Luigi Lucatelli
Come ti erudisco il pupo
Lettura del testo

“Come ti erudisco il pupo...„

«»

“Come ti erudisco il pupo...„

CONFERENZA


Illustrazione di

SCARPELLI, FINOZZI E GUASTA


gentili signore, egreggi signori e amabilissimi rigazzini,

 

 

Prego lorsignori, prima di tutto di ariflettere che, tanto io che loro, è la prima volta che sentiamo parlare Oronzo in pubblico: nun so che impressione ci faccia a loro.

A me mi fa una impressione curiosa assai.

Lorsignori mi faccino una cortesia: prendano un coccodrillo, magari usato, vi aggiuntino una tigre con un dente cariato o, sia detto con sopportazione, un suino disilluso, mischino il tutto servino caldo.

Questa miscolanza ci può dare un'idea di quello che è successo dentro di me, quando me ti hanno detto che dovevo tenere una conferenza.

Lorsignori devono consapere che io, se si tratta di spezzarti una lancia ne le colonne del giornale, pazzienza, perchè ci ho la penna che sa le tempeste, laddovechè la lingua invece non ci si è trovata mai. Per cui dicevo fra me e me, dice: Oronzo, ma cosa ti stropicci? Ci penzi, quando starai per entrare in quella sala, che ti sentirai di la folla che brontola, e il cuore ti farà lippe e relative lappe? Ci penzi a quelle centinaia d'occhi che ti guarderanno fissi come l'ombra del compianto Banco, e averanno l'aria di dire: Uccidilo, che faccia da frescone!...

Abbasta, cominciai col dire di no. Però Terresina dice che si comincia sempre accusì. Dice: io non terrò la conferenza, tu la terrai, colui la dovrebbe tenere, e fenì che dissi come Leonida al passo di Calè: Parliamone in famiglia.

E ne parlai col sor Filippo. Scusino si insisto su la figura, ma è bene che queste persone di casa mia loro le conoschino. Il sor Filippo è un omo tutto d'un pezzo: il che potrebbe sembrare una cosa piuttosto commune, invece tanti vanno avanti a furia di pezzi di ricambio.

Lui è anche un omo politico, perchè, si nun conobbe Bettino Ricasoli, fu perchè ci curse il consuveto pelo. Si tanto quanto quel benedetto pelo si fermava un momento a prender fiato, era botta fatta. Raggione per cui lui me ti arispose, dice:

Le situvazzioni bisogna pigliarle in faccia. Con la quale ci arisposi: Scusi, ma se la situvazzione finisce a patate, o pomi di terra, come dicheno i nostri fratelli d'Oltralpa, me lo saluta lei il gusto di pigliarle in faccia?

Pensai di rivolgermi a Terresina.

 

 

Lei levò gli occhi dal Fogazzari, fece il sospiro de le grandi occasioni, e disse, dice: Mi ti sono insognata una dimostrazzione, indovechè la gente ti aveva messo sopra un somiero e tutti strillaveno: Evviva, evviva!... Raggione per cui credo che sia di bonugurio. Tienila.

— Ma sei sicura, ci feci io, che l'evviva fosse per me e non per il somaro?

— Eh... caro mio, fece lei, credi che sarebbe la prima volta che la gente crede di gridare evviva a un omo, e invece grida a un somaro?

Raggione per cui detti un calcio alle convenienze, un altro al gatto che me ti si era aggranfagnato al cravuse che ci sposai, mi messi una mano a la coscienza, un'altra sulle convinzioni pulitiche, e con l'altra ci dico: eccomi qua!

 

Dice, il pupo mio!... Lorsignori devono partire da questa idea, che il pupo mio non è un pupo come l'altri pupi: è, come dicheno i tedeschi, una specie di «überpupen» l'arcipupo per eccellenza. Tanto è vero che un altro pupo, in otto o dieci anni che ti sta fra le colonne del «Travaso», a quest'ora sarebbe diventato per lo meno sergente dei pompieri, e invece lui ti aresta pupo: mi pare che come fermezza di carattere, sia una bella prova. Terresina tante volte me ti dice: ma, Oronzo mio, come sarà che questa creatura nostra nun cresce?...

Per cui ci arispondo con un sospiro: E che ci voresti fare?… Nun cresce!

Tuttavia lorsignori nun devono per questo credere che sia un pupo deficiente. Anzi è una bella creatura. Occhi che lèvati, naso un po' per l'in su, perchè la madre è stata sempre un po' sentimentale, e quando era in istato interessante guardava sempre le stelle. Ci ha i capelli che arissomigliano tutti a quelli del Sor Filippo, e la camminata è tutta la mia, quand'ero minorenne.

Quanto all'intelligenza, è cosa che ci zompa all'occhio come una cooperativa di gatti arrabbiati, e si Cristofero Colombo num aveva tanta prescia di scoprire l'America, a botta sicura la scopriva il pupo mio.

