smacca,

chiara di uovo sempre o qualche biacca.

 

                                 22.  Vive sett'anni e duodeci ne mostra,

tanto compiuto va di forze e membra;

gambe da salti et omeri da giostra,

dando Natura, ad Ettore l'assembra;

porta gran pesi e 'n qualche muro giostra,

urta, fracassa, rompe, quassa e smembra;

orsi, leoni, tigri non paventa,

ma contra loro intrepido s'aventa.

 

                                 23.  Folgori, venti, pioggie, caldo e gelo

non puon far ch'egli di lor si cure;

dorme di notte sotto aperto cielo,

non su le frondi, ma su pietre dure;

bruno, nervoso, e 'n capo ha riccio 'l pelo,

co' piedi e mani, ove convien s'indure,

per l'andar scalzo e manegiar bastoni,

la carne in calli e 'n scarpe de' pedoni.

 

                                 24.  Due pelli di capretto avinculate

per piedi su le spalle ha per vestura.

Cogli altri pastorelli songli grate

lotte, bagordi e giochi di ventura.

Autunno, primavera, inverno, estate,

non mai di star agiato si procura.

S'ha fame, ciò ch'encontra egli tracanna,

o sia ne' boschi o sia ne la capanna.

 

                                 25.  Giande, fraghe, castagne, corne e more,

pomi selvaggi e peri si mannuca;

non piú vi guarda il meglio che 'l pigiore,

non l'acetosa piú de la lattuca;

beve di fonte, o fermo o corridore,

cessa ber per fango over festuca;

ma s'anco con sua madre si ritrova,

mangia butiro, pane, caccio et ova.

 

                                 26.  Or Berta in questo tempo intende e spia

Rainer esser di Sutri al regimento;

cade in sospetto grande che non sia

da lui scoperta e fa commandamento

al figlio che con lei queto sen stia.

Ma ben piú tosto avria tenuto il vento

in un rete che mai vietar Orlando

che non vada o ritorni al suo commando.

 

                                 27.  Usanza universale tra' citelli

era di Sutri, come far si sòle,

con sassi guerregiare, poscia ch'elli

fusser asciolti da l'oribil scole,

quelli con questi e questi contra quelli,

ove s'oscura a tante pietre il sole.

Chi rompe, chi l'ha rotta, o gamba o testa,           Proverbio

e sempre piú san Stefano tempesta.

 

                                 28.  Quivi sovente il pover Orlandino

mal in arnese trovasi fra loro;

dinnanzi li altri sempre il parvolino

le pietre fa cantar nel ciel sonoro;

et è cagion sol esso col polvino

turbar le stelle, mentre di coloro

parte sgomenta, rompe, cazza e dàlli,

parte con gridi arguti drieto vàlli.

 

                                 29.  E come avien al troppo baldanzoso,

rotta la testa spesso ne riporta;

ma n'anche per poco vien ritroso;

cacciasi avanti a' soi compagni scorta,

e quanto piú fi' tócco, piú sdegnoso

di pietre e sassi un turbine sopporta,

che a la grotta torna poi la sera

tutto dirotto, e Berta si dispera.

 

                                 30.  Spesso gli parla e dice: - Figliuol mio,

perché ti fai cosí tutto pestare?

Lascia le pietre, per l'amor di Dio,

ché 'l viso tuo d'un diavolo mi pare!

- Volete, madre mia, - risponde - ch'io

mi lascia da ciascun ingiuriare?

«Figliuolo di putana» ognun mi chiama,

et io sopportarò perder la fama?

 

                                 31.  S'un tal oltraggio fare mi permetto,

ch'altro nome guadagno che «bastardo»?

Et io, madre mia cara, vi prometto

voler mostrar che non pur son gagliardo,

ma sono per cavar il cuor dal petto

a chi del vostro onor non ha riguardo;

e se mai torna il padre mio Milone,

diròli sul bel volto ch'è un poltrone.

 

                                 32.  Perché su le taverne consumando

va la sostanzia nostra e non lavora

e, noi per queste selve abandonando,

il chiaro sangue nostro disonora.

Ma se mai grande i' vegno ch'el brando

cinger mi poscia, voglio cacciar fora

Carlo del mondo, non che d'Anglia e Franza,

e bever tutto il sangue di Maganza.

 

                                 33.  che lascia pur, madre, che 'n la guerra

di pugna e sassi adoperarmi vaglia;

quanti n'abbraccio, gittoli per terra,

non li valendoartescrimaglia.

Ciascun mi chiama «Orlando forte-guerra»

perché non è chi 'n guerreggiar m'aguaglia;

sempre davanti gli altri salto e schivo

duo millia sassi, e pur son anco vivo.

