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Piglio contatto con le Muse per raggioni di stetica
Ti demolisco il novo Montecitorio.
Lei mi dirà: Ma questo Oronzo vole ficcare il naso, salvando i suoi principi politici, dapertutto, come l'Imperatore Guglielmo!
No, ci arispondo io, comechè prima di tutto, si sono importuno, vol dire che rompo le scatole a quei due o tre miglioni di lettori, mentrechè l'imperatore ogni tanto dà un pizzico nell'equilibrio internazzionale a l'Europa e allora è uno scatolifraggio universale.
Eppoi, ne la quistione in parola c'entro come contribbuvente, e come tale baccaglio, strillo, fo cagnara e posso puro rivare a un cinichetto d'arivolta.
Me lo saluta lei il Palazzo del novo Parlamento?
Io non ti voglio dire che l'egreggi artisti che l'hanno ideato nun siamo ommini all'altezza de la cosa, ma, francamente, vi trovo non poco d'aridire.
Prima di tutto costa troppo. I nostri relativi padri si ariunivano per delibberare sotto un albero, magari di fico, o quanto meno nel foro. Ora lei me lo insegna che anche facendo le cose a la grande, presempio con cinquanta fichi e altrettanti fori, c'era da arisparambiare un bel po'.
Laddovechè tutta questa spesa è come la girandola bonanima, ciovè una specie di razzo matto di marmo o travertino, col quale lei vede a occhio nudo che i bagliocchi se ne vanno, il diputato arimane quello stesso prodotto avariato che era prima, e a noi ci resta il razzo.
Inoltre ci troviamo sempre di fronte a la stessa quistione di quel tale che ci aveva le gambe di legno e tutto il giorno si allustrava le scarpe, laddovechè per quanto allustrasse, i piedi non c'erano!
Perciò io averei voluto che accanto al dificio parlamentare, ci fusse un palazzo per una scola d'allievi diputati.
Comechè in tutte le professioni c'è l'apprendissaggio, e in questa no.
Voi fare il pizzicagliolo? Ma prima che sii ammesso a tenere un salame in mano ti tocca di fare il rigazzino di bottega per dieci anni.
Voi fare la levatrice? Ma prima di ariccogliere un pupo devi fare le prove chi sa quanto tempo!
Invece, la nazzione te la considerano al di sotto di questa creatura mia, nonchè del salame, perchè oggi sei un frescone qualunque, domani con una buona raccomandazzione ti trovi la nazzione in mano, robba che nemmeno la vergogna!
Inoltre, creda puro che è inutile che il signor Sartorio nonchè Calandra e Trentacoste ti perdano tempo a farci le allegorie ne le pareti, vuoi in marmo o vuoi in pittura.
Il diputato, quando ti vede tutte quelle figure in movimento si crede che sia un tumulto popolare e arimani lì intontito, perchè nun sa si si deve buttare a destra e invocare i tre squilli, o a sinistra e tirar fori la lotta di classe.
Senza contare che qualcuno poi pole credere che tutte quelle bandiere e quelle folle arippresentino un omaggio, oserò dire, suvversivo all'indipendenza itagliana, mentre nun bisogna guastarsi con l'alleati.
Io invece ci averei fatto un lavoro, diremo accusì, più verista, ciovè, da una parte un curemi appresso di diputati che cercheno di agguantare un portafoglio, dall'altra una serie di sori Bonaventura impiccati con la scritta: Chi la fa, non fo per dire, ma l'aspetta.
Eppoi, tutte le massime stampate a lettere d'oro in giro giro: La buggia ha le gambe lunghe — L'abbito fa il monaco, il clerico-moderato, il socialista e il narchico — Colleggio che vai, sbafatori che trovi — Dammi il voto oggi, che ti darò lo sbruffo domani, e via discurenno.
Nunchè poi ci farei un bassorilievo indove ce si vedessero tutti i miracoli di San Suffraggio universale, ciovè il morto che vota, la scheda che gira come un picchio, l'omo con due teste che vota per due e sbafa per quattro, il miracolo de le cinquemila pagnottelle imbottite, che se le mangiarono in cinquanta lettori e la leggenda de l'elettore bono, che gli dettero un posto fisso al ministero, e de l'elettore cattivo, che le guardie lo aspettarono a la porta del seggio, gli dettero un sacco di pignoli e lo messero dentro per oltraggio.
Vorrei inoltre farci alcune variazzioni, come suol dirsi, nel meccanismo interno.
Ciovè, metterei da una parte una grande lavagna con la quale lei vede ad occhio nudo che quando qualcuno vole fare uno di quei discorsi che è come se parlasse col proprio bellicolo, tanto se li sente lui solo, invece di perdere il fiato, va là e se li scrive in succinto, accusì l'altri possono dormire o scrivere le lettere a casa in pace.
Accusì uno va là e scrive: Mando un saluto a la bonamina di Mastro Titta — Adoro il carabbignere — Levo una fiera e dignitosa protesta — Intensifico la propaganda — Mi ti conteterei d'un Sottosegretariato, e via dicendo.
Inoltre per la votazzione è inutile aricorrere al solito gioco de le palle nere e di quelle bianche, tanto si sa che ci sono certi che votano sempre di sì, per tutti i ministri. Io a quelli lì ci leverei le palle, tanto che se ne fanno?
Accusì le cose anderebbero più tranquille e quando capita un affare di Stato, la Camera ci potrebbe soprassedere in pace.
Ma lei vederà che di tutte queste proposte nun n'ariccolgono una.
Questa è la sorte di tutti l'inventori: da Gallileo che scuprì il pendolo e ce lo sequestrarono per oltraggio al pudore, a Cristoforo Colombo che voleva scuprire l'America e nun potè perchè l'uscere del Ministero accese la pippa con la pratica relativa.
Ma il tempo farà giustizzia, e come è andato a cercare ne la guida Monaci tanta gente illustre per farci il monumento a Roma, si no nisuno li conosceva, accusì un giorno ti piglierà Oronzo e lo leverà sugli scudi.
Butto un occhio sull'altare della Patria.
Lei che ha la bontà di leggermi, favorisca trasmettere n° una stretta di mano a quel pubblicista il quale disse che ci aveva messo meno Vittorio Emanuele a fare l'Itaglia che gl'Itagliani a farci il monumento. Laddovechè è una frase che ce l'invidio, essendoci arispecchiato, come sol dirsi, il sintimento di tutti i cittadini.
Oramai siamo rivati a un punto che si Vittorio si arisvegliasse ci tira appresso tutti i sassi che hanno ammucchiato lassù. Io sono funzionaglio de lo Stato, e quindi doverei chiudere un occhio, ma nun mi posso areggere più e ci dico che si Oronzo mandasse avanti le cose di casa sua come le manda il Governo, a quest'ora averebbe dovuto mettere all'asta, salvando indove mi tocco, Terresina, il pupo e il Sor Filippo.
Ci avevano sottomano il travertino, e non l'hanno voluto addoperare. perchè dice che prima voleveno vedere si che riuscita faceva al Coloseo, e così ti hanno preso una pietra buzzurra che quando ti viene qui gli ci vole l'indennità di trasferta, e poi viene a pezzo e bocconi per cui ne consegue che lo scarpellino sciopera, baccaglia, strilla e ha raggione.
Quando è morto l'architetto Sacconi tutti sono zompati su a dire: Arispettiamo la sua volontà, per cui facciamo una commissione.
E ecco che ti zompa su uno e dice: Io ci farei una piccola trasformazzione qui; io ci darei una piccola bottarella là, io ci metterei un altro pupazzo qua sotto, io ci appiccicherei un altro freggio qua sopra e accusì il monumento arimane freggiato più del necessario, che manco la vergogna per l'occhio del mondo.
Lei si deve figurare che io, il quale ci ho l'abbitudine di trascinarmi appresso il pupo per erudirmelo, tutte le volte che passo vicino al monumento e lui me ti domanda quando sarà fenito, mi tocca di farmi venire la tosse per non risponderci; accusì a quest'ora ci ho una mezza bronchite.
Laddovechè, si parlassi, ci doverei dire: Questo è quel monumento il quale ti arippresenta per filo e per segno l'Itaglia, indove vedi che è stato fatto pigliando un capitello qua e una colonna là e non si ariesce a metterli d'accordo, per cui ecco che zompa fori il governo e ti nomina una commissione da cui ne deriva che un membro si dimette e un altro scrive una lettera a un giornale. Impara, figlio mio, che l'omo finchè è un privato cittadino ci fai tanto di cappello, ma quando ti diventa membro ci spuntano fori tutte le boglierie, compresa la diaria che la paghiamo noi, e il risultato è questo, che indove ci dovrebbe sventolare quel vissillo intemerato che nun si sa quante battaglie, birole, sleppe e cannonate ci sono volute, ecco il boglia te ci pianta il vissillo de la boglieria, laddovechè quando tuo nipote verrà a vedere il progetto definitivo del regolamento che regolerà le terz'ultima commissione, i pupazzi che dovranno arippresentare l'ommini grandi intorno al monumento ti zomperanno su come tanti saltapicchi e ti strilleranno:
«Si sapevamo che per cavusa nostra ariducevate l'Itaglia un pizzico, col formaggio venivamo a fare l'ommini grandi qui! E poi c'è puro questo, che quando s'invita a casa una persona per bene, bisogna prepararci la compagnia proporzionata, e invece qui è come un vagone di terza classe in cui c'incontri un sacco di sconosciuti».
