Maria Savi Lopez
Leggende delle Alpi
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FIORI ALPINI

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FIORI ALPINI

Non ho trovato sulle nostre montagne nessuna leggenda sui fiori alpini, ma la sola credenza nel potere fatidico delle nigritelle che si alzano appena, modeste e brune, vicino alle bellissime margherite delle montagne, ed alle distese azzurre di miosotidi, che nulla dicono lassù alle fanciulle; mentre vuolsi invece che dall'intreccio delle radici della nigritella, si possa sapere se due cuori resteranno uniti per tutta la vita, o se è meglio non mettere fidanza nella durata di un ingannevole amore146.

La nigritella sulle Alpi è anche detta concordia o discordia, secondo le forme diverse delle sue radici; e la credenza nella sua facoltà di far conoscere l'avvenire si estende anche sulla Maiella abbruzzese, ove gli sposi portano indosso quella pianta con altre erbe, un po' di sale, alcune immagini, ed un pezzetto di carta sul quale trovansi misteriosi segni, onde essere certi di vivere in pace147.

Nella Valle di Varaita, come in altre parti del Piemonte, le verbene di montagna, così delicate e belle, hanno una misteriosa potenza, e l'alpigiano che le raccolga nella notte di San Giovanni, può ispirare amore ad una fanciulla, toccandole la mano. Forse questa credenza popolare ebbe origine nella valle alpina da qualche reminiscenza delle sacerdotesse dei Celti, che tenevano come sacre le verbene e ne formavano corone per adornarne le bionde teste. Anche i Romani le dissero sacre.

In altre regioni alpine il rododendro che vien detto da molti alpigiani rosa delle Alpi, ha grande importanza nelle leggende. Come fiore prediletto del dio Donar fu anche detto fiore dei giganti, e credesi nel Tirolo che la folgore scagliata dal forte braccio di Donar, possa colpire facilmente chi abbia fra le mani o sul petto una rosa delle Alpi148. Forse a cagione della credenza popolare che diceva i rododendri cari alle possenti divinità nordiche, l'idolo d'Irminsul, dio sassone, avea sull'insegna, come già dissi, una rosa rossa che doveva essere la rosa di montagna149.

Ma non basta al rododendro di essere dedicato ai giganti ed agli dei, ed era giusto che un pietoso racconto rendesse più caro quel bel fiore delle Alpi, che mette con maggior frequenza una tinta gaia fra la tristissima tinta delle rupi, e che è specialmente amato dagli alpigiani, perchè ha qualche cosa della loro superba indipendenza. Pare che si apra vicino ai ghiacciai a sfida della tormenta, e quando sono cessati i turbinii della neve, dopo le guerre tremende fra il vento e le montagne, ha colore più smagliante; ma appassisce subito nella mano dell'uomo, e non si adatta a lungo a crescere nei giardini fra l'aria molle della pianura.

In una canzone scritta in un dialetto della Svizzera, trovasi la leggenda del rododendro, che ha una certa somiglianza con quella che ha dato tanta bellezza di poesia ai miosotidi; ed il breve racconto mette un fascino potente di mestizia intorno ad una parete di rupi inaccessibili, che trovasi oltre l'Oberhausen ed il lago di Thun. I camosci non ardiscono salire fra quei massi minacciosi, eppure in quella specie di fortezza inespugnabile crescono come vittoriosi, i fiori più belli e rari delle Alpi, in mezzo ai quali mostransi in tutto il loro splendore le primole color di porpora, specialmente amate dalle donne dell'Oberland, che le raccolgono in siti meno pericolosi, per adornarne i loro capelli in certi giorni di festa. Anche su quelle rupi crescono le rose alpine, ed una ricca e bellissima fanciulla ne chiese un mazzo al suo fidanzato per tenerlo come prova del suo coraggio e del suo amore. Egli si mise con animo forte nell'arduo cimento, superò le ultime rupi e videsi intorno i meravigliosi fiori, fra i quali le rose sembravan fatte di porpora fiammeggiante ed erano orgogliose della loro bellezza.

