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Ma se l'arte ha tradito
questo mio vecchio cuore giovinetto,
io non sono avvilito,
e, di piè fermo, i vituperi aspetto.
Ho pugnato, ed ho pianto,
e i singulti de l'anima fervente
ho trasfusi nel canto,
che nel petto fervea baldo e potente.
E mentre a me fuggìa
il ritmo audace de la strofe alata,
vampe di pöesia
salivano a la mente estasïata.
Ma s'io non son poeta,
resto ne la battaglia, e son soldato,
e l'arte a me non vieta
di morire da gl'inni confortato.
Quest'inni io li ho raccolti
tra la gente che suda, e che lavora,
con li sguardi rivolti
de l'avvenire a la fulgente aurora.
Li ho colti tra i singhiozzi
di chi per fame, e per miseria langue
tra i cenci umíli e rozzi,
sotto cui freme, attossicato, il sangue.
D'arte, il so, non è questa
opra gentile e fina. È la parola
incorrotta ed onesta,
che dal tugurio a l'officina vola.
E dice a questa gente,
che soffre, e che non pensa, e che non vuole.
– «Sorgi radiosamente!
A l'orizzonte, già sfavilla il sole.
Sorgi! Tu se' la gloria
d'un mondo, che si abbella, e che si muta.
Te, novissima istoria,
il morituro mio canto saluta».