Pietro Gori
Prigioni
Lettura del testo

INTERMEZZI

DUE NOVEMBRE

«»

DUE NOVEMBRE

O voi che ne le fosse umide e nere
o sotto i marmi candidi dormite,
oggi un sordo romor per le severe
tacite sedi errar non lo sentite?

Oggi è il che i viventi in lunghe schiere
traggon pensosi e muti a le romite
vostre dimore; ed hanno in man fiorite
ghirlande, ed hanno in cor pianto e preghiere.

Giuseppe Chiarini, Lacrymae.

Quante memorie, o Bice,
in questa notte buia e sconsolata!
Oh d'una infanzia garrula e felice,

larva sfumata!

Oh fantasie gioconde,
ribelli al ritmo di studiato verso,
erranti strofe, nenie vagabonde

de l'universo!

Oh per li elbani clivi
carme infinito di geniali accordi!
eravamo sì baldi e sì giulivi;

te ne ricordi?

Te ne ricordi? a piaggia
de l'ondata vanìan le brume stanche;
salpavan da la ripa erma e selvaggia

le vele bianche.

Tu eri piccolina,
gaia, gentile; io ruvido monello;
oh infantil bisbiglìo d'ogni mattina,

com'eri bello!

O Bice, ho ripensato,
stanotte, le paure d'altre volte,
le fole udite, mezzo addormentato,

lugubri e stolte.

Nella notte dei morti
in sogno rivivean quelle leggende,
scendean di scheltri, da l'avel risurti,

fosche tregende.

La visïon spettrale
riddava al mesto suon de le campane,
novellanti nel buio a funerale

favole arcane.

Oggi non più. L'affetto
solo rivive memore al dolore,
oggi son morte le paure, e in petto

non trema il core.

Eppur, deh, s'io vorrei
di nostra infanzia la illusione pia!
ma la tua fede nei moderni Dei

non è più mia.

Ahimè! se fosse vero,
che un trapassato spirito errabondo
potea stanotte uscir dal cimitero,

e gir pel mondo;

ei ben sarìa venuto,
il tuo mesto Luigi a la prigione,
m'avrìa portato il bacio ed il saluto

de l'alme buone.

Ahi! muta è la sua tomba,
chiusa dal gelo nel silenzio eterno,
e la tragica squilla oggi rimbomba,

come uno scherno.

Stanotte, o Bice, invano
nel mio carcer movean le ricordanze,
invano a requie un suon tessea lontano

macabre danze.

Ma l'aerea cöorte
de li spirti ne' miei sogni non scese,
non temo più dai morti e da la morte

ire od offese.

Da che i vivi crudeli
m'ebber, pel mio pensiero, i polsi avvinti,
se pur non credo ne li empirei cieli,

amo gli estinti;

amo questa serena
folla di atòmi, cui morte travolve;
corrosi anelli d'immortal catena,

perpetua polve.

E so ben che la vita
è un episodio ratto e passeggiero,
Un'audacia di brame inassopita,

un sogno altero;

ma so pur che, se il flutto
de l'essere, onde l'uom soffre, o gioisce,
è materia che palpita, non tutto

con lui finisce.

L'umanità non muore,
e i ruderi di noi serba immortali,
perpetüando i nostri odî, l'amore,

il fango e l'ali;

ali di cherubino,
torve passioni, aurore scintillanti,
di libertà radiosi in sul cammino

martiri e santi.

Qui l'averno o l'eliso
son la fraterna pace, o l'aspra guerra;
lotta il veggente, e vuole il paradiso

qui sulla terra.

Ma tu, sorella, speri,
levando prieghi supplici e devoti,
ch'ei viva in grembo ai fulgidi emisferi

di mondi ignoti.

Non io. Pur se il tuo pianto
men triste è al raggio de l'antica fede,
prega, sorella, ti offenda il canto

di chi non crede.

Lucca, Penitenziario di S. Giorgio,
2 Novembre 90.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License