E il grido ti correrà come una palla dall'Alpi al Lilibbeo, indovechè tutti si sveglieranno, perfino i cittadini romani, e obbligheranno il governo a nominare una Commissione perchè compri una carta geografica e accusì veda che c'è un paese che si chiama l'Itaglia.
Mi ti dichiaro solidale con Dante Alighieri.
A un sacco di gente che ne parla, ci vorrei dire: Favorischino di non stuzzicarmi Dante Alighieri.
Dice: facciamo il monumento! E con questo ci pare di fargli un complimento?... Ma un complimento, verbigrazzia, lo fai quando a una persona ci dài qualche cosa che nun la dai a nisuno, mentrechè si puta caso a uno ci dai un bagliocco, una scarpa vecchia, un pirolo di sedia, una cica ezziandio cicata, una croce da cavagliere o un osso di nespola precedentemente succhiato, è caro nonchè grazzia se non te lo tira in faccia.
E qui è chiaro che quando uno riva a capodivisione ha diritto al monumento di bronzo e, si ci fanno male le scarpe, magari con cavalcatura; si poi è stato ministro vi ha diritto con femmina, fanciullo e leone o altri pupazzi assortiti, raggione per cui Roma con tutti quei buggeri che fanno le mosse sui piedistalli pare l'anticamera d'un sartore con molta gente che si prova i vestiti.
Creda puro che a voler erudire un po' il pupo su le glorie nazzionali è diventato un fatto da strapparsi i capelli. Si figuri che un giorno ti rivai al punto che passando dietro al Ministero de le finanze ci viddi un signore novo sull'alberetti, e nun sapendo come cavarmela dovetti dirci: Quello lì è quello che ha inventato il soprabbito a doppio petto.
Dimodochè, quando ti vogliamo fare un monumento a Dante, facciamo come colui che ti invita a casa una persona di soggezzione e poi nun ci ha da presentargli una compagnia come si deve. Vi aggiunga che adesso ci si mettono puro i forestieri o fra poco tempo non ci sarà un violinista polacco o una sciantosa francese che nun ci abbia due bagliocchi di piedistallo e tre centimetri di pupazzo a Roma.
Laddovechè Dante potrebbe arisponderci: Ma, o figli di donne, non fo per dire, mancipate, nun averessivo potuto lasciarmi in pace all'inferno, indovechè, almeno, la gente che ci capitava la conoscevo?
Ma nun c'era altro poveta che Dante?
Quel Dante il quale fu, oserei dirci, il padre e precursore di tutti gli Oronzi, perchè con una puncicata di penna ti prese tutti i bogli in un mazzo, ci fece ognuno la sua nicchia e lì schiaffò miccaglioli, scocciatori, diputati fedifreghi, coscienze tarlate e moralità col buco, cori di cacio marcetto e anime di peracotta!... Lì ti vedi i sori Bonaventuri costretti a rosicarsi in eterno le cambiali protestate, lì si hai fatto un peculato ti tocca di trascinarti in eterno un carretto di spazzabbricciole, e nun c'è corte di giustizzia che tenga: quando Minosse ti ha dato quattro intorchiate di coda, quella coda è come il dito di Dio, che sorge da le sue ceneri e ti grida: Ah profumone, beccati questa birola e mosca, si no chiamo Farfarello con la piluccia de la pece bollente, e te la sciropperai a uso zabbaglione!
E un uomo come quello, che ce ne vorrebbero almeno undici, uno per dicastero, me lo volete mettere al pari di questi Spetalieri, che ce li troviamo sull'osso del collo come i pidicelli, senza sapere chi ce li ha attaccati?
Siamo sempre lì: la gran piaga della società moderna nell'attuvale momento in Itaglia è il disprezzo dell'omo qualunque.
L'omo qualunque ci ha avuto il suo momento bono quando tutto era fatto per lui, quando ci scriveveno per lui, e solo per lui, quelle belle commedie che feniveno bene, quando perfino i pubblici difici e monumenti ereno fatti in modo accusì preciso e benpensante che, vedendo un omo sopra un piedistallo con un leone sotto, tu nun potevi nippure sospettare che quello fusse un domatore con un leonoide domato, ma dicevi subbito: È un monumento d'un capo divisione; insomma, quando ai giovinetti che erano cresciuti leggendo Marco Visconti ci potevi far chiudere l'onesta e virtuosa carriera leggendo i Bozzetti Militari, e chi era nato al sono de la tromba intrepida poteva chiudere l'occhi a quello di Beppe che va soldato, o quanto meno a quello del Cusì veder vi voglio, o altra bibbita di Giuseppe Verdi al selz.
Ma oramai è avvenuta, come diceva quel socialista che voleva andare al potere, la scissione.
O almeno, si l'apparenza non ne fa una de le sue e nun inganno, l'omo qualunque è sceso di grado e nun ha più voce in capitolo.
Ma forse è l'apparenza che inganna e siamo arimasti, in forma privata, tutti ommini qualunque. Certo è che un cittadino che si vole sciroppare l'arte contemporania, deve dividersi, non già pel tradizzionale numero fisso tre e quattordici, ma in due parti ben distinte: l'omo contemporaneo, e l'omo qualunque, ovverosia, l'omo esterno che fa finta di capire e l'omo interno, che nun capisce gnente e abbozza. Col quale abbozzamento vengo al malloppo de la quistione che, nel caso specifico, sarebbe il Parsifalle.
Come lei saprà, il direttore del Travaso giorni fa me ti chiamò in redazzione e disse: Sa, siccome al critico musicale gli è venuto un gelone al bellicolo, con rispetto parlando, lei è pregato di arecarsi al Costanzi per prendere le cusidette brevi note.
Detto un fatto, ammalapena ebbi data un'occhiata al programma, che cuminciava a le quattro e finiva alle dieci, con intervallo pel cibbo, scrissi alcune disposizioni testamentarie e pregai Terresina di prepararmi una pagnotta da due bagliocchi, con dentro uno di prosciutto e uno di provatura, mi feci allustrare la tubba de le grandi occasioni, il cravuse che ci sposai e, sul punto di uscire da casa, in un momento di malinconia mi feci recitare dal pupo «L'addio di Lucia ai monti» dei Promessi Sposi, per cui quando uscii mi pareva di aver mangiato un impiastro di semedilino con tutta la pezza, o un gelato d'unguento di semifreddi.
Fu accusì che entrai in teatro e — arimirami subbiimi scherzi del destino — ti vado a cascare proprio accanto a quel signore coi capelli lunghi che in altre consimili impresi teatrali me ti è stato compagno e guida, comechè essendosi tagliato i baffi e la barba, è diventato vagneriano.
E detto un fatto mi accinsi a lo sciroppamento scientifico dell'opera.
La quale si fussi uno scienziato ce la saprei descrivere, comechè invece essendo un omo qualunque nun posso che procedere per via di paralleli.
Lei si figuri un viaggio in ferrovia indove ora sbuchi in un paesaggio che levati, indove il core te si apre e ti pare di sentire qualche cosa come la marcia de l'Aida, multiplicata per dieci, indove Mimmì, la fioraglia, ce si perderebbe come una ciriola nell'oceano Pacifico, e in altri momenti viaggi in un tunnele indove nun senti che lo stantuffo de la machina e provi l'impressione che ti vogliano persuvadere con la violenza.
E siccome io sono tutto d'un pezzo e con le bone mi porti indove ti pare, ma con la prepotenza no, allora era il momento che dicevo: Eccoti che, gratta gratta, come diceva Cleopatra al caporale dei pretoriani, ariviene fuori il tedesco.
Quello che nun ho capito bene è stato il fatto dell'opera. Capirà, noi siamo abbituvati a quelle bell'opere indove c'è la prima donna che s'innamora del tenore, il baritono che nun vole, e a la fine s'imbussolano i nomi, uno more e l'altri due si sposeno, mentre il coro s'allontana, con quelle belle canzone che pareno la tirolese, e le campane che fanno din-don.
Invece qui, tutti questi guerrieri, boschi incantati, fate, pipistrelli, bestie antidiluviane, ora moreno, ora arisusciteno; il diavolo il Padre Eterno, il cane barbone, la spada affatata, il vermine solitaglio intusiasmato, la lucertola sdegnosa, così di sopra, così di sotto, e ogni tanto certe cooperative di squilli di tromba che ti pare che il tenore stia per strillare: Scioglietevi!...
Per cui mi arivolsi al mio vicino e ci dissi, dico: Scusi, averebbe la bontà di dirmi in poche parole il fatto dell'opera?