Il giovane che si chiamava Hans raccolse il mazzo, e pensava forse al piacere che proverebbe nel darlo alla bella fanciulla; ma se la salita era stata pericolosa oltre ogni dire, la discesa gli parve impossibile ed egli finì col precipitare a pie' delle rupi ove Eisi, la sua capricciosa fidanzata, lo trovò morto colle rose delle Alpi fra le mani.

Mentre la canzone che dice il triste caso ammonisce le fanciulle, ricorda pure che dal sangue di Hans nacquero altre rose delle Alpi, tinte di un rosso più vivo.

Una pietosa leggenda dell'Appennino ci mostra come le stesse credenze si estendano nel loro viaggio secolare, o come spesso la poesia popolare che ci manifesta il pensiero di genti divise da molta distanza, preferisca gli stessi argomenti. Essa narra che in una valle scura vicino al monte Terminio, ove crescono solitarie le rose dei morti, un giovane cercò volontariamente la morte precipitandosi da un'alta cresta della montagna perchè si credeva tradito dalla sua fidanzata. La giovanetta che era stata invece fedele all'amor suo, discese nella valle e pianse disperatamente vicino al povero morto. Nel sito ove ella s'inginocchiò guardando il volto diletto di colui che tanto l'aveva amata, nacque la rosa dei morti, che fiorisce a maggio nella solitudine paurosa vicino al gigante degli Appennini150.

La credenza che i fiori possano nascere dal sangue umano o aprirsi sulle tombe, alimentandosi le radici delle piante nel cuore o sulle labbra di un povero morto, è assai estesa in certe regioni delle Alpi, ed è ancora una poetica memoria del passato rimasta fra gli alpigiani; poichè il rododendro che nasce dal sangue e tingesi di colore più bello, ricorda le rose che dovettero la tinta vivissima al sangue di Adone, ucciso dal cinghiale.

Fra tante leggende medioevali che assomigliansi in parte a certi pietosi racconti che ci vennero lasciati dai poeti greci e latini, se ne trova una la quale narra di un monaco del XII secolo, chiamato Gosbert. Costui essendo morto mentre adorava la Madonna, in onore della quale avea sempre recitato ogni giorno cinque salmi, cinque rose si aprirono sulla sua tomba. Un vescovo ne raccolse una per deporla sopra l'altare e le altre appassirono subito151. Una leggenda delle Alpi dice pure che una specie di garofano (dianthus Carygophyl), che vedesi con frequenza sulle montagne, si alimenta sulle tombe nel cuore dei poveri morti; ed è forza che usi ogni cura, chi passa in un camposanto, per non guastare le pianticelle. Se avviene di spezzare uno stelo delicato del triste garofanetto, devesi chiedere scusa alle anime dei poveri morti.

Una leggenda svizzera che trovasi con qualche variante anche sulle Alpi del Tirolo, narra di certi gigli meravigliosi che fiorivano sulle tombe; ma il racconto più noto fra gli alpigiani è quello che ricorda un Duca Leopoldo d'Austria, possente signore ed amato dai suoi vassalli, il quale mentre era uscito a cavallo dalla città di Sempach fu assalito sulla via ed ucciso. Un anno dopo la sua morte nel 1387, nel giorno di San Cirillo, un fiore bellissimo si aprì nel sito che era stato bagnato dal suo sangue, ed essendo raccolto con ogni cura fu deposto in una cappella. Sul terreno ove erasi aperto il fiore così raro e bello, fu eretta una cappella, e nel 1515 anche nel giorno di San Cirillo, un altro fiore, che si poteva dire cosa di paradiso, si aprì ancora nel sito ove era morto il duca Leopoldo. Questo fatto vien pure ricordato in un documento del 1516152.

