Teofilo Folengo
Orlandino
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OTTAVO CAPITOLO

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OTTAVO  CAPITOLO

 

                                 1.    L'istoria del beato Griffarosto

che per domenticanza ne la penna

rimasta mi era, or la mia Musa tosto

di lui cantando carca su l'antenna;

Musa che, accortamente dal proposto

cadendo, mentre dir Orlando accenna,

un vento par che dal culino vaso                              Astuzia del petto

minaccia le calcagna e nel naso.                         o vòi correggia

 

                                 2.    E cosí advenerammi finalmente

quello ch'ad un pittor di villa occorre,

ch'un santo Georgio armato col serpente              Santo Georgio

pingendo, vòl sembrarlo al fort'Ettorre;

al fin si scopre un mastro cavadente,

che tutte le città pel mondo scorre

s'una mulazza vecchia con le cure

da guarir piaghe e mille altre rotture.

 

                                 3.    Io dunque d'Orlandino canto poco                          Notando

e molto piango de l'altar di Cristo;

io fingermi «pitocco» movo a gioco

e del fallir de' chierici m'attristo;

di for Cerere e Bacco, dentro invoco

lo mio Iesú, che faccia omai sia visto

sott'ombra spesso del nobil vangelo                        Ipocrisia

regnar Satàn d'un cherubin col pelo.

 

Narrazione

 

                                 4.    Fu in Sutri un gran prelato molto grasso,

o fusse abbate o qualche altro vicaro:

cascavali la panza fin da basso

ch'un porco tal non vide ma' gienaro;

per non sleguarsi andava passo passo

a la taverna spesso, al tempio raro;

e questo gli accascava perché sempre

ieiunium praedicabat pleno ventre.

 

                                 5.    Rassimigliava propriamente un bove                      Comparazione

che, tolto da l'aratro e in stalla chiuso,

convien ch'ivi s'ingrasse e si rinove,

per uscir poscia d'uno in l'altro buso;

tu 'l vedi che a fatica il passo move,

cascandogli 'l mentozzo in terra giuso,

quando vien tratto al banco del beccaio,

venduto a quatro libre per denaio.

 

                                 6.    Ma quel poltrone manco assai valea

d'un bove, onde guadagnasi la pelle.

Quando a scarcar il ventre si sedea,

sentivasi tonar le sue budelle

con quella tempestà che vide Enea

portato su da lei fin a le stelle;

e se ambracano e muschio fusse stato,

oh d'ambracano e muschio gran mercato!

 

                                 7.    Mille ducati avea costui d'entrata                             Entrata

ch'andavan tutti drieto per l'uscita,                          Uscita

dico nel cacatoio, perché grata

fu sempre a lui di crapular la vita.

Carne di porco e caole con l'agliata,

trippe, pancette e broda ben condita

di sale e specie, d'intestine e lardo,

eran il suo devoto san Bernardo.

 

                                 8.    Non cosí tosto qualche bon boccone

in piazza comparea di pesce o carne

che 'l padre santo, in guisa di falcone                    Comparazione

lo qual giú a piombo vien viste le starne,

davagli d'ongie tal che le persone

di Sutri non potean oncia mangiarne,

mercé che 'l Griffo tutti li rapia

ratto come il Ciel rapitte Elia.                                Elia

 

                                 9.    Cingevasi dissotto al scapularo

(né senza questo salvarsi un frate)

una gaioffa e di braghesse un paro,

che sempre furno il suo fidel Acate.                       Acate

Né mai gli calse d'altro secretaro

in cui le cose sue fusser corcate,

non dico breviari, non missali,

nec librum de peccato originali;

 

                                 10.  ma sempre o qualche lonza o scannatura

o lombo o testa o petto di vitello;

poi d'altre mille cose di mistura

in quel suo gran tascone fea rastello:

uova, butiro, lardo e di verdura

lattuche, biete, caole, petrosello;

e cosí carco di tal libbraria,

dicea non esser altra teologia.                                    Eresia

 

                                 11Era bon mastro in arte coquinaria,                         Dottrina de Griffarosto

avendo in questo un'ampia biblioteca,

di varie lingue multa commentaria:

non l'arabesca, ebraica, non la greca,

non la toscana, dico, temeraria

che a grande sua superbia oggi s'arreca

eguarsi a la romana, e tanto sale,

che assai Francesco piú che Tullio vale;               Petrarca, Cicerone

 

                                 12.  ma l'arciprete santo avea di lingue

sempre di porco e manzo grande copia;

e benché il lungo studio, il qual estingue

lo bel color e fa di sangue inopia,

l'avea condotto a tal ch'un ciacco pingue

parea quando di giande pieno scopia,

pur sempre conservossi, ogni matina

pigliando un bon capon per medicina.

