Pietro Gori
Ceneri e faville
Lettura del testo

Ceneri e Faville

FRA UN ANNO E L'ALTRO

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

FRA UN ANNO E L'ALTRO16

Seguiamo pure la consuetudine, facciamo anche noi della retorica, oggi.

Ma non sia la retorica dei soddisfatti, dei parvenus; non sia il lirismo delle pancie satolle e dei cuori aridi e vuoti.

E giacchè la sorte ci contende ancora di poter dare dei veri e propri colpi di piccone livellatore alla baracca delle odierne iniquità sociali, riprendiamo la dolorosa e frasaiuola guerra della penna.

***

E bolliamo, prima, d'infamia i fatti e gli uomini, che nel nono anno di questo primo decennio del secolo nuovo angustiarono il genere umano e ne macchiarono la nobile storia.

Ma chi potrebbe oramai riprodurne la serie infinita e varia?

Dall'ultimo eccidio di Platici, in cui petti di lavoratori inermi furono spezzati dal piombo della madre patria, nel meriggio luminoso delle terre meridionali, alle tragiche fami della Russia santa e czaresca, il cui governo amoreggia con quello della Francia democratica, maledetti ambedue dai refrattari ignoti dei bassi fondi parigini e dalle torme eroiche dei deportati in Siberia, – dalle crisi spaventevoli imperversanti con feroce ed inesorabile ritmo a traverso l'Europa, alle continue grassazioni subite dai lavoratori troppo pacificamente insorgenti, per opera dei capitalisti, delle polizie vendute ad ogni più crudele capriccio delle classi dominatrici, – dal fatto complessivo ed immenso, sintomo palese di un enorme disfacimento economico, politico e morale, al fatterello di cronaca minima e locale, insignificante all'occhio inesperto dei superficiali, ma denunziatore di cause profonde e generali allo sguardo acuto e indagatore del sociologo, – è tutto un motivo continuato di dolore.

Ricordiamo ancora: dopo il cataclisma atroce delle due città sorelle, laggiù, sullo stretto, l'altro più feroce, poichè venuto dagli uomini, dello sgoverno e dello spreco dei frutti della carità universale. E sullo scorcio dell'anno, tra la viltà politicante dei più, la venuta dello Czar invano deprecata e l'abbraccio bugiardo datogli tra una selva di baionette inconscie in nome d'un popolo assente e nolente. Ed oltre monte ed oltre mare altre tragedie ed altri martiri: il giovane intellettuale indiano che sconta un sogno di libertà della patria lontana e misteriosa per mano del boia della libera Inghilterra, e poi l'uomo di pensiero di Barcellona ribelle che sale il calvario di Montiuich e muore, spezzato il cranio dai moschetti del militarismo costituzionale spagnuolo. In Francia, ove le fucilate sui lavoratori inermi di Villeneuve risuonano ancora lugubremente, le rappresaglie repubblicane contro i postaltelegrafici insorti in nome della dignità offesa, non sono impedite dalla presenza al governo del cittadino Briand, che pur or non è molto istigava gli operai alla rivolta. E infine, di dall'Oceano, dalle Americhe, giunge l'eco di più feroci persecuzioni al pensiero: la propaganda e la libertà di sciopero manomesse nel Nord a colpi di bastone e soppresse al Sud con gli stati d'assedio, gli arresti in massa, le deportazioni e le espulsioni.

L'anno è finito così, senza rimpianti ma tra memorie melanconiche, tra lacrime e lutti; esso ha raccolto nel breve giro dei suoi dodici mesi una congeriemultiforme di grandi e piccole ignominie, da farlo apparire, nella sua borghese e pacificamente infame onestà, come un ipocrita e sinistro colpevole innanzi al tribunale della storia.

***

Che sarà chiamato a rappresentare il nuovo anno, che ascende su per la infinita spirale del tempo? Qual posto avrà nella storia degli uomini?

Chissà!

Sono quattrocento e più anni, da che Cristoforo Colombo apriva alle speculazioni ed al commercio dell'Europa la via delle Americhe ubertose.

Lui pure, ribelle indomito, irridevano i sapientoni, i potenti e le zucche coronate. A lui pure il volgo acefalo dalla coscienza pavida gridava dietro: al pazzo, all'empio. Per lui altresì ci furono le trepidanze interminabili dell'apostolato, i vaneggiamenti angosciosi della idea non compresa, derisa, e gli esili sconsolati lontano dal suo fulgido golfo.

Anch'egli conobbe – e non volle piegare – le ansie tremende di una lotta ineguale contro i vili, gli sciocchi, i governi, e le fraterie, contro le ire degli uomini presuntuosi, ed i furori d'ignoti oceani. Ma provò almeno, dopo tanti sconforti, la gioia suprema di sentire, dall'alto della vedetta, il grido, che gli ripercuoteva nel core, lungo le sue notti insonni e pericolose: «terra, terra». E potè vedere sull'orizzonte azzurro il profilo luminoso della regione sconosciuta ed agognata, il sogno di tutta la sua vita, l'ideale della sua giovinezza, il nuovo mondo, la terra promessa, che doveva poi chiamarsi, ahimè non dal nome di lui, America.

