Pietro Gori
Ceneri e faville
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Ceneri e Faville

AL POPOLO

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Ceneri e Faville
AL POPOLO1

Come al suo nascere, così pure innanzi di morire il nostro giornale manda a te, o popolo, la parola del saluto e dell'incitamento.

L'Amico del Popolo, cade, non vinto, ravvolto nelle pieghe della sua bandiera. Cade, ma non muore. Un re, che il Giusti chiamò il Savoiardo dai rimorsi giallo, e che i cortigiani spudoratamente appellaron magnanimo, elargì nel 1848 una legge sulla stampa, mutilatrice di quel cencio di libertà – se è permesso contaminare la santa parola – nello statuto promessa. Con cotesta legge alla mano, e stiracchiandola nel senso più ferocemente reazionario, gli scherani della borghesia colpirono il giornale di cinque sequestri in cinque numeri, senza contare il presente, che, col vento che tira, sarà indubbiamente sequestrato.

Ma noi non vogliamo, che cotesta gente vendereccia e venduta rubi settimanalmente su questo giornale, alimentata dai risparmi degli sfruttati, quanto rappresenta la offerta magnanima e l'incompreso sacrificio del popolo sopra i suoi santi sudori; noi non vogliamo, che per il pretesto di carpire qualche copia del temuto giornaletto, una sgherraglia prezzolata dalla più vil tirannia, la tirannia delle pance piene, ponga le mani mercenarie sulla persona dei compagni nostri più conosciuti, frughi sfacciatamente nelle tasche degli operai sospetti di anarchismo, e percuota con la crudel villania dell'idiotismo venduto alla imbecillità, i giovinetti lavoratori, che cercano nella propaganda socialista anarchica i fecondi entusiasmi della nuova rivoluzione, e ammanetti borbonicamente fanciulli rei di propalare l'odiato Amico del Popolo e della verità.

Stupidi, è vero, noi fummo, quando abbiamo pensato, che il sangue dei padri nostri non fosse poi stato del tutto inutilmente sparso in prò d'una Italia ch'or si addimostra più croata che mai, e quando sperammo che sugli ossari del martirologio infruttuoso scendesse pallidissimo, ma consolatore, un raggio purchessia delle anelate libertà.

Noi sapevamo che legge è rete insidiosa in mano ai potenti della terra. E fummo sì stolti di fare dell'Amico del Popolo una pubblicazione periodica, col povero capro espiatorio di gerente, ed ossequiosa a tutte le formalità volute dalla legge, per vedere poi legalmente soffocata la nostra voce. Oggi ci siamo ricreduti. Pastoie legali, nemmen di forma, non ne vogliamo più.

L'Amico del Popolo non muore, ma squarcia la camicia di Nesso nella sua periodicità legale e, come il catecumeno perseguitato, e come il suo predecessore omonimo, del 1792, l'Ami du Peuple del grande Marat, si ritrae a vita antilegale e sotterranea, per comparire a sbalzi, inaspettato e implacabile, sotto la forma di opuscoli, di numeri unici, di manifesti.

***

Ma prima di abbandonare la sua pubblicità periodica, l'Amico del Popolo vuol lanciare ai lavoratori, ai proletaria, ai ribelli, riassunto in brevi periodi, il suo programma economico-sociale, come una suprema dichiarazione di guerra alla società borghese ipocrita ed affamatrice.

Noi combattiamo, o popolo, per la uguaglianza, innanzi tutto; ma per la vera e propria uguaglianza – non per quella mendace scritta sui muri dei tribunali dell'Italia monarchica e sulle monete della Francia repubblicana.

Noi vogliamo che tutto appartenga a tutti; vogliamo che le macchine sieno date agli operai che le rendono produttive, e che sieno espropriate agli attuali padroni, che arricchiscono sulle fatiche dei lavoratori. Vogliamo che le terre sieno tolta agli oziosi proprietarii, che se ne stanno in città nel lusso e nell'orgia, e che sieno lasciate ai contadini, che le coltivano e le rendono fruttifere. Vogliamo, in una parola, che tutti gli istrumenti del lavoro tornino in possesso dei lavoratori liberamente associati, e che tutte le sorgenti naturali ed artificiali della ricchezza e della produzione, nonchè la produzione stessa, sieno dichiarati proprietà di tutti. Per questo noi ci dichiariamo comunisti. E sfidiamo chiunque non sia animato da sentimenti egoistici, a sostenere che la vera eguaglianza è possibile all'infuori del comunismo, che sintetizza i rapporti del dare e dell'avere tra individuo e società, colla vecchia ma insuperabile formula: da ciascuno secondo le sue forze, a ciascuno secondo i suoi bisogni.