Lui me ti fece un sorriso sdegnoso e me ti disse:
«Il fatto, vede, proprio come fatto, sarebbe quasi una scemenza tale che la favola di Barbabblù, al confronto, diventa la Divina Commedia, ma nell'opera di Wagner, oltre al fatto, che è quello che vede lei, c'è il superfatto, il fatto filosofico, il simbolo, il parafatto, il metafatto, l'endofatto, il catafatto, e tira via che si no si mette male, come diceva Sigfrido a la battaglia di Canne.
«E quelli lì, vede, si ce lo devo dire in cunfidenza, nun li so nemmeno io, anzi, siccome è una materia complicata, forse nun li sa nessuno, ma si lei si lascia capire che nun lì sa, si faccia un'idea che questo sorriso ironico che ci fo io (e me lo fece) ce lo fanno tutti.
«Comechè a quell'autore lì, prima nun lo voleveno capire in nissun modo, e per quanto girasse nun arimediava nemmeno una croce da cavagliere, ma quando furono bene sicuri che ci aveveno inacidito l'anima, allora pure i stranuti diventaveno tanti capilavori. Del resto lei è un profano, perchè vedo che sta lì e si gode la musica come un peraccottaglio qualunque, mentre invece dovrebbe dedicarsi a la ricerca del laitemotiffe. Col quale la prego di non disturbarmi».
Io, naturalmente, arimasi abbacchiato. E quello che mi abbacchiò più di tutto fu la durata del lavoro. Dice, è bello. Sicuro. Ma perchè nun ci mettono anche sul programma il modo di usarlo? Comechè la Venere Capitolina è una statuva, ma si te la danno in testa fenisce la musica.
Comechè quando uscii dal teatro ero accusì imbottito di note, che la notte me ti sono sognato che andavo in barca in un mare di sol bemolle indove c'era Parsifalle a cavallo d'una chiave di basso, con la quale mi pareva che Terresina strillasse, do, do, do, do, e l'eco rispondeva: ah! troppo tardi t'ho conosciuta!
Fedele all'ordini ricevuti, quando fu domenica a sera tirai fori il cravuse che ci sposai, feci la barba a la tubba, perchè ce si era arruffato il pelo sui spigoli e me ti diressi come un sol uomo al Costanzi. Comechè io sono come un soldato militare e una volta che l'ordine di servizzio portava Pelleossi e Melisenda, dissi: e Pelleossi e Melisenda sia!
Laddovechè lei me lo insegna che mi sentivo un certo batticore, perchè la professione del critico musicale arissomiglia un poco a quella del callista: si tagli mezzo millimetro più in là, ti saluto, o cuffia! Detto un fatto, ecco che cominceno a accordare i strumenti e io, fermo come torre che non crolla, aspettavo che cominciassero a sonare. Laddovechè tireno su il sipario che quelli accordaveno ancora. Anzi, ci devo dire la verità, pareva un congresso del partito socialista.
C'ereno a dir poco, in orchestra, venticinque sottogruppi che ognuno marciava col programma suo, laddovechè nel frattempo eccoti che quelli che recitaveno, pareva che si vergognassero di dare retta a l'orchestra, per cui ne consegue che io dissi fra me, come diceva il poveta: Viva la libbertà, semo fratelli!
E infatti è chiaro che si uno che recita andasse appresso a l'orchestra averebbe l'aria di farsi impressionare da la piazza, mentre invece quando ti dichiara l'autonomia, c'è più nobbiltà di carattere, nonchè una cert'aria a la don Romolo Murri che a un vecchio giacobbino come me nun ci dispiace mai.
Vi aggiunga che, visto e cunsiderato che faceveno il commodo loro, lo faceveno con una certa discrezzione, senza troppi botti, anzi, a un certo punto pareva un congresso di cazzarolette che le bollissero a foco lento, nel frattempo che il cuoco si fischia a mezza bocca un'arietta per conto suo e la signorina impara la scala sul pianoforte due cammere più in là.
Creda puro, era una cosa accusì innocuva, che a un certo punto, sentendo uno strumento che faceva gnau gnau me ti scappò detto: Povera bestiola!
Per cui un signore coi capelli lunghi che ci dev'essere spesso perchè mi aricordo che l'hanno scorso mi dette alcune spiegazzione su la Cavalcata di quelle gentildonne delle Valchirie, si arivolta e me ti fa:
Dico: No, ma mia moglie è zoofila, per cui si sapesse che in pieno secolo ventesimo ci sono dei professori d'orchestra che si permettono di chiudere un povero micetto nel trombone per farlo gnavolare al teatro, tirerebbe fori un barile e mezzo d'ideale infranto.
Dice: Scusi, ma lei nun capisce il simbolo; quel gnavo, gnavo del gattino vorrebbe dire il tramonto del sole col conflitto della passione, l'arimpianto del povero ceco nonchè addio del passato, Funicolì Funicolà e chi la fa l'aspetta.
Io ci detti un'occhiata che se era un colpo di spada arovinavo puro la poltrona, poi presi e mi soffiai il naso.
— Che cosa dice?... fece lui.
— Questa soffiata di naso, ci dissi io, è un simbolo col quale vol dire che si lei crede di acchiapparmi nel circolo, o prendermi in giro, come dice la plebbe, l'avverto che ci faccio entrare la capoccia nel contrabbasso.
A questo punto fussimo interrotti, perchè il pubblico, visto che orchestra e cantanti, abbenchè pagati faceveno il commodo loro, disse: Figurati allora io che sono quello che pago!... E giù fischi, strilli, urli e altri generi commestibili che io mi dicevo fra me e me: Vòi vedere che è venuto fori Corrado Brando?
Vorrei spiegarci il resto, ma sarebbe tale e quale, laddovechè si avessi avuto un'idea del trattenimento che era, me ti portavo tre o quattro pratiche, accusì facevo un po' di lavoro straordinario.
Laddovechè quando uscii, eccoti un'altra volta accanto quello coi capelli lunghi. Dice: Ebbene, che ce ne pare?
— Mi pare, ci feci io, che sia la stessa stropicciatura de la Salomè ovverosia la stropicciatura è la stessa, ma mentre quello ti piglia con le cattive, t'intontisce a trombonate e permette perfino all'obboe di farti l'atti sconci, questo cerca stropicciarti con le bone. Con cui questa è una specie di solita patacca musicale: però a me non m'incanteno.
— Però, fa lui, il pubblico ha fatto male a fischiare accusì un maestro di questo genere.
— Ci pare a lei! Dica che invece di chiamarsi Debussy si fusse chiamato Dibussini, e doppo mezz'ora in platea ce si poteva fare la quadriglia perchè tutte le poltrone staveno sul palcoscenico.
— Ma scusi, come fa lei a giudicare? Lei legga il Giornale d'Itaglia e vederà che questa non è cosa per tutte le intelliggenze: ci vole della gente che abbia una certa cultura musicale, con la quale si acquisteno quei capelli lunghi e quell'aria fra il nevrastenico e la scopa usata che permettono di comprendere il simbolismo della cosa.
— Ma scusi, il simbolismo che sarebbe?
— Sarebbe come quando io nun fussi bono di parlare, e per farmi capire ci faccio i segni.
Dimodochè questa è musica e nun è musica, l'artista c'è e nun c'è, e nun ti poi sperare che una persona come lui ti venga incontro: forse te lo insognerai stanotte; forse mentre meno te lo aspetti, ti zompa su da una chiavichetta come una sorca mancipata; forse, mentre lei credeva che quello facesse solo zin-zin gnau-gnau, chissà quante volte ci è passata vicino la fortuna, perchè quel zin-zin voleva dire; Giochi 24 primo estratto. In altri termini il simbolismo sarebbe quella cosa che uno nun si capisce nemmeno da sè e l'altri fanno finta di capirla per l'occhio del mondo, ovverosia qualche cosa di mezzo tra lo spiritismo, il gioco delle tre carte e i dolori per l'ossa.
— Lei averà raggione, feci io. Si si tratta di malatie, abbisogna compatirli, perchè pole toccare a tutti; ma averebbe la bontà di spiegarmi perchè, visto e cunsiderato che la musica nun è musica ma un simbolo, e accusì i cantanti e via discurrendo, nun introducheno anche l'abbitudine di pagare al botteghino in simboli? Accusì uno pagherebbe con una patata, un altro con un solfeggio, un altro con un bottone dei calzoni, con un sorcio morto, una pecetta di carta masticata, un osso di abbacchio, una parola affettuosa, un cerino o un mozzico in faccia.
Invece tutto è simbolo, ma quando rivi al bagliocco, si poco poco nun sona bene sul marmo o se la carta è un po' zozza, è come si avessi scherzato.
— Vedo che nun andiamo d'accordo, fece lui; arivederla. A proposito, ci averebbe mezzo toscano?
Per cui io tirai fori una cicca lunga due millimetri e ce la detti, dicendo: prenda puro, questo è un simbolo di sighero avana.
Contro la ditta Strausse e Salomè.
Fedele, come sol dirsi, a la voce del dovere me ti sono recato al Costanzi a scopo di Salomè.
Laddovechè si devo dire che è un capolavoro, buvatta più, buvatta meno, farò un sagrifizzio e ubbidirò, ma si devo dire la cosa come la sento fino al momento presente, sono grammi tre di fenacitina pel mal di testa, e di più ho perduto la pace del focolaglio domestico.
