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Prefazione | «» |
Questo volume è al tempo stesso il compimento di un dovere fraterno e la soddisfazione di un desiderio unicamente sentito.
È l'omaggio postumo alla memoria di uno dei nostri più cari compagni di lavoro ed insieme una necessità per l'innumerevole stuolo di coloro, che ammirarono Luigi Lucatelli, nella umile, ma pur nobile veste di Oronzo E. Marginati.
Questo volume ha così una caratteristica profonda che lo distingue da ogni altro, perchè, se in genere è il libro che cerca e spesso trova solo a grande stento il suo pubblico, questa volta è il pubblico che attende e cerca ansiosamente il libro, nel quale si rispecchia tanta parte della sua anima collettiva.
Perchè pochi scrittori, come il nostro indimenticabile collega, ebbero il segreto di suscitare attorno alla propria produzione intellettuale, un più largo consenso.
Egli, che nutriva nell'animo semplice e buono un culto fervente per la verità, ebbe il merito grandissimo di rivelarla all'osservazione altrui, per la via così pur difficile dell'umorismo, e si acquistò in tal modo il diritto alla riconoscenza di una moltitudine, alla quale questo libro reca ancora una volta la parola del cittadino Oronzo, come un ultimo sorriso.
Luigi Lucatelli fu veramente un umorista completo e di alto valore; umorista per temperamento, per bisogno spontaneo del proprio carattere. La sua sensibilità critica, davvero superiore, aveva bisogno assoluto, per svilupparsi di una libera atmosfera, epperò quando il Travaso era già un saldo organismo sorretto dal favore del pubblico, egli lo prescelse con la certezza di trovare nel nostro foglio quella piena libertà di esame e di giudizio, che, mentre è il più prezioso patrimonio di un giornale, è anche il terreno fecondo dal quale possono aversi frutti inaspettati.
Così nacque la macchietta di Oronzo E. Marginati, che doveva essere dapprima un cantuccio quasi trascurabile della cronaca cittadina, una specie di sfogatoio del malcontento spicciolo, ma che poi, scaldata via via al fuoco del successo sempre crescente, non fu più soltanto una macchietta, ma divenne un tipo, cui l'autore seppe dare successivamente consistenza morale così da renderlo, pure a traverso la gustosa deformazione della caricatura, il portavoce autorevole di una critica di profondo contenuto, ispirata ad una bonaria, per quanto amara filosofia.
E intanto, nel perfezionare la sua creazione, il nostro Lucatelli la veniva amando sempre con maggior trasporto, cosicchè accadde un po' a lui ciò che molti anni prima era accaduto a Miguel Cervantes per il suo Don Chisciotte; l'autore era giunto ad immedesimarsi quasi col personaggio da lui creato.
Ma nella figura rotondetta e bonacciona dì Luigi Lucatelli vivevano in segreto e perfetto accordo due anime, due temperamenti, cui per la volontà del legittimo proprietario, riusciva facile lo scindersi al momento opportuno.
Egli stesso si compiaceva con gli amici di apparire sotto due aspetti diversi derivatigli — secondo lui — dall'essere un Lucatelli, ossia un discendente di una delle ultime vittime del patibolo pontificio e figlio al tempo stesso di una madre uscita dalla piccola borghesia romana, quella borghesia minima che, ancora alla vigilia della Breccia, non sapeva persuadersi che il quieto vivere dell'Urbe, potesse essere disturbato dagli obici del generale Cadorna.
Come c'era in lui il sentimento vivo, spontaneo del coraggio, che lo spingeva ad affrontare con animo sereno i disagi e i rischi della sua opera giornalistica di corrispondente di guerra, nella quale appariva un colorista di prim'ordine ed un nobilissimo poeta degli umani dolori, egli cedeva ad un'altra esigenza del suo temperamento penetrando nei pacifici ambienti della borghesia minima, un po' ridicola e un po' dolente, per sorprendervi una scenetta comica, uno scorcio d'ambiente o magari soltanto un tipo, che poi riproduceva con gusto d'arte e con la cura minuziosa del particolare più nascosto.
E la sua penna aveva allora la stessa singolare efficacia, come quando tracciava le ampie linee della descrizione di una sanguinosa battaglia.
Per questa Roma che lo aveva veduto nascere e per la quale i suoi avevano affrontato la ghigliottina e la galera, egli ebbe un affetto devoto ed ardente che lo spinse ad imbeverarsi di romanità anche alle pure fonti dell'archeologia.
