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O voi che ne le fosse umide e
nere
o sotto i marmi candidi dormite,
oggi un sordo romor per le severe
tacite sedi errar non lo sentite?
Oggi è il dì che i viventi in
lunghe schiere
traggon pensosi e muti a le romite
vostre dimore; ed hanno in man fiorite
ghirlande, ed hanno in cor pianto e preghiere.
Quante memorie, o Bice,
in questa notte buia e sconsolata!
Oh d'una infanzia garrula e felice,
Oh fantasie gioconde,
ribelli al ritmo di studiato verso,
erranti strofe, nenie vagabonde
de l'universo!
Oh per li elbani clivi
carme infinito di geniali accordi!
eravamo sì baldi e sì giulivi;
te ne ricordi?
Te ne ricordi? a piaggia
de l'ondata vanìan le brume stanche;
salpavan da la ripa erma e selvaggia
Tu eri piccolina,
gaia, gentile; io ruvido monello;
oh infantil bisbiglìo d'ogni mattina,
com'eri bello!
O Bice, ho ripensato,
stanotte, le paure d'altre volte,
le fole udite, mezzo addormentato,
Nella notte dei morti
in sogno rivivean quelle leggende,
scendean di scheltri, da l'avel risurti,
La visïon spettrale
riddava al mesto suon de le campane,
novellanti nel buio a funerale
Oggi non più. L'affetto
solo rivive memore al dolore,
oggi son morte le paure, e in petto
Eppur, deh, s'io vorrei
di nostra infanzia la illusione pia!
ma la tua fede nei moderni Dei
non è più mia.
Ahimè! se fosse vero,
che un trapassato spirito errabondo
potea stanotte uscir dal cimitero,
ei ben sarìa venuto,
il tuo mesto Luigi a la prigione,
m'avrìa portato il bacio ed il saluto
Ahi! muta è la sua tomba,
chiusa dal gelo nel silenzio eterno,
e la tragica squilla oggi rimbomba,
come uno scherno.
Stanotte, o Bice, invano
nel mio carcer movean le ricordanze,
invano a requie un suon tessea lontano
Ma l'aerea cöorte
de li spirti ne' miei sogni non scese,
non temo più dai morti e da la morte
Da che i vivi crudeli
m'ebber, pel mio pensiero, i polsi avvinti,
se pur non credo ne li empirei cieli,
amo questa serena
folla di atòmi, cui morte travolve;
corrosi anelli d'immortal catena,
E so ben che la vita
è un episodio ratto e passeggiero,
Un'audacia di brame inassopita,
ma so pur che, se il flutto
de l'essere, onde l'uom soffre, o gioisce,
è materia che palpita, non tutto
con lui finisce.
L'umanità non muore,
e i ruderi di noi serba immortali,
perpetüando i nostri odî, l'amore,
ali di cherubino,
torve passioni, aurore scintillanti,
di libertà radiosi in sul cammino
Qui l'averno o l'eliso
son la fraterna pace, o l'aspra guerra;
lotta il veggente, e vuole il paradiso
qui sulla terra.
Ma tu, sorella, speri,
levando prieghi supplici e devoti,
ch'ei viva in grembo ai fulgidi emisferi
Non io. Pur se il tuo pianto
men triste è al raggio de l'antica fede,
prega, sorella, nè ti offenda il canto
di chi non crede.
Lucca, Penitenziario di S.
Giorgio,
2 Novembre 90.