 

                                 34.  Poscia chi mi pane e chi del vino,

chi carne cotta e chi bona menestra;

talor è chi mi qualche soldino,

altri che a far la pugna m'amaestra,

dicendo che pararmi col mancino

braccio mi deggia e dar co la man destra,

tal ch'ad ognuno vien di me paura:

cosa ch'essermi penso a gran ventura. -

 

                                 35.  Cotanto ben sa l'Orlandino dire

che di dolcezza Berta ride e piagne;

lascialo dunque a suo diletto gire,

ch'in farsi un valentuomo non sparagne.

Or qui Turpin si vien a divertire,

narrando di Milon le forze magne,

che Desiderio vinse con grand'arte,

cacciando Longobardi d'ogni parte.

 

                                 36.  Poi scrive come in Cipro giunto Amone

con le reliquie sue di Chiaramonte,

di Beatrice in mezzo d'un vallone

Rinaldo nacque, le cui prove conte                         Nascimento di Renaldo

che fece ne la infanzia sol espone

alor che 'l figlio suo d'Anglante il conte

ebbe condutto sin al mar Euxino

a star col suo diletto Rinaldino.

 

                                 37.  Ma nanti ch'i doi fanti assai cresciuti

poscian trovarsi insieme in quelle bande,

torna il dottore scrivere gli arguti

consigli d'Orlandino e il senso grande;

lo qual un giorno, co' capelli irsuti

e con la gonna che d'intorno spande

ben mille strazze, mendicava in Sutri,

tanto che sé con la sua madre nutri.

 

                                 38.  Ecco si 'ncontra in un bel giovenetto,

figliuolo di Rainer, dett'Olivero, Olivero,                 che poi

lo qual turbossi et ebbe a gran dispetto                  fu d'Orlando cognato

ch'Orlando l'occupasse in sul sentero.

Alza la mano e diedegli un buffetto

su l'occhio, che gli venne tutto nero;

et in quel tempo ancora il suo regazzo

piantolli un grosso pugno sul mostazzo.

 

                                 39.  Alor Orlando quel dongello prese

e sotto i piedi tosto si lo caccia,

et ancor l'altro afferra e giú lo stese

l'un sopra l'altro, e macca lor la faccia.

Corre la plebe tutta per diffese

del figlio del Signore in su la piaccia;

prest'Orlandino lascia lor in terra,

corre a la grotta e drento vi si serra.

 

                                 40.  Berta, che d'una lepre in foggia vive,                     Comparazione

la qual sempre de cani sente o pare

sentir le voci e pensa ove lor schive,

e vede il leporin a sé scampare,

la faccia di pallor tutta si scrive,

gridando al figlio: - Chi ti fa trottare?

dimmi, caval balzano, e donde fuggi?

perché, figliuol sfrenato, mi destruggi?

 

                                 41Qual occhio è quello e muso che ripporti

livido che parmi un saraceno? -

Rispose Orlando: - Vòi tu che supporti

le bastonate altrui né piú né meno

s'un mastin fussi? tanti e tanti torti

ognor fatti mi sono, e nondimeno

soffersi lor, se non testé c'ho franto

lo figlio del Signore tutto quanto.

 

                                 42.  Le bòtte mai non son per comportare;

de le parole pur me 'n passarei;

trovo distanzia assai dal dir al fare;

non siamo n'anche TurchiGiudei;

sol gli asini si ponno bastonare:

s'una tal bestia fussi, patirei;

ma son un uomo et uomo esser intendo;

e chi diece men vinti ne rendo.

 

                                 43.  Voi ne darete (chiama lo Vangelo)                          Evangelio

cento per uno, e cosí far debb'io;

e chi mi rumpe o pur mi torze un pelo,

il collo torzo a lui come vòl Dio;

e se de le Scritture, anzi del Cielo,                           Interpretatori de la Scrittura

si mette a interpretar il senso pio

ogni frate Scapocchia et ignorante,

anch'io poterlo far io son bastante. -

 

                                 44.  Parla la madre: - Deh, figliuol, non sai

che 'l pesce grande mangia il pargoletto?              Proverbio

Non gir in Sutri, ché, se v'anderai,

ti pigliaran i zaffi, ti prometto!

- Mi pigliaranno? - disse Orlando - guai

a qualunque verrammi a far dispetto!

ché, se d'un papa fusse ben bastardo,

io gli farò parer il fugger tardo.

 

                                 45.  Ma dàti pace tu, perché 'l demonio

già non è brutto come vien dipinto:

non sol d'una prigion i' son idonio

rumper le mura, ma d'un laberinto;

ecco su l'occhio i' porto il testimonio

che 'l figlio del Signor mi l'ebbe tinto

col ponderoso pugno; e fu 'l primero

che mi percosse, et anco il suo scudero.