Lui nell'età in cui l'altri pupi te si ficcheno un dito nel naso, già stava accusì avanti, che bisognava tenerlo, si no ce si ficcava tutta la mano: è stato lui che ha inventato l'arte di mettere il carrettino di carta ne le convinzioni pulitiche delle mosche, e la pecetta di carta masticata modello Marginati è la più accreditata nella nostra popolazione scolastica. E come si nun bastasse, lui ti sa a memoria tutto quello che si insegna ne le scole itagliane: Domandateci: Che faceva la vispa Teresa? E lui vi arisponderà come una palla: Avea fra l'erbetta. Che cosa s'ode a destra?... Uno squillo di tromba. Fu vera gloria?... Ai posteri. Chi risponde a sinistra?... Un altro squillo. Come cade la neve?... A larghe falde. E gli uccelletti?... Si svolazzano l'anima dei loro perversi defunti di ramo in ramo. E via dicendo.

 

Come lorsignori vedono, sta bello avanti, e si nun fusse l'invidia dei contemporanei, sono certo che questa creatura ti passerebbe a la posterità, come a una classe superiore qualunque. Non ci parlo poi del carattere. Eccoci un esempio, col quale entro anche ne la parte, diremo accusì, didattica:

Lorsignori devono consapere che io, a torto o a raggione, ho sempre avuto, nell'educare il pupo, questa massima: che la virtù, cioè, è come l'arittimetica, vale a dire che abbisogna renderla evidente con l'esempi pratici e non con le teorie. Voi cercate d'insegnare a un rigazzo che quattro e quattro, così in astratto, fa otto. Ve ci vorrà una settimana a bon conto; quando voi ci aridomandate: quanto fa quattro e quattro? lui vi arisponde: Numa Pompilio. Viceversa, si ci dite: quattro briccocole più quattro briccocole, quante briccocole fa?... Lui vi arisponde subito: briccocole otto, e nun ne perde una nemmeno se l'ammazzate.

Accusì è la virtù: abbisogna innistarla su la vita. È inutile che ci dite teoricamente che la bucìa ci ha le gambe curte, se poi, la prima volta che la vostra creatura ne dice una, non ci fate capire che, per lo meno, le gambe lunghe ce l'avete voi.

Accusì fu che io una mattina lo chiamai e ci dissi: Ricordati che la verità è come diceva Costantino all'Angelo Custode, il meglio fico, salvando il dovuto arispetto, del bigonzo. Perciò tu la devi dire in faccia a tutti, qualunque siano le conseguenze che ti pòi tirare dietro, o magari davanti. L'omo onesto ci ha una parola solo. Tu mi dirai che è forse per questo che nisuno lo sente, ma ciò non toglie che è accusì.

Lui dice: sì papà, piglia i suoi libri, si soffia il naso nella tenda e se ne va a scola.

Eccoti che all'ora di pranzo me ti vedo comparire davanti, macchè un pupo!...

Pareva il commesso viaggiatore della ditta scappellotti, pignoli e compagni, col campionario in testa, tanti erano i brugnoccoli, lividi e piticozzi che ci aveva sulla cervice.

Dico: Figlio mio, ma che è questa uniforme d'Itagliano all'estero?

 

E lui me ti arisponde, dice:

Papà, è colpa vostra.

Figlio mio, ma anche d'un cane, e chi t'ha toccato?

Dice: Papà, ho fatto come m'avete detto voi. Ho detto la verità a tutti.

Detto un fatto, a furia di pazzienza, ariescii a tirarci fora da la bocca il racconto di quello che era successo.

Dice che, appena rivato giù al portone, ti aveva trovato il portiere il quale è gobbo e si stava guardando in uno specchio. E lui gli fa, dice: Sa, signor Crispino? Si lei si credesse, con quella voglia di cocomero ne la schiena, di arrissomigliare al defunto Apollo, si è sbagliato assai: lei è qualche cosa di mezzo fra il dromedario e il dolore di panza.

Raggione per cui quello agguanta una forma per le scarpe e ce la scaraventa addosso con tanta energia, che si lo piglia bene in mezzo, d'un pupo solo, me ne fa due gemelli.

Eccoti che se ne va saltellando a la scola, indove ti trova il maestro di arittimetica, il quale ci detta: Probblema. — Un mercante compra 372 metri di stoffa a lire 4,12 il metro. Poco dopo entra in magazzino un signore il quale ci domanda: Quanto costa questa stoffa?,.. E il negoziante ci risponde: Se lei multiplica la superficie d'un triangolo che ci ha 82 di base e 45 d'altezza pel nummero fisso 3,14 e poi lo divide per 342, ha i 5/8 dei 9/10 del prezzo totale. Si domanda: quanto pagò la stoffa questo signore? E il pupo te ci scrive sotto: Risposta:

Ma quel signore nun la comprò per gnente, anzi liticarono e cursero le guardie.