Intorno alla primola auricola che fiorisce fra le rupi altissime delle Alpi narrasi altra leggenda che rassomiglia a quella del rododendro; solo il pastore che morì miseramente precipitando da vertiginosa altezza, e non lasciò il bel mazzo raccolto per la fidanzata, erasi messo in quel cimento senza esserne pregato. Dicesi nell'Unterwald che il diavolo si diletti nel far crescere quei fiori in siti quasi inaccessibili onde mettere a rischio la vita degli uomini, che allettati dalla loro bellezza vogliono raccoglierli; e quasi inevitabilmente debbono precipitare da rupe a rupe e morire nei burroni, o fra la rapida corrente dei fiumi e dei torrenti che passano in mezzo ai massi neri.

Forse perchè l'anima umana è più avvezza al dolore che alla gioia, le leggende di certi fiori pur gentili e belli che rallegrano la terra, sono tristi assai. L'antichità pagana ci lasciò mesti ricordi nel giacinto e nel narciso, e disse le rose tinte nel sangue. Fra le leggende più recenti che si narrano sulle Alpi, abbiam veduto che il rododendro e la primola sono causa di morte; il miosotide ci ricorda pure una triste storia d'amore, e l'ultimo addio di un morente; mentre il giglio di montagna ed il garofano possono nascere da un povero cuore umano che più non batta e non ami. Di certo non è neppure lieta la leggenda dell'edelweiss come venne narrata dal Baumback, il quale dice ad una donna amata che sopra una vetta altissima delle Alpi, vicino alle nevi eterne siede la Dama Bianca, splendida come la dea Bercht delle leggende tedesche, e circondata da folletti armati con lancie in cristallo. Se un alpinista imprudente o un cacciatore di camosci vuole avvicinarsi alla Regina delle Nevi, essa lo guarda e gli sorride. Come affascinato egli sale, sale sempre, non curandosi dei pericoli, ed essendo acceso di fervido amore altro non vede, non ammira che il bel volto candido della Regina e la sua corona di gemme scintillanti; ma gli spiriti gelosi lo assalgono con impeto, e l'infelice precipita fra i crepacci della neve e del ghiaccio.

Mentr'egli sparisce la Dama bianca piange, le sue lagrime scorrono sulla superficie dei ghiacciai, scendono fra le rupi e formano le stelle argentee degli edelweiss.

Più bella ancora delle viole alpine nate vicino alla neve ed ai ghiacciai, la genziana bavarica dovrebbe al pari del rododendro, della primola e dell'edelweiss avere la sua poetica leggenda, e forse questa può trovarsi su qualche montagna, ma io non la conosco ancora; però se nulla essa ricorda di triste o di gentile agli alpigiani, può essere altera fra tutti i fiori alpini, perché attrasse colla malìa della sua bellezza una forte anima d'uomo; e mentre le fate e le Dame bianche destano un fervido amore nel petto degli alpinisti e dei cacciatori di camosci, anche la piccola genziana bavarica, nata a vivere nel deserto alpino ed a sentire i gelidi baci del vento, ebbe un fervido amante e costui fu il Michelet.

Lo storico illustre, avvezzo a studiare i drammi delle rivoluzioni ed a conoscere in ogni suo particolare la vita delle nazioni, passò forse parecchie ore nell'osservare la genziana di Baviera vicino al ghiaccio. «Brillante, éblouissante son étoile d'azur tremblait et scintillait, c'était toute la joie du désert en ce jour sombre. Elle me rendait le ciel absent, un ciel approfondi, doublé»153. Ed innanzi agli occhi suoi la genziana ha un'anima, sente, ama ed è amata. Un dramma d'amore si svolge intorno alla sua stella di un azzurro tale che l'arte non giungerà mai ad imitarlo; ed un poeta dal fervido intelletto leggendo le pagine che Michelet scrisse pel fiorellino delle Alpi, potrebbe ideare una cara leggenda d'amore, che sarebbe ricordata da ogni cuore gentile154.

