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Ahi, me tu non volevi morire:
tu addietro volgendo
il capo da la nera fantasima seduta
al tuo letto, dicevi: via,
fate, o dottori, che questa
febbre mi lasci, fate ch'io guarisca, vi prego.
Ma tu lottavi, ed era
l'implacabile
battaglia con l'ignoto,
e degli assalti della dea
terribile
non uno andava a vuoto.
A torno premurosi,
infaticabili
venìan, con vece alterna,
fidi i compagni dei tuoi
studii, a porgerti
l'ultim'opra fraterna.
Là presso, i libri, muto stuolo
memore,
giacean dimenticati;
de la tua tesi i
fogli eran sul tavolo
sparsi e disordinati.
Per la stanzetta candida
aleggiavano,
eco di estinti suoni,
l'audace strofa e il ritmo
de le libere
goliardiche canzoni.
E via, su l'Arno,
sonnacchioso e tremulo,
correa l'onda leggiera,
tra i colli tôschi
salutante il libero
sole di primavera.
Fremea del mondo ne
l'immenso palpito
l'alma rinvigorita,
e battea più vivace in seno
a gli esseri
il flutto de la vita.
E tu sentivi su la fronte
il gelido
tócco de la rea diva;
ti rivolgesti, e sorridendo
intrepido
a lei, che ti feriva,
Quasi fosse l'amor de la
tua vergine
un usbergo incantato,
dietro a lui ti paravi,
muto e vigile,
come un vecchio soldato.
Ma non ristette, e non
cessò la perfida
da gli assalti brutali,
e alfin t'avvinse, fredda,
inesorabile,
negli amplessi mortali.
Allor cedesti, e simile a
l'indomito
gladiatore morente,
l'egro fianco composto, e
con il vitreo
occhio a l'albor nascente;
ad uno ad uno i cari tuoi
d'un languido
sorriso salutasti;
ma invan con le pupille
intente ed avide
l'amico tuo cercasti.
E pur costui ben conoscea
la tragica
mèta del tuo destino,
e pure ignoto a lui non era
l'ultimo
giorno del tuo cammino.
Ed ei non venne. Ahi,
queste leggi orribili
chi mai dettò a le genti?
queste leggi feroci, che
ricusano
un conforto ai morenti?
Allor che tu ne le algide,
spasmodiche
strette ti dibattevi,
io fremebondo, del feroce
carcere
entro i termini brevi,
ripensavo i trascorsi anni
e le splendide
orgie di nostra speme,
il cammin lieto, i prati verdi
e floridi
che percorremmo insieme.
Un dì se queste, a me
contese, e squallide
soglie potrò varcare,
quando toccato avrò col
piede trepido
di casa il limitare,
di te, del mite aspetto, de
le giovini
tue virili baldanze,
non troverò, per fina opra
d'artefice,
che le fredde sembianze.
E dei ricordi – tra le
bianche ceneri
d'un speranza altera –
non resterà che un tumulo,
un'imagine
ed una veste nera.
29 Luglio.