Dice il maestro: — Come sarebbe a dire?

— Sarebbe a dire che quel signore ci arispose: Ma che modo è questo di stare in commercio? Io vengo per comprare la stoffa e lei me ti fa i giochi di bussolotto?

Bussolotto sarà lei.

— Ma sarà lei e tutti di casa.

Pimfete, pamfete e cursero le guardie, laddovechè per poco non ci fugge il defunto, o scappa il morto, come dice la plebbe.

— Eccoti che poco dopo ti riva il maestro d'itagliano, che ci detta:

Composizione: Pierino ha detto un buggìa, raggione per cui tutta la notte non ha potuto dormire per il rimorso. Allora lui la mattina scrive una lettera a la madre per domandarci perdono.

E il pupo me te ci scrive sotto:

 

SVOLGIMENTO

 

Egreggio Signor Maestro.

Si vede che lei Pierino no lo conosce per gnente. Prima di tutto è raro che lui dica una bucìa sola, ma bensì ne dice sempre parecchie, a rampazzo. E poi, quando l'ha dette, ci dorme sopra come si fussero cuscini di velluto.

Per cui ci appoggiarono un zero in arittimetica e uno in itagliano.

Quando fu a l'uscita de la scola ti incontra la signora Geltrude in faccia, quella che abbita incontro a noi, la quale ci fa: Uddìo, Pippetto, chi sa che averà detto mammà tua che mercoledì nun la sono venuta a trovare! — Anzi, ci fece lui, è stata tutta contenta, perchè dice: Manco male che non è venuta quel tramvai de la sora Geltrude, che inficca sempre il naso ne l'affari dell'altri!

Raggione per cui la sora Geltrude che è nevrastenica, arrivolta l'ombrellino e me ti ariduce il pupo come un tamburo usato.

Abbasta, nun la tiriamo in lungo, come diceva Messalina. L'unico che si lasciò dire la verità fu il campanaro di Santa Maria in Pignolis, presso casa, che il pupo ci disse: Ucciditi, che peperone rosso che ci hai.

E lui ci arispose:

Grazie, a casa tutti bene?

Ma fu accertato che era sordo.

Del resto, il pupo ci arimediò:

 

Scappellotti 5;

pignoli 12;

disillusione 1;

e un calcio qui.

 

Ma le disillusioni di chi fa il proprio dovere sono purtroppo frequenti, lo so bene io; che me ne capitò, nei primordi de la mia carriera burocratica, una che ce la voglio raccontare.

Entrato nell'ufficio, ci ebbi due compagni di stanza che il capo d'ufficio disse; A lei che è novo questi ci daranno qualche lume. Invece nun ce si poteva domandare nemmeno un cerino, perchè uno era un vecchio scienziato che studiava sempre la cabbala del lotto, e l'altro era un giovanotto di famiglia nobbile decaduta che faceva il sorriso mifistofelico e parlava coll'erre moscio.

Il primo giorno che ero arrivato, dopo essermi messo a sedere, nun avendoci altra occupazzione, mi messi a contare le pennine e mi aricordo come adesso che erano 24.

Tutto d'un tratto t'entra il capo d'ufficio, mi una carta e di dice: «Mi evada questa pratica».

Ed io, imperterrito, abbenanche che nun avessi capito, ci faccio: «Sissignora».

E, detto un fatto, ti zompo al tavolino del vecchio, piglio il vocabolario e ti cerco evadere.

Arimasi di stucco leggendo: Fuggire da un luogo chiuso.

Me si addrizzarono i capelli in testa, che allora ce l'avevo. Oronzo, dissi fra di me, indove sei capitato?... Qui sotto c'è qualche cospirazione!...

Mi messi una mano su la coscienza, mi spolverai il cravuse e cursi dal capo d'ufficio.

«Dico, ci feci, egreggio superiore, arieccogli la pratica: io non evado. Il governo mi ha messo in questo posto e aresto su la breccia come torre che non ti crolla un corno!.. ».

Lui si levò gli occhiali e mi fece:

«Signor Marginati, mi avevano già detto che lei era un frescone, perciò nun ci dico altro. Legga la pratica e faccia l'obbligo suo».

Accusì lessi la pratica, che era un curato il quale diceva che si nun aripparavano la chiesa, ci cascava in testa e accusì ci si mettesse una pezza per via gerarchica.

Detto un fatto, mi arisolsi a domandare un lume al più anziano di quelli che ci avevo in cammera che mi rispose:

«Mettetela agli atti».

«Come sarebbe?...» ci aribattei io.

 

 

Dice lui: «morto che parla 47, cane danese 23, ci fo l'ambo sciolto su rota di Torino».

«Ma i suoi cattivi trapassati, rimbrignai io; indove stanno l'atti?... ».

«Zitto! fece lui, che si esce 9 primo estratto stiamo a cavallo! ».

Che ci volevate fare?... Mi toccò di aritornare dal capo d'ufficio che mi spiegò la cosa. Dice: «Pigliate un foglio di quelli e scriveteci: Oggetto: lettera del sig. Curato X, ecc.; poi metteteci la lettera dentro, passatelo ai vostri compagni di cammera e ariportatemelo».

Detto un fatto, feci accusì, e prima il vecchio messe i due fogli in una copertina e ci ariscrisse sopra: Oggetto ecc. ecc... poi quelli col sorriso mifistofelico li messe dentro un'altra copertina e ci ariscrisse: Oggetto ecc. ecc... Quindi ariportai il tutto al capo d'ufficio, che lo messe in una cartella grande.

Allora mi permisi di dirci:

«Dico, scusi, ma con tutti questi oggetti, a quel curato ci cascherà la chiesa in testa. Non si potrebbe aripparare...».

Nun l'avessi mai detto!... Avete visto mai una tigre che ci ha un dente cariato? Accusì diventò lui.

Dice: «Lei che è entrato ieri viene a introdurre i metodi rivoluzzionari! Lei è insubbordinato, arruffapopolo» e tante altre boglierie che solo a sentirle ero diventato uno straccio zozzo.

Abbasta: tre giorni doppo cascò la chiesa acciaccando il curato; il capodufficio fu mandato sul posto indove lo fecero cavaliere per il contegno coraggioso, e a me mi dettero tre giorni di sospensione.

Allora fu che dissi quell'altra espressione che poi passò nella storia: Governo boglia!

 

Malgrado questi inconvenienti, tuttavia nun ho mai cessato di strillarti ne la capoccia del pupo quelle massime che levati, e si ci dei consigli di virtù, ci anche dei consigli di prudenza.

Io, per esempio, ci dico: Figlio mio, come ti dice puro il sor Filippo per via che t'è compare, non ti perdere mai di coraggio.

È vero, la via della virtù, ammappela si quanto è piena di spine! Ma sull'altra sono addirittura cocci di bottiglie, raggione per cui torna più conto a fare il galantuomo, anche perchè c'è meno concorrenza.

È vero, tuo padre, per essere un galantuomo a milledue, ha ceduto il quinto e l'unico effetto positivo che ha ricavato è l'effetto del sor Bonaventura, che s'arinnova come fa la luna, ma con l'interessi.

Tuttavia è certo che la virtù a la fine trionfa, perchè altrimenti i Promessi sposi, i Due sergenti e la favola di Barba blù sarebbero una bucìa, mentre invece è certo che a un certo punto viene fori una fata o un frate cappuccino, e le cose si aggiusteno. Nel caso, però, del frate cappuccino, occhio a la penna, figlio mio, perchè nun si sa mai, come diceva il gatto scottato al vermine solitario. Ma la virtù in ogni caso, nun c'è bisogno che te l'attacchi al collo come il campanello del gatto. La virtù sarebbero, sia detto con la consuveta supportazione, le mutande dell'anima, che nun si vedono, ma si nun ce l'hai, sei un zozzaglione.

Raggione per cui, si quando ti trovi in compagnia senti uno che in un quarto d'ora pronunzia tre volte la parola galantuomo, abbottonati le saccocce e zompa sul primo tramve che ti capita davanti, comechè quello è un miccagliolo di sicuro.

L'onestà, l'educazione e i bagliocchi sono tre cose che chi ce l'ha davero, nun le nomina mai.

Nun so se tu riverai a essere un signore, nel qual caso potrai averci molti idee del tuo, ma si per caso diventassi un tribbolato, fatti una borza impermeabile per tenerci dentro le tue oppignoni, e nun le far vedere a nissuno.

Se un tuo superiore ti domanda come la penzi in una questione, di' che ti dole un dente, che te si è strappato un bottone ai straccali, arispondi una scemenza qualunque, perchè si per avventura ti perdonano d'essere un galantuomo, nissuno ti perdonerà di nun essere un micco.

Mantieni sempre la tua parola.

Qualcuno ti dirà che, per aver mantenuto la sua parola, a Attilio Regolo ci successe che lo misero dentro una botte piena di chiodi e lo ruzzolarono giù per Capo le Case, raggione per cui, quando uscì fuori messe una mano sul foco e disse: Ingrata patria, me ci hai pizzicato una volta, nun me ci pizzichi più.

Ma tu, chi ti porta questo esempio, arispondi che quella di mantenere una parola è il lusso di noi poveri diavoli, comechè nun possiamo certo mantenere una ballerina.

