Bruna
Le due gemelle
Lettura del testo

Testo

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Nel piccolo giardino echeggiarono gli strilli di Bianchina; allora la zia Berta si affacciò alla finestra, esclamando:

– Che c'è? Siamo alle solite? Rosina non fare la prepotente, e smetti di far piangere la sorellina!

– Ma oggi piange solo a guardarla, questa uggiosa! – rispose la bimba, rossa in viso per la stizza. – Non si può toccare!

Intanto Bianca s'era chetata, chè la sorella, sgomentata da quegli urli, le aveva reso la bambola.

La cattivella se ne stava a capo basso seduta sull'erba, con un musino lungo lungo; e Rosina, già rasserenata, aveva raccattato la sua vecchia bambola a cui diceva:

Cara la mia Violettina, non aver paura ch'io voglia più bene alla bambola nuova... essa è troppo cattiva, e la lascio tutta a Bianca che è cattiva come lei! Io vorrò bene soltanto a te, e ti farò degli abitini di seta, belli come quelli d'una regina.

Bianca, mantenendo il broncio, dava delle occhiatacce furtive alla sorellina, mentre sfaceva e rifaceva la treccia alla bella pupattola nuova di porcellana finissima.

Intanto sopraggiungeva la zia Berta.

– Dunque? – chiese tosto. – Che cos'è questa lite?

Zietta, – rispose pronta Rosina, additando la sorella, – è lei, la cattiva, che non vuole prestarmi neanche un momento la sua bambola!

– Ma tu me la rompi subito, ed io non te la do, ecco!... – ribattè l'altra con stizza.

– Ah, bimbe, ahimè! Come sta male vedere due sorelline bisticciarsi per così poco!... Perchè, Bianca, non cedi la tua bambola a Rosina per qualche minuto?

– Ma ti dico che me la rompe! E la bambola la comare l'ha regalata a me!

– Sei una scompiacente, tu! – soggiunse la zia, che, prendendo per la manina l'altra bimba se la conduceva seco in casa.

– Ecco, sempre a me la colpa! – borbottava la piccola scontrosa, presa già dal rimorso di aver negato il giocattolo alla sorella, e assai noiata di trovarsi sola ora.

Le due gemelle non di rado si bisticciavano, ma in fondo si volevano un bene dell'anima, e le piccole liti finivano sempre con una gran pace. Mai una sera erano andate a dormire senza prima baciarsi teneramente.

Rosina, più mite e remissiva, era sempre la prima a porgere la guancia rosata ai baci della sorellina. Le due bimbe si assomigliavano una all'altra in modo sorprendente, tanto che qualche volta la maestra le aveva confuse; e la mamma, per evitare quest'inconveniente, aveva pensato di legar loro un ciuffetto di capelli, con un fiocco di diverso colore; ma qualche volta le monelline se li cambiavano, ed ecco che l'equivoco si rinnovava con grande festa delle bimbe. E chiunque, fuori delle persone di famiglia, sarebbe caduto nell'inganno, chè le sorelle parevano proprio due roselline sbocciate sul medesimo stelo. Gli stessi capelli biondi e fini, gli stessi grandi occhi azzurri, gli stessi lineamenti piccini, la stessa statura, la stessa carnagione... E la mamma amava vestirle perfettamente uguali, quasi sempre bianco. Però una persona un po' perspicace e osservatrice, avrebbe potuto da piccoli dati distinguerle alla prima occhiata; in fatti, il medico di casa, che era un uomo di mente acuta, non le confondeva mai; esso, anzi, era capace di distinguerle senza neppure fissarle nel viso; a lui bastava dare uno sguardo ai loro grembiuletti, e quando vedeva venirsi davanti una delle piccine col grembiulino tutto macchie, o sbottonato, o rotto, diceva subito, tendendo l'indice:

– Tu sei Bianchina!

– Come ha fatto a conoscermi subito? – chiedeva la bimba.

– Oh, ci vuol poco! Il tuo nome sta scritto nel tuo grembiulino sudicio.

La piccola provava un gran dispetto a questa risposta, e correva dalla zia, pregandola di metterle un grembiule di bucato: ma per quanto tempo rimaneva lindo? Oh, per ben poco!

Rosina, in vece, era tutt' altro; che se le due gemelle si assomigliavano perfettamente all'esterno, avevano un'indole affatto diversa e questa era buona, dolce, ordinata, quanto l'altra prepotente, capricciosetta e sciattona. Rosina si mostrava sempre la più diligente nel fare i compiti di scuola, ed i suoi abitini ben di rado eran imbrattati di frutta e di polvere come quelli dell'altra. Pure a malgrado della differenza di carattere, a malgrado delle piccole liti, ripeto, le due sorelline si amavano teneramente e non potevano vivere lontane nemmeno un'ora. La zia Berta, una bella e angelica giovinetta, sorella della mamma delle piccine, faceva parte della famiglia, chè da parecchi anni era rimasta orfana, e la buona fanciulla si occupava continuamente delle nipotine, trastullandosi perfino con loro, quasi fosse una bimba della medesima età. Era lei che vestiva le bambole all'ultima moda, dal cappello alle scarpe, con una pazienza mirabile; era lei che, quando le bimbe si bisticciavano, trovava sempre modo di metterle d'accordo; era lei che faceva ripassar loro le lezioni di scuola, tanto che la mamma qualche volta le diceva sorridendo:

– Ma, Berta, tu me le rubi quelle figliuole! Ormai sono più tue che mie.

Intanto le piccoline amavano la zia quasi quanto la mamma.

Nel giorno della baruffa per la bambola nuova, Rosina dunque entrò in casa con la zia, lasciando la piccola egoista sola nel giardino. La giovinetta condusse. Rosina in camera sua e, per risarcirla della prepotenza della sorellina, le promise di comprarle una bambola nuova, la prima volta che recherebbesi in città; poi, tirando un cassettino ben noto alle bimbe, le diede una manciata di dolci.

– E ora dammi un bel bacio per ringraziamento! –disse la zia, e Rosina tosto obbedì, baciandola lungamente sulle gote; ma, al contatto della piccola bocca, calda più del naturale, Berta si preoccupò, e, fissando ben bene in volto la nipotina, chiese:

– Ti senti poco bene, mimma cara?... Hai labbra scottanti! Ed ora che ti osservo meglio, vedo che sei rossa rossa!... Anche la fronte ti brucia; che hai, tesoro?

– Ho solo un po' di male alla testa, zia, ma non tanto, – rispose la piccolina, rosicando un confetto.

– Ma non mangiare i dolci allora, carina mia!... Tu hai la febbre, lo vedo bene, e sarà meglio metterti in letto.

– In letto? – piagnucolò la nipotina. – In letto ora che è giorno?...

– È meglio sai, Rosina, che tu sia bonina come sempre... che tu dia ascolto alla zia... e domani starai benone! Vedi? Il sole è già basso, e fra poco è sera; dunque? Domani, quando ti alzi, ritroverai i dolci, e farai il pranzetto alla bambola.

E tanto disse, tanto fece la paziente fanciulla, che la piccina si lasciò persuadere, tanto più che aveva sopportato il giorno intero quel male alla testa, e ora non ne poteva più. Poi fu molto contenta che la mamma la volesse porre nel suo letto per non abbandonarla in tutta la notte.

– Ma e Bianca? dormirà sola? – chiese poi.

Sta' cheta, Bianca dormirà con me, – rispose la zia, e la piccina si mise tranquilla e si assopì.

Come Bianca rientrò, stanca di quella insolita solitudine, chiese tosto della sorellina, e, apprendendo che aveva dovuto mettersi in letto con la febbre, fu presa da un vivo morso.

Perchè, zia, le è venuta la febbre alla mia sorellina?

– Non so, cara.

– Non posso darle un bacio? Dimmi...

– Ma sì, ti condurrò da lei, e tu le darai un bacio; purchè tu lo faccia con molto garbo per non svegliarla.

E la zia entrò con Bianca in punta di piedi nella stanza semibuia, ove dormiva la malatina. La piccina si avvicinò al letto senza fare il minimo rumore, e posò leggermente le labbra sulla fronte della sorellina.

– Come brucia! – esclamò.

Era appena uscita dalla stanza che incontrò il babbo, accompagnato dal dottore, quest'ultimo, come al solito, appena la scorse, tese l'indice, e, disse:

– Tu sei Bianchina, chè il tuo grembiule è nerino più che mai! – La zia e il babbo risero, ma la bimba provò un gran dispetto, e fu per mettersi a piangere, tanto più che il suo cuoricino era infinitamente oppresso per l'angustia e il rimorso. Essa in quel giorno richiese mille volte alla zia:

Credi che domani Rosina potrà alzarsi?... Credi che domani starà bene?... Credi che guarirà, presto?...

– Ma sì, cara, domani starà bene certamente, – rispondeva la zia, e Bianca, fidando in quelle parole, si coricò più quieta.

In vece il giorno appresso Rosina non potè levarsi, chè le era cresciuta la febbre, e Bianca non la vide nemmeno, avendo il dottore proibito ch'ella entrasse nella stanza della malata

Cattivo, cattivo dottore! strillava la piccola. È sempre lui che mi dispiaceri! È lui che ordina le medicine cattive! È lui che dice le cattive cose! E ora non vuole neppure che io vada a vedere la mia sorellina!

Ci volle del bello e del buono a calmarla; quella povera zia Berta non sapeva più che argomento trovare per persuadere la bimba ad essere docile e rassegnata.

E questa scena si ripetè sovente, chè Rosina non accennava a guarire, e anzi si temeva che il male volgesse al serio. La febbre infettiva le rimetteva ogni giorno, e sempre più alta, producendo agitazioni e delirii che lasciavano poi la malatina prostrata e sfinita. La mamma e il babbo, angustiatissimi, passavano la notte alzati, dormendo appena qualche ora, sulle poltrone, e Berta pure assai spesso si levava la notte per accorrere presso la piccola inferma.

*
* *

Erano passati quindici giorni e lo stato di salute della povera piccina non variava; il medico tentava invano di combattere la febbre infettiva che non cessava di minare l'esistenza della dolce creaturina. In casa, la costernazione era immensa. Ogni tanto la mamma si avvicinava al letto della malatina e interrogava ansiosamente il medico, mentre Bianca passava molte ore sola, nel giardinetto, o in compagnia delle donne di servizio. Ella ormai non chiedeva più di vedere la sorella, osava neanche domandare notizie di lei, tanto quella risposta sempre uguale le faceva male. Pareva che i suoi sette anni fossero diventati dodici, in quei pochi giorni; la bimba era cambiata in modo visibilissimo, e se tutti non fossero stati tanto preoccupati per l'altra, certo si sarebbero stupiti di vederla così tranquilla e silenziosa per ore ed ore.

Ella andava spesso a rifugiarsi nella stanzetta che aveva in comune con la sorellina, prima che il male le dividesse, e colà, seduta presso il cassettone, che conteneva i loro giocattoli, li ordinava con molta cura, e a mano a mano che ne toccava uno, appartenente alla povera Rosina, Bianca, prima di riporlo, lo baciava con devozione e tenerezza. Spesso anche piangeva, piangeva desolatamente sola sola, e ripensava con profonda angoscia a tutte le volte che era stata cattiva e ingiusta con la sorellina, e la sua piccola coscienza non trovava pace, risovvenendosi come l'ultima volta che avevano giocato assieme, ella s'era rifiutata di prestarle la sua bella bambola nuova.

La bella bambola riccamente vestita giaceva ora nella sua cassettina, e da molto tempo era , che la fanciulletta non aveva avuto più cuore nemmeno di toccarla.

Un giorno il medico, incontrando per le scale la bimba, disse a Berta che l'accompagnava:

– Questa figliuola è molto dimagrita! Ed ha il grembiulino troppo lindo... – aggiunse, sorridendo. – Bisogna farla passeggiare, tenerla molte ore all'aria aperta... Così non mi piace affatto, non mi piace affatto! – E il giorno seguente, vestita dell'abitino da festa, fu accompagnata al passeggio dalla cameriera.

Bianchina non vi si oppose; si lasciò vestire docilmente, e seguì la donna senza neppure chiedere dove la conducesse. Attraversando il giardino ella levò gli occhi per vedere la finestra della malata, e come al solito, vide le persiane chiuse.

La donna di servizio, appena varcato il cancello del giardino, trovò sulla via una sua amica che le si accompagnò, e le due ragazze si misero a discorrere tra loro senza quasi più badare alla bimba che le seguiva silenziosa e malinconica.

A un certo punto Bianca s'accorse che le donne avevano abbassato la voce, e, porgendo tutta l'attenzione possibile, ella potè capire che parlavano della sua sorellina. Il cuore le diede un colpo violento, e tese l'orecchio. La sua cameriera diceva:

– Eh, il dottore dice che ci vorrebbe un miracolo della Madonna, senza di che...

Povera picciolina! – esclamava l'altra! – Così buona e bella!... ma chi sa? La Madonna ne fa tanti dei miracoli! Io so d'una donna che, a forza di pregare con grande fervore, ebbe la consolazione di vedersi guarire il suo unico figliuolo, già spacciato da tutti i medici! Dicono che quando c'è la fede, il Cielo aiuta sempre!

– La mia povera signora non fa che piangere, – soggiungeva l'altra. – È una pietà!

Speriamo che Iddio la voglia aiutare; è tanto una buona signora, e non può a meno di ottenere la grazia!...

Poi le due donne cambiarono argomento ai loro discorsi e la bimba si chiuse tutta in una sua idea, piena di speranza e di fede.

La sera, dopo che la zia l'ebbe messa in letto con amorevole cura, e baciata lungamente, le disse:

Ora dormi; io non mi muovo di qui.

Berta era seduta presso un tavolino, ai piedi del letto, e leggeva. Intanto la piccina non poteva pigliar sonno; ella tra le lunghe ciglia semichiuse, osservava furtivamente la zia che appariva tanto smorta alla fioca luce della piccola lampada velata d'azzurro. Ella la vedeva spesso volgere il capo e guardarla, come per assicurarsi che dormiva, poi consultare l'orologio; alfine, ingannata dall'immobilità della nipotina, Berta si levò con cautela, accese la candela e in punta di piedi uscì dalla stanza.

Appena la bimba si trovò sola, balzò dal letto, e così, in camicia, scalza, si diresse alla porta. Fortunatamente la zia non aveva chiuso con lo scrocco, così che ella potè uscire senza fare alcun rumore. La sala non era totalmente buia, che dai balconi semiaperti entrava un pallido bagliore lunare, e Bianca si avviò sicura ad una porta di fronte alla sua, chiusa solo da gravi tende di damasco violaceo.

Giunta colà, s'insinuò fra le cortine e il suo scopo era raggiunto!...

La piccola cappella che riceveva luce da due alte finestre bifore era dolcemente rischiarata dalla luna, i cui raggi penetravano a traverso le limpide vetrate.

Tutto l'altare e la statua della Vergine erano avvolti da quel blando lume d'argento, e il volto della soave immagine pareva quasi aver vita.

La bimba s'inginocchiò, pregando ad alta voce così:

Madonnina bella. Voi che fate tante grazie, concedete la salute alla mia sorellina!... Se la fate guarire, io per riconoscenza diverrò buona come gli angeli del paradiso!... Se la farete guarire, Madonnina santa, io....

E, presa da un'idea improvvisa, si levò, sporse la testina tra la portiera, e vedendo che la sala era sempre deserta, l'attraversò di nuovo, correndo, e, penetrata in una stanza buia, si diede a cercare affannosamente... E dire che Bianchina aveva tanta paura del buio!... Ma non pensava a fandonie ora, tutta infiammata dalla sua fede dolcissima.

Finalmente, ecco, le manine trovarono, trovarono quello che cercavano, e la bimba uscì trionfante, recando una cassettina sotto il braccio. Era quella che conteneva la sua bella bambola nuova, con tutto il ricco corredino, il suo tesoro più caro!

In quella ricerca affannosa, al buio, la bimba aveva battuto il capo nel cassettone e ne portava il livido, ma ella neppure di questo si era curata, aveva la certezza che la Madonna avrebbe accettato la sua offerta, e che, in compenso, le farebbe guarire la sorellina, così che, per compiere il suo voto, sarebbe andata in capo al mondo, sfidando tutti i pericoli.

Bianchina, come fu rientrata nella cappella, posò la cassetta del suo tesoro ai piedi dell'altare e, inginocchiandosi di nuovo, riprese la preghiera interrotta:

– Ecco, Madonnina buona, io la regalo a Voi la mia bambola...

In quel punto le parve di udire dei passi nella sala e un suono di voci...

La bimba si mise ad origliare. Un lume apparve; era la zia, la zia col babbo, e parlavano così lietamente che la bimba ne fu stupita.

Si sporse un poco e vide, in fatti, che sorridevano e udì che il babbo diceva, giungendo le mani:

Dio sia ringraziato! Mi sembra di ritornare dalla morte alla vita! – e la zia rispondeva:

– È stata una crisi, una crisi benefica che ce l'ha salvata!...

Bianca non potè più frenarsi, e, slanciatasi incontro a quei due, si mise a gridare, battendo le manine:

– È guarita, è guarita, è guarita!...

Figurarsi la sorpresa del babbo e della zia! Quest'ultima prese fra le braccia la piccina, la quale, con una grande confusione di parole, narrava il voto allora allora compiuto.

– La Madonna ti ha ascoltata, angioletto mio! – disse il babbo, baciandola amorosamente, – che la tua sorellina da poche ore ha ripreso conoscenza ed ha chiesto del brodo.

Il dottore dice che è salva, e presto la potrai vedere.

Bianchina, eccitata dalla gioia, voleva ad ogni costo vederla subito, ma la zia le fece riflettere che, se non stava queta e non obbediva, la Madonna avrebbe potuto castigarla, facendo peggiorare la loro diletta Rosina.

Domani se sarai buona, tu la rivedrai; sei contenta?

E il domani, in fatti, le due gemelle ebbero la gioia di riabbracciarsi e lo fecero con tanto ardore che gli astanti piangevano di tenerezza.

*
* *

Molti anni sono passati da quel giorno, le due bimbe sono divenute giovinette, ma nella cappella ai piedi dell'altare, ancora dorme la bella pupattola consacrata dall'innocente creaturina in uno slancio di così mirabile e commovente amore fraterno.

FINE

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License