Così il marinaro ardimentoso e sublime, schiaffeggiava con la realtà della scoperta grandiosa le ironie piccine della scienza ufficiale e patentata, così trionfalmente rispondeva a quelli che avevano chiamato follia, utopia la poderosa divinazione del suo genio. Il ribelle, testè deriso e spregiato, aveva vinto.

Che importadopo tutto – se la terra promessa, l'America vergine, fu poi calpestata dalla conquista straniera, dalle ingordigie della vecchia Europa, invasa da orde di uomini pallidi sterminatori delle eroiche e forti tribù anarchiche delle Cordigliere e delle Pampas? Che importa se gli eroi macellari prima, gli eroi milionari poi, portarono al di dell'Atlantico tutte le vergognose cupidigie della vecchia razza Ariana, dalla sete dell'oro all'avidità di dominio, dalla frode alla vigliaccheria?

Che monta, se perfino nella Unione Democratica del Nordrepubblica federale a base di suffragio universale, o repubblicani d'Italia! – la infinita povertà delle moltitudini lavoratrici va di pari passo con la sfrenata accumulazione della ricchezza capitalistica ed industriale in mano di pochi ingordi speculatori, che s'impinguano col prodotto delle fatiche altrui?

Che vale, se a New-York l'eterno Lazzaro il diseredato della leggenda dei secoli, deve pur contentarsi delle briciole di pane e degli ossi spolpati che gettano sotto la tavola ai cani ed ai poveri gli epuloni miliardarii della repubblica dalle trentasette stelle, e se a' giovani valorosi, non d'altro rei se non di avere fortemente amato e combattuto per la Umanità, il boia repubblicano soffoca, quando occorra, come a Chicago, – ricordo ormai lontano ma indelebile, – sulle forche, i palpiti magnanimi e le ultime parole recanti la buona novella dell'avvenire?

Che importa, se i contadini d'Italia, cacciati dalla pellagra e dal bisogno da questa terra, che già resero per tanti anni feconda, mercanteggiati, un tanto a testa, dai moderni negrieri di schiavi bianchi, e gettati sulle lande immense del Brasile, trovano nella patria nuova nuovi disinganni e sofferenze?

L'audacia rivoluzionaria, – e pensatamente diciamo rivoluzionaria, – di Cristoforo Colombo e il fatto della grande scoperta dovuta al suo ardimento, resteranno, malgrado tutto, una lezione edificante per i dogmatici e gli interessati shermitori della Utopia.

***

Quali saranno, o Popolo, le tue sorti lungo l'anno che nasce?

Quali le vicende della navigazione eterna alla conquista dell'ideale?

Tra le insidie e le minaccie dei potenti, gli scherni delle consorterie gesuitiche ed interessate, il fastidioso dispregio della gente per bene e degli uomini serî e pratici, fra le blandizie dei falsi amici e l'odio occulto delle coscienze cortigiane, potrai, vorrai tu, o popolo, salpare arditamente alla conquista del nuovo mondo, ove fruttifica, fecondato dal santo sudore dei liberi, l'albero del pane e della fratellanza?

Potrà L'idea liberatrice, – nuovo Cristoforo Colombo della modernità, – sentire dalle vigili scolte scrutanti l'orizzonte dell'oceano sociale il grido consolatore di terra, terra, vedere le coste verdi e splendide del continente nuovo, e piantarvi, in nome dell'Umanità, la sua bandiera?

O popolo, l'oceano è tempestoso; e noi siamo poveri naviganti perduti nell'immensità; il ciclone dei rancori e degli odii flagellerà i fianchi delle misere caravelle, il vento sibilerà le sue sataniche irrisioni ai nostri orecchi, i marosi schiaffeggeranno i nuovi argonauti, l'oceano forse ci seppellirà ne' suoi abissi infiniti; che importa?

Noi abbiamo la fede tenace e battagliera del navigante ligure. La fede, che la terra non è lontana. Chè qualcuno, anche se molti periranno per via, dovrà pure arrivarci. Avanti; o popolo, a furia di braccia e di audacia. Osare: ecco il segreto d'ogni vittoria.

***

Ed ora fa proprio mestieri dire a chi auguriamo il buon anno e a chi il mal anno?

Per gli amici sarebbe un complimento troppo freddamente ufficiale, per i nemici una sgarbatezza troppo borghese.

Oh, tu, nuovo anno, dalle pagine della tua storia ancora immacolate, possa veder noi, lungo la tua vita fortunosa, combattenti ognora senza esitanze e senza paura sotto la ribelle bandiera che ti salutò nascente.

Portoferraio, 28 Dicembre 1909.





16 Dalla rivista Il Pensiero del 1 gennaio 1910.



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License