Ma mettiamola sull'altare del dovere e basta.
Prima di tutto credevo che con Basigliola avessimo esaurito la serie de le femmine matte e zozzaglione, e invece eccoti Salomè a petto de la quale Basigliola diventa una creatura di tre anni che gioca a pallino.
Almeno quella lì andava per Gratici e basta, ma questa va per capocce di uomo, la quale è robba che si vi aripenso, me ti si addrizzano quei quattro peli in testa.
E si la cosa piglia piede, oggi o domani si vedremo sul teatro una che ci piaceno i cani in avanzata putrefazzione o ezziandio l'arrosto di rigazzini in fasciola o quanto meno l'insalata di nasi tabaccosi.
Mi fa il piacere di dirmi perchè uno che si chiama Giovanni si deve mettere nome Jokananne?
E quella famiglia Erode me la saluta lei?... In mano a quell'imbriacone lì, con quella moglie e quella figlia, me li saluta lei quei poveri giudii.
È vero che puro Giovanni, non fo per dire, ci fa una figura un po', diremo accusì, esaltata. Si vede che la testa gli premeva poco, o vogliam dire, l'aveva presa in affitto.
Il fatto è che quando Salomè ariclama la sullodata testa, e ci intigna tanto: Voglio la testa di Jokananne, voglio la testa di Jokananne, voglio la testa di Jokananne, io dicevo tra me: Adesso il padregno gli dà un pignolo!... Invece gnente!
Al tempo mio le rigazze, quando aveveno dimandato una camicetta o un fazzolettino di seta era tutto quello che voleveno: adesso ci vonno le capocce di Jokananne.
Abbasta, passiamo a la musica.
Io, ai tempi miei, ero abbituvato che quando andavo al teatro, mi ariportavo sempre via qualche motivo, laddovechè qui invece mi sono ariportato via certi giramenti di testa che levati! Ogni tanto sentivo un violino che accennava un motivo e ci andavo appresso, ma eccoti il trombone che lo seppelliva; cercavo di andare appresso al trombone, e tarataffete, la grancassa ti mette tutto sotto e bonanotte al secchio; nonchè poi c'è uno strumento lungo di legno che ogni tanto faceva certe cose sconvenienti... ma questo doverebbe essere un capriccio del sonatore, e dica al maestro che ci metta aripparo lui, per l'occhio del mondo.
Per la quale, l'affare del ballo nun c'è male, ma si io fussi una prima donna mi aribbellerei, laddovechè dopo aver cantato tante belle cose in itagliano, aridurmi a ballare in tedesco, mi parerebbe un'umigliazzione!
Vi aggiunga che ci avevo il solito individuo accanto, col fracche e i capelli lunghi, che ogni tanto s'entusiasmava e mi pistava il piede indove ci ho l'occhio pollino.
Quando sortissimo, lui me ti si arivolta e mi ti fa: Nun è vero che è divino?
Io ci arisposi, dico: Sa, non per offenderla, ma a me mi ha fatto l'impressione di uno che volesse darmi d'intendere un sacco di buggerate!
— Si vede, arispose lui con un sorriso disprezzante, che lei nun ci ha preparazzione.
— Come sarebbe a dire?...
Dice: Qui ci vole l'omo raffinato e, salvando indove mi tocco, un po' morboso, per cui lei si procuri qualche ignezione di morfina, si imbriachi col vischi, che sarebbe la palletta de l'Inglesi, legga molto Oscarvilde, impari a memoria qualche povesia norveggese, due o tre romanzi russi e poi venga qui che, una volta afferrato il leittemotiffe, tutto il resto scivola come fusse al burro.
— E, dico, il leittemotiffe che sarebbe?
— Sarebbe quella cosa che basta a mettersi d'accordo prima. Si noi, presempio, stabbiliamo che tatatatà è il motivo del desiderio, zum-zum-zum quello del fumo, a tiroley-boy-bey arippresenta la Toscana, quando io la ci faccio tatatatà, zum-zum-zum, tiroley-boy-bey, vol dire: desidero un sigaro toscano! Si persuade?
— Senta, arisposi io, si è per il sighero toscano, eccone mezzo, ma voglio morire impiccato con le budelle del sor Filippo, che è il meglio amico mio, se vi ho capito il consuveto fico.
— Dal momento che è tanto gentile, arispose lui accendendo il sighero, ci dirò che nemmeno io vi ho capito gnente, nè tampoco molti altri, ma siccome mi sono lasciato crescere i capelli, adesso faccio il vagneriano, per l'occhio del mondo.
E mi lasciò solo.
Con cui aritornando a casa, ci avevo la testa pesante come un bavulle, e si nun era che per arifarmi mi solfeggiai strada facendo un pezzo d'Aida e tre dita di Forza del destino, cascavo per terra.
Vi aggiunga che la notte mi sognai che Jokananne s'era messo d'accordo con Marabatte e mi correvano appresso per tagliarmi il leittemotiffe per cui detti una zampata a Terresina e adesso andiamo avanti a furia d'ideale infranto.
Abbasta, tralascio di scrivere perchè il pupo vole la testa de la serva, e si nun la pianta sono pignoli.
Ti annichilisco il futurismo.
Chi scrive è un cadavere! Sono morto. Puzzo! Nun sono più che l'ombra di un trapassato piuttosto aremoto, ovverosia, dopo tanti anni di onorate fatiche, me ti vedrò costretto a fare il fantasma ne le sedute spiritiche, per guadagnarmi un tozzo di pane fluvidico, e due fette di presciutto spirituale. E tutto questo lo devo al futurismo. Come lei apprenderà da la voce pubblica, ho disertato le parete del focolaglio domestico, il talamo e tutti l'altri generi commestibbili, e alloggio provvisoriamente all'Otel du Petit Pou.
Ma nun si pole immaginare questa parola quante volte l'ho detta io, voi come pure interiezzione, a scarico di cuscenza, voi come indirizzo di fiducia a chi me ti ha ridotto in questi piedi.
Coi quali lei vede ad occhio nudo che quello che si pole si pole. ma quando nun se ne pole più, è fenita, come diceva Giason Dal Pelio a Margherita Pusterla.
Io credo di essermi alcune volte sfogato su certi difetti de la mia età, la quale, nun lo nascondo, ne aveva parecchi. Ma dagli oggi, dagli domani, mi ero abbituvato a passarglici sopra, e oramai me ti pareveno piccolezze.
Fintanto che si trattava di qualche capriccetto di moda, di femminismo, di cummitati di beneficenza e di altre patronesserie, potevo abbozzare, ma per quanto la pazzienza d'un omo sia grande, viene quella volta che nun c'entra; e quando nun c'entra, ti saluto scuffia! Raggione per cui i primi sintomi ce li ho avuti a casa, quando ci fu la prima seduta di Futurismo al Costanzi. Io da principio, credevo che si trattasse come di una specie di un circolo di divertimento come un altro, a modo di dire: Belli Nasi, Salta e balla, Semo noi, ecc.
Ma dal modo come ti tornò Terresina, capii che c'era qualche cosa di grave; era tutta infocata che pareva che avesse fatto un semicupio nel Vesuvio, e ogni tanto diceva: Finalmente abbiamo veduto la luce.
Il primo fatto grave accadde il giorno doppo, che ci avevamo a pranzo la signora Geltrude in faccia, e Terresina ci fece trovare il menu scritto su carta straccia e accusì cuncepito:
La signora Geltrude ammalappena lesse il menu, si messe a ridere e disse: Sempre allegra quella signora Terresina!
La quale per tutta risposta si levò una ciavatta di quelle col non-ti-scordar-di-me e il Coloseo aricamato ne la punta, ce l'ammollò in faccia aggiungendovi queste qualifiche, dice: Zozzagliona, passatista, cadavere in avanzata putrefazzione, strafilococco, coratella di zanzara, rudero, cane spelacchiato, osso di persica e lumaca senza coccia!
La signora Geltrude svenne d'urgenza, e dovessimo ariportarla a casa io e il sor Filippo, che un altro po' ci viene il solito incommodo.
Non ci so dire che successe poi a casa!
Terresina, quando cercai di mostrarci l'enormità di quello che aveva fatto, me ti fece un sorriso satanico, poi rispose: Me l'aspettavo. Lo volevo. Non desideravo altro.
La cosa deve cominciare accusì, ma poi si persuvaderanno tutti.
Io cercai di persuvaderla che nun era vero, che era un gioco che l'avevo visto tante volte, quando i giovinotti per bene giocaveno al decadente, poi al superuomo, eccetera e chi più ne ha più ne introduca come diceva Messalina ai 300 di Leonida.
Cercai di farci capire che anzi, come moda, era piuttosto una cosetta anticuvata, un paltò di quattro o cinque anni fa, oppure una camicetta con le maniche a gigò, del tempo quando ognuno che scriveva aveva l'aria di sputare in testa al lettore.
Ci dissi che nun ci facesse caso, che anche quell'altri, meno Corrado Brando che era fenito male, a un certo punto quando tutti si erano arivoltati a guardarli per la cagnara che faceveno, e aveveno detto: Bè fori il capolavoro!... aveveno esclamato modestamente: Vogliamo un posto fisso al Ministero!
