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Come già vedemmo gli alpigiani si dilettano generalmente nel ricordare antiche leggende, ed incoscienti della grandezza di tanti miti e di tante tradizioni; ci conservano ancora negli ingenui racconti, e nelle credenze che sembrano assurde a chi non ha profonda conoscenza del passato, una preziosa eredità degli avi. Essi che sanno pure colla pronta fantasia far subire nuove trasformazioni alle leggende che hanno origini secolari, e adornarle col fascino di una grandiosa poesia adattata all'ambiente nel quale si trovano, non lasciano neppure inerte il pensiero, quando non riescono a conoscere la causa vera di qualche fenomeno, ma ne cercano subito la spiegazione e la trovano facilmente nel mondo soprannaturale in mezzo al quale furono avvezzi, fin dall'infanzia, a vivere coll'immaginazione.
Nella spaventevole Roththal, coperta di enormi sassi accumulati e di ghiacciai, che trovasi fra la Jungfrau e l'Ebnefluh, ed è, a quanto dicesi, la valle più alta delle Alpi, ed anche il sito più orrido, selvaggio e spaventevole dell'Europa tutta, oltre ai demoni ed alle streghe innumerevoli, si trovano pure, secondo la credenza popolare, i feroci cavalieri di Lauterbrunnen, i quali si battono senza posa, ed urtano insieme le fronti coperte cogli elmi pesanti.
Gli alpigiani trovano nel rumore cagionato dalla lotta di quei cavalieri maledetti, la causa di certe forti detonazioni aeree che odonsi in parecchie località della Svizzera, nel tempo specialmente della mietitura, e quando il tempo è sereno.
Per certi montanari trattasi anche, a quel rispetto, di una specie di caccia infernale degli spiriti, o dei demoni della Roththal, che passano volando; altri vogliono che siano i fantasmi dei Borgognoni uccisi a Morat, i quali corrono armati come nel giorno memorabile della battaglia combattuta a gloria della Svizzera; e così viene spiegato lo strano fenomeno, del quale non è conosciuta ancora con precisione la causa vera.
Le valanghe, i temporali violenti, le disgrazie che colpiscono il bestiame, sono per gli alpigiani di molte regioni, opera dei folletti, delle fate, dei demoni o delle streghe e dei maghi, come già vedemmo, parlando delle campane; e nelle pagine splendide in cui il Berlepsch narra il rovinìo del Rossberg e la distruzione di Goldau, avvenuta il 2 settembre del 1806, leggesi che mentre una parte della montagna precipitava verso la valle, ed in confusione spaventevole balzavano le roccie, scorrevano i torrenti di fango e si spezzavano i tronchi degli alberi secolari, si credette che quella catastrofe fosse l'opera dei demoni riuniti in una ridda infernale. Per un alpigiano pazzo di terrore, gli uccelli che volgevano spaventati il volo dalla parte del Righi erano spiriti maligni, mentre i rombi sotterranei erano lamenti dei dannati.
Credevasi sulle Alpi di Vaud che i diavoli i quali si raccolgono sulla Torre di San Martino, che fu detta in altri tempi La Quille du Diable e vedesi vicino al ghiacciaio di Sanfleuron, non solo giuocassero alla palla, come già dissi in altro capitolo, ma avessero per costume di passeggiare nella notte, tenendo in mano piccole fiamme o lanterne. Ora essi scendono ancora verso i boschi ed i pascoli, o si aggirano sui sentieri delle montagne, unendosi alle anime disperate dei suicidi, che ritroveremo fra breve, trattando dei dannati. Secondo la credenza popolare gemono o gridano in maniera spaventevole, e dicesi che più strazianti ancora divennero i loro gemiti, e più vivide si fecero le fiammelle che portavano, quando nel secolo scorso vi furono due grandi franamenti di quelle montagne; e mentre le roccie precipitavano nelle valli, diedero segni chiarissimi della loro presenza.