 

                                 46.  Cosí l'altra matina l'animoso

dongello dritto corre a la citade:

porta il bastone duro e groppoloso,

col qual non fuggirebbe mille spade;

scorre e traversa senza gir nascoso

di qua di per tutte le contrade,

e chiama in alta voce: - O gente bona,

fatimi ben, se Dio non v'abandona!

 

                                 47.  Io v'addimando, per l'amor di Dio,

un pane solo et un boccal di vino;

officio non fu mai piú santo e pio

che se pascete il pover pelegrino;

se non men date, vi prometto ch'io,

quantunque i' sia di membra picino,

ne prenderò da me senza riguardo;                          Proverbio de la fame

ché salsa non vogl'io di san Bernardo!

 

                                 48.  Cancar vi mangia! datimi mangiare;

se non, vi butterrò le porte giuso;

per debelezza sentomi mancare

e le budelle vannomi a riffuso.

Gente devota, e voi, persone care

che vi leccate di bon rosto il muso,

mandatimi, per Dio, qualche minestra,

o mi la trati giú de la finestra! -

 

                                 49.  Cosí gridava il pover Orlandino,

et or li prega et or piú li minazza.

Ecco gli passa innanzi un fra Stopino,

ch'avea di pane un sacco e con la mazza

chiocca ne l'uscio a questo e quel vicino,

ch'anco ne vòl de l'altro e piú n'abbrazza

ch'egli portar non può, com'è l'usanza

di chi non san empirsi mai la panza.

 

                                 50.  Orlando se gli accosta col bastone

e dice: - O fra Sguarnazza, dammi un pane;       Fra Sguarnazza

questo ti vo' pregar per il cordone,

per le gallozze e le bretine lane;

so che l'aspetto tuo d'un bel poltrone

piú presto lo darebbe a qualche cane;

pur fa' come ti par, ch'in ogni modo

già di volerlo qui piantat'ho il chiodo.

 

                                 51.  - O Iesú Cristo! - disse suspirando

quel frate alor, e via sen va di trotto;

ma, piú d'un gatto presto, il zaffa Orlando

per la gonella e fe' 'l mostrar dissotto

che, del suo general contra 'l commando,

la sacca non avea del barilotto,                                 Mudanda

ben quella del pane in colmo piena

talmente ch'egli move il passo appena.

 

                                 52.  - Sta' saldo, - disse Orlando - perché fuggi?

Mi fa di te pietà, che sei carco;

olà, férmati, frate, che ti struggi

peggio d'un asinello sotto 'l carco!

A cui dico, poltron? se non t'induggi,

per Dio, ti mostrerò ch'io non son parco

di bastonate, come tu di pane,

lo qual tu sei per dare a le puttane. -

 

                                 53.  E detto ciò, come sboccato alquanto

(ch'e' putti e polli imbrattano la casa),

scote la polve col baston del manto,

ch'omai poco di quella vi è rimasa.

Perse la pazienzia il padre santo

che 'l brazzo d'Orlandino gusta e annasa

esser non di fanciullo, ma di Ettorre;

le sacche getta in terra e via sen corre.

 

                                 54.  - Chi cerca l'orbo? - disse alor Orlando,

e preso il pane fugge vittoroso;

mai non si guarda in drieto, ma scampando

va piú che può di qua di nascoso.

Al fin giunse a la grotta, e Berta, quando

lo vide con quel carco ponderoso,

prima si dolse pel sudor del figlio,

poi, visto il pane, vi mutò consiglio.

 

                                 55.  - Or mangia, madre mia, gagliardamente!

Panem doloris qui t'arreco inanti. -

E detto ciò sin leva un grosso al dente

e, dopo quello, cinque n'ebbe franti.

Berta sen ride solacievolmente

dicendo: - Figliol mio, saran bastanti!

cotesti pani per un mese intero.

Voglio mandarne parte al monastero.

 

                                 56.  Verran duri e sodi che spetrarli

mistier farà l'incude col martello.

- Piú tosto - parla Orlando - vo' ch'i tarli

lo rodino che darne un bocconcello

a frate alcuno; fa' che non mi parli

di questo, madre, piú; ch'al bel bordello

ti cacciarei, mi vegna la giandussa!

Pasto de frati è fava con la gussa.

 

                                 57.  Anzi farai tu meglio star luntana,

se non ti curi crescer in famiglia;

e se vengon trovarti ne la tana,

la stanga, che sta drieto a l'uscio, piglia

e su le schiene assettagli la lana.

Fa' ciò che 'l tuo figliuolo ti consiglia;

e se ti voglion predicar la fede,

dilli che 'l laico piú del frate crede. -

 

                                 58.  Cosí parlando, il suo baston resume

e corre a la citade apertamente:

ecco li zaffi, com'è 'l suo costume,

in frotta l'han pigliato immantinente;

tutto legato stretto in un volume

portano lui di peso leggermente,

lo qual si scote per spezzar le corde,

et a chi 'l porta spesso il collo morde.