 

                                 13.  Or dunque Orlando un giorno per ventura

comprar lo vede in piazza un sturione,

intorno a cui de gente gran strettura

vi era per tòrne ognun qualche boccone;

ma il padre santo a quella criatura

ch'ancor viveva ebbe compassione                         Compassione

di non veder smembrarlo, e cosi integro               d'un gentil spirto

comprandolo si parte molto allegro.

 

                                 14.  Cacciato si l'avea ne la bisacca,

ove mili'altre cose occulte stanno;

vagli Orlandino drieto con la sacca

da bono e vigilante saccomanno;

ché per nudrir sua madre non si stracca

far ogni giorno a qualche ricco danno;

piglialo ascosamente ne la toga:

- Sète voi - dice - l'arcisinagoga?                              Arcisinagoga

 

                                 15.  La Reverenzia Vostra non si parta;

statime alquanto, prego, ad ascoltare.

Nimis sollicita es, o Marta, Marta,

circa substantiam Christi devorare.

Dammi, poltron, quel pesce, ch'io 'l disquarta

per poterlo in communi dispensare,

nassa d'anguille che tu sei, lurcone! -

e ciò dicendo dàlli col bastone.

 

                                 16.  - Non ti vergogni, sacco di letame,

mangiar sol tu quel ch'ad un popol tocca?

Non sei tu causa de la nostra fame,

che tutto 'l mare va per la tua bocca?

E pur d'un scapucin sotto 'l velame

tu cerchi fra la gente vil e sciocca

mostrarti santo e dir quod in tonsura

salvatur tandem omnis creatura?                             Vera ipocrisia

 

                                 17.  Et io t'annuncio quod tonsura molti

ha ricondutto al lazzo de la gola,

perché tondar dinari son accolti

sotterra de ladroni in qualche scola!

Porcazzo che tu sei, c'hai quattro volti,

e il lardo giú dal culo si ti scola;

or come sofri poi di carne il moto,

tu che di castitade hai fatto voto?                             Voto di castitade

 

                                 18.  Lascia quell'infelice criatura,

c'hai presa per vorarla in un boccone!

Dimmi, li Santi Padri tal pastura                                Costumi de li

mangiaron forse? o lecer con ragione                    antichi Padri

quel si ricerca al manto, a la tonsura,

al floco, al scapolare et al cordone?

Falliron elli mai lo esterno manto

col viver parasito e finger santo? -

 

                                 19.  Cotal parole usava un dongelletto

contra un prelato grave et attempato;

e già pel rubor perché astretto

era di comprar legna a bon mercato,

lasciagli la gaioffa e dal cospetto

del volgo ch'ivi corre si ha celato;

prende Orlandin quel breviario e scampa,

ch'altro non fu giamai di meglior stampa.

 

                                 20.  Vola per la città la fama, il grido,

che l'arciprete ha perso l'Instituta

con altri libbri posti in loco fido

d'un suo carnero, andando ad un'arguta

disputa fatta in capite «Divido

sanguinem Christi», dove si confuta

l'error de' Stoici, e provasi Epicuro                          Stoici, Epicuri

esser in domo Dei via piú sicuro.

 

                                 21.  Rainer similemente, che Signore

stava de la cittade al regimento,

ode che 'l venerabil monsignore

di mal di gola perso avea l'onguento;

poi de la vita lui tutto 'l tenore

viengli narrato, et ebbene tormento,

perché di Cristo il patrimonio vede

sovente in man di ch'oncia in Dio non crede.

 

                                 22.  - I' non mi meraviglio - disse alora -

se scandalo patiscono gli agnelli

e se vanno le grege a la malora

sotto alcun lupi, di pietà rubelli;

ma vogliovi proveder ora ora.

Tosto che quel priore qui s'appelli! -

Al cui fiero precetto il cavallero

con la sbiraglia corse al monastero.

 

                                 23.  Tranno quel mostro orrendo for di tana

e l'han condotto di Rainer al seggio.

Corresi per mirar la bestia strana,

cui di grassezza un bue non ha pareggio;

ciascun si stoppa il naso a la profana

puzza di vino, di sudor e peggio;

chi 'l chiama porco, chi Sileno e Bacco,

chi bottaglion, chi di letame un sacco.

 

                                 24.  - Tràtivi avanti, - disse a lui Rainero -

uomo di Dio, santissimo profeta.