Prima che avvenissero quei tremendi sconvolgimenti, frequenti rombi sotterranei e suoni diversi che sembravano gemiti, erano stati uditi, come se partissero dall'interno dei Diablerets, e dicevasi che era scoppiata una rivoluzione fra i diavoli ed i dannati, e che essendovi guerra nelle regioni infernali, due schiere si battevano l'una contro l'altra, volendo una parte dei combattenti far precipitare la montagna verso il Vallese, mentre coloro che ad essi si opponevano volevano spingerla verso i Bernesi. Finalmente la montagna crollò dalla parte del Vallese il 14 settembre del 1714, cagionando la morte di 180 persone e distruggendo 120 alp. I demoni che volevano far cadere la montagna sopra i Vallesani vinsero ancora in altra battaglia, ed un nuovo franamento aggiunse altre rovine a quelle che avean messo tanta desolazione fra gli alpigiani di quelle regioni172.
A poca distanza da Graglia nel Biellese, certi profondi incavi che vedonsi in una roccia sono, secondo una credenza popolare, un solco lasciato dalla carrozza del diavolo, mentre forse egli andava a compiere qualche tenebrosa opera di distruzione, e non a torto Mefistofele dopo che ha deriso la vanità degli scienziati e le loro lunghe ricerche, dice che il popolo ha un modo più spedito onde trovare la ragione di ciò che non intende chiaramente, e vede da ogni parte rupi e ponti del diavolo.
Come già notai, la causa delle traccie lasciate sulle rupi dal lungo lavorìo degli antichi ghiacciai, è facilmente spiegata dai montanari ignoranti, che vedono ovunque impronte degli artigli del diavolo, delle zampe dei cavalli infernali, o delle unghie maledette delle streghe; ed anche dissi come negli acuti sibili del vento che soffia con tanta violenza sulle Alpi odano le grida furiose dei diavoli e dei cacciatori selvaggi, e per essi le grandi voci della montagna sono sempre quelle di esseri misteriosi, che spesso si uniscono a danno degli uomini, o debbono espiare con infinito dolore le colpe commesse.
Altre volte ancora la fantasia dei montanari immagina strani racconti di colpe e di tremendi castighi, volendo spiegare la formazione di qualche montagna dalla forma bizzarra; e secondo la credenza popolare, nel sito ove ora trovasi la meravigliosa piramide del Cervino, che già ebbe le sue vittime, ed attrasse con tanta potenza intrepidi alpinisti, vedevasi in tempi lontani una fiorente città, in cui l'Ebreo errante nel suo doloroso viaggio trovò cortese accoglienza e potè riposare brevemente le membra stanche173. Dopo mille anni egli ritornò e vide il colosso minaccioso nel sito ove prima trovavasi la città. Commosso profondamente nel pensare a tanta sventura, pianse a lungo e le sue lagrime non formarono dei fiori, come quelle della Dama Bianca, ma il Lago Nero che vedesi non lungi dal Cervino. Questa leggenda narrata da una guida della Valle di Aosta ha molta somiglianza con altri racconti del Medioevo, che trattano dell'Ebreo errante, e dicono come fossero puniti coloro che l'ospitavano.
Pare che la leggenda dell'Ebreo errante sia stata portata dall'Oriente in Europa dopo le prime crociate. Allora ogni borgo, ogni città ambiva l'onore di avere ospitato l'infelice, ma ciò non toglieva che il suo passaggio fosse seguìto da qualche disgrazia, ed anche secondo una credenza che fu generale, egli apparve in Francia, a Beauvais, a Noyon ed in altre città quando Ravaillac uccise Enrico IV174.
Una leggenda svizzera ci fa anche vedere l'Ebreo errante sulle Alpi, ove egli al pari di certi pellegrini e dei nani di parecchi racconti medioevali, fece ufficio di profeta, ed ammonì gli abitanti di una città, nella quale non era venerato il nome di Dio, e si commettevano infiniti delitti. Ma le sue parole non valsero a indurre il popolo a fare penitenza, e quando egli partì una serie di sventure funestò gli uomini che avevano disprezzato la sua profetica parola. Non si fabbricarono più case, in quella città maledetta, il gregge fu colpito da malattie mortali, e dalle montagne precipitarono frane e valanghe, le quali distrussero le case e uccisero molti uomini. Dopo qualche tempo certi massi enormi ingombrarono le strade ove prima andava a diporto la gente allegra e spensierata; l'erba folta coprì le piazze, e la desolazione si fece più profonda ancora, fra gl'infelici condannati.