Molte volte sulle Alpi trovai il fiore della carlina155 e ricordo come io lo guardava con piacere, mentre aperto interamente vicino ai tronchi delle basse betulle od ai rododendri, pareva che annunziasse, secondo la credenza popolare, una giornata serena sulle montagne. Non poche volte ancora io non lo vidi più fra le solitudini paurose delle Alpi; ma la sua grossa stella che par di paglia o di legno, era sospesa vicino alla porta di un alp o di qualche scura casetta in un villaggio alpino; e si poteva immaginare come fosse curiosamente interrogata dagli alpigiani, intenti a vedere se le sue foglie fossero aperte o chiuse, prima di muovere col gregge verso qualche altissimo pascolo, o di andare col fucile sulle spalle sopra i colli pericolosi ed i ghiacciai, per far guerra ai camosci, protetti dalle bionde fate delle Alpi.

Non ho trovato sulle Alpi nessun racconto strano intorno a questo fiore caro agli alpigiani, ma ciò non toglie che abbia la sua grande importanza leggendaria; e dicesi nel Meclemburgo che al pari di altri fiori possa aprirsi sulle tombe, accogliendo per così dire in qualche cosa della vita e dell'anima di una persona morta; per questo motivo in un sito selvaggio ove era stato commesso un assassinio, appariva sempre a mezzogiorno una specie d'erba carlina dalla forma bizzarra, nella quale pareva che si vedessero mani, braccia e teste di uomini. Quando quelle teste erano giunte al numero di dodici, l'erba carlina spariva; un pastore passò un giorno vicino al sito ove era cresciuta la pianta misteriosa, ed avendola toccata ebbe il braccio paralizzato ed il suo bastone fu incenerito156.

Molti strani racconti intorno a questa pianta sono pur notati dal De Gubernatis, il quale dice che si possono trovare in essi parecchi miti solari, come avviene pei fiori che hanno una corona di foglie che sembran raggi, e per questo si assomigliano al sole. In uno di quei racconti trovasi che in Estonia mettesi un fior dell'erba Carlina sul primo grano che si distende al sole, onde allontanarne un genio cattivo. Questa leggendaria pianta vedesi pur sull'insegna nazionale degli Scozzesi, e raccontasi che di notte essendosi avvicinati i Danesi al campo scozzese per sorprenderlo a tradimento, uno di essi mise il piede sopra una delle acute spine della carlina e non potè trattenersi dal gridare; così gli Scozzesi si avvidero della presenza del nemico, diedero l'allarme nel campo ed evitarono il pericolo della sorpresa notturna.

Una pietosa leggenda trovasi pure intorno al fiorellino che apresi vicino alla neve mentre essa ritirasi sopra i pascoli. Questo fiore vien detto Soldanella delle Alpi, e vuolsi che la piccola amica della neve sia stata una bella fanciulla morta a sedici anni, che ha ottenuto di poter venire tutti gli anni sotto la forma di un fiore per annunziare agli uomini il ritorno della primavera.

Altre strane cose diconsi in Germania, sulle Alpi della Svizzera e su quelle del Tirolo, intorno ai fiorellini della cicoria selvaggia. I tedeschi li chiamano con nomi diversi che significano custodi delle vie, luce delle vie, erba del sole, ed anche – fanciulle maledette. Un canto rumeno dice che il sole erasi innamorato di una bella donna chiamata la signora dei fiori, ma ella disprezzò il suo ardente affetto. Il sole si vendicò mutandola in fiore di cicoria selvaggia e condannandola a guardarlo, finchè appare fra la serenità del cielo; ma volle pure che rimanesse raccolta fra un'indicibile tristezza, quando l'ultimo splendore del tramonto sparisce sull'orizzonte lontano157.

Un'altra pietosa leggenda dicesi intorno allo stesso fiore nella valle di Baden. Essa ci fa noto che un cavaliere andava in Palestina coi crociati, e la fanciulla amata l'accompagnò fino a poca distanza della propria dimora nel giorno triste della partenza. Il cavaliere le disse baciandola di tornare dopo tre anni ad aspettarlo sulla via istessa ove davansi in quel momento l'addio. Dopo tre anni la fanciulla tornò nel sito indicatole, guardando da ogni parte nella speranza di vedere l'amato giovane che non giungeva mai. Essa passò inutilmente nell'attesa lunghi giorni e lunghe notti, poi si ammalò gravemente e finì col mutarsi in quel fiore azzurro che pare messo a custodia delle vie158.

Un canto della Slesia dice anche la storia di una fanciulla che avea perduto il fidanzato morto in guerra; essa piangeva sempre e quando le veniva detto di scegliere altro sposo, rispondeva che solo quando sarebbe divenuta «un fior dei campi vicino alla strada» cesserebbe di piangere, ed essa fu mutata nel fior della cicoria. In Baviera altra leggenda più gentile riguarda l'umile fiore e dice che una bella principessa essendo stata abbandonata dal giovane sposo, si ammalò gravemente e giunse presto in fin di vita. Prima di morire essa diceva: «vorrei morire per aver pace, eppur vorrei non morire per rivedere l'amor mio in ogni sito»; le donzelle della nobile signora dissero: «anche noi vorremmo morire per non lasciarvi, eppur non vorremmo morire per poterlo vedere su tutte le strade». Il loro desiderio fu appagato; l'anima della principessa si trasfuse nei fiori pallidi di cicoria che stanno sulle vie ove passa l'amor suo; le donzelle invece trovansi nei fiori delle cicorie azzurre. Per questo motivo chiamansi quei fiori in tedesco custodi delle vie.

Questa leggenda ritrovasi con qualche variante sulle Alpi del Tirolo, ed il poeta Hans Vintler nell'anno 1411 ripetè in un canto la credenza popolare tirolese, che dice esservi a custode delle strade un fiore il quale fu una donna gentile che aspetta sempre con dolore l'amante. Il nome del giovane non è però detto dalla leggenda tedesca, ma il De Gubernatis chiede se non potrebbe egli essere personificato nel fioraliso che dicesi in Russia basilek ed in Francia bluet.

Parmi che pur sulle Alpi i fiori gentili delle cicorie selvaggie, potrebbero innamorarsi dei fioralisi azzurri che apronsi fra l'oro dei campicelli di segala, vicino alle rupi minacciose o sull'orlo dei burroni, e che fanno provare a chi li guarda un'impressione profonda in mezzo alla solitudine ed alle minaccie delle montagne; perchè vedendoli si pensa in un baleno alle messi che ondeggiano sulle pianure, quando il vento china pur le teste rosse dei papaveri e le margherite.

Le felci sembrano padrone assolute di certe regioni alpine. Esse crescono lungo i sentieri fra le piante innumerevoli di violette e di fragole; adornano le rupi vicino ai nevai ed ai rododendri, a certe altezze ove non si alzano più le cime scure dei larici e dei faggi. Alcune volte ricoprono colle strane foglie dalla tinta vivissima certe pareti di rupi inaccessibili, e ingombrano i brevi sentieri segnati dalle capre che vanno al pascolo, o dai camosci quando passano nella corsa vertiginosa da montagna a montagna. Non di rado alzano pur le foglie lunghissime e frastagliate intorno ai grossi tronchi dei castagni; mettono l'allegria del verde nei valloni oscuri, coprono le rupi vicino agli alp solitari ed alle cappelle erette a grande altezza, ove forse una volta sola nell'anno salgono i devoti pellegrini, o le alpigiane depongono i mazzi di viole e di rododendri raccolti; mentre nella solitudine odesi solo il tintinnio delle campanelle portate dalle capre, ch'esse accompagnano sulla montagna verso la neve ed i ghiacciai.