E tutto era fenito con un milledue qualunque.
Ma lei nun me ti ha dato retta nemmeno per facezzia, raggione per cui ho incominciato a dubbitare che questa volta le cose andassero a fenire a ugnatura...
Ha incuminciato a dire che abbisognava dare un colpo a la tradizzione, raggione per cui ha arifatto il letto per traverso, un cuscino da capo e uno da piedi, e ne consegue che fra la veglia e il sonno mi sognavo d'essere il conte Ugolino, che avevo trovato all'inferno il sor Bonaventura e viceversa ho dato un mozzico a un calcagno de la mia leggittima consorte. Ieri poi, un po' per il mozzico che ci faceva male, un po' per il solito colpo a la tradizzione, ha voluto provare a camminare con le mano e il sor Filippo che era entrato in cammera per domandare se ci aveva dato un punto a la giacca scucita, è aritornato addietro pallido come un morto, perchè dice così che per quanto guardasse nun era ariuscito a riconoscerla.
Invece ha cambiato il posto a tutti l'oggetti, per cui, quando sono andato per cercare una cicca di toscano nel consuveto barattolo indove le aripongo, il barattolo era pieno di conserva di pommidoro e ci ho avuto un'impressione che un'altro po' svenivo. Laddovechè la serva ha lasciato cadere le cicche ne lo stufato, che solo poi a odorarlo abbiamo stranutato per mezz'ora.
Il peggio è che il pupo ci ha preso gusto nell'esempio della madre, e ne consegue che vole fare il pittore futurista. Eccoti che ieri ha preso un foglio di carta, ci ha disegnato una scopa, un ragno, la ferrovia, un moro con la lancia, poi ci ha appiccicato il conto del macellaglio, cui ha attaccato tre mosche, ce si è soffiato il naso e dice che quel quadro ti aripresenta il seguente titolo: Primi sorrisi d'amore.
Inoltre poi, tutte le volte che discute con qualche rigazzino della sua età, minaccia di buttarlo per le scale, di farlo volare sui tetti, di affondarlo in quaranta minuti, eccetera eccetera.
Per cui ci ho detto che per quanto rigazzino, nun era una creatura lattante e che è ora di smetterla di fare il presidente de la repubblica d'oltralpa, e di cuminciare a fare l'omo serio.
Ma lui mi ha dato del passatista e, inorridisco a dirlo, del beccaccione!!!
Allora ho saputo che tutto era fenito, e che conveniva aritirarsi sul Monte Sacro.
E lì attendo l'eventi, che matureranno, ma ci giuro che questa volta sarò duro.
Sgnacco alcune birole sulle boglierie del progresso
Su le zozzaglionerie delle quarte paggine.
Prima zozzaglioneria.
Scusi tanto, ma io nun so dove mettermi le mano!
Lasciamo andare che i giornali sono diventati, fra uno scandalo e un'arrivelazzione, un satiro e un mandrillo e via dicendo, qualche cosa come un cinematogrifo di zozzaglionate, ma salvognuno, non ti salveno nemmanco la quarta paggina, che sarebbe un posto dilicato.
E vengo al piticozzo de la quistione.
Me le saluta lei, quelle corrispondenze private?
Dice, sono private! Va bene, ma se da una parte sono private, son pubbliche dall'altra, comechè chiunque le pole leggere e c'è Terresina che ci si delettava un poco, e ora dice che diventando, col dovuto arispetto, una specie di chiavica.
Prima lei te si divertiva a seguire, come chi dicesse, lo svolgimento de la cosa, e ce la leggeva a tavola, accusì i nomi dei corrispondenti li sapevamo a memoria.
Una sera, presempio, lei ci diceva: «Sai? Miosotise non è andato all'appuntamento perchè Ideale 327 si lagna». Oppure: «Sai? Signora bionda dice cosi che Marignano pensieroso deve darsi pace, perchè il destino nun vole. Figurati lui, povero giovane, si come starà».
E accusì succedeva che dagli oggi, torna a ridargli domani, noi conoscevamo a tu per tu Oleandro, giocavamo a briscola con 2 febbraio, Frugolina la vedevamo come vedo lei, e Pignolo dimenticato era il nostro migliore amico.
Dice Terresina, che era come a leggere tanti romanzi, e una volta voleva scrivere a Zuccherina vellutata per dargli un buon consiglio, che lasciasse puro quel zozzaglione di Nario Tafa, perchè tanto lei lo capiva dal modo di esprimersi, nun c'era da cavarne un ragno dal buco.
Abbasta, andando di questo passo, ci pareva come chi dicesse, di stare in una finestra, di dove ti sentivamo tutte le frescacce del vicinato e ce si spassevamo.
Quando ecco che ti entrano in ballo Tortorella schizzignosa e Solitario 23 e allora la cosa è diventata un altro gioco.
Si figuri che cominciarono fin dal principio col lasciar capire che c'era qualche cosa sotto, e poi ti rivarono a un tale punto di impudicizzia che la serva di casa, solo per essersi soffiato il naso con uno dei nummeri del giornale incriminato, si curse un pelo che nun divenisse madre.
Lui ti cominciò che ci scriveva: «Ricordo momento indimenticabile sensazzione che levati, ci arifò, ci arifò, ci arifò, 25 moltissimi nonchè 42, 11 Celimontano papera nera».
E lei: «Tutta tua come occasione divina, ricordati canapè azzurro. Fifina bruciotto 29 moccolo spento».
E quello che era più terribile erano le parole convenzionale, che te si chiudevano davanti come una persiana al momento bono, e ti lasciaveno sospettare Dio lo sa che.
Con la quale Terresina non ci dormiva la notte e una volta mi svegliai che tirava zampate come al futte balle e strillava nel sonno: Ah! boglia Amaranto pavonazzo, accusì aricambi la povera Sensitiva 80? Aritirati 42, 54 tavola apparecchiata, pellicano azzurro, bacissimi, fosti crudele, auguromi ristabilita; cane danese, ippopotamo entusiasmato!
E giù zampate, che si nun mi attaccavo al letto entravo paro paro nell'armuare di faccia!
Lei vede che accusì nun pole andare, tanto più che adesso ci entra in ballo un terzo, col quale è evidentissimo che non ce si capisce più gnente. Ma che giocheno a briscola col battifondo?
L'altro giorno lui diceva: «Già tornato lui, verremoti 41, tieni pronto 54, limone dorato 4 p. 33».
Senta, si seguita accusì me ti viene la fissazione. Già è la seconda volta che me ti capita a l'uscere de l'ufficio invece di dirci: «Sa, se viene il commendatore ci dica che quella pratica importante nun se ne preoccupi perchè l'ha cestinata il cavagliere», di dirci: «Sa, se viene Oleandro ci dica pigna verde 49, tempo perso, bacerotti».
E perciò mi arimetto a lei, egreggio signor farfalla azzurra 42, ciovè, volevo dire, eggreggio amico, altrimenti divento come quel povero Raul fedelissimo, che l'altro giorno scriveva: «Ricevetti, ricorderotti, marrone, impazziscomene, tutero verde 91».
Seconda come sopra.
Averebbe la gentilezza di arispondere quanto un cinichino a una domanda che ci arivolgo? La domanda è questa che consegue. È permesso di mettere la mano in saccoccia al prossimo e di rubbarci il portamonete? Lei mi dirà: Ma a Oronzo ci gira la piccola sfera o pallino, come dice la plebbe! Si capisce che è provibbito, e si quello che ha preso il portamonete si va a costituvire, un giorno che il delegato è di malumore, è capace puro che lo mettono dentro!
E allora io ci rimbrigno: Ma come mai te si permette, in questo caso, certi avvisi che si zompeno all'occhi ne la quarta pagina dei giornali?
Mi butti un po' un occhio, o magari tre, su certi annunzi relativi al gioco del lotto che, nun fo per dire, nun solo ti stropicciano l'ingenuo come una pollanchella qualsiasi, ma ti penetrano nel santuvario della famiglia e ti scombussolano l'ordine domestico, il quale sarebbe come chi dicesse il pirolo centrale della costituzzione economica dell'interno del focolaglio, e levaci quello, tutto quanto casca!
E veniamo al malloppo de la quistione. Apri un giornale, e che ti leggi? Si è trovato un tesoro... Non più gabbole, non più regole, non più imposture! Si becchino questo terno! Mi faccino il piacere di levarmi da torno questa quaderna!... Guardino si che sciccheria questo ambo! E via di questo passo.
E questo, salvando indove mi tocco, in certi giornali indove in prima paggina ti danno addosso a un ministro per quattro gabbolette di gnente!
Ma, dico io, si uno si mette a vendere per strada uno specifico per, salvando il dovuto rispetto, i calli, ecco che ti giunge un ecchese pizzardone e te lo acchiappa, e si quel maggistrato non ci ha l'esercizzi spirituali, te lo sgnaccano in pretura come una palla!