Del spirito devin ogni mistero

so che 'ntendeti e di ciascun pianeta;

la libertade ancor, ch'ebbe san Piero,                     Piero

libertà grande, ma poca moneta;

tràtivi, dico, innanzi, padre santo,

ché d'un mio caso ho da parlarvi alquanto.

 

                                 25.  So che sapete ancora quanta tripa

richiede il vostro armario di brotaglie,

ove piú carne e pesce si discipa

che non han frondi tutte le boscaglie;

né tanta rena in lido al mar si stipa

quanti voi consumati tordi e quaglie;

però vi onoro qui né piú né meno

d'un animai d'urina e fezza pieno.

 

                                 26.  Non hai tu, tripponazzo, alcun rubore

scoprirti agli occhi mai d'uomo vivente?

pàrti ch'elletto sei d'esser pastore

de la greggia di Cristo per niente?

Peggio di te mai Giuda il traditore                            Giuda traditore

non fe' vendendo il Mastro suo clemente;

Caifa, né Anna, né Pilato, Erode;

ché per te Pluto di tant'alme gode.

 

                                 27.  Pàrti che i Benedetti, Antoni e Paoli

dieder cotali avisi ai soi soggetti?

Mangiavan cardi, fabe, lente e caoli                       Costumi degli antiqui

per darli assai piú essempi che precetti,                religiosi

acciò schivar sappesser de' diavoli

le frode tante e riti maladetti:

dormivan su l'arena e freddi marmi,

cantando giorno e notte i santi carmi.

 

                                 28.  Stavan occulti ne' lor chiostra e queti,

for de le piazze e dal volgo luntani;

benigni a' viandanti e mansueti,

lavando e' piedi lor non che le mani;

e quando uscir volean de' soi pareti

per gir altrove per montagne o piani,

un bastoncello, o sia caval di legno,

era de la vecchiezza lor sostegno.

 

                                 29.  Ma quelle sue radici e succo d'erbe

son oggidí cangiati in tordi e starne;

e le lor giande, more e fraghe acerbe

son ora per miracol fatte carne;

e le paglie de' letti già in soperbe

coltrine e piume; e quelle faccie scarne

pigliato han volti grassi di tre gole,

col color stesso quando spunta il sole.

 

                                 30.  Lor verghe e bastoncelli, per miracoli

di santi d'oggi, sono be' destrieri;

le celle di cannuzze e gli cenacoli

pigliato han forma de palazzi alteri;

e molte oggi badie son recettacoli

di lorde putte, cani e sparaveri.

O stolti, pazzi, sciocchi e forsennati,                      Notando

che 'l vostro aver lasciati a preti o frati!

 

                                 31.  Qual impietade usar si può magiore

che tòr a' soi la facultà per darla

a chi con le campane fan rumore

di notte, e poscia in chiesa un solo parla?

Dico quelli che povertà di fore

mostran al volgo e tendon a lodarla,

per addescar sott'ombra del capuzzo

la scardovella e guadagnar il luzzo. -

 

                                 32.  Queste parole et altre colme d'ira

dicea Rainero contra ogni ragione;

perché qualunque nel parlar s'adira

convien che 'l sentimento l'abandone;

ma spesso accade ch'un signor delira

parlando de la Chiesa a passione,

parendo lor (e pur han torto grande!)

pasto de frati esser le fabe o giande.

 

                                 33.  Rispose alor l'abbate: - Alto signore,

con sopportazion vi parlo schietto;

Ecclesia Dei non facit mai errore,

non so s'in Tullio voi l'avete letto;

et Aristotel, ch'è commentatore

oggi al Vangelo sol, dice in effetto

quod merum laicus non det iudicare

clericam preti et fratris scapulare.

 

                                 34.  Et una chiosa canta quod praelatum

non est subiectus legi "Constantina",

affirmans eo quod nullum peccatum

accidit in persona et re divina.

Et hoc deinceps fuit roboratum

in capite «Ne agro» a Clementina.

Et princeps, qui de Ecclesia se impazzabit,

scomunicatus cito publicabit.

 

                                 35.  Et anco Thomas dice a la seconda

distinzion, capitol quo di sopra,

quod unde Spirtus Sanctum si profonda,

possibile non est che mal si scopra.

Per me, Signor, non voglio che s'asconda

lo viver mio in visu, verbo et opra,

quando che 'l Salvatore ci ammaestra,

parlando a tutti, luceat lux vestra.

 

                                 36.  Mirate com'io porto la camisa

di lana su la carne, e non di tela;

cotal cilizio solamente avisa

s'io vada con mirabile cautela.

