Pietro Gori
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INTERMEZZI

II.

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II.

O Bice, o Bice mia, te ne rammenti?
era l'aurora de la nostra vita,
e salivamo garruli e fidenti

per la china fiorita.

Te ne rammenti de le pie novelle,
che mamma ne le veglie ci narrava
e de le nenie armonïose e belle,

quando ci addormentava?

Eran fate custodi d'un tesoro,
regine e cavalieri valorosi,
bei menestrelli dai lïuti d'oro,

prenci forti e pietosi.

Su la trama gentil de le leggende,
sogno raggiante il mondo ne apparìa,
e noi, ravvolti di leggiadre bende,

in dolce compagnia,

venimmo per il mortal cammino,
tu mite e pura come una vestale,
io baldo e forte come un paladino

sotto un vessil nivale.

Un nel raggio dei tuoi sogni casti
surse, buono e gentile, un giovincello,
tu, come sposo, lieta lo accettasti

ed io come fratello.

Che gioia ne la casa, ti ricordi?
tornando i due scolari a' festivi,
e che tripudio di melòdi accordi,

e di canti giulivi!

Ei ti recava od un profumo o un fiore,
ed io la pöesia dei miei vent'anni;
vigile al famigliar desco l'amore

tenea lunge gli affanni.

Ed or conteso m'è l'aperto cielo
da una muraglia squallida, cinerea,
sul nostro tetto è sceso un tetro velo,

come coltre funerea.

E tu piangi, sorella, oggi, e negato
è a me il conforto d'asciugarti il pianto:
ed io, chiuso nel duol, t'ho consacrato

questo povero canto.

20 Luglio.


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