IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Quante speranze, e quante paure – vent'anni or sono – all'appressarsi della prima alba di Maggio!...
Nel congresso operaio internazionale dell'anno precedente, il fatidico '89, in Parigi, i cavalieri del lavoro che vi rappresentavano le trade's unions e Nord-Americane, avevano lanciata la proposta, accettata alla unanimità, di dichiarare il 1° Maggio, ricorrenza solenne di solidarietà mondiale dei lavoratori, giorno sacro alle fedi ed alle proteste di rivendicazione del diritto nuovo, la Pasqua Rossa, non di sangue, ma dello agitarsi, purpureo di tutte le operosità utili e buone, di tutte le energie vigili per una purificazione di questa civiltà vieppiù caotica nei suoi rapporti di giustizia distributiva, ma ognora più possente di vigoria produttiva, in quel suo fatal divenire ossatura e fondamento della società materna di domani.
La data entrò così nella storia: nella tormentata storia di questo principio di secolo, con le sue alternative di balde impazienze e di accidiosi sopori.
Tornò, d'anno in anno, col serto floreale non più delle frolle Arcadie ma dei garofani accesi nelle febbrili giovinezze – tornò, ad ogni sbocciar di fioritura, ad ogni riverdeggiar della terra, tra le imprecazioni dei pavidi, i lazzi dei lepidi, il terror degli imbelli; ed ascese, tra i due secoli – quello che moriva, e quello che nasceva – col vanir delle illusioni soverchie, e col placarsi delle prevenzioni feroci, verso un equilibrio moderatore degl'impeti generosi, pur fremente e premente sul vecchio mondo, nel fluttuar tranquillo e formidabile delle moltitudini, ogni anno di più conscie della propria forza e della propria responsabilità.
Il significato profondo e gentile che i cavalieri del lavoro d'America avevano voluto imprimere alla manifestazione ricorrente ad ogni primo Maggio era pur quello di una lotta, che aveva commossi alcuni anni prima le grandi città del Nord, con la vasta agitazione operaia per le 8 ore di lavoro, e che si era chiuso con l'olocausto dei cinque eroi, appesi, sul mattino dell'11 Novembre dell'87, alle forche inalzate in Chicago dalla plutocrazia dell'Illinois.
***
Era la prima volta, che nella oscillazione degli eventi umani saliva un ritmo universale di cuori avvicinati, a traverso gli abissi del mondo e le barriere della cecità collettiva, da una concezione nuova di ciò che battaglia nelle viscere degli interessi in contrasto, e di ciò che risplende oltre le vette delle competizioni di classe o di razza.
Non tutti quelli, che scesero per le strade e per le piazze solatie al nobile appello del novissimo patto, avevano penetrato tutta la complessità dei problemi che ondeggiavano con le bandiere sulle folle, nè avevano, in quei primi anni, inteso tutta l'altezza simbolica di questa celebrazione, semplice e pure immensa.
Gli altri, dall'olimpo delle ignoranze ufficiali, avevano fiutato odor di picrati e di marmitte a rovesciamento.
Era vento di fronda, non di sommossa, che alitava su le orifiamme scarlatte, le quali parvero lingue d'incendio ai trepidi. E, qua e là, a sbalzi periodici, da frontiera a frontiera, furon viste le canne dei fucili abbassarsi.
E il lampo del sole sulle armi delle denominazioni precorse uno scoppio di fucilate sui petti inermi, su mani protese, su braccia imploranti...
Il piombo fu da molti, e per molto tempo, ritenuto l'argomento più idoneo a spezzar l'urto molesto nelle bocche imprecanti...
Ieri, ahimè, sì, – e il ventennale ricorso storico, che si tinse come tutte le aurore di vermiglio, palpita sulle anima con tutta la poesia del sacrificio...
Disperdano le miti aure di Maggio il dubbio nefando.
E mentre le folle risalgono l'erta dei ricordi, in questo giorno pieno di presagi – i fratelli (oh ascoltino il battito dei loro cuori sotto le lucenti divise!) appiedino le armi.