Mirate ancor piú sotto! - Alor la risa

prese Rainer, ché 'l padre gli revela

le cose sue, cribrando la Scrittura

meglio del gardinal Bonaventura.                             Bonaventura

 

                                 37.  Rumpelo al mezzo del sermone e dice:

- Vos estis doctus piú che non credea;

però cesso in cusarvi; ché non lice

parlar de' santi a chi è de gente rea.

Oh dunque sotto 'l ciel sorte felice

de voi prelati, qui sub diva Astraea                         Giustizia

puniri non potestis d'alcun male;

ché 'l mal e ben in voi è ben eguale!

 

                                 38.  Ma perché sète un spirito de vino,

qual plu non ebbe (oh voglio dir!) Platone,

cerco saper da voi quant'è vicino                             Le quatro dimande in

lo ciel da terra in ogni regione,                                  enigma

dico l'empireo sopra 'l cristallino.

Vostra Excellentia intenda il mio sermone!

Oltra di questo dite giustamente                                Secunda dimanda

quant'è da l'oriente a l'occidente.

 

                                 39.  Due cose giunte a queste intender anco

desidro, monsignore Griffarosto:

dite, piacendo a voi, né piúmanco

quante son gozze d'acqua c'ha l'angosto               Terza dimanda

mar Adriano insin al lido franco,

pigliando il Greco col Tireno accosto.

Ultimamente, bon servo di Dio,                                Quarta dimanda

vorei saper qual or è 'l pensier mio.

 

                                 40.  E se di queste quatro dubitanze                                 Patto

mi soglierete presto giustamente,

vinti scodelle di busecche e panze

giuro farvi mangiar incontinente.

Ma se con solegismi et altre zanze

sofisticar vorete la mia mente,

rendermi ragion che sia probabile,

vi trattarò da un asin venerabile.

 

                                 41.  Tornate al monastero, ch'io v'assegno

tutta la nott' e il giorno a su pensarvi;

assotigliate bene il vostro ingegno,

se 'l vi cale di trippe caricarvi

e non urtar le spalle in qualche legno,

che faccia la pugnata smenticarvi;

oltra di ciò, se non la indovinate,

voi non sarete piú messer lo abbate. -

 

                                 42.  Trette un sospiro tale monsignore

ch'una correggia si allentò per caso

d'un cotal bombo, d'un cotal odore

ch'altri l'orecchia, altri s'ottura il naso.

Partisi di vergogna con dolore,

pensando pur s'in Scotto o san Tomaso

lo coco suo trovar sappesse forse

quattro dimande stranamente occorse.

 

                                 43.  Nave non stette mai sopra porto

come correa costui sovra pensiero;

e se 'l si vide mai volar un morto,

videsi alor, benché fusse leggero

ben trenta pesi e men lungo che corto,

fin che pervenne al quondam monastero,

entro del qual par anco si discerna

fuisse claustrum quod nunc est taberna.

 

                                 44.  Aveva dunque un coco non men grasso

di sé, che tutto quanto l'assembrava;

trovalo ch'in coquina un gran conquasso

facea, mentre l'agliata vi pestava;

et un gobetto ancor sedeva basso

ch'in speto un mezzo porco rivoltava.

Quando 'l coco venir appresso il vede,

non creder ch'onorarlo surga in piede;

 

                                 45.  ma gli commanda che 'l scolato lardo

tenda buttar sovente su lo rosto.

Ma quello, che nel core porta il dardo,

al coco audace nulla ebbe risposto;

ma solamente diede un schivo sguardo

a le pignate, e via si tolse tosto,

entrando in un suo studio e fido loco,

dove seguillo prestamente il coco.

 

                                 46.  Né CosmoLorenzo fierentino                             Cosmo, Lorenzo Medici

de'x Medici mai fece libbraria

simil a questa, ove 'l spirto de vino

tenea libbri assai di teologia.

Pendon al lato destro et al mancino

di grego, còrso e varie malavasie

barilli, fiaschi et altri vasi assai,

ché 'n cota' libbri studia sempre mai.

 

                                 47.  Lucaniche, salcizze e mortatelle,                              Biblioteca

persutti, lingue e libbri de piú sorte,

bronzi, pignatte, speti con padelle,

carneri, sacchi, ceste, conche, sporte,

piatti, cattini e mill'altre novelle

per ordine qui tengon la sua corte,

fra' quali sempre studia e star gli giova;

ch'altro diletto ch'imparar non trova.