Apparvero così quei suoi indimenticabili articoli sugli scavi dell'Urbe, articoli materiati di erudizione vera e di sentimentalità squisita coi quali egli si rivelava dieci anni or sono al pubblico colto di tutta Italia, come scrittore di originalità eccezionale.
E aveva appena finito di rievocare da par suo una visione della Roma Imperiale intuita con alto senso d'arte, a traverso forse pochi rottami di marmi, che già si rimetteva a tavolino chiudendosi idealmente nelle anguste pareti domestiche di casa Marginati, per rintracciarvi la ragione di una protesta qualsiasi, che poi distillava con quel suo particolare frasario, che il grande pubblico dei lettori finì per far suo.
Questa brusca successione di sensibilità disparate, cui egli si assoggettava, rispondeva, come abbiamo detto, ad un bisogno della sua anima che aveva in sè il destino del contrasto che lo spingeva alle emozioni della vita, randagia ed avventurosa, mentre in realtà egli pareva fatto per quella sedentaria.
Nello stesso carattere di Oronzo E. Marginati è facile avvertire questo contrasto perchè il buon travetto romanesco ha bensì il senso della disciplina e del dovere derivategli dalla natura del suo ufficio, ma custodisce e nutre in sè lo spirito anarcoide che esplode, sia pure bonariamente, alla constatazione delle ingiustizie sociali.
Forse anche per questo l'Oronzo fu l'oggetto della sua particolare predilezione,
I romanzi e le novelle, gli articoli di archeologia o di vita vissuta, le sue corrispondenze di guerra, tutta la sua produzione seria, che pure rifulgeva di grazia letteraria incomparabile, egli metteva in seconda linea, al di là del suo Oronzo che giudicava essere la cosa più riuscita della sua varia attività intellettuale.
Tutti gli echi della realtà quotidiana egli faceva raccogliere da questo suo personaggio, per modo che Oronzo E. Marginati ebbe per virtù sua un carattere ed una mente specialmente adatti ad adoperare quell'arnese, che va diventando ogni giorno più raro, e ha nome buonsenso.
Ma quando nella moderna letteratura italiana, egli era giunto a prendere il posto che gli spettava e più gli arrideva il successo, un'insidia fisica inesorabile era già in agguato per strapparci ad un tempo il compagno e l'amico.
Tuttavia, pur sentendosi declinare, non perdeva la misurata giocondità che brillava costantemente alla superficie della sua persona.
Ancora pochi giorni prima di lasciarci per sempre egli diceva ad un collega che, incontrandolo, lo trovava dimagrito:
— Eh, sono stato malissimo. È stato una specie di prova generale della morte. — Se avessi avuto tempo sarei morto addirittura, ma ho degli impegni di lavoro da soddisfare... Bisogna essere uomini di parola. —
Ma il destino non volle accordargli che una breve dilazione e anch'egli, come un altro grande umorista, Gandolin, che a quanti gli dicevano che non sarebbe guarito, rispondeva: «Non dubitate, morirò guaritissimo», anche egli poche ore prima di entrare in agonia chiedeva sorridendo al medico che gli aveva fatto l'analisi del sangue:
— Ci ha trovato nessun gatto defunto?
Sono passati già alcuni mesi dal mattino di luglio in cui abbiamo raccolto l'ultimo respiro dalle sue labbra su cui il riso era salito spontaneamente tante volte, quasi come il preavviso della risata altrui e, Luigi Lucatelli è tuttora vivo in mezzo a noi, che lo conoscemmo e lo amammo.
Potranno passare molti anni ancora e sarà sempre ugualmente vivo per noi, che cementammo con lui la nostra amicizia nella consuetudine di un non facile, ma piacevole lavoro.
Più che tessere le lodi dell'amico perduto, sulle colonne del Travaso, ove l'espressione del nostro dolore sarebbe apparsa un'antitesi, un controsenso, se non addirittura una sconvenienza, abbiamo voluto che il nostro tributo di omaggio alla memoria di Luigi Lucatelli fosse dedicato al pubblico, cui egli nella incarnazione di Oronzo, sulla quale sono perfino discesi come corvi miserabili imitatori, dedicò i lampi più brillanti del suo vivido ingegno.
Il lettore dopo averne scorse le pagine, apprezzerà sempre più la filosofica sapienza che esso racchiude e tornerà a rileggerlo ancora chi sa quante volte.
Renderà così anch'egli, inconsapevolmente un omaggio doveroso di riconoscenza a chi seppe assolvere in modo eletto, l'arduo compito di spargere sorrisi per temperare l'alterna vicenda di lagrime che segna il cammino della vita.
IL TRAVASO
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