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A là viltà della retorica, sia essa conservatrice o rivoluzionaria! E quanta noi pur ne facemmo, o amici, che mi chiedete uno straccio letterario per la memoria di quei morti! E ne faremo ancora! Non però le ghirlandette dei crisantemi cari alla stagione grigia che corre, ed alle penne ploranti dei necrofori acratoidi – su quella fossa, che chiuse or fan vent'anni, le salme dei più puri combattenti del proletariato d'oltre mare, e il delitto più obliquo che abbia compiuto la grassa repubblica del dollaro, in quella sua rapina ascendente, contessuta d'usure Scylochiane e di cupidigie Cesaree; su coteste ombre enormi turbinate giù dal patibolo, tra le folle fameliche di pane, sitibonde di luce, non più ormai le omelie del dolore, le orgie di sterile iracondia verbale.
Essi uscirono dal grande dramma umano, per entrare nella Storia.
E la storia non si commemora; si vive. Vero è che il più delle volte s'ignora.
Vero anche, che a qualche antropoide delle regie procure italiane, accusante d'apologia di crimine il rievocare la data e gli uomini dell'11 Novembre 1897, pochi accusati seppero gettare in faccia, che misfatto giudiziario indelebile veniva bensì riconosciuto e proclamato ufficialmente, alcuni anni dopo il supplizio, il processo ed il verdetto di Chicago, da un'inchiesta ordinata, sotto la pressione della indignazione pubblica, dal presidente dello Stato dell'Illinois. E delinquenti, dai quali quelle nobili esistenze erano state per la forca comperate a peso d'oro, ad opera di un trust di Cresi della Porcopoli, risultarono quei leggiadri citizens del giury condannatore – delinquenti che sfuggono ad ogni classificazione dell'antropologia criminale, come quelli che formano il ceto atroce della gente per bene.
Occorre dire che il capestro non strozzò quelle voci? O dimostrare che il loro silenzio è più eloquente delle loro parole?
Ho fissa in uno specchio nitido della memoria, una folla cupa di minatori uscita allora dalle caverne del diamante nero, che fa onnipossenti sulla terra e sul mare le plutocrazie Nord-Americane.
A cotesta folla una donna parlava. Era la vedova di Parsons, la soave e forte M.rs Lucy, che si era accompagnata a me in un giro di propaganda rivoluzionaria, che stava compiendo sul finire del '95 per le regioni minerarie dell'Illinois.
Essa parlava in inglese, ed il maggior numero dei suoi ascoltatori, era gente rozza, venuta da ogni angolo della terra: italiani, tedeschi, belgi, negri, malesi. Eppur tutti, anche quelli che non comprendevano, erano intenti, quasi assorti in una luce di vaticinio. Era la compagna dell'impiccato senza macchia e senza paura; era la raccoglitrice pietosa ed eroica delle ultime parole, del supremo respiro di lui... Era lui dunque, era ben lui che parlava ancora dalla bocca della donna amata. Alcuni, che lo avevano udito anni prima, ne avevan vivi nel cuore l'eloquio, l'accento... Altri ricordavano l'insegnamento virile..: Era ben quella la lezione sincera delle cose, la forza ferrata di ragione, ed irradiata d'ideale... Essi sapevano, essi ricordavano.
Ciò che assai più tardi alcuni anarchici e socialisti Francesi ridissero, battezzando la cosa per sindacalismo, onde, per la esportazione mondiale, la merce recasse la marca Parigina – essa lo esponeva con la fierezza del sillogismo Anglo-sassone fuso nel crogiuolo coraggioso della praticità yankee.
L'azione diretta delle unioni di mestiere, la pressione incessante, economica e politica, delle masse operaie, per la conquista di sempre maggior benessere di sempre maggior libertà, l'agitazione popolare duplice e cosciente contro le due grandi violenze nemiche del proletariato: la denominazione capitalistica e quella stataria – tutto infine, tutto quanto, più incompletamente e meno valorosamente, più tardi si volle far passare come novità, ascoltai quella sera nel discorso di Lucy Parsons, innanzi a quella fuligginosa mareggiata umana.
E quando la donna ebbe terminato, un canto, triste e lento come una salmodia di morte, si levò da migliaia di quelle bocche oscure, come un soffio di sollevazione che venisse dall'ignoto, dal mistero del non essere. Era il canto di Parsons, come lo chiamano dall'Hudson a Golden Gate, l'inno ribelle che egli aveva composto, nei presagi della forca infame.
Esse tornavano, esse tornavano le memorie, le parole, le ombre giganti. La folla le vedeva, le sentiva nella notte – ne ascoltava, attonita, l'anelito colossale.
E un grande raggio inondava i dolori, e le speranze, onde la storia degli uomini s'intesse – una grande aurora si levava da quelle forche, a cui Victor Hugo, maledicendo, non riuscì a strappare le vittime, pure come il loro sogno....
In faccia a quel bagliore, come ti sei fatto sanguigno e piccolo, o faro della libertà, eretto a scherno dei naufraghi lontani, sul porto della cosmopoli!...
Rosignano Marittimo, Novembre 1907.