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«....... de' tuoi canti il nido,
Il covo de' tuoi sogni io ben lo so.
Ondeggiante di canape è l'infido
Piano che sfugge al curvo Reno e al Po.»
Così diceva il nostro poeta all'autore del Mago; così potrei dire anch'io all'autrice dei versi raccolti in questo volumetto. E dovrei proseguire:
«Oh largo su gli alti argini del fiume
Risplender rosso de l'estiva sera!
Oh palpitante de la luna al lume
Tenero verdeggiar di primavera!»
Prima di dichinare all'Alberino, ove Giosue Carducci e Severino Ferrari tornano poeti in pensieri di amore, l'insidioso Reno passa presso Cento, di che la città si abbella e rattrista. Se gli alti argini donde si ammirano i fiammeggianti tramonti cedessero all'impeto di furiosa piena, rovina e lutto si spargerebbero nell'antica terra e nel suo colto piano.
Cento, chi mai potrà nominarti senza pensare al tuo Guercino? Gloria purissima è l'arte, che non si oscura per variare di leggi e di costume; diadema dell'Italia anche nei giorni del servaggio. Ecco, basta il sopranome di un pittore a dare perenne fama a una città. Che importa se non è vasta e popolosa?
Le mura di Cento non hanno largo circuito e male reggerebbero, non che ad artiglieria, ad armi bianche. Ma nessun rumore di guerra! Dell'oste papale e dell'estense più non si teme; solo ne ragionano gli eruditi. I cittadini, franchi dalle molestie del dazio, escono dai loro orti sui terrapieni, che chiamano rampari, donde si gode la placida veduta della pianura, e lontano, circonfusi di vapori, si disegnano da una parte gli Appennini e tavolta dall'altra le maestose Alpi. Sussurrano al vento i spesseggianti pioppi; smeraldini sono i campi in primavera, quando la canapa tenerella non ha ancora per gli ardori del cadente giugno ingiallite le foglie.
Suonano sovente le campane a festa, dando all'anima grande dolcezza. È forse una armonia speciale di quelle vecchie squille, o l'arte di chi le muove? Sono arie antiche che ricordano un tempo svanito? Non so. I divini versi di Dante, la pagina maravigliosa di Chateaubriand sulle campane ti tornano alla mente: sosti e mediti.
Ma se lasciando gli spalti, o il malinconico e grave viale che mena al camposanto, ovvero l'argine di Reno entriamo in città, il ricordo di molti centesi che illustrarono la loro terra ci è ravvivato dalle iscrizioni e dalle tavolette dei nomi delle vie. La statua del Guercino è onoranza meritamente resa al più celebre concittadino; ma lo spirito di lui, meglio che in quel marmo, vive nei suoi quadri raccolti in buon numero nella pinacoteca, che è il suo vero monumento, e nella chiesa del Rosario, in quella cappella da lui ideata e dipinta, ove il suo genio austero e pio si manifesta, non senza pagare qualche tributo alle bizzarrie del suo tempo. L'Accarisi e il Cremonino, l'uno che primo compilò il vocabolario italiano, l'altro che vide tanto addentro nel pensiero aristotelico, sono nomi chiari e anche oggi ispiratori di opere d'ingegno; chè una biblioteca, intitolatasi dal filosofo, rinasce a dispensare il sapere e ad eccitare gli studi. Ma noi italiani del risorgimento fra le mura di Cento divotamente ripensiamo piuttosto al barnabita centese, che congiunse in un sacro, unico amore la fede e l'Italia per cui diede la vita. La palla che uccise Ugo Bassi lui liberò dalla mortale salma e dischiuse all'ardente spirito le vie della immortalità: ma colpì a morte un regimine sacerdotale che neppure sapeva o poteva difendere i sacerdoti dai fucili stranieri, venuti ad instaurarlo.
Cento, città di memorie, ma non morta, anzi modernamente operosa e civile; città tranquilla, ove è dolce il meditare: chi vi cercasse la folla e il rumore non vi troverebbe spasso; ma neppure saprebbe cogliere i fiori olezzanti che nascono, come i versi di Bruna, negli umili e appartati orti.
Il titolo veritiero del volumetto indica che alla gentile scrittrice, a cui sembrarono fin troppo frequentate le vie di Cento, piacque soltanto la solitudine del suo orticello. Meditabor ut columba parve dicesse; né meditò senza lagrime e senza sospiri per una ferita sempre aperta nel cuore, e il lamento le esciva melodioso dal labbro; nè avrebbe scritto se non avesse amato e pianto.
«Scrivo sol per sfogar l'interna doglia.»
Così potrebbe ella cantare, come Vittoria Colonna.