 

                                 59.  Or finalmente l'han condotto innanze

al padre d'Olivier, signor del loco:

- È questo - disse - quel c'ha tante sanze

e teme il mio valore cosí poco?

Or si comprende che le sue possanze

son come neve al sole e cera al foco!

Ponetilo giú in terra. Dimmi, frasca,

non sai ch'al fin la volpe in laccio casca?

 

                                 60.  La forca fugge, e tu le corri drieto,

giotto, cavestro e ladroncel che sei;

ancora non sei lungo com'ho 'l deto,

e for del Ciel ti credi trar i dei?

Presentuoso et animal inqueto,

che, a far bona giustizia, ti dovrei

dar mille stafilate a piú non posso

che 'l cul di sangue avessi negro e rosso! -

 

                                 61.  Rispose Orlando: - Perch'io son legato,                 Animosa risposta

tu mi chiami cavestro e ladroncello!                       d'Orlandino

Se de le braccia i' fussi liberato,

ti mostrarei che sei di me piú fello.

Io son d'italiano sangue nato,

e la mia casa «Chiaramonte» appello.

Mio padre vive ancor et è Milone,

contra ragion bandito da Carlone.

 

                                 62.  Però tu parli come poco saggio;

sai chi parla troppo se ne pente;

tu pensi ad un furfante dir oltraggio,

e pur lo dici a Orlando qui presente;

forse non sempre avrai questo vantaggio,

se 'l torto che mi fai mio padre sente.

Guardati innanzi e lasciami ch'io vada,

ché forse avrai barbier ch'al fin ti rada.

 

                                 63.  S'ho rotto ad Oliver tuo figlio il naso,

esso m'ha rotto prima l'occhio e muso.

Se Nicolao Delirans e Tomaso                                  Fizione poetica

scendesser con soi libbri dal Ciel giuso

a darmi torto in questo nostro caso,

io gli direi che la conocchia e il fuso

sarebbe meglio stata ne lor mani

che diffinir di Dio li sensi arcani.

 

                                 64.  Levàtimi da torno queste corde,

se non, le romperò sol in un scosso;

né aver al detto mio l'orrecchie sorde,

perché ti veggio la ruina addosso,

dico Milon, che 'l deto già si morde

per franger il tuo corpo d'osso in osso

e darte a' cani te con la tua schiatta,

fin che su la radice sia disfatta. -

 

                                 65.  Quando Rainer intende d'un infante

minaccie che porrian spavento in Cielo,

e che si vede un Miloncin avante,

che ben lo rassomiglia a l'occhio, al pelo,

cangiossi tutto quanto nel sembiante,

né poté far che, d'amichevol zelo

compunto, non piangesse il caro amico,

vedendo il figlio suo fatto mendico.

 

                                 66.  Presto che sia slegato fa commando,

et ubedito in un instante venne.

Un capriolo parve alor Orlando,

che, sciolto, già in quel loco non si tenne,

ma per le scale giú corre saltando,

s'avesse agli alti balzi intorno penne;

mille citelli vannogli da tergo,

Gridando sempre, fin al proprio albergo.

 

                                 67.  Ove 'l cortese damigello, in vece

di bon ministro de la Madre Chiesa,

del pane tolto al frate dianzi fece

prudentemente una pietosa impresa,

dandol a que' citelli. - Piú mi lece

- dicea - porger a questi la diffesa

contra l'orribil fame che dar pasto

ai musichi d'Arcadia sotto 'l basto! -

 

Conclusione

 

                                 68.  Or su non piú; ché d'ignoranzia un vaso

farmi bandir dal Ciel par si prometta;

e perché di cervello non men raso

lo veggio che di testa, in mia vendetta

voglio tacer, che non mi dia del naso

dove spesso mi forbisce e netta

liber novarum legum quem de foeno

quidam composuerunt ventre pleno.

 

                                 69.  Lasciànlo dunque star in sua malora,

che non si urtasse al scoglio d'una gobba,

gobba che, al vaso eguale di Pandora,                   Pandora che fu d'ogni

contien de morbi un'infinita robba.                         morbo seminatrice

Meglio sarà che l'unica signora

mia Caritunga, zoppa, sguerza e gobba,                Caritunga

si alzi la gonna e mostri a lui l'ecclipsi,                  Gobbo

scrivendo per le vie: quod scripsi scripsi.

 

                                 70.  Scripsi scribenda, e scriver anco voglio

fin che Grifalco non verammi stanco;                   Grifalco

ruppi mio legno in fortunato scoglio,

che piú di solcar onde omai son franco;

e se l'inchiostro, la lucerna, il foglio

e l'Orsatino mio non fiami manco,

anzi se Morte non mi chiude il passo,

spero di lui dirà Cirra e Parnasso!


 


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