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Silenzïoso il carcere
già s'addormenta ne la notte scura,
– sotto le fosche nuvole –
solenne al pari d'una sepoltura.
Vien, da lunge, la garrula
voce del mondo, impicciolita e stanca,
a morir di mestizia
e di languor su la muraglia bianca.
Io non dormo; non dormono
i miei pensieri nel cervel rovente;
e, come spettri, riddano
ne li antri paurosi de la mente.
Non son queste fantasime
i miei rimorsi; non l'alta e severa
voce del cor, che brontola
una bestemmia, o rugge una preghiera.
Se de gli anni miei giovani
ripenso il vol, dai sogni de la culla,
invano cerco tristizie
d'opre, di voglie o di pensieri. Nulla.
Ho troppo amato gli uomini,
e questo, forse, è lugubre follìa,
forse è delitto credere
d'amore ne la candida utopia.
Ma queste ombre funeree
io le vedo aggirarsi minacciose:
vedo strisciar la tenebra
in atti strani, e forme päurose.
Il rimorso è ne l'aura
di questa cella piena di misteri,
ove tanti vibrarono
foschi ricordi e torbidi pensieri.
Ove tante passarono
coscienze tempestate dal conflitto
sconsolato ed assiduo
fra l'orror de la pena e del delitto.
Questa è l'onda terribile
che batte ancora sopra i vecchi muri;
è la ridda fantastica
d'ire feroci e di mïasmi impuri.
O larve, o scheltri, o pallide
umane turbe che di qui passaste;
o brandelli di popolo,
che, forse, l'uomo e un ideale amaste;
che per l'aspro vïottolo
de la miseria – voi tradendo il fato –
siete caduti, e gli uomini,
vili! hanno riso, e non vi han sollevato.
A mucchi vi gittarono,
rottami informi – dentro a le galere,
al sole almo vi tolsero,
e al bacio santo de le primavere.
Ombre di miserabili,
lasciatemi a l'oblìo dolce e profondo;
pace, pace, o colpevoli –
o sventurati, perdoniamo il mondo.
Lucca (S. Giorgio) 10 Settembre 90.