Pietro Gori
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AL POPOLO E A QUANTI COMBATTONO PER L'UMANESIMO

SALUTO

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SALUTO

Ma se l'arte ha tradito
questo mio vecchio cuore giovinetto,

io non sono avvilito,
e, di piè fermo, i vituperi aspetto.

Ho pugnato, ed ho pianto,
e i singulti de l'anima fervente

ho trasfusi nel canto,
che nel petto fervea baldo e potente.

E mentre a me fuggìa
il ritmo audace de la strofe alata,

vampe di pöesia
salivano a la mente estasïata.

Ma s'io non son poeta,
resto ne la battaglia, e son soldato,

e l'arte a me non vieta
di morire da gl'inni confortato.

Quest'inni io li ho raccolti
tra la gente che suda, e che lavora,

con li sguardi rivolti
de l'avvenire a la fulgente aurora.

Li ho colti tra i singhiozzi
di chi per fame, e per miseria langue

tra i cenci umíli e rozzi,
sotto cui freme, attossicato, il sangue.

D'arte, il so, non è questa
opra gentile e fina. È la parola

incorrotta ed onesta,
che dal tugurio a l'officina vola.

E dice a questa gente,
che soffre, e che non pensa, e che non vuole.

– «Sorgi radiosamente!
A l'orizzonte, già sfavilla il sole.

Sorgi! Tu se' la gloria
d'un mondo, che si abbella, e che si muta.

Te, novissima istoria,
il morituro mio canto saluta».

Milano, Aprile 91.


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