Quando maggiormente si diffusero i fantastici racconti intorno ai casi soprannaturali che avvenivano nella notte di San Giovanni, le felci acquistarono in gran parte d'Europa un posto altissimo fra le piante leggendarie, e si disse che nell'ora di mezzanotte, nella notte di San Giovanni, fiorivano come per virtù di una magica forza. In un baleno apparivano sulle piante i bottoni che si aprivano formando fiori di un rosso sfavillante, che illuminava quanto trovavasi intorno ad essi; ma nello stesso momento il demonio era pronto per raccoglierli159.

Nella Valle di Susa, innanzi al quadro sublime formato verso il Moncenisio dai monti e dai ghiacciai, che prendono aspetto e tinte indescrivibili, quando il sole tramonta dietro la cima acuminata del Rocciamelone; possiamo anche trovar memoria delle strane credenze medioevali intorno ai leggendarii fiori delle felci160, e dicesi che se avviene ad un valligiano di volerli raccogliere nella notte di San Giovanni, deve sostenere una terribile lotta contro i demoni; ma sol che mostri coraggio gli riesce di vincere nell'arduo cimento, ed essendosi impadronito del fiore o del seme delle felci, può divenire invisibile ogni volta che lo desideri.

Anche in questa credenza degli alpigiani, che di certo si deve ritrovare in altre valli e sopra molte montagne, possiamo aver prova della inevitabile diffusione di certe credenze popolari; perchè anche nella Piccola Russia dicesi che le felci fioriscono a mezzanotte, e che per raccoglierne il fiore è necessario battersi col diavolo; ma chi riesce ad impossessarsi del fiore bellissimo acquista grande sapienza. Anche nelle leggende tedesche hanno molta importanza i fiori fantastici delle felci, e dicesi che se un uomo passa vicino ad essi senza raccogliere il seme, che lasciano pur cadere nella notte di San Giovanni, finisce collo smarrirsi per via, anche se segue sentieri che conosca perfettamente161.

Non intendo però come possano andare d'accordo le diverse leggende sui fiori delle felci, mentre alcune dicono che essi hanno la potenza di scacciare, nel momento in cui fioriscono, tutti gli spiriti cattivi, ed altri narrano che il diavolo è pronto a raccoglierli.

Altra strana leggenda è quella che trovasi nella valle del Rodano: essa concerne le ninfee che apronsi vicino alle isolette, che emergono dalle acque del fiume e sono guardate da tutti con terrore, perchè dicesi che fra i giunchi che coprono le loro sponde si annidano certe fate o ninfe malefiche che gemono con frequenza. Secondo la credenza popolare, hanno la persona delicata e quasi diafana, gli occhi verdi, lunghissimi capelli e si chiamano Fenettes. Di rado lasciansi vedere, ma quando i loro gemiti si odono più distintamente, gli uomini che si trovano in vicinanza, sulle sponde del Rodano, se ne allontanano senza voltare indietro il capo, perchè sanno che se avviene ad un essere umano di vedere in faccia una Fenette dovrà morire fra brevissimo tempo.

Narrasi che un giovane volle raccogliere vicino alle isole maledette un mazzo di ninfee per portarlo ad una fanciulla amata. Mentre già ne aveva prese molte, si vide di fronte una Fenette uscita dall'acqua del fiume, ed in un attimo, fu come affascinato dalla potenza degli occhi verdi che lo guardavano. Con tutta la forza della volontà egli volle resistere a quella misteriosa potenza che l'attraeva verso l'acqua, e riuscì a vincere la malìa della fata perversa, potendo riaversi ed allontanarsi dal fiume. Correndo sempre giunse in casa della fidanzata e vedendola le porse il mazzo, poi disse un nome solo: Fenette, e cadde morto vicino alla fanciulla, che non ebbe più nella vita felicità e sorrisi. Non v'è persona dal cuor gentile che non ricordi il triste caso vedendo le meravigliose ninfee del Rodano, come pure dura fra molta gente ancora la tema delle malefiche Fenettes162.