Nun ti distrarre mai. Aricordati il caso di Archimede, che doppo aver inventato il tirabbucione, la bilancia, il fucile a due botte e il tassametro, un giorno era rimasto accosì soprappensieri, che rivò un antico Romano e ci dette una sciabbolata in testa perchè lo chiamava e lui nun sentiva.

Disprezza i soldi, ma i biglietti da mille trattali con riguardo. Ricordati il caso di Fabbrizio, che quando vennero l'ambasciatori turchi coi barili pieni di carte da cento, gli arispose: Passate via, o pagate in oro, perchè c'è il cambio! Procura di farti, come sol dirsi, una faccia. Tuo padre ci ha un muso da omo qualunque, e questa è stata una rovina. Se ci aveva i capelli lunghi, il meno che ci capitava era che lo promoveveno omo di genio.

Guarda quell'uomo celebbre che rompeva i vetri. Il socialismo se l'è levato, ma i capelli ricci, col formaggio che se li leva!

Se entri in un partito, scopri subbito una tendenza, si no ti pigliano per un frescone qualunque e ti danno la tessera.

Impàrati venti o trenta parole difficili e quando passi davanti a una birreria, aricopiati qualche nome tedesco e tientelo a mente.

Dimodochè, si in una discussione t'accorgi di avere detto una frescaccia, zompa su e strilla: Sissignori, l'ha detto puro Spatembrau in quel volume sulla metatesi del piroconofobo transustanziato. E vedrai che subito qualcuno ti arisponde: Sissignori, l'ho letto puro io! Fidati di tutti, ma prima chiuditi solo in cammera quando devi fare una cosa: prima vedi se ti ariesce di nun farla, poi pensaci tre volte, ma nun ci pensare quattro, sinnò finisce che nomini una commissione come un governo itagliano qualunque, che manco la vergogna. Arispetta i tuoi superiori, ma senza inchinarti troppo, sinnò ci pigliano gusto e diventi come un piticozzo qualunque. Fa come tuo padre. Io sono come il sighero toscano, che si spezza, ma non si piega.

Si uno ti fa un'offesa, dagli un mozzico al naso, ma poi disinfettati i denti. Stringi la mano a tutti, ma pure quella, disinfettala spesso, come diceva Nerone a Catilina.

Ariguardo ai proverbi però, ci ho sempre avuto una leggera priggiudiziale. I proverbi ci hanno l'inconveniente dei rimedi di quarta paggina, comechè sono una specie di pillole che dovrebbero guarire tutto e invece per lo più ti restano su la panza.

Dice, ma sono figli de l'esperienza.

Già!... E il padre chi era?

Primo inconveniente! Eppoi, ci so dire che spesso e volentieri nun fanno onore a la madre!

Un tempo, presempio, sarà magari stato vero che bandiera vecchia, onor di capitano. Oggi invece, quando una bandiera è vecchia, se ne trova un'altra.

Dice, tanto va la gatta all'unto, che ci lascia lo zampino. Invece io ho viste tante gatte che sono andate all'unto, se lo sono pappato, e sono ritornate a casa in automobile!

Chi di gallina nasce convien che razzoli!... Dicheno loro!... Chi di gallina nasce, se si sa regolare pole pure essere che finisce capodivisione.

Omo a cavallo, sepoltura aperta!... Ma questo è un proverbio che se l'è inventato uno che ci toccava d'andare a piedi... Vidde passare quell'altro a cavallo e ci disse per invidia: Possi morire trucidato. Ed ecco il proverbio.

Io ci dico, piuttosto: Aricordati che l'omo è il re della natura, e mi pare che sia una bella posizione. Il cane è l'amico dell'omo, raggione per cui finirà male.

Tira più un pelo di bona volontà, che un sighero de la Reggìa.

Una mano lava l'altra e tutte due suonano il pianoforte, per cui è una bella scocciatura.

Diffida di chi ti loda in faccia, ma si qualcuno ti loda di dietro, mettici una pietra sopra e allontanati.

Ricordati che l'ozzio è il padre dei vizzi, ma la fatica è la madre dei calli, per cui, fra i due, scegli sempre i spaghetti alla matriciana.

Pensa che la farina del diavolo è l'unica che non paga il dazzio.

Arimembrati spesso quei versi del Metastasio, che dice: Miser chi mal oprando si confida, Laddovechè si fai una boglieria, quando proprio ti credi che non ci pensi più nessuno, ecco che ti fanno cavagliere.

Giunto a questo punto de l'insegnamenti morali, ecco che me te si presenta davanti il fenomeno più grave, comechè un uomo che tu lo prepari per la vita, senza prepararlo al momento che prenderà di petto a la donna, è come uno che ci dici: eccheti lo schioppo e la polvere e va pure a la guerra, ma a le palle passiamoci sopra.

Loro mi diranno: Ma a un padre ci conviene, di fronte a un rigazzino nel fiore de l'innocenza, di farci certi discorsi?

Cari signori, de le due l'una: O il rigazzino certe cose le capisce già, e allora è meglio che ci porti il sussidio de l'esperienza, o non le capisce e allora pole fare conto che ci stia sonando un pezzo di Debbussì e ci pole dormire sopra.

Per cui passo oltre e dico.

Cominciamo abbovo, come diceva quello che faceva il zabbaglione.

La donna sarebbe quella cosa, che ci trovi dentro, sempre con rispetto parlando, ideali più o meno infranti, soli dell'avvenire, raggi di luna, tacchi di scarpa, zucchero e vainiglia, pezzi di Fogazzari e canzonette napoletane.

Si te la dovessi definire bene, ti arissumerei in una parola sola: Piàntela, figlio mio.

Ma siccome tanto tu non la pianteresti, passiamoci sopra. Vedi che parlo come un amico.

L'esperienza, in questo caso, ti pole servire fino a un certo punto, comechè quando l'omo è arivato ad avere una bella esperienza con le donne, è il momento che piglia moglie.

E allora era meglio, che con l'esperienza ce si faceva un paio di fondelli per i calzoni.

La donna si distingue dall'omo, prima di tutto perchè ci ha i capelli lunghi, poi per via dei vestiti, i quali ci hanno questo particolare: che il conto della sarta lo paga il marito, poi perchè ha sempre raggione lei.

Le donne si dividono in sei categorie: cattive, cusì cusì, oneste, disoneste, minorenni e nevrasteniche.

Se ti dovessi dire: scegli; ti direi: comprati mezzo sigaro e tira via.

Ma nun ti dico scegli, per cui è lo stesso.

E doppo che hai detto tutte queste cose, si ti avvicini e ci dici mezza parola, lei casca da le nuvole, comechè la donna si arregola sempre come se stasse preparando il proprio materiale di difesa, dimodochè si agguantavano Putifarre quando levò il mantello a Giuseppe, ci scommetto che già ci aveva pronto l'ago e il filo per far vedere che ci voleva attaccare un bottone.

Col quale sono persuvaso che doppo tutto questo, tu piglierai moglie lo stesso: me ne accorgo dal modo come ti gratti la testa.

E allora, o figlio di poveri ma onesti genitori, beccatela e di' come disse Cornelia madre dei Gracchi: Dio me l'ha data, guai a chi la tocca.

Averai inteso dire più volte che un omo pole ridimere una donna.

Abbada di non fare questo bisinisso, come dicheno oltre oceano.

Non è che la donna si dimentica il beneficio aricevuto; è che non te lo perdona mai.

Tu ci diventi come una specie di fedina criminale in pelle e ossa, e naturalmente cerca di buttarti via.

Aricordati che la donna, quando ti vuol fare una cattiva azzione, prima si persuvade a ogni costo che te la meriti, perciò quando te l'ha fatta si perdona, e trova, che doppotutto, nisuno la pole condannare. A te, però non te la perdona più.

Tu dirai che questi sono brutti difetti e che io disprezzo le donne. Nemmeno per il formaggio: anzi, succede accusì, che quando ci hai di queste idee, l'ultima donna che ti capita per le mani, ti pare sempre l'eccezzione de la regola, per cui si è destino che tu devi arimanere stropicciato, beccati pure questa birola, che salute ti darà, e nun c'è da metterci una pezza.

 

Dicevamo, dunque, che questo è il cosidetto insegnamento morale.

Per quello che ariguarda l'altri lati de la pissicologgia del pupo, che sarebbero come chi dicesse il sentimento e la intellettuvalità, io e Terresina si siamo divisi, come suol dirsi, l'agone.

L'educazzione del sentimento se l'è ariserbata Terresina, comechè lei dice che certe cose, come crescono sotto la mano de la donna, nun crescheno in nissun altro modo. E per fissarci bene ne la mente certe definizzioni, ha scritto una collana di sonetti intitolati: Sonetti del sentimento. Io non ce ne ho potuti finora pizzicare che due: il resto sarà un giorno di domigno pubblico, ma questi due, si volete, ve li dico:

 

LA CASTITÀ

 

La castità sarebbe, una virtù

che è bella, ma somiglia un po' alla rosa,

comechè a dirci il vero, è puncicosa

e non vole la gente a tu per tu.

 

Per esempio: figurati mammà

che ha fatto un dolce e doppo l'ha riposto.

Il dolce c'è, però tu ignori il posto

e l'ora certa che si mangerà.

 

In tutte l'altre bone qualità

si propone l'esempio dei maggiori

però non si può fare in questa qua.

 

Non posso dirti: come tuo padre

(eh..., l'esperienza te lo insegnerà!)

E tanto meno: fa come tua madre!

 

 

E l'altro è

LA CARITÀ

La carità sarebbe un sentimento

che l'omo che lo prova è superiore,

come qualmente glie si allarga il cuore

e doppo s'aritrova più contento.

 

Si fa in parecchi modi a tutte l'ore:

col danzante, con la conferenza,

con la serata di beneficenza

ed altri giocarelli per signore.

 

Si fa per le rigazze disgrazziate...

per qualche miccagliolo che si pente,

per le povere bestie maltrattate,

 

per i cani barboni trovatelli,

per le mosche olearie pensionate

e, qualche volta, per i poverelli!

 

Ma non posso e non voglio invadere ulteriormente il campo della mia leggittima consorte. Perciò abbandono il terreno e aritorno al campo intellettuvale.

E veniamo al malloppo de la questione. Fra tutte le forme dell'insegnamento quello che doverebbe essere più utile, doverebbe essere l'insegnamento de la storia, vuoi profana, vuoi sacra, comechè diceva Ludovico il Moro a la Berresina: La storia è la maestra de la vita!

Ma, perchè sia veramente accusì, abbisogna che la storia sia cumbinata in modo, che da ogni fatto ti schizzi fori l'arelativa reclame. Laddovechè si nun fai accusì, vol dire che ci sarebbero dei pezzi di storia inutile, vale a dire che l'umanità sarebbe come un vestito pieno di buchi. Perciò, ci sono dei frammenti storici senza morale, è segno che l'insegnante nun ce la sa trovare. Altrimenti vorrei sapere che ci giova di sapere che Carlo d'Angiò vinse i Turchi alla battaglia di Pavia o che Federico Barbarossa disse a Carlo : Si tu ci provi a sonare la tromba, senti che campana ti sono io! Per cui intervenne Cesare Borgia e tutto fenì col trattato di Villafranca.

Lei me ti consideri per esempio il fatto di Nerone. Che ci pole interessare a noi di sapere che quello dette foco a Roma, per cui venne fori il Quovadise, e altri incomodi?

Va bene, averà fatto male, ma ormai quell'incendio l'hanno smorzato da tanto tempo!... Eppoi, scusino tanto, ma loro la vedono la morale del fatto? Io no. Come vogliamo concludere?...

Morale: Rigazzi, non date foco a Roma! Ma sarebbe lo stesso che dire: Rigazzi, nun tirate la coda all'Orsa Maggiore! Oppure:

Nun vi soffiate mai il naso ne la chioma di Berenice!

Tanto meno, poi:

Nun fate magnare i cristiani dai leoni! Anche perchè ci sono certi cristiani in giro, che sarebbe il caso di fare un contratto con un leone aresistente, per un tanto a cristiano, e pure c'è il caso che se casca in certa gente, povero leone!

Laddovechè invece io ci ariduco la cosa a proporzioni più modeste, e in modo che la morale ci casca in mano bella che fatta come un cioccolatino al distribbutore automatico.

Io ci dico: Nerone era un bravo rigazzo. La matina si alzava, si lavava e si pettinava, e dava il buon giorno ai suoi cari genitori. Insomma sarebbe stato il modello dei rigazzi, se nun avesse avuto un brutto difetto, quello di giocare coi fiammiferi.

La madre gli diceva sempre: Bada, Nerone, che un giorno o l'altro mi farai avere chi sa che dispiaceri e finiremo sui giornali, che nemmanco la vergogna!... Pareva che il core glielo dicesse, povera donna!...

Abbasta, dagli oggi e torna a ridarvi domani, fenì che un giorno dette foco a la casa. Una casa abbrucia l'altra e tutte e due lavano il viso, per cui, in un momento, prese foco tutta la città, e fu un disastro tale, che solo a cumitati di beneficenza, danzanti, tolette per le signore e onorificenze ai superiori di chi s'era distinto, ancora c'è chi piange!...

Per cui concludo: Morale! Rigazzi, ubbidite i vostri genitori, amate la Patria e il Re, e non giocate coi fiammiferi.

Ecco che io utilizzo Nerone mentre l'altri lo adoperano a scopo puramente decorativo.

Questo è, per modo di dire, un esempio di industrializzazzione storica, ma ci sono altri fatti che a la critica nun reggheno!

Come volete, presempio, che io utilizzi il fatto di Noè? a scopo di temperanza?

Come! un omo che s'era trovato al diluvio universale e aveva visto che scherzi fa l'acqua, lo vorressimo mettere in croce perchè ha voluto provare se andava meglio col vino?

E l'affare di Esaù?...

Dice: Esaù si vendette la primoggenitura per un piatto di lenticchia!

Uhm! Sarà!

Io, però, ho fatto alcune indaggini, da le quali me ti arisultano particolari piuttosto gravi. Dice: il padre si chiamava Noè, la madre Rebbecca, ci avevano un parente prossimo che si chiamava Samuele, e il figlio di Giacobbe, indovinate un po' come ci messere nome?... Isacco!...