***

Ma senza completa libertà non v'è completa eguaglianza; come senza vera eguaglianza non è concepibile vera e propria libertà. Chi non possiede è schiavo di chi possiede, come colui che domina politicamente, anche economicamente tende a divenire il signore dei governati. Come adunque non è possibile effettuare la uguaglianza senza sopprimere i padroni, spossessandoli di quanto ingiustamente detengono, cioè del privilegio economico, che chiamasi proprietà, così non è possibile rivendicare la libertà senza eliminare i governanti togliendo loro il governo, che è il privilegio politico onde opprimere gli altri. Non più padroni salariati non più governanti governati. Tutti liberi nella uguaglianza, tutti uguali nella libertà.

Senza proprietà privata, e quindi senza padroni, e di conseguenza senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, tutti gli individui saranno economicamente uguali; e questo è il comunismo o proprietà comune di tutte le cose.

Senza governo, senza autorità dell'uomo sull'uomo, senza la violenza morale di leggi anti-naturali, e senza sbirri burocrazie, tutti gli uomini saranno politicamente liberi; cioè ogni individuo avrà la piena ed esclusiva sovranità sopra se stesso e non troverà la coazione a cooperare al bene collettivo se non nel movente spontaneo del suo individuale interesse: donde l'armonia dell'interesse di ciascuno con l'interesse di tutti. Ma cotesta libertà è l'anarchialibertà delle libertà. Ci dichiariamo adunque comunisti anarchici, vogliamo essere veramente eguali e completamente liberi.

***

Ma noi che vogliamo la liberazione di tutti gli oppressi, noi che amiamo vivamente le nostre madri, le nostre sorelle, le compagne della nostra vita e dei nostri dolori, gridiamo a coteste povere creature doppiamente schiave, del padrone e del maschio: Venite a noi, o sventurate, e combattiamo per la redenzione di tutti i miseri, tra cui voi siete le infelicissime.

Vi dicono che noi vogliamo distruggere i più santi affetti di famiglia. Ma c'è per voi una famiglia, o poveri martiri del lavoro dei campi e della officina? per voi giovinette vendute, senza amore e per una bassa speculazione d'interesse materiale, alla prostituzione legale del matrimonio? per voi fanciulle deflorate dalla libidine d'un padrone libertino e gettate al mercimonio della pubblica via? per voi irresponsabili infanticide consacrate alla galera, dal tradimento degli eleganti ladri delle vostre verginità, per voi, sconsolate e vecchie zitelle dannate ad una eterna castità dallo stupido convenzionalismo sociale, che chiama immorali gli stimoli imperiosi del cuore e della carne, che non sieno controllati dallo Stato Civile? per voi sfortunatissimi e logori strumenti del piacere borghese, per voi, venustà già comprate per fame sul mercato delle schiave bianche, ed or putrescenti nelle sozze corsie dei sifilicomi?

Che n'e infine, o donne, o gentile e dolorosa metà del genere umano, che n'è della vostra libertà e della vostra dignità, in faccia alla prepotenza ed al sopruso del sesso dei maschi?

Questa società immorale, che lucra sulla vostra operosità di lavoratrici, sulla vostra bellezza di ragazze da marito, questa accozzaglia di gente e di leggi, pudibonde a parole ed inquinate di sifilide morale fino alle midolla, hanno la rea burbanza di chiamarci rinnegatori dei più gentili affetti, perchè vogliamo abolito il matrimonio-contratto di interessi e non libero patto di sentiti affetti, e perchè vogliamo rivendicare anche all'amore la sua libertà, strappandolo alle pastoie del codice, ai raggiri della speculazione interessata, alle menzogne del moralismo convenzionale.

O donne, non prestate fede alla nera calunnia di cotesti mercanti di cuori e di coscienze. Essi, i mantenuti, i lenoni, mentiscono ed hanno interesse ad ingannarvi sul conto nostro.

Noi vogliamo purificare l'unione sessuale; niente altro. Renderla disinteressata, coll'abolire la proprietà, movente principale di ogni basso calcolo d'interesse; renderla libera coll'infrangere le catene che ne inceppano le spontanee naturali manifestazioni.

Proclamare l'amore libero non è che dichiarare legittimo e santo ogni accoppiamento per la sublime e morale opera della procreazione – ch'è suprema necessità per la vita della specie. Abolire il vincolo civile del matrimonio per sostituirvi l'allacciamento spontaneo di due cuori e di due corpi tendenti ad unirsi per affinità elettiva e per tempo illimitato, non è che impiantare la famiglia dell'amore, in luogo dell'attuale famiglia dell'interesse. – È, in una parola promulgare la universale legge di natura, in sostituzione delle varie artificiose leggi manipolate dagli uomini, nell'interesse di una classe dominante o di un sesso privilegiato.