Crudeli al pari delle fanciulle misteriose del Rodano, sono le Samovile o Samodive bulgari di cui già tenni parola. Vuolsi che una fanciulla chiamata Neda, nell'appressarsi ad una fontana ai piedi di una montagna, calpestò i fiori della samovila. La samovila che dimorava nel bosco andò incontro a Neda e le chiese i suoi grandi occhi neri163.

Una leggenda bellissima sui fiori delle montagne ci vien detta dall'Heine nei Reisebilder. Di certo, mentre egli viaggiava sui monti dell'Harz, udì narrare della bellissima dea guardiana di un tesoro, formato di meravigliosi fiori164, ed innanzi a qualche sublime paesaggio, egli scrisse i versi che trascrivo come vennero tradotti dal Secco-Suardo.

Vedi, già rosseggia e palpita
Mezzanotte! la foresta
Ed i rivi rumoreggiano,
La montagna antica è desta.

Suon di cetra dal suo grembo
E di nani allegri cori
Odi uscir, qual strano maggio
Una selva appar di fiori.

Fiori arditi, sconosciuti,
Fronde e steli prodigiosi,
Come spinti da passione
Sorgon baldi e frettolosi.

Rose emergon, pari a fiamme
Hanno i petali vermigli,
Quai pilastri di cristallo
Al ciel spingonsi bei gigli.

Gli astri grandi come soli
Guardan giù, ansiosi, ardenti;
Nei gran calici dei gigli.
Luce piovono a torrenti.

Secondo una credenza che deve anche essere popolare nelle regioni tedesche delle Alpi, nella notte di Natale, apparisce una vergine bianca o un cacciatore selvaggio, che porta grano e frutta matura come per significare che non durerà in eterno il tristissimo inverno; e credesi pure che nella stessa notte molte fragole mettano il loro vivo colore sui campi di neve, e fioriscano per brevissimo tempo innumerevoli alberi.

Dicesi che i popoli del Nord abbiano cara la neve come i popoli dell'Oriente hanno cari i fiori.

Questo amore fa sì che le fanciulle ed i bimbi di quelle regioni escono festosi sulle vie quando:

Scende dal fosco cielo
Come pioggia d'argento
La neve, e sopra i nudi
Rami delle foreste
Rimane come bianchi fiori nati
Al caldo sol di maggio.
Scende sulla pianura,
E par che passi sulla terra scura
Una folla di spiriti bizzarri,
Elfi di luce in lieta danza uniti.
Essi vanno festosi
Sopra le guglie bianche,
Danzan fra i merli neri
Delle torri cadenti,
Danzano sulle tombe
Sparse nei cimiteri.

E mentre passan nella ridda allegra
Danno baci di gelo
All'erbetta che trema,
Ed al languente stelo
Delle rose ingiallite.
Passano sopra i fiori
Pallidi, nati fra la nebbia e vanno
Come lieti signori
D'ogni creata cosa.
E la terra s'abbella sotto il nuovo
Suo manto di regina,
Fatto di vaghe stelle,
Candide come il velo
Delle vergini belle;
Ed essa pare una novella sposa.

Ma non risuona una canzon d'amore
Mentre cade la neve a falda a falda,
Sibila solo il vento
In mezzo ai nidi ascosi
Nelle foreste antiche.
E forse dalle tombe in processione
Escono bianchi spettri luminosi
Che van dal monte alla pianura, al mare,
Che scendono dal polo alle ridenti
Terre dei fiori amiche.
Ed al soffio invernal gelido come
L'estremo bacio della morte, insieme
Vanno agli elfi lucenti
Ed alla neve candida che danza.

Avviene pure che parecchie nazioni hanno canti dal verso smagliante, in cui dicesi la gloria dei fiori di neve, e noi che possiamo aver la canzone in lode della fata Morgana apparsa vicino alla calda terra di Sicilia, ed abbiam tanti fiori gentili da poterne formare corone per tutte le nostre fanciulle, potremmo anche avere una splendida canzone alla neve; ma essa ci manca ancora, perchè povera cosa sono questi versi miei, e poco disse della neve il Praga quando scrisse:

La bella neve! scendete, scendete,
Leggiadri fiocchi danzanti nei cieli;
Come perluccie coprite, pingete
I tetti, i tronchi, la mota e gli steli.

Così l'Italia potrà solo menar vanto di avere anch'essa la bella canzone ai fiori della neve che scendono sulle cime sublimi delle sue montagne, quando essa sarà detta col verso aereo, leggiero, gentile, come fiocchi di neve che cadono, usato da chi scrisse il Canto alla rima.

Io ho trovato sulle Alpi il ricordo di tremende nevicate che hanno sepolto villaggi e casolari, ho visto i fianchi delle montagne, i boschi di larici e di faggi, e le case rovinate che portavano ancora, fra lo splendore del sol di luglio, la traccia delle spaventevoli valanghe cadute nell'inverno; ma non ho trovato mai una leggenda intorno ai gelidi fiori della neve; forse perchè nessuno conosce i misteriosi amori dei giganti alpini. Di certo mentre essi dominavano colle fronti altere la terra, non si appagavano dell'ardente e rapido bacio delle saette; sdegnavano pure le lievi carezze delle nubi che passavano, e dolevansi innanzi alla serenità del cielo, di rimanere senz'amore e senza corona. Allora le nubi che amavano i giganti dovettero cominciare a cadere intorno ad essi in forma di fiori delicati e strani, che ricoprirono le rupi, le creste, i burroni e si strinsero vicino alle fronti superbe dei colossi innamorati, formando un serto più bello d'ogni corona imperiale, e che può dirsi quello dell'amore e della gloria.





146 Gli Arii dell'êra vedica credevano anche nel potere simbolico delle radici.



147 De Gubernatis, La mythologie des plantes.



148 Lutolf, Op. cit.



149 Nella Valle d'Andorno, verso Piedicavallo, il rododendro è chiamato rosei.



150 Debbo questa leggenda alla gentilezza del signor V. M. Pennetti.



151 Wolf, Deutsche Sagen.



152 È citato dal Lutolf nel suo volume sulle leggende svizzere.



153 Michelet, La Montagne.



154 Non ancora mi era avvenuto di leggere il libro del Michelet, quando scrissi la poesia Tormenta immaginando anch'io per un caso strano un breve racconto d'amore intorno alla genziana bavarica. Questa poesia è stampata nel volume di Versi, edito dallo Speirani in Torino.



155 Carlina acaulis uniflora. L.



156 Mannhardt, Op. cit.



157 Mannhardt, Op. cit.



158 H. Marmier, Poésie populaire de la Hollande. – Revue des deux mondes, 1836.



159 Fra le più bizzarre credenze intorno ai casi meravigliosi che avvenivano nella notte di San Giovanni, devesi anche annoverare quella intorno al famoso cavallo Baiardo. Dicesi in antichi poemi cavallereschi che essendo sfuggito all'ira di Carlomagno che lo aveva incontrato sopra un ponte, e lo aveva fatto prendere e gittare nelle acque della Mosa, si nascose nella grande foresta delle Ardenne, che era nel Medioevo una delle più estese di Europa, ed ove secondo la credenza dei nostri avi si nascondevano spaventevoli mostri. Baiardo in quel suo rifugio visse per parecchi secoli e nella notte di San Giovanni udivansi a molta distanza i suoi nitriti.



160 Ne parla il Des Ambrois nella Notice sur Bardonèche.



161 De Gubernatis, Op. cit.



162 Alfred Céresole, Op. cit.



163 Dora d'Istria, La nationalité bulgare d'après les chants populaires. – Revue des deux mondes, 1868, pag. 336.



164 Il dott. Freitag vede in questa dea dell'Harz una nuova trasformazione della possente Bercht.



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