IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
NOTE AGLI INTERMEZZI | «» |
La prima parte di questi intermezzi, che porta il titolo «Intermezzo funebre» fu, come altrove avvertii, composta unitamente ai versi raccolti sotto l'altro titolo «Prigioni» e ad alcuni di quelli, che figurano fra le «Battaglie» durante la reclusione subìta nelle carceri dei Domenicani di Livorno e San Giorgio di Lucca.
La seconda parte degli intermezzi – che verrà inserito nel secondo volume – non è che la spigolatura di alcune fantasie, ch'io chiamerò selvatiche, e di altre d'indole famigliare, in parte pubblicate da qualche foglietto letterario della Toscana o dell'isola d'Elba, in parte ripescate tra i miei scritti di qualche anno addietro. Di questi secondi intermezzi, qualcuno, tra cui sto per mettermi io stesso, porrà in dubbio la opportunità; ma tant'è quando uno pècca, ci prende gusto; ed i peccati sono come le ciliegie, uno tira l'altro.
Il carcere indusse me in tentazione. Una volta che uno si è messo a fornicare con le Marinoni non si sa dove potrà andare a finire. Ci pensi un pochino sù la R. Procura di Milano, che mi ha intentato il quarto processo politico.
I. – Pag. 117. – Mancavano pochi giorni alle udienze fissate per il processo, quando mi giunse la triste nuova di una improvvisa e insanabile malattia, che aveva colpito il giovane fidanzato della mia unica sorella. Il povero giovine morì in Pisa il 19 Luglio, dopo aver voluto sposare, al letto di morte, la sua Bice. Nel Luglio stesso i due fidanzati, dopo il mio processo, dovevano celebrare le loro nozze; ed io avevo già, nel carcere, quasi ultimato un poemetto d'occasione per gli sponsali.
Invece la corona di nozze si convertì sotto le dita del prigioniero in una corona funebre. Solo questi versi, trafugati da un buon guardiano carcerario, potei fare pervenire a mia sorella, dopo la catastrofe, unitamente a tre epigrafi qui sotto riportate, che ora figurano incise nel marmo innalzato sulla fossa del morto, a sinistra del cimitero della Purificazione in Livorno.
Ecco le epigrafi:
A RICORDO PERENNE
DI
LUIGI MORI
STUDENTE NEL VI ANNO DI MEDICINA
MORTO IN PISA
A 26 ANNI
IL 19 LUGLIO 1890
LA SPOSA INCONSOLABILE
MITE E PENSOSO
INNAMORATO DELLA TUA SCIENZA
E DELLA TUA BICE,
ASCENDEVI BALDO TRA GLI UOMINI
LA ONESTA GIOVINEZZA,
VIVACEMENTE AMATO.
GIUNSE LA MORTE
E SUL TUO PALLIDO VOLTO
COME GUIZZO ESTREMO DI FULGIDA PACE
BRILLÒ ANCORA UN SORRISO
PER LA TUA DILETTA.
DESIO GENTILE DI GIOIE PROMESSE
DALL'AMORE,
E DAL FATO FEROCE NEGATE
ALLA TUA LUNGA FEDE.
O LUIGI,
IN TE CAREZZANO I DOLCI SOGNI
DI VERGINE, DI SPOSA,
IN TE LE PIE ILLUSIONI, LE SPERANZE.
AHI TRISTE VENTURA!
FU IL TUO LETTO DI MORTE
LA NOSTRA ARA NUZIALE;
ED I FIORI SBOCCIATI
PER LA MIA CORONA,
INGHIRLANDARONO MESTI
LA TUA SALMA.
SU L'URNA
OVE POSI, LACRIMATO DAI BUONI,
OR VIGILA E PIANGE UN AMORE
NON PERITURO.
III. – Pag. 120. – La lettera famigliare ricevuta nel carcere pochi giorni prima del processo annunziava la catastrofe imminente, e la ferma decisione del morente di unirsi, fosse pure in fin di vita, con la giovinetta sì teneramente amata.