 

                                 48.  Or quivi giunto, ad un altar secreto

devotamente piega lo ginnocchio;

e con caldi sospiri avanti e dreto

quinci le braghe, quindi exala l'occhio.                 Piagne e caca

Un Bacco grasso, rubicondo e lieto,                       Bacco

che giace sopra un strato di fennocchio                Fenochio per bere

e d'un bottazzo fassi cavezzale,

era d'i santi soi lo principale.

 

                                 49.  Né altra Pietade né altro Crucifisso

tien su l'altare a far orazione;

Bacco sol è, ch'ad un parete fisso                            Bacco sede fra doi

doi cherubini arecasi al galene,                                 cherubini

cioè 'l boccal dal vino e quel dal pisso,

ché quando l'uno piglia, l'altro pone;

e cosí tutta notte il padre santo

ne orina un fiasco, e beven altro tanto.

 

                                 50.  Entrando il coco, a lui disse: - Volete

cenar, o monsignor, che 'l rosto è cotto?

Ma voi, s'io ben contemplo il volto, sète

sopra voi stesso e d'animo corotto?

Forse, patron, vi stimula la sete?

pigliate un poco questo barillotto! -

E ciò parlando, spiccalo dal muro,

ch'era d'un tribiano antiquo e puro.

 

                                 51.  Prendelo monsignore, e tienlo fermo

levandolo con ambe mani a Bacco:

- Pater, - dicea - se non si far schermo

di porre il santo calice nel sacco,

ecco la gola pronta, il spirto infermo;

se tal è 'l tuo voler, a lui m'attacco. -

E poscia ch'ebbe orato con tremore,

bevendo si cangiò tutto in sudore.

 

                                 52.  Or egli dunque, confortato alquanto,

s'asside a ragionar, ché 'l becco è mollo:

- Marcolfo mi', - dicea - non fu mai santo           Marcolfo coco

piú martire di me né piú satollo

di tante pene, affanni e lungo pianto.

Di rumper mi bisogna pur il collo,

se tu, mio bene solo e mio solaccio,

non t'assotigli trarmi for d'impaccio.

 

                                 53.  Mi tengo aver già persa la badia,

perché la forza incaga a la ragione;

e sempre usanza fu di tirannia

cercar or quella or questa occasione

di tanto far che suo quel d'altri sia,

senza ch'abbian a noi compassione,

a noi servi di Dio; però ti prego,

aiutami, che sol a te mi piego! -

 

                                 54.  E qui narrògli angosciosamente

le quatro intricatissime dimande.

Rispondegli Marcolfo: - Veramente

dubito, monsignor, che le vivande

nostre sol per invidia de la gente

al fin retornaranno fabe e giande;

o magnum tibi et durum infortunium,

qui quidem numquam noveris ieiunium!

 

                                 55.  - Ohimè, - disse 'l priore - tu m'uccidi

membrandomi ciò c'ho sempre temuto;

tutti son lazzi, e par che ti diffidi,

Marcolfo mio, prestarmi qualche aiuto;

trammi di man di questi abbaticidi,

tiranni maladetti, e fammi scuto

contra lor fame c'han de miei denari,

che perderemo se non li repari.

 

                                 56.  - Lasciate a me tal cura, - disse il coco -

ch'io voglio far un scorno a quel Rainero;

e condurò le fraude a cotal gioco

che 'l sturion ne tornarà al carnero.                         Lo sturion che già avea

Non voglio dimorar piú in questo loco,                 mangiato Oriandino

or or mi parto for del monastero;

statene alegro e non vi date pena,

Cabrino gobbo vi darà da cena. -

 

                                 57.  Partesi dunque mentre che l'abbate                         Astuzia di Marcolfo

parecchiasi le bolge per empire;

e mentre si ritrova in libertate,

subitamente corresi guarnire

le vestimenta dal patron usate,

poi cautamente s'ebbe a dipartire;

lo qual ben ne' gesti l'imitava

ch'ognun per monsignore l'appellava.

 

                                 58.  Fra tanto l'arciprete non vaneggia,

anzi pur senza affanno sede a cena;

allentasi dai fianchi la correggia,

ché l'eppa vòl sentirsi colma e piena.

Un grande armento e smisurata greggia

empisse a l'anno un cotal orco a pena,

e le piú volte, per star sano, mentre

devora sin a l'ossa, scarca il ventre.

 

                                 59.  Lo gobbo se gli areca un'ampia supa

di brodo grasso, latesini e panze;

or quivi tutto il mercator si occupa

empir del magazen tutte le stanze;                           Metafora

attende ad altro la discreta lupa

se non ch'al servitor niente avanze.