***
Ridire la storia di questo ventennio di lotte, nella vicenda alterna delle vittorie e delle sconfitte, rievocare, gli episodi della giornata riassuntiva – in questa ventunesima calenda del Maggio operaio – delle sottili conquiste conseguite, e di quelle giganteggianti nel grembo del futuro incoercibile?
Ricordare le non poche illusioni perdute, e riaccendere la indomita febbre delle rivincite? Certo, il cammino fatto è grandioso – ma quali pendici ardue, quali impervî sentieri occorre tuttavia conquistare!...
La famiglia operaia, senza dubbio, sta faticosamente sollevandosi verso una coscienza superiore della sua missione storica, nell'accelerato evolversi della società industriale... Ma occorre parlarle ben chiaro, pur nel giorno delle rapsodie ardenti; occorre svelarle altresì le verità amare.
La trasformazione delle condizioni materiali della vita, che farà dell'operaio-macchina, un libero produttore associato per il maggiore sviluppo del benessere individuale e collettivo, resulterà – è vero – una palingenesi anche delle facoltà morali oggi atrofiche, il più delle volte deformate, di una parte della massa proletaria.
Ma a questa conviene coraggiosamente insegnare una ginnastica, mentale più difficile e fattiva, che non sieno i volteggi verbali intorno alle barre, anche se ferree, della dottrina di Marx, o della teoria di Sorel. Fa d'uopo agguerrirla contro nemici interiori più pericolosi degli stessi padroni esterni; organizzarla contro il fosco dominio spirituale delle bestialità ereditarie, delle follie acquisite, di tutto infine il detrito di miseria fisiologica ed intellettuale, che il passato ed il presente stratificarono, con la servitù, sulle classi mancipie... La rivoluzione (giova insegnare a quelli che se ne riempiono le gote) occorre avvenga nei cervelli e nei cuori di quella che vuol essere, che dovrà essere la gente nova – perchè non solo nella vecchia impalcatura sociale è il marcio, che ammorba l'aria e l'iniquità che intristisce la vita; ma tabe di morbi morali profondi serpeggia pur anche nelle moltitudini insorgenti contro la oppressione esterna, inconsapevoli tuttavia che una tirannide di pregiudizi, di intolleranze, di oscuri appetiti (oh la fame cronica ne è la sinistra genitrice, sovente!...) avvinghia con prepotenza inavvertita gli animi, e deforma spesso gli atti anche di quelli, che pur si professano (e l'illusione è sincerità) araldi di libertà.
Ma dopo le rampogne fraterne di quelli che bevvero un po' di saggezza nel mare amaro delle realtà – riscintilli nello zaffiro del giorno soave la salutazione dei nostri giovani anni, e lo squillo argentino della tromba evocatrice segni la cadenza della marcia eroica, misuri il passo delle folle in cammino.
E la canzone, che lanciammo in quelle prime aurore del risveglio proletario, sia il fiato che bacia le nostre bandiere, coi rezzi del monte e del mare, e saluti la rassegna delle nostre forze, che arditamente si lanciano alla conquista dell'avvenire.
Forze di grandezza e di giustizia. Forze di muscolo e di pensiero, da cui si sprigiona l'impulso immenso del meccanismo mondiale, che perfora i monti, e signoreggia sugli oceani coi prodigi della pironautica e colle audacie della elettrotecnica – forze che martellano sugli ordigni giganti della produzione e degli scambi, che cementano le mura enormi dell'urbe o della necropoli, che trasportano frammenti di nazione e spicchi di città da un capo all'altro del mondo.
Forze, che cesellano i metalli preziosi che intessono le meraviglie seriche, che dentellano i merletti prodigiosi.
Forze rudi e gentili, che preparate e maneggiate il vomere e la baionetta, forze militanti in casacca o in divisa, per la vita o per la morte – o forze palpitanti che siete le colonne porfidee della civiltà; braccia e cuori di fratelli noti ed ignoti, prossimi o lontani, levatevi in fascio, ed inchinate le bandiere purpuree.
Nell'aria corrusca di raggi e di cantici ripassano i primi vent'anni della vostra storia!