La cerimonia nuziale, tragica per il momento in cui avveniva, ebbe luogo in Pisa; in quel giorno furono composte le due prime strofe della poesia, ultimata solo due giorni dopo la morte dello sposo infelice. Auguro agli amici dell'ordine, in un momento qualsiasi della vita, qualche cosa di simile allo strazio di quel solo giorno di prigionia, lontano e ad un tempo in prossimità della famiglia, e nella impotenza di confortare, con la presenza almeno, tanta sventura domestica.
IV. – Pag. 123. – L'ultima volta, che lo scrivente vide il povero giovine, fu in una delle occulte visite fatte a casa, mentre già pendeva il mandato di cattura. L'arresto non avvenne, che, insidiosamente, la notte del 13 Maggio.
V. – Pag. 125. – Benchè per la improvvisa sventura – le consuetudini fiscali consentendolo – la promessa del signor Procuratore del re in Livorno mi facesse sperare un colloquio intimo con mia madre il giorno dopo la catastrofe, nondimeno l'abboccamento non fu poi concesso che alla vigilia del processo, forse nella pia intenzione che il saluto sconsolato del giovine morto, portato da mia madre, avesse potuto contribuire a scuotere la fermezza dei miei principii nella imminenza del dibattimento orale.
VI. – Pag. 129. – Uno dei più crudeli spasimi del morente, oltre la malattia crudelissima, che distrusse in poco più di venti giorni sì florida giovinezza, fu il desiderio ardente in lui, ed insoddisfatto, di riabbracciare, per l'ultima volta, il compagno dei suoi studii e della sua gioventù, imprigionato. Fra le leggi della natura e quelle degli uomini, oh quanto più feroci queste ultime!
Pensées. – Pag. 135. – Non ci sarebbe da meravigliarsi, se alcuno leggendo questa poesia trovasse strane per un rivoluzionario queste tristi meditazioni sul mite linguaggio di un fiore nei giorni di lutto e ricordanze. A certa gente non riuscirà mai comprensibile, come un cuore che ama le battaglie sconfinate per le sconfinate libertà, possa anche verseggiare, dio sa come, sulle tenui e gentili significazioni di una corolla appassita, donata dalla mamma al figlio carcerato.
D'altra parte certe spiegazioni è impossibile farle entrare nei cervelli di chi sta, per suo comodo, con le maggioranze imperanti, pur di non incorrere nelle noie e nelle persecuzioni che tutte le eresie – verità del domani – si sono sempre portate dietro.
Condanna. – Pag. 137. – Il 4 agosto, con infinite e ridicole precauzioni, dopo aver fatto sgombrare tutte le vie, che dal Tribunale conducono al Carcere dei Domenicani, tornavo alla prigione, con un anno di meno nella mia vita libera.
Ciò avevano almeno decretato nella loro sentenza i giudici del Tribunale di Livorno.
Per una raffinatezza tutta medioevale di crudeltà la R. Procura rifiutò a mia sorella, vedova appena sposa, il permesso di potermi visitare e parlarmi, fosse pure a traverso le sinistre inferriate del parlatorio, dopo i colpi di tanta sventura.
A ciò allude la 15a strofa della poesia.
Ognuno comprenderà, riflettendo al momento disperato in cui il triste matrimonio si strinse, il significato della espressione vergine e vedova del verso ventunesimo.
Due Novembre. – Pag. 140. – La poesia che porta questo titolo fu scritta nel penitenziario di S. Giorgio, precisamente nella notte dei morti, e se non temessi mi si volesse imputare di far su tale argomento della lugubre retorica, sarei per accennare alla tetraggine di quella notte caliginosa, indimenticabile, trascorsa in fantasticherie tristi, mentre il lumicino moribondo crepitava nella lampada, e le campane degli infiniti campanili di Lucca chiamavano i fedeli all'ufficio notturno dei morti.
In tale ambiente ed in tale momento furono, alla meglio, tracciate le strofe ora riprodotte. Ciò per spiegare la sconsolata e tetra intonazione di questi versi.
«» |