«Omnia traham post me» dice 'l Vangelo:

sempre servollo in questo sin un pelo.

 

                                 60.  Era già il coco giunto al gran palazzo

e di parlare col signor dimanda.

Incontinente scendegli un regazzo,

che l'introduce ratto in quella banda

ove dovea cavarsi for d'impazzo

de la diversa et ardua dimanda.

Quivi trova Rainer con molta gente,

che a man il prese molto alegramente.

 

                                 61.  - Avete, - disse - monsignor mio bono,

pensato ben su le richieste nostre?

- Pensai; - rispose il coco - e quivi sono

venuto, acciò ch'al popolo si mostre

ch'io merto esser ornato d'altro dono

che trangiotir quelle busecche vostre,

le quali oggi voi laici giudicate

esser il studio d'ogni prete e frate.

 

                                 62.  E pur, se non in tutto, in parte almanco,

Signor mio saggio, v'ingannate certo;

perché voi sempre il negro dite bianco

e il bianco esser il negro, ab inexperto;

non dati orecchia, prego al volgo, manco

d'ogni giudicio, ruinoso, incerto:

or che farebbe, s'intendesse poi

esser in stalla piú asini che boi?

 

                                 63.  Ma per non vi parer un temerario,

volendo qui lodar il stato nostro,

ché, benché morti sian Paolo e Macario,              Paolo eremita, Ma<cario>

pur anco stan depinti intorno il chiostro,

mi volgo ad altro dir; ché necessario

mi veggio piú circa l'enigma vostro,

che, se né Sfinge o Edipo torna in terra,               Sfinge, Edipo

possia morir, se dramma lo disserra.

 

                                 64.  Oggi voi mi faceste il primo assalto,                       Soluzione de la prima

ch'io narri quanto 'l ciel da terra dista;                   dimanda

presto rispondo che gli è sol un salto,

provandol senza il «probo» del scotista:

lo diavolo cascando già giú d'alto,

quando privollo Dio de l'alma vista,

senza de tanti astrologi la cura,

vi tolse giustamente la misura. -

 

                                 65.  Meravigliossi a l'ottima risposta

d'un capo di lasagne il pro' Rainero:

- A la seconda - disse - senza sosta;

ché perder la badia qui fa mistero. -

Risponde il coco: - E questa anco riposta             Soluzion de la seconda

tenemo, e risoluta, nel carnero:                                 dimanda

perché da l'oriente a l'occidente

una giornata fa, se 'l sol non mente.

 

                                 66.  Quanto a la terza ambigua dimanda,                       Soluzion de la terza

che di saper quant'acque sian in mare,                  dimanda

rispondo che, se ai fiumi si commanda

con lui non debban l'onde sue meschiare,

voglio ch'in polve il corpo mio si spanda

se, quante gozze son, non so contare;

perché come potrò i' tòrvi misura,

senza levar de' fiumi la mistura? -

 

                                 67.  Or tacito Rainer per meraviglia

parea co' circonstanti esser di legno:

stringe la bocca e caccia su le ciglia,

e già vagli fallito il suo dissegno.

- La Vostra Signoria se meraviglia

- parla Marcolfo - un porco aver ingegno,

e questo accade perché v'inganate

pensando quel ch'è coco esser l'abbate.

 

                                 68.  Et ecco vi risoglio qui la quarta                                 Soluzion de la quarta

ricchiesta, eh'era a dir lo pensier vostro;               dimanda

quest'ultima, che piú dolosa et arta

credeste, or la piú facile vi mostro:

ciascun de voi, signori, non si parta

fin che chiaro v'appaia il stato nostro;

voi, dico, imaginate senza gioco

ch'io sia 'l priore, e so ch'io son il coco.

 

                                 69.  Miràti dunque a quello che pensate;

l'enigma vostro liquefatto giace! -

Rainer confuso disse: - In veritate

che piú schiumi pignatte non mi piace;

anzi sarai tu solamente abbate,

quell'altro sarà il coco, diasi pace! -

E cosí senza indugio al suo precetto

un cambio tal mandato fu ad effetto.

 

                                 70.  - Vegg'i' or - dicea - che non secondo il merito

vien dispensato il ben ecclesiastico,

per cui Lorenzo un crudel interito                       San Lorenzo

ebbe col suo, non col corpo fantastico;

onde de' mali chierci pel demerito                           Opinione de alquanti

difficilmente il duro freno mastico                          eretici

a creder che con l'arte aristotelica

si debbia predicare l'evangelica. -

 

                                 71.  Cotal parole un vescovo presente

avendo a sdegno, ch'un soldato ignaro

del stato ecclesiastico clemente

fusse cosí mordace e temeraro

che lo biasmasse fra cotante gente

per colpa sol del novo coquinaro,                            Abbate fatto coquinaro

disse: - Signor, s'io son peripatetico,

piú vaglio almen d'un Borgognon eretico!           Rainero era borgognone

 

                                 72.  Cosí parlando, il volto, che fu rosso

prima di vino, venne bianco d'ira.

