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Voce che in cor mi parli, che i giambi feroci mi
detti,
solo un momento, solo un momento taci.
O babbo, o vecchio mio, ne' trepidi giambi
trabocca
l'onda vivace di tenerezza antica.
Quando me, giovinetto, sui libri severi curvato
invigilavi – l'anima tua sentivo.
Sentivo la carezza de 'l guardo lucente ne' sogni
fantasïosi – su questo figlio tuo.
Sentìa, quasi buon genio guidante con mano secura,
la tua canizie su la mia balda aurora,
Eran, ne' tuoi ricordi, superbi fantasmi di
gloria;
nel mio pensiero, de l'avvenire i raggi.
Fuggiti son quegli anni – compiuti li studi
severi....
ma la memoria ne resta fitta in core.
O babbo, o babbo, io pure di quella tua tempra
pugnace
ho li entusiasmi, e le baldanze fiere.
Hai combattuto, o babbo, ed eri tu pure un
ribelle,
e questa patria fu l'ideale tuo.
Questa patria, che avvinse – volendo inceppare al
pensiero
i voli audaci – del tuo figliolo i polsi.
Mèta che i padri vostri dicevano pure utopìa,
e fecondata fu per il sangue vostro.
Siete, o vecchi, il passato, ma il santo avvenir
vi saluta,
ruderi mesti – d'un idëal, che muore.
Noi pure, un dì, morremo, fatale legione serena,
forse, ne le alte pugne del secol novo.
Questa è la vita, o babbo, la vita – battaglia
perenne
verso una mèta, che, via pe' cieli, ascende.
Io pur sono un soldato, io pure la spada fulgente
snudai, nel nome di libertà solenni.
Deh, benedici, o babbo, l'acciaro ch'io serbo
incorrotto,
e il figliuol tuo, che a la battaglia move!
Lucca, Penitenziario di S. Giorgio, Novembre 1890.