Pietro Gori
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INTERMEZZI

VI.

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VI.

Ahi, me tu non volevi morire: tu addietro volgendo
il capo da la nera fantasima seduta

al tuo letto, dicevi: via, fate, o dottori, che questa
febbre mi lasci, fate ch'io guarisca, vi prego.

G. ChiariniLacrymae.

Ma tu lottavi, ed era l'implacabile
battaglia con l'ignoto,

e degli assalti della dea terribile
non uno andava a vuoto.

A torno premurosi, infaticabili
venìan, con vece alterna,

fidi i compagni dei tuoi studii, a porgerti
l'ultim'opra fraterna.

presso, i libri, muto stuolo memore,
giacean dimenticati;

de la tua tesi i fogli eran sul tavolo
sparsi e disordinati.

Per la stanzetta candida aleggiavano,
eco di estinti suoni,

l'audace strofa e il ritmo de le libere
goliardiche canzoni.

E via, su l'Arno, sonnacchioso e tremulo,
correa l'onda leggiera,

tra i colli tôschi salutante il libero
sole di primavera.

Fremea del mondo ne l'immenso palpito
l'alma rinvigorita,

e battea più vivace in seno a gli esseri
il flutto de la vita.

E tu sentivi su la fronte il gelido
tócco de la rea diva;

ti rivolgesti, e sorridendo intrepido
a lei, che ti feriva,

Quasi fosse l'amor de la tua vergine
un usbergo incantato,

dietro a lui ti paravi, muto e vigile,
come un vecchio soldato.

Ma non ristette, e non cessò la perfida
da gli assalti brutali,

e alfin t'avvinse, fredda, inesorabile,
negli amplessi mortali.

Allor cedesti, e simile a l'indomito
gladiatore morente,

l'egro fianco composto, e con il vitreo
occhio a l'albor nascente;

ad uno ad uno i cari tuoi d'un languido
sorriso salutasti;

ma invan con le pupille intente ed avide
l'amico tuo cercasti.

E pur costui ben conoscea la tragica
mèta del tuo destino,

e pure ignoto a lui non era l'ultimo
giorno del tuo cammino.

Ed ei non venne. Ahi, queste leggi orribili
chi mai dettò a le genti?

queste leggi feroci, che ricusano
un conforto ai morenti?

Allor che tu ne le algide, spasmodiche
strette ti dibattevi,

io fremebondo, del feroce carcere
entro i termini brevi,

ripensavo i trascorsi anni e le splendide
orgie di nostra speme,

il cammin lieto, i prati verdi e floridi
che percorremmo insieme.

Un se queste, a me contese, e squallide
soglie potrò varcare,

quando toccato avrò col piede trepido
di casa il limitare,

di te, del mite aspetto, de le giovini
tue virili baldanze,

non troverò, per fina opra d'artefice,
che le fredde sembianze.

E dei ricordi – tra le bianche ceneri
d'un speranza altera

non resterà che un tumulo, un'imagine
ed una veste nera.

29 Luglio.


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