Già un primo volumetto di poesie di Bruna – Petali e lagrime – vide la luce, gustato dalle anime gentili. Per la maggior parte anche i versi quì appresso raccolti sono elegiaci, ma senza affettazione; elegia vera, se, come voleva il severo Boileau, nella elegia deve parlare il cuore. Una stretta corrispondenza di sensi tra la natura e il poeta; ma natura che parli con suoni tenui, e poeta che ascolti e interpreti le arcane voci quasi a commento dei propri pensieri. Non mai la sincera Bruna cercherebbe immagini lontano dal suo nido: i cipressi del camposanto, l'abete e il pero del suo orto, il verdeggiare della primavera nelle aiuole e il cadere autunnale delle foglie le suggeriscono i pensieri di amore e di dolore, di malinconia e qualche volta di speranza; speranza oltramondana che riscalda le Pagine pie.
Ma dell'amabile fantasia di Bruna è stimolo la musica, di cui è cultrice appassionata:
Così essa. La solitaria via risuona degli accenti ora solenni, ora agitati, sempre caldi del violino di Bruna. Si fermano i viandanti e chiamano altri ad ascoltare. Accompagna la quasi umana voce dell'istrumento un cembalo toccato con maestria. Chi saprebbe dire fin dove salga la immaginativa di due sorelle avvinte dai legami dell'affetto e dell'arte?
Qualche favilla delle alte visioni resta nei versi di Bruna.
Penetrare nell'intimo significato dei suoni è assai più che prenderne il diletto a tutti concesso. Si sa che i suoni disposti con certe norme hanno quella straordinaria efficacia sull'anima che i Greci simboleggiarono nel mito di Orfeo.
Ma senza correre l'alto mare della estetica, ove nella immensità mi annegherei, tenendomi presso la riva malinconica e soave ove m'invita l'autrice di Petali e lagrime e di Solitudine, chiederò non agl'ipercritici, (in più sublimi o recondite cose occupati) bensì al discreto lettore: può il poeta cogliere il pensiero del compositore di musica in guisa che gli riesca d'interpretare con ordine e simmetria di parole le idee indefinite, i cento affetti diversi che, quasi ombre e fantasmi, all'accesa fantasia di esso compositore danzano dinnanzi?
Alcuni moderni, come il Fogazzaro, lo tentarono, e anche Bruna.
Nel melodramma la musica deve adattarsi alle parole; ma non sempre è stato così; delle parole si faceva strazio. Ora invece si richiede stretta corrispondenza tra musica e poesia. Ma nella musica istrumentale sembra che il compositore già si muova in quelle spere ove le anime sciolte dai lacci del corpo s'intenderanno in un'armonia celeste. Quando Beethoven volle imitare la natura, fu così preciso ed evidente che non descrizione di poeta, non tela di pittore potevano esserlo di più. Quando lasciò sprigionare le ire, le tempeste, le rivolte, le tenerezze, gli ardori, gli spasimi del suo animo, che dico? del genere umano, e mille diversi suoni ridusse ad una imponente e serena armonia fu difficilmente interpretato dai commentatori. Musica e poesia sono due linguaggi che in questa terra vanno accordanti, ma disgiunti e che al di là forse si fonderanno in uno solo.
Potrei io senza indiscrezione svelare il nome che si nasconde sotto un pseudonimo, noto omai e caro a molte anime sensibili? I letterati della scuola purista ebbero tal nome, degnamente portato dall'avo di Bruna, in grande estimazione per i servigi resi alla lingua italiana, che maggiori sarebbero stati, se la morte troppo presto non avesse troncato una vita di studi. E ancora nello scrittoio del filologo, tutto pieno dei suoi libri e dei suoi pensieri, sta inedito il volgarizzamento sanese della Eneide, che egli a vantaggio delle belle lettere meditava di dare alle stampe.
Dovrei io qui pedanteggiare sulla lingua e sullo stile di Bruna? Tocca a chi se n'intende. Credo solo di poter dire, che la sincerità, la spontaneità e la naturalezza dei versi riuniti in questo volume appagheranno il lettore che ha serbato tuttora gusti semplici in tanta artificiosità e leziosità di concetti e di forma. Bruna non vuole innovare, nè filosofare; studia i buoni autori e canta a quel modo che amore le detta dentro.
Che cosa vale omai la poesia? Si debbono scrivere versi? Non so. Ben so che i versi abbondano, e non soltanto tra noi, in questi tempi di agitazioni economiche, che oscurano le nobili virtù della generosità e della gratitudine e bandiscono la pace dai palagi e dai casolari, Se i giovani mostrano propensione all'arte e amore al bello dovremo dolercene? La poesia ha reso così segnalati servigi alla nazione italiana, ha tanto contribuito al suo risorgimento che, se non altro per riconoscenza, non ne dovremo dire troppo male, anche se soverchiamente abbondevole e, conveniamone pure, spesso ciarliera e insulsa.
La solitaria e discreta Bruna disse le sue speranze, i suoi sogni e il suo dolore, come quell'augellino caro al Leopardi che schivava gli spassi e trapassava cantando dell'anno e di sua vita il fiore più bello.