Ezziandio lei m'insegna che non si ponno mettere le tagliòle a li uccelli, laddovechè qui ci appare con evidenza che a l'uomo, il quale doverebbe star molto al disopra de l'uccello, ci si pole mettere qualunque tagliòla. Nè basta! Ecco che il foglio ti penetra ne le parete domestiche e lì ti scoppia la bomba.
Lei deve consapere che il sor Filippo, ch'è un omo quadrato, è cabbolista.
Lui ci ha certe regole basate su la simpatia dei nummeri, che si riva a trovare come chi dicesse, la chiave del sistema, ti sbanca il guverno. Terresina, invece che è tutto sentimento, lei ti sta per il sistema contista, che è abbasato su l'ispirazzione. Vedi un uomo?... E tu ci cavi un nummero. Vedi un somaglio, o asino che dir si voglia, un cane, un serpente, una cianfrusaglia purchessia? E tu ci cavi il nummero!
Accusì lei ti apre il Fogazzari, e a la prima paggina che trova, prende il nummero delle righe, lo divide pel nummero del giorno, ci aggiunge il quarto della luna, moltiplica tutto pel nummero del millesimo, lo divide pel nummero fisso 3,14 poi va a la riga currispondente e la prima parola che trova ci cava il nummero.
In questo modo si riva, dice lei, a conoscere la profondità del libbro, perchè dice che l'idea riggeneratrice sta tutta lì.
Il male è che io me la devo cibbare, e ogni tanto la notte me ti sveglio che strilla: Pietro Maironi 27, meno 80, non si pole, 6 democratico cristiano, Oronzo mio, ci ho l'ambo stretto!
Coi quali è evidente che fenisse col girarmi la testa come la rota de la fortuna!
La quale è chiaro che il sor Filippo, da omo superiore, ci ride cinicamente, perchè dice che c'è una sola regola, la simpatia del nummero, perchè dice che ce ne sono di quelli come una calamità. Adesso sta studiando un meccanismo novo col quale si ci zompa fori il 23, tutti l'altri ci vanno appresso come una sola palla, e ci dico poco.
Il male è che la cosa te si propaga: la domestica te la ha sorpresa, nun dico in fragrante, ma cureva un pelo o due, con una guardia di P. S., e lei me ti si scusa col dire che ci aveva il nummero simpatico. Il pupo me ti viene da scola con un quattro in arittimetica, e siccome ci ho fatto osservazione, mi arisponde, dice: Tu dividilo per 11, ommini in piedi, moltiplica il quoziente per 44, tavola apparecchiata...
A questo punto mi sono saltate le buggere delle grandi occasioni e ci ho detto: Aggiungivi allora 22 pignoli in testa, 24 zampate nel preterito, 33 brugnoli sotto al naso, fa la somma, dividila per queste quattro sculacciate e si nun sia mai detto me ti aripresenti con un nummero antipatico come questo, non voglio più vedere l'occhi del sor Filippo, che è il meglio amico mio, si non ti aripudio come padre.
Questo, egreggio interlocutore, succede perchè il governo boglia e traditore, per poco che il miccagliolo sia proprio miccagliolo, ha pavura di metterci le mani adosso, per non toccare un collega. Laddove, invece, basta che la giustizzia capisca che c'è la probbabbilità di avere a che fare con un galantomo, diventa un leone.
Lo stato, eggreggio signore, è come il masticaccia: ci ha coraggio solo con chi nun porta il coltello in saccoccia.
E faccio punto, perchè si no sortirei dell'eufemismo e ci direi la cosa con le parole sue.
Su le trappole del cinematogrifo.
Lei dirà, dice: Oronzo è diventato puritano! No: Oronzo è omo quilibbrato e si Dommineddio ci ha dato due occhi, è appunto perchè ogni tanto ne possa chiudere uno su le debolezze de la carne e magari su quelle del contorno, ma vi sono certe cose che proprio nun ve si pole transitare sopra.
Io nun ti contesto che anche il zozzaglione nun ci abbia diritto a vivere, ma vorrei, presempio, che quando un libbro o uno spettacolo contengheno qualche boglieria, ci fusse sopra un cartello che dicesse: Libbro o spettacolo per zozzaglioni! Accusì uno si regola! Invece qui la zozzaglionata te la trovi davanti indove meno te l'aspetti, come il babbao che scappa fori de la scatola.
E vengo al peticozzo centrale de la quistione. Laddovechè di riffe, o vogliamo dire di raffe, il pubblico te si è fermato l'idea che il cinematogrifo sia quello spettacolo il quale vi poi condurre il pupo e la tua signora senza pericolo che ti diventi rosso puro il pomo del bastone.
Con cui domenica scorsa ti piglio la prole, la legittima metà e consecutivo sor Filippo e ti dico: Andiamo a vedere il cinematrogrifo.
Il programma diceva: Cappuccetto rosso, ovverosia bambini nun vi ficcate le dita nel naso. — La via del vizzio, ossia, Povero padre, commoventissima, educativa e aricostituente. — Scena comica finale, ossia, arispettate le bestie. Il tutto preceduto da un canto variato. Lei vede che avevo tutto il diritto di credere che fosse uno spettacolo variato, comechè si tu me li moralizzi col cinematogrifo, nun me ti vorrai smoralizzare col canto variato.
Detto un fatto, entriamo e ti si mettiamo a sedere: prima di tutto ti viene fuori un macchiettista con un dito infasciato e ti si mette a cantare una canzone indove diceva che s'era fatto male per aprire un'ostrica. Io da principio non mangiai la foglia, ma siccome tutti ridevano, incominciai a sentirmi un po' a disaggio, e vi aggiunga che il pupo ti zompa su e fa ad alta voce, dice: Papà, la poteva aprire con le molle!... raggione per cui tutti sbottarono una gran risata e Terresina ci venne il rossore della vergogna o casta porpora come dicheno i poveti.
Va via quello e viene una che ballava la maciccie che, me la saluta lei?... Certe mosse, egreggio signor cronista, certe mosse che nun sapevo più indove ficcare il pupo perchè non vedesse: tentai di attapparci l'occhio, ma lui si messe a strillare, raggione per cui Terresina dovette aridiventare rossa e il sor Filippo incuminciò a dire che ereno i sovversivi.
Abbasta, credevamio, egreggio signore, di aver tranguggiato tutto il calice, quand'ecco che ti viene fore un'altra che diceva: Che bel lorgnone che ci ha la barona!
E qui ci cadde il somiero o l'asino, come dice la plebbe, perchè Terresina ci si arisollevò tutto il Fogazzari che ci aveva, con rispetto parlando, su lo stomico, te si alza, ti agguanta il pupo, e se ne sortissimo in mesto e ben ordinato corteo, laddovechè poi me ti dovetti sciroppare ben due ore di ideale infranto con contorno d'omo plebbeo e pianticella che intristisce nell'ombra, robba che si ci aripenzo, non fo per dire, mi viene il mal di mare.
E nun abbasta. Adesso il pupo me ti si è mezzo imbirbito, raggione per cui te l'hanno agguantato che insegnava la macicce a la figlia del portiere, il quale è narchico e dice che è fenito il tempo indove i figli de la borghesia ti corrompevano la plebbe, e è venuto su strillando certe cose, che puro il gatto di casa è rimasto scandalizzato.
Adesso, me ti dica lei indove un padre che sia puro di famiglia, ti può trasportare i suoi, quando crede di darsi questo sollazzo.
Vai per entrare al cinematogrifo e ti trovi davanti il lorgnone de la barona: vai per andare al teatro, certi prezzi che levati; vai per andare a la Nave, e mi dicheno che puro lì c'è il pezzo di cion-kina-cion con le ballerine che fanno le mosse, eppoi, va bene che Basigliola era quello che era, ma pure quell'altri ci dicono certe parole, che nemmeno al vicolo del Micio, o Domizzio che dir si voglia.
Per cui ti succede che prima quando c'era uno spettacolo boglia era un'eccezzione, e adesso siamo aridotti che ci hai due bagliocchi di pupo e un cinichetto di consorte intemerata, è come si puzzassi, con rispetto parlando, di acido fenico.
Ti tocca di andartene in un cantoncello solo e lì metterti a fare il Pietro Maironi come un colleggiale qualunque.
Su la communicazzione de le signorine che non te la danno.
Mi averebbe la bontà di dirmi indove andiamo, salvando il dovuto arispetto, con queste telefoniste?
Qui è diventata una cosa che si fussero quei tempi nei quali ci avevo quei quattro peli bonamina su la testa, me ti si addrizzerebbero ogni giorno.
Laddovechè deve consapere che sono cose da popolo, nun fo per dire, semibbarbaro. Si figuri che io da l'ufficio ci ho l'abbitudine che ogni giorno ti telefono a l'inquilino del piano sotto che ce l'ha in casa, e lui dà una voce a la serva che te si affaccia al cortile e dice: Sora Terresina, buttate giù puro la minestra che il sor Oronzo a momenti riva.
Come lei vede è un bel commodo, ma il destino boglia me la tira tanto a me, salvognuno, che a la mia signora, e dice il proverbio che chi tira la strappa.
E vengo al bono. Prima ogni tanto ti succedeva qualche piccola boglieria laddovechè io pensavo: Sono ragazze, e passiamoci sopra. Ma dagli oggi e ritorna a dargli domani, siamo rivati a un punto che nun se ne pole più.
Quando apri la communicazzione, incomincia che prima che si degnino di arisponderti ci vonno nummero quattro o cinque chiamate, e accusì bastasse.
A la fine, quando ti hanno arisposto, ti tocca di sentire i fatti di quattro o cinque persone, per cui giorni fa io mi sfiatavo a strillare: «Mi faccia la gentilezza di far dire a Terresina che butti giù i rigatoni!». E l'altro mi arispondeva tutto inferocito: «E aricordati, donna infedele, che si ti aricchiappo col tenente faccio una carneficina» per cui, quando sentì che insistevo coi rigatoni arispose: «Ah!... e me ti aripassi ezziandio?! E mi fai venire il tuo drudo al telefono?... Adesso vengo là e senti che svirgole».
Per cui chi sa che traggedia era successa, con l'aggravante dei rigatoni, che Terresina li buttò giù troppo tardi e senza scherzi ce si potevano fare i cerchioni all'automobile, tanto ereno tosti.
Vi aggiunga che intanto che parli ti levano la communicazzione e aresti lì come un frescone, che si fusse possibile, daresti un pignolo nell'apparecchio.
Io ci dico la verità, ho fatto il calcolo che per una telefonata ci vogliono N. 20 minuti accusì distribuviti:
N. 3 minuti per ottenere la communicazzione (si il personale è di buon umore).
N. 7 minuti di vari colloqui assortiti con persone che nun c'entrano gnente.
N. 3 minuti di arimostranze a la signorina.
N. 4 minuti della di lei sdegnosa protesta.
N. 1 minuto per communicare con la persona che si desidera.
Dice: Ariclama!... Ma lei mi ha detto un fiammifero!... Prima che ti mettono in communicazzione con l'ufficio ariclami, passeno 48 ore!
Per cui abbisogna prenderselo in santa pace, ma siccome io nun sono il solo, ma in questa circostanza sono, nun fo per dire, leggione, levo la voce anche per l'altri.
Si figuri che un diputato che non ci faccio il nome, è costretto, si vole essere preso in benevola considerazzione, a dirci: «Signorina, mi dia, putiamo il caso, 27 e 80, e la prego di favorirmi presto perchè io sono quel diputato che ci ha fatto arialzare lo stipendio».
Io, però, che nun ci ho fatto arialzare gnente, nun ci ho nemmeno questo agliuto e mi tratteno come un cane barbone o, con rispetto parlando, lupetto.
Dice: Il ministro ha baccagliato!
E va bene, ma il personale ha fatto la sua dignitosa protesta, con cui siamo para e patta.
Laddovechè si in un altro paese tu dici a un cittadino: «Guardi che lei ci ha il viso zozzo o sudicio che vogliam dire»: quello si va per lo meno a guardare ne lo specchio per vedere si è vero, mentre qui ti arma un commitato, un presidente, quattro segretari, un censore, due comizzi e una manifestazzione unanime di leggittimo sdegno, ma l'acqua e il sapone me li saluta lei?...
Io sono persuvaso che domani, quando arichiamo al telefono, mi mettono in communicazzione col sor Bonaventura de la cambiale, per cui perdo l'appetito di certo, o quanto meno mi chiameno le pompe funebbri, ma questa protesta, egregge signorine ce la gnacco quande meme, come diceva il Minotauro a la battaglia di Pavia.
Non mi lusingo che loro mi diano retta, perchè il femminismo avanza a grandi passi e sarebbe da ridere che con tante prevoccupazzioni d'indole sociale loro perdessero tempo puro col telefono, ma un'altra volta, mi faccino tutte quelle boglierie che desiderano, magari mi mandino a morire trucidato, ma mi arispondano subbito, perchè a la mia età, quella di stare un'ora col manubbrio in mano senza nessun risultato, è una birola che non mi va giù, non mi va giù, non mi va giù.
E così spero di loro.
Io pedone contro i quaranta cavalli e puro più.
Ci sarei infinitamente grato si mi ti schiarisse, salvando indove mi tocco, un dubbio.
Lei sa che da qualche tempo a questa parte, l'acciaccamento del pedone per mezzo di automobbile, da un semplice passatempo da dilettante, è diventata una consuvetudine assodata ed ezziandio pacifica.
Lei mi dirà che la cosa pare pacifica dal punto di vista dell'automobbile, comechè il pedone poterebbe avere qualche cosa in contrario, ma siccome novantanove volte su cento il pedone, doppo questi incidenti, te si chiude nel più assoluto riserbo, e nun parla nemmeno se lo riammazzi, accusì noi siamo illuminati solo dal parere dell'automobbile il quale dice che ha raggione lui.
Però, siccome questo fatto ti viene a formare qualche cosa come un nuovo stato giuridico del pedone, io che sono ascritto a questa categoria, averei piacere che lei mi dilucidasse, con rispetto parlando, alcuni punti.
Quando accade qualcuno di questi fatti, il pubblico te si divide in due categorie: quelli che dicheno: ha torto lo sciaffèr, e quelli che dicheno: sono i pedoni che nun sanno fare l'obbligo loro.
E in quest'ultimo caso è certo che il meno che si meritiamo è di essere acciaccati, perchè si in tanti secoli che l'omo te si è reso autonomo da la scimmia, tantochè gli si è aritirata la coda, e cammina su le zampe di dietro, non abbiamo ancora imparato a camminare, vol dire che stiamo al mondo come tanti cani senza museruola e ha raggione l'acchiappacani.
Con cui, però, vorrei che ci facessero il favore di dirci come dobbiamo fare, perchè io ho provato in tutti i modi, vòi con una gamba sola, vòi con le mani e coi piedi. Ma doppo due giorni mi toccherebbe di levare le pezze che ci ho al fondo dei calzoni per metterle a le ginocchia, e allora l'occhio del mondo me lo saluta lei? Perciò sono aritornato a la maniera antica che, evidentemente, nun va più bene.
Con cui me ti sento conturbato come Aliggi, quando il padre ci diceva: Si ti sguercio un occhio è ben fatto! Comechè qui l'automobbile ci imbriaca di puzze a machina, e è ben fatto; ci acciacca sotto le rote, e è fatto benissimo; ci appiccica al muro come tante calcomanie, e è fatto a perfezzione; quindi è certo che senza mancare di arispetto all'automobbilisti, vorrei sapere si è ben fatto che noi seguitiamo a girar per le strade.
Io dico che ci averessimo tutta la bona volontà di imparare, ma si seguitiamo accusì, quando averemo imparato bene bene, saremo morti tutti acciaccati e, lei vede a occhio nudo, un po' tardi per mettere in pratica l'insegnamento.
Laonde, per metterci un paliativo credo che si poterebbe fare accusì: un giorno far sortire un manifesto: «Oggi si acciaccheno le seguenti categorie: impiegati, diputati e senatori, donne mancipate, scontisti e sonatori di flauto; domani viceversa tocca a le levatrici, callisti, militari bassa forza, cerinari e femministe».
Accusì lei vede chiaramente che si lascerebbe un po' più di margine per i superstiti.
Si no, lei si deve figurare che casa mia è diventata qualche cosa che a chiamarla purgatorio, mi ci becco una querela da Belzebbù.
Si figuri che Terresina, tutte le volte che esce, dice che si sente le fitte nell'occhio pollino il quale è un presentimento che ci accadrà qualche cosa, per cui ti bacia il pupo, spolvera la corona di fiori d'arancio che sta sotto la campana, e va via con un'aria accusì fatale, che al pupo ci vengono le lagrime all'occhi e si soffia il naso in tutte le tendine de le finestre.
La moglie del pizzicagliolo in faccia ci ha detto che l'unico scongiuro è quello di portare un osso di persica benedetto, un po' di pelo di tasso e un ferro di cavallo involtato in un mezza paggina del Fogazzari, ma con tutto ciò non è tranquilla.
Il pupo, poi, che sta per il progresso, dice che doppo tutto l'automobbile deve arimanere sempre di sopra, per cui l'altro giorno voleva insegnare a la donna a fare il pedone, e mi ti ha fatto nascere una quistione in casa.
Io volevo prendere una decisione spartana e mettermi a fare lo sciaffèr, ma a l'età mia lasciare la penna e prendere il manubbrio in mano è robba che si ci si aripenso, me si addrizzano le vaghe arimembranze di quei quattro peli che ci avevo in testa.
Perciò, lei che ci ha molti appoggi, veda un po' di ottenermi un salvacondotto, altrimenti un giorno o l'altro, me ti tocca di andare sotto pure a me, e creda puro, più ci penso e meno me ci posso adattare.
A ogni modo, si mi dovesse succedere qualche cosa, quei quattro stracci di casa vanno a li eredi leggittimi, e questa penna che sa le tempeste la lascio al Museo del Risorgimento.
Comechè il Municipio ha incominciato a far funzionare la commissione che mette e leva i nomi a le strade, nun posso passar sopra a la quistione e debbo comunicarci alcuni inconvenienti tutt'altro che leggeri, e mettere avanti una proposta che da parecchio tempo mi sta su lo stommico.
Innanzitutto abbisogna di correggere parecchie denominazzioni, le quali ci salta all'occhio che sono per lo meno esaggerate.
Infatti ci faccio constatare innanzitutto che noi a Roma ci abbiamo, mica gnente, che una piazza e una via del Fico. Ora, io arispetto tutte le convinzioni pulitiche, ma nun capisco questa cortiggianeria verso il fico, laddovechè la povera briccocola nisuno la guarda in faccia e la povera brugna languisce nel più profondo oblìo.
E mi saprebbe dire come mai in un paese dove ci sono tante ciriole nun c'è via della Ciriola, mentre per maneggi partiggiani, che nun voglio approfondire, ci abbiamo la via del Cefalo?
Averei capito via de la Balena, perchè si nun altro c'era un'idea di grandezza, ma il cefalo me lo saluta lei?
Inoltre ci abbiamo via de la Scimmia, de le Vacche, del Gallinaccio, e perfino via de la Ranocchia, nonchè la Scrofa, e nisuno ha penzato a via dell'Abbacchio che puro ha tante benemerenze, comechè una volta er il benefattore de la mensa proletaglia.
Eppoi ci sono certe strade che nun si capisce perchè le chiameno accusì, comechè accadono i quivoci: il pupo mio, presempio, un giorno si doveva comprare una scoppoletta, e lui paro paro, ti piglia e t'infila via dei Cappellari, comechè nun solo nun trovò la scoppoletta, ma mi toccò a farci un bagno di sublimato!
Dovendo denominare una strada col nome d'una parte del corpo, sissignora che ti andiamo a pescare proprio la più inconveniente, e ti facciamo: Via del Piede!
Ma, signori senatori e signori diputati, come diceva quello, indove andiamo a finire? Ma come? da la testa, salvando indove mi tocco, in giù, nun si trovava di meglio?... Ma c'era via dell'Occhio destro e via dell'Occhio sinistro, via de la Froce del naso, via de la Bocca aperta, via dell'Onor del mento, e avanti di questo passo!... Averei capito magari un viscero, come, presempio via de l'Intestino tenue, via de l'Intestino crasso, o di quello accusì accusì, via dello Stommico, piazza del Peritoneo, ecc. ecc., ma il piede veniva proprio per ultimo.
Eppoi, che ti significheno quei nomi, presempio: Via delle Palle, via dei Pallini e de le Palline!... Ma che Roma è diventato il pallificio nazzionale?
E via del Buco me la saluta lei?
Lo sa che quando leggo sul giornale a casa qualche fatto che è accaduto da quelle parte, mi tocca dire: «Via, mettiamoci una pietra sopra»?
Abbasta, speriamo che la cummissione vada fino in fondo!
Intanto io, soprattutto per quello che ariguarda i quartieri nuovi, farei una proposta: Prima di tutto si dovrebbe fare una strada detta: Via dei Galantommini! Accusì arimedierebbe puro al caroviveri, perchè ci potrebbero piantare i carciofi e i piselli. Poi farei una gran piazza detta: Piazza Profumona, e lì ci metterei tutti i boglia, i miccaglioli, le donne mancipate e i scontisti, con annessa via dei Masticaccia e via dei Tirapiedi, accusì, si nun altro;, le guardie saprebbero che lì c'è la canaglia e passerebbero da un'altra parte.
Inoltre ci dovrebbe essere: Via dei Suonatori di pianoforti, vicolo dei Tenori, via dei Fonografi e via dei Gliettatori; accusì questa è tutta gente che si s'ammazzeno fra di loro, poco male.
Poi poterebbe fare una via fori de le mura, con tutti alberi alti di qua e di là, nonchè siepi di mortella molto fitte, che nun si vedesse quello che ci passa, e avviarci i cortei de le dimostrazzione patriottiche, accusì si eviterebbe a l'alleati di fori e a l'amici politici de l'interno, la seccatura di vedere la bandiera a tre colori, che sono sempre dispiaceri, incidenti diplomatici, impicci e discorsi di ministri dell'Esteri.
Abbasta, veda lei si nun fusse il caso di meditare la cosa con una certa profondità.
Lei vede che si tratta di cose piuttosto serie, perchè Roma nun è Ciampino e l'Europa ci guarda, come diceva Parpagnoli a Roncisvalle.
Sul meccanismo de la miccheria rotabbile.
Averebbe la bontà di salutarmi tanto il tassametro?
Io sono rivato al punto che si dico che nun ci capisco più gnente, me ti pare quasi di voler passare per un omo troppo intelligente.
Lei si aricorda che il tassametro venne, come sol dirsi a chiudere quel periodo nel quale l'omo che andava a piedi si viceversa voleva andare in carrozza, si doveva far riccomandare da un diputato influente a qualche vitturino, il quale, dato che lo acchiappassero in un momento di buonumore, doppo mature ariflessioni rivava puro a degnarsi di far sapere quanto averebbe voluto nel caso che si fussi deciso a portarlo in carrozza.
Lei mi dirà: C'era la tariffa!
Che bel discorso! Allora c'è pure il piano regolatore, il proggetto per la ferrovia da Roma al mare, il cummitato per le feste del 1911, l'Arabba Fenice, l'ideale imperituro e il vascello, salvognuno, fantasma! Ma queste sono figure retoriche che si adoperano per modo di dire. La tariffa è un'espressione come quando uno dice: «tocco il cielo col dito» indovechè sì e no che pole toccare il soffitto, oppure «darei un miglione» mentrechè vi ha in saccoccia un bottone usato e una grosta di pecorino!
Perciò, dato questo stato di fatto, si rivò al tassametro, col quale il vitturino ci fremeva, perchè si vedeva trattato come un cocchiere qualunque, che nisuno diceva le proprie idee pulitiche, prima di prenderlo in affitto, ma viceversa ci dicevano: «Vai qua, vai lì, fermati qui, fermati là».
Però, ecco che adesso siamo rivati di nuovo in alto mare, comechè la tariffa nova ci ha tanti pintimenti, tante eccezioni e tanti altri generi commestibili, che si lei vi capisce qualche cosa, ci dò un bacio, salvando indove mi tocco, nell'occhio sinistro.
Lei deve consapere che glieri l'altro, io e Terresina dovessimo accompagnare il pupo da quella zia della mia signora che ci ha qualche cosa, come suolo dirsi, al sole.
Detto un fatto, pigliamo il primo vitturino che transitava, ci zompiamo su e via, comechè Terresina vi aveva il non mai abbastanza lodato occhio pollino, e non poteva rendersi pedestre.
Quando riviamo, il tassametro segnava uno e quaranta, più venti di supplimento, e si questo nun fa uno e sessanta, voglio essere chiamato Niobbide.
Vado per pagare e il vitturino me ti fa un sorriso sdegnoso. Dice: Ma qui sono tre e sessanta!
— Ma, ci arisposi io, che ti possano sopprimere con violenza, o ammazzare, come dice la plebbe, nun vedi il tassametro? Mi hai preso forse per qualche figlio, vuoi di Albione vuoi d'un cane, che cerchi d'imbrogliarmi accusì?
— Ma lei, me ti ha risposto il vitturino, lei nun capisce un caso imprevisto, o accidente che dir ti voglia. Il tassametro segna, ma quello è, come sol dirsi, un punto di partenza qualunque.
Lei guardi la tariffa: trenta centesimi sono di più, perchè ho voltato tre volte a mancina; poi, siccome abbiamo attraversato il vicolo del Micio, e lì c'è una tariffa speciale, sono altri quaranta di più; il supplemento per il rigazzino sarebbe di venti centesimi, ma lei legga la tariffa e vedrà al paragrafo 375 A, n. 18 piano III, che i rigazzini con scoppoletta blù pagano 50 centesimi, senza contare il 2 per 100 d'aumento generale dalle 15 in poi, e tre soldi per diritto di stranuto, avendo lei stranutato in carrozza. Faccia la somma, ci tiri fori la radice quadrata, moltiplichi tutto pel nummero fisso 3,14, poi divida pel nummero dei razzi della rota, e se alla fine è ancora nel nummero dei cusì detti viventi, vederà che ho raggione io.
Lei che averebbe fatto, davanti a un raggionamento accusì?... Nun c'erano che due vie: o il pagamento o la trombonata. E siccome io nun possiedo trombone, e Terresina... mi faccio maraviglia, pagai!
Ma al ritorno, nun essendoci più danaro in cassa dovessimo rivenire a piedi, e siccome Terresina ci ha il filo diretto fra i calli e l'ideale, nun facevamo quattro passi che num mi dava dell'uomo plebbeo, e aricordava che si nun l'avessi sposata io, adesso sarebbe andata in carrozza giorno e notte.
Il pupo, poi, si messe a piangere perchè passò davanti a un libbraio laddove si credeva che il «Forse che sì, forse che no» fusse un gioco di pazzienza e voleva che glie lo comprassi.
Accusì finì col pignolo, e un'altra volta che mi parleno di andare in carrozza, divento una tigre.