Pietro Gori
Prigioni
Lettura del testo

AL POPOLO E A QUANTI COMBATTONO PER L'UMANESIMO

MANETTE

«»

MANETTE

A ENRICO FERRI

Enrico, allor che il polso esil mi avvinsero
coi rozzi ferri, e innanzi ai giudici mi trassero,

in quel morso sentii la rabbia tragica
che i roghi, alto, incendea presso l'altar degl'idoli.

Sentii, sotto la pelle tesa, il fremito
de l'idea che non piega d'un ferro a la tirannide;

sentii la sfida al picconiero assiduo,
al pensier cavaliere gittata da le tenebre.

E dal caos degli evi la vertigine
dei patiboli enormi, de le serene vittime

pareami del presente il novo irridere
d'inquisitori e sgherri adiposo sinedrio.

Ahi, come è vile il piccioletto secolo
cui non vampe solenni di ferocia rischiarano;

ma tirannia piccina d'ebri giullari
preme, strusciante a torno di libertà la clamide.

Ahi, morti son li alteri iddii de l'Ellade
offrenti il feral nappo a la virtù di Socrate,

spenti gl'incendi immani, onde guizzavano
a l'avvenir le idee, con le anime dei martiri.

Non siam che una genìa sozza d'ipocriti
noi che a l'età bugiarda tôr non sappiam la maschera,

noi, cui la legge sol da un boia libera,
ed i nostri pensieri ancor mozza e decapita.

O nei vecchi dominî come rapida
sui ribelli scendea l'ira de le mannaie!

Riscintillava il sangue in caldi rivoli,
e l'utopia splendea nel cospetto del popolo.

Questi mercanti da l'aspetto cinico
la lucente bipenne fra le droghe obliarono;

schivi a le pugne audaci, a l'armi splendide,
solo a colpi di spillo questi mercanti uccidono.

O per la libertà caduti militi
non per questo la vita gettaste in faccia ai trepidi;

non per questo, o d'amor solenni apostoli,
vi sanguinâr le membra, per la tortura livide!

Non perchè l'èra dei supplicii eroi
generasse cotesto ermafrodito genere

di sbirresca impotenza e di magnanime
viltà – questa ciurmaglia di panciuti carnefici.

Addenti pure il ferro le mie povere
carni, vi incida il solco de l'odio reo degli uomini;

la carne sola è vostra, o miserabili,
ma l'idea, che m'infiamma, nessun ferro può avvincere.

In essa, o Enrico, è il mio cielo più fulgido,
essa è la tersa lama, che umani odii non frangono;

che meco, dopo i tedi ansii del carcere,
dei miseri al servigio ognor vedrai combattere.

Carcere dei Domenicani, 15 Agosto.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License