Ecco perchè i comunisti-anarchici propugnano il libero amore, come la forma naturale dei rapporti sessuali in una società di uomini sinceramente eguali e completamente liberi.

***

I preti dicono che gli anarchici vogliono distruggere la religione. Hanno forse una religione i preti che non sia quella della loro pancia e del loro benessere materiale?

Gli anarchici non vogliono che la libertà per tutti; vogliono distruggere il pregiudizio e la superstizione, e proclamare la scienza maestra e regolatrice della vita. La scienza poi, ch'è positiva ed antireligiosa, farà da .

Ma gli anarchici non vogliono più patria, grida la gente timorata; rinnegano anche la cara patria, costoro! Vediamo un : dov'è la patria per l'operaio patriotticamente sfruttato dal padrone, fino al giorno in cui, diventato inutile, gli si chiude in faccia la porta dell'officina, e si getta senza lavoro e senza conforti sul lastrico? Dov'è la patria per il contadino pellagroso, cacciato dalla fame nelle patrie risaie, per il bracciante costretto a cercar al di dell'oceano terre meno avare di quelle in cui è nato, e cittadini un più umani de' suoi compatriotti? non ci sono doveri dove non ci sono diritti. Che diritti hanno i proletari in patria, se non l'onore di difendere la terra da loro coltivata e la roba da essi prodotta, e che solo i ricchi si godono? Tra Vanderbildt miliardario ed il suo compatriotta Lazzaro mendicante, c'è tanto di comune e di fraterno quanto fra un miserabile cittadino languente di fame, tra i fiori del bel giardino Italico, e il celestiale imperatore dei Chinesi. Ma c'è bensì tutto di comune fra il contadino italiano ed il povero fittaiuolo irlandese, fra gli operai dissanguati dell'Italia monarchica ed i salariati della Francia repubblicana, che fa gli esperimenti della polvere senza fumo sul petto dei lavoratori. C'è di comune la miseria, la ignoranza, l'abbrutimento, l'incoscienza dei propri diritti.

E i governanti, ed i mestatori ambiziosi, onde meglio dominare, si affannano a suscitare odî fratricidi tra popolo e popolo, per la così detta dignità della bandiera, o per futili questioni di nazionalità. Se non che i popoli hanno ormai compreso il giuochetto insidioso dei potenti e dei patrioti. I lavoratori cominciano già a capire che i nemici non stanno al di di questa o di quella frontiera, ma sono in ogni paese; sono in ogni patria: governanti e padroni, prepotenti e parassiti; e stringono da un capo all'altro del mondo, le reti della universale camorra poliziesco-capitalistica, che sfrutta, dissangua ed opprime la maggiore e miglior parte del genere umano.

Questa alleanza internazionale dei diseredati e degli oppressi di tutte le patrie in aperta rivolta contro la coalizione dei governi e delle borghesie, rovescerà tutti i vecchi ordinamenti sociali a base di sfruttamento, di privilegio, e di tirannide, instaurando su tutta la terra un'Era nuova di amore e di benessere tra gli uomini resi liberi, ed uguali.

Per tal ragione i comunisti-anarchici sono anche internazionalisti.

***

Ma tutto questo rinnovamento sostanziale e profondo della società umana non è possibile se non mercè la violenta insurrezione del popolo contro la violenza legale degli attuali privilegi economici e politici. Donde la necessità d'una rivoluzione sociale.

Noi siamo adunque antilegalitari e rivoluzionari, e, l'Amico del Popolo, nella nuova fase di vita battagliera, in cui sta per entrare a dispetto elle ire del Fisco, alla cui paterna tutela vuole in ogni modo sottrarsi, si manterrà fedele al programma qui enunciato, esplicandone ampiamente le varie parti nei manifesti, nei numeri unici e negli opuscoli promessi.

E tu, vecchio popolo lavoratore, conforta l'umile e solitaria opera nostra coi ruggiti del leone in procinto di slanciarsi. Anche nel furore della lotta sanguinosa, sarà sempre un grido di amore quello che eromperà dal petto dei combattenti: Viva l'Umanità!





1 Questo articolo è comparso nell'ultimo numero dell'«Amico del Popolo» periodico socialista anarchico che si pubblicò in Milano sulla fine del 1891 e sui primi del 1892, giornale che ebbe tutti i suoi numeri processati.

L'articolo era firmato: I socialisti anarchici.



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