Dopo cinque anni la grande città divenuta fra tanta rovina un povero villaggio, era la dimora di pochi abitanti oppressi dal dolore, i quali finalmente morirono anch'essi, ed i loro corpi rimasero senza sepoltura; le ultime case cadenti rovinarono, e l'edera vittoriosa coprì le colonne infrante, i gradini sconnessi e le pietre.
Dopo cento anni l'Ebreo errante passò di nuovo sulle Alpi, ed egli riconobbe il sito ove prima trovavasi la città maledetta, ma anche gli alberi erano cresciuti in mezzo all'erba ed all'edera; rimanevano solo alcune mura così bigie e rovinate che sembravano rupi, e sulle antiche strade, in mezzo all'erba folta, si aprivano i fiori delle Alpi, come per mettere una nota gaia in mezzo a quella desolazione.
Dopo qualche tempo l'Ebreo errante riprese il suo eterno viaggio, e mentre saliva verso le alte cime delle Alpi, egli pensava alla sventura infinita di quegli uomini che avevano offeso Iddio, ma la desolazione si accrebbe ancora in quel sito maledetto; l'erba e gli alberi cresciuti sui poveri morti si disseccarono, morirono i fiori delle Alpi fra le rovine, perchè non furono più bagnati dalla pioggia e dalla rugiada, e la neve invece cominciò ad accumularsi sull'antica città, finchè si elevò sempre maggiormente fra le montagne. Le cascate che scendevano dall'alto verso quella neve formarono, in mezzo al freddo assiderante, enormi massi di ghiaccio, e quando dopo altri cento anni l'Ebreo errante ritornò per la via solita sulle Alpi, egli non potè riconoscere in qual sito sotto la neve ed il ghiaccio si trovasse l'antica città, e si rimise in via, pensando che la sua profetica parola non era stata mendace.
Già dissi della leggenda intorno alla campana del borgo di Thora in Val d'Aosta, il quale fu, secondo la credenza degli alpigiani, anche distrutto perchè i suoi abitanti mostravansi avari verso i poveri. Dalle poche notizie raccolte con somma fatica si può supporre che Thora fosse fabbricata a circa 1500 metri sul livello del mare e racchiudesse molti abitanti, perchè forse a cagione di qualche speciale franchigia era per gli alpigiani della valle il principale – Terroir où ils retiraient leurs fruits pour leur soutien et ayde, pour ce que la plaine est chargée de censes et tributs à divers seigneurs. – Così vuolsi che vi fossero in Thora 545 abitanti quando il sei di luglio 1564 dopo un rombo sotterraneo ed un violento terremoto il borgo fu distrutto dallo spaventevole rovinìo del monte Becca-Francia, il quale veniva così chiamato perchè dicevasi che dalla sua cima scorgevasi oltre il Rhuitors un panorama stupendo dei monti della Francia.
Fra tutti gli abitanti del borgo scampò una sola famiglia, e la leggenda che ripetesi sul versante occidentale come sul versante orientale di Becca-Francia, non lungi da quel castello di Sarre che tanto piace alla nostra Regina, narra che nella sera del 5 luglio 1564 un povero chiedeva in nome del Signore la carità nelle vie di Thora, ma non riceveva altro che ripulse ed insulti. Finalmente egli incontrò una povera vedova che gli manifestò il gran rammarico provato non potendolo aiutare, poichè essa non aveva neppure un pezzo di pane da dare in quella sera ai suoi figliuoletti. Il povero ringraziò la vedova e le disse di mandare i suoi fanciulli nel granaio ove troverebbero pane in abbondanza. Questo avvenne infatti e tutti mangiarono allegramente, poi il vecchio disse alla vedova di lasciare Thora nel giorno seguente, fuggendo colla famigliuola, perchè verso sera il borgo sarebbe distrutto in punizione dell'avarizia mostrata dai suoi abitanti175.
Lo Tschudi afferma che immense regioni desolate della Svizzera ove trovansi spaventevoli deserti di ghiaccio, