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Penso una cameretta umil nel pallido
chiaror del vespro, ove una madre china
su la culla del bimbo veglia. Trepida
quell'alma tutta a la speranza inclina.
Ma la parola del destin, terribile,
minaccia la capanna. Ascolta al vento,
la vegliante, da lungi il bosco fremere,
e scoppiettar il fuoco semispento;
nè questi detti ell'ode: – Già da secoli
scritta con altre sta la tua ventura,
e non sarà che pianti e preci mutino
tale decreto, fragil creatura.
Affannoso cammin, angoscie, lagrime,
avrai, debole core! – S'addormenta
il fanciullino ne la culla tepida,
ed una nenia gli ricanta lenta
la madre; esce la voce un poco tremula,
e la canzone par preghiera e pianto.
Sommessa, così canta: – Dormi piccolo
re de la casa, che nel cielo, intanto,
s'aprono mille occhietti ardenti, e guardano
la tua testina d'oro che riposa.
De la tua mamma le preghiere salgono
per la volta stellata luminosa;
salgono le preghiere fino agli angeli,
salgono a favellar del figlio mio,
e fior, soltanto fiori farà sorgere
sul suo cammin benignamente Iddio. –
Ancora si ripete, e più inflessibile,
la sentenza del fato. L'ombra pare
popolata di larve che s'aggirino
gemendo intorno al queto focolare.
E la voce materna, tenerissima,
riprende il canto ch'è preghiera e speme,
indi si tace, e lungamente vibrano
nell'aere le dolci note estreme.