E con una parentela come questa, e un nome come quello, uno fa un'affare accusì sballato, di vendersi la primoggenitura per un piatto di lenticchia?...

Eh!... Se si mettevano d'accordo Esaù e Giacobbe, pole essere che la primoggenitura la levaveno a quel prezzo a uno che si chiamava Pippo o Federico, ma da quel galeotto a quel marinaro uno scherzo cusì nun andava !...

Diciamo piuttosto che fecero figurare la lenticchia, per nun pagare la tassa di successione, e forse saremo nel vero !...

è questa la sola indaggine o riforma che vorrei proporre.

Anche si osserviamo la grammatica, lorsignori vedono al consuveto volo del non mai abbastanza lodato uccello, che ci sono un sacco di cose che, salvando il dovuto arispetto, fanno a calci con la vita.

Una cosa che nun ho capito, presempio, è la cogniugazione dei verbi.

Dice:

Io curro, tu curri, colui curre!...

Piano!...

Io curro. Va bene. Io posso currere, perchè sono un libbero cittadino. Tu si sei tanto amico mio che si diamo del tu, curri pure te per vedere che m'è successo,

Ma cului che c'entra?... E si cului ci ha le scarpe strette?... Come! S'è tanto combattuto per la libbertà e a questo povero colui ci vogliamo buttare un laccio al collo e tirarselo dietro come un cane barbone qualunque?

Io dico che colui nun curre.

E bastasse questo. Ci sono degli altri verbi che nun si possono assolutamente cogniugare cusì. Presempio:

Io vado in automobile, tu vai in automobile, colui va in automobile. Ma bravo! e chi va sotto? e il vile pedone dove lo lasci?

Senza contare che ci sono dei verbi che a cogniugarli accusì, ti tocca poi di fare a pugni con la loggica.

Presempio: Io sbafo, tu sbafi... Eh!... per bacco,  se io e tu sbafiamo, colui paga. Magari pago io, paghi tu, facciamo a la romana, facciamo come ci pare.

Ma se sbafiamo tutti, o bisogna supporre un paio di colui, o paga quello che ha scritto la grammatica.

Quindi io m'aribbello e sostengo che i verbi dovrebbero coniugarsi in un modo più confacente alla vita, che sarebbe, presempio, il seguente:

Io curro, tu ci hai una cambiale protestata, colui fischia la marsigliese.

Io canto, tu te ne vai, colui si attura le orecchie.

Io tengo una conferenza, tu la mastichi male, colui dice: accidenti a quando ci sono venuto.

Io compro un sighero, tu te lo fumi, colui sputa.

Io vado in automobile, tu mi guardi con invidia, colui sente la puzza de la benzina.

Io litigo, tu litighi, il terzo gode.

Io piglio moglie, tu mi compiangi, colui... come sopra.

 

Ora, premessi questi metodi, e dimostratoci come ho tirato su questa creatura mia, io sento la necessità di arivolgermi a lorsignori per un cunsiglio.

Un giorno o l'altro questa creatura mia romperà la cunsegna e crescerà. Con cui allora me ti zompa davanti il problema più arduvo: Che carriera ci farò prendere? È uno di quei problemi che a un povero padre nun lo fanno dormire più meno che si avesse inghiottito un sorcio sindacalista.

Come dice lei, laggiù?... L'impiegato?... E!... caro signore, si nun fusse che lei sta troppo lontano, era proprio il momento del mozzico al naso.

Come!... il pupo mio, per averci un padre impiegato, per poco nun ha fatto la fine del visconte Ugolino che fu promosso abbacchio per merito speciale. Come!... tante volte io, per essere impiegato, faccio finta di masticare la penna perchè sono distratto, e invece ci faccio colazione!... E dovrei mettere mio figlio ne lo stesso vicolo cieco?

Il medico?... Ma se, povera creatura, una volta che ammazzò una mosca pianse tanto che mi toccò di comprarci un gobbo col fischio!...

Allora vol dire che la prima volta che ammazzasse un cristiano mi toccherebbe di comprarci una balena col trombone!...

Una voce perversa me ti mormora: Facci vendere la sua cuscienza.

Bravo!... Di questi tempi una cuscienza quasi nova di marca nazzionale, con pezzi di aricambio, vale su per giù come un cane morto con la pelle in cattivo stato.

Per cui mi arivolgo a loro: Si qualcuno di lorsignori ci avesse un posto da acchiappatore di mosche, da giocatore di pallino o da cane barbone, me lo facci sapere al «Travaso». Comechè ho perduto l'ultima speranza: credevo di poterlo impiegare come rompitore di scatole, ma, purtroppo, vedo che in questo c'è il padre che basta e avanza!



«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License