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APOLOGIA DE L'AUTORE | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Leggesi, candidissimi lettori miei, fra gli altri faceti gesti del lepidissimo Gonella che, volendo egli la openione sua sostentare al signor illustrissimo Duca di Ferrara, ch'assai magiore fusse de' medici lo numero che d'altri professori di qualunque arte si sia, legatosi un giorno il braccio destro in guisa di stroppiato al collo, andava quinci e quindi girando per la piazza come se per doglia di spasmo non ritrovasse loco dove fermarsi potesse. Or avenne che, quanti mai cosí angosciosamente quello pennare vedeano, con molta lui compassione addimandavanogli qual fusse del suo male la cagione; et egli, tuttavia simulandosi addolorato, ritrovava qualor questa qualor quell'altra infirmitade, tal che da tutti loro qualche remedio ripportava: laonde lo proverbio da lui stesso pensato finalmente con gli altri meritò d'essere per esperienzia collocato. Ma veramente, poscia che questa favoletta mia de l'Orlandino, sincerissimamente da me composta, uscita mi è da le mani per complacenzia di chi solo commandar mi puote, dirò con baldanza non manco essere lo numero de' commentatori e interpreti che de' medici temerari, de li quali, se rarissimi sono (risguardato il numero loro copiosissimo) li periti conoscitori de li occurrenti morbi, niuno al tutto commentatore de l'Orlandino mio essere verace sin qua ho isperimentato. Ma Dio volesse almeno che lor interpretazioni, cosí come resultano in mio danno e vergogna, mi fusseno per contrario ad utilitade insieme con qualche onore, come sopra la bella canzone del Benevienni lo profondissimo ingegno di Gianni Pico aver fatto vedemo. Certamente né voglio né per niuna guisa possiomi delli evidenti errori alle dotte persone iscusare, dico quanto a l'eleganzia toscana, totalmente di Lombardia (non mediantevi lo studio di essa) da natura rimossa; ma del soggetto e materia di essa operetta immeritamente per colpa d'alcuni sospettosi ipocriti son io d'infamia non poca svergognato; perché, quantunque alcune cose vi siano poste le quali in gravezza de la fede nostra o sia de la Sacra Scrittura o de li relligiosi appaiono essere, nulladimanco la mera intenzione de l'autore non vien in alquanti accommodamente intesa, la qual è via piú presto inclinata in biasmar li mordaci di essa che morder universalmente la candidissima fede nostra. E in segno manifesto di mia sinceritade quelle pochette bestieme pongo sempre in bocca d'alcuno tramontano, donde li errori il piú de le volte sogliono repullulare. Vero è che da me stesso confermo poi li relligiosi d'oggi (non dico tutti) esserne potentissima cagione, la quale non mi curo testé quivi descrivere, ove solamente a la escusazione e deffensione mia io sono intento. S'io pongo la istoria di monsignore Griffarosto, la intenzione mia non fu però d'alcuna particolaritade conceputo; anzi voglio che sotto l'ombra di esso, eccettuata la reverenzia sempre de l'integerrimi prelati, stiano tutti quanti li simili soi, non avendovi un minimo riguardo a le minaccie d'alcuni, li quali, per sua verso me contra ragione malevolenzia, di mie calumnie sono seminatori. Ma di molto piú momento potriami parere la sciocca saviezza d'alcuni altri, li quali, di continuo perfumandosi di muschio e ambracano, cosí a noia e schifo pigliano quella piacevole e risoria giostra mia, ne la quale, sí come ancora in altri passi di essa operetta, fassi menzione di sterco e puzzo, non attendendo loro la persona lorda e vieta e stomacosa d'un furfante, la quale non mi sdegno reppresentarvi, acciò che per mezzo di poter dire baldanzosamente ogni cosa, pervegnasi finalmente a la veritade; ché quando d'altra materia non cosí vile io parlassi, lo nome mio appropriato, anzi niuno, vi antiponerei. Pur questa lor alterigia di mente poco mi offende, ché tal opera non composi a simili sputasenni; ma veda chiunque di loro quello che sanno in mio scorno e infamia scrivere, ché forse udiranno le colonne profetizare insieme con li pareti de lor vita, ché dove sentesi la doglia ivi corre la lingua. Questo simile dico de le parole uscite talora da la penna men che onestamente publicate, perché non molto disconvenevole mi parve in simile soggetto fingermi «pitocco», ne la qual persona dovendosi recitar una comedia, ragionamenti soluti e strabocchevoli accascarebbono. Ben vorrovi, singularissimi amici miei, esservi alora odioso e reprobo, quando la vita e' costumi a le predette immondizie corrisponderanno. Ma, s'io vi paro singularmente tassar alcuna persona, non è però ch'uomo qual che si sia poscia quella imaginare non che sapere, perché non mi reputo lealmente aver nemico al mundo tanto da me odiato quanto l'anima mia da me risguardata: bastami solamente che ambi noi sapiamo di cui si parla. Or dunque la mera veritade via piú satisfacevole vi sia che la presente Apologia, candidissimi lettori mei, la quale dal seggio suo constantissimo giamai non si parte. Molto ancora vi si potrebbe dire; ma lo già detto agli animi generosi e leali so bene che troppo lungo e fastidioso appare; però la nobilitade d'ogni alto spirito non si dignarà, spero, leggere cotal mia satisfazione in una notte impetuosamente composta, essendomi da non so cui potente tiranno minacciato; e io con ogni veritade, la quale parturisce odio, mi son posto a tentar di sodisfar a lui con gli altri di simile sentenzia.
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