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....quante speranze, fratello mio, quanti sogni se ne andarono con questo morto nostro carissimo. E gli accusatori tuoi neppur vollero consentire ch'io ti vedessi, e ti recassi il suo bacio supremo....
(da lettera)
Mesta e dolce sorella, la
triste battaglia ho perduto,
e, solitario, torno a la fredda cella.
Oh, quante hanno gittato
manate di fango sul capo,
que' farisei, del tuo fratel dolente!
Io combattevo – in alto
tenendo la fronte serena,
la fronte mia, che non ha mai piegato.
Essi – d'un odio cupo ne
l'imo del core frementi –
m'han tolto a' dolci di pio fratello uffici.
Non rivedrò la balda catena
de' colli festanti
su cui l'aurora surse di nostra vita;
Ed ove giaccion quete ne
l'ombra de' monti, solenni,
presso al bel golfo, l'ossa de' padri nostri.
Non rivedrò, da l'alto,
l'azzurro Tirreno beato,
che i miei di bimbo ricci capei baciava.
Non gli uliveti grigi, che
per la maremma infinita
sospiran forte sotto i tramonti d'oro.
Non le convalli Elbane, che
arrisero al patto d'amore,
non l'urna bianca, dove Luigi dorme.
Dorme, con le speranze, co'
sogni nel nulla sopiti,
nel buio tetro, gelido de la morte.
E tu forte, tu buona, tu
vergine e vedova, in atto
dolce inghirlandi l'erma de' tuoi pensieri.
Oh fronde e fiori mesti! non
più, sorridente ne' cieli,
la primavera bacia il tuo fior diletto!
Oh foss'io teco! almeno
verremmo narrando di lui
soavemente. Tu quel suo bacio estremo
Mi deporresti in fronte. Dal
pallido viso l'amara
onda del pianto io ti verrei tergendo.
Ma quel fraterno bacio non
vollero a te consentire
i farisei, cui non commuove il pianto;
i farisei feroci, che de la
lor bava sanguigna
volean lordare la giovinezza mia.
I prezzolati sgherri, che de
l'ignominia lo stimma
credean bollarmi sopra la onesta fronte.
Mentre la forte plebe – la
plebe gagliarda a l'intorno
ridea, sprezzando, de le calunnie vili.
Ed oggi il tuo söave sorriso
m'han tolto, e più cruda,
senza quel raggio, la prigionia diventa.
Quando al marmoreo cippo con
memore cor tornerai
al morto sposo questo saluto volgi:
«Dolce compagno, dormi; te
l'ira del mondo non tange
nè dei potenti l'odio implacato attosca.
Meglio la pace augusta del
nulla, nel sonno perenne,
che le battaglie trepide de la vita.
Te d'un queto tramonto,
compiuto l'alpestre cammino
non confortava, giunto a la mèta, il raggio.
Ma, te beato, a l'alma
nutrice, a la terra tornavi,
pria che a brandelli fosser pensiero e cure.
Chè, se la immite legge di
morte troncava li stami
a tanta speme, non de le umane leggi
le avvelenate lame, la
giovine carne straziando,
te crucieranno di codardie crudeli.
Entro l'urna nivale riposa,
compagno sereno,
senza rimpianti de la deserta vita!»
Così presso quel marmo, bagnando di lacrime i fiori, dirai, sorella, le tue querele amare.
Mentr'io solo e pensoso, nel
gorgo dei mesti ricordi,
il serto intreccio de' sospirosi giambi.
Carcere dei Domenicani, 4 Agosto.