Rainer si volge a lui tutto commosso

e quasi di vagina il stocco tira.

Lo vescovo temendo si è rimmosso

dal vento che 'n suo danno pronto mira;

volse partirsi, ma Rainer, al core

tornato, disse: - Or stati, monsignore.

 

                                 73.  Eretico non son, come in presenza                          Risposta de Rainero eretico

del popol mi chiamate in mia vergogna;

ma forse l'alta Vostra Reverenza

mi crede esser un bravo di Sansogna

lo qual a Roma faccia violenza;

e pur Ella fallisce, ché Borgogna

men crede et al tedesco et a l'ispano

et al francese vesco ch'al romano.

 

                                 74.  Ben meglio credo in l'alta Trinitade,                       Trinitade

Padre, Figliolo e insieme Spirto Santo;

e credo di Maria l'integritade                                      Virgo Maria

poi che di carne in lei Dio prese il manto;

credo ne la mirabil potestade

da Dio concessa a l'uomo, per cui vanto

darsi egli , se fusse ben nefario,                          Potestà de' pontifici

non esser Dio, ma sol di Dio vicario.

 

                                 75.  Credo ch'el bon Iesú facesse prima

quello che venne predicar in terra;

credo ch'el suo coltello in ogni clima

venesse porre al mondo pace e guerra;                  Veni ponere gladium

credo che d'un rubaldo una lagríma                        in terram

dal cor, lo inferno chiude e il Ciel disserra;

credo che del Vangelo il saldo piede

altro non sia, salvo la mera fede.                              Evangelica fede

 

                                 76.  Credo ch'egli perfettamente bello                             Speciosus pro

portassi barba e gran capillatura;                              filiis hominum

credo che 'l sparso sangue de l'Agnello

in croce, terminasse ogni figura;

donde cred'io ch'uguali ad un pennello

sian quei da' crini e quei da la tonsura;

ben credo che sol chierci fusser quelli                   Sacerdotes et pharisaei

che sempre eran a l'opre sue rubelli.

 

                                 77.  Cred'anco che, ad instanzia d'un malegno           Cayphas

pontifice de l'anno e Farisei,

Pilato l'inchiavasse al crudo legno                           Pilato

con tanto scorno fra doi ladri rei.

Io credo ch'ivi a noi lasciasse un pegno

et una tal memoria che per lei

si cognoscesse a noi placato il Cielo,

levando giú dagli occhi a Mòise il velo.                Moise. Levando la figura

 

                                 78.  Parlo de la sua cruda passione

e del mirabil dono di sua carne;                                Eucaristia

la qual mangiando, tutte le persone

lascian l'antiqui coturnici e starne.                           Figura

Credo che 'l bon Iesú per guiderdone

non voglia torti colli e faccie scarne,                      Ipocriti

ma sol il cor; e cosí tengo e creggio:

se questo è mal, non parlo, ma vaneggio.

 

                                 79.  Credo che sia l'inferno e purgatorio

in l'altro mondo, e in questo il provo ancora;

onde con Paolo apostolo mi glorio

esser d'acerbi casi tratto fora

non già col mio, ma sol col suo adiutorio;

lo qual grida con voce alta e sonora:

«Pericoli nei monti e tempestati,

pericoli nel mar e falsi frati».                                     Sentenzia di san Paolo

 

                                 80.  Credo veder in carne il Salvatore

e spero gioir sempre di sua vista.

Creder di questo piú non ho valore;                        Adiuva incredulitatem

aiutami tu, vescovo albertista,                                    meam

col figlio di Nicomaco, dottore                                  Aristotile

oggi allegato in chiesa dal tomista,

senza la matafisica del quale

quel primum verbum Dei starebbe male.

 

Credo ch'un laico peccator si mende,                     Sentenzia di Gian

un chierico non mai: tal è che 'l mostra                 Crisostomo

(dico li rei). Fors'è che non m'intende

e in domo Dei già invitami a la giostra.                  Giostra d'i disputatori

Pian, piano, prego; ché qui non si vende,             d'oggi

boni servi di Dio, la fama vostra;

anzi vi onoro come grati a Dio

e cangiarci col vostro l'esser mio.

 

Non dico il scapuccino, non la soga,

non le gallozze, lo cucullo, il floco;

so ben che superstizia non v'affoga

in creder che pietade vi aggia loco.

Protesto a tutti che non si derroga

a onor di fratte alcuno sin al coco;

ma sol mi volgo ai lupi e mercenari,

larghi nel commandar, nel far avari. -

 

Alor il vesco, che per bono zelo

in soccorso di Griffarosto venne,

cotal bestieme sotto 'l bianco pelo

di santa e dritta fede non sostenne;

sgombra la sala presto e spiega il velo

di colera nel mar su l'alte antenne.

Rainer sen ride e spesso a drieto il chiama,

dicendo: - Cosí fugge chi non ama.

 

Lo mercenario vede il lupo e scampa,                   Auttorità del Vangelo

perche non gli pertene de l'armento. -

Poi, vòlto agli altri, disse: - Di tal stampa

son tutti, che non stan fermi al cimento,

dovendosi ammortar qualch'empia vampa

d'eretici, perché co' l'argumento

sol d'Aristotil vogliono provare                                 Aristotile

quel che con Paolo deveno salvare.                        Paolo

 

Sincera, pura, monda e senza macchia

quantunque esser la fede nostra deggia,

nulla di manco un sol error ammachia

la mente mia che forse non vaneggia:

non men credo al garrir d'una cornacchia

che al predicar d'un frate, il qual dardeggia

da' pulpiti chimere, sogni e folle,

che né IesúPaolo mai pensolle. -

 

Qui narra poi l'auttore che Milone

di mezza notte giunse armato in sella;

narra l'amore e gran compassione

ch'ebbe a la moglie, e come poi s'abbella

trovando un figlio in quella vil magione,

che scorre, guizza, iubila, saltella,

vedendo il padre che menarlo via

quindi promette, e già prendon la via.

 

Narra lo gran viaggio al mar Euxino,

ove trovò ch'Amone suo fratello,

scampando dal figliuolo di Pipino,                          Re Carlo

condotto avea d'armati un gran drapello,

et ha con seco il forte Rinaldino,

d'un angioletto piú vivace e bello.

Il qual con Orlandin s'accosta e 'nsieme

fan prove di sua forza molto estreme.

 

Amon quivi Costanza la regina

ingravidò del gran Guidon Selvaggio;                    Guidon Selvaggio

quivi narrò poi cena la ruina

di Chiaramonte, il foco e gran dannaggio,

di Beatrice ancora la rapina,

la morte di Rampallo tanto saggio.

E cosí Amon quel caso lor sponea,

come di Troia fece il grande Enea.

 

Onde se mai sarà chi scriver voglia

diffusamente questo mio compendio,

il libbro di Virgilio avanti toglia,

ove si narra quel troian incendio.

Ho di mangiar che di cantar piú voglia:

però, signori, date il mio stipendio,

il qual sarà di laude un sacco pieno;

et io non mangio laude, quand'io ceno!

 

Ben dirvi ancor potrei come Agolante

prese tutta la Europa et in Parigi

di Franza incoronò lo re Barbante,

drizando Macometto in San Dionigi;

la presa di re Carlo; e come Atlante

tolse for de le cune Malagigi,                                     Malagigi

e come lo condusse in certe grotte,

e qui l'ammaestrava giorno e notte.

 

E come in Roma il giovenetto Almonte

entrò col gran triunfo di vittoria;

e come né per piano né per monte

non era piú di cristian memoria.

Potrei poscia tornare a Chiaramonte,

che, come di Turpin scrive l'istoria,

diece anni andò per l'Asia vagabondo

cercando in mar, in terra, tutto 'l mondo.

 

Potrei scriver ch'Orlando fatto grande

col suo cugin Rinaldo armati insieme

si ritornaro d'Asia in queste bande,

ove con forze smisurate, estreme,

oprorno che le genti nefande

di Macometto e paganesco seme

cacciare virilmente; e come al fonte

questo Mambrin, quell'altro ancise Almonte.     Rinaldo, Orlando

 

Ma voglio questa impresa sia d'altrui,

c'ho detto assai, signori, e forse troppo.

Dati perdon, vi prego, se pur fui

di andata sguerzo e di veduta zoppo:

puotesi mal per loghi negri e bui

correr di lungo senza qualche intoppo;

donde ne prego Dio che mi sovegna;

et a chi mal mi vòl, cancar li vegna!

 

finisce l'orlandino di

limerno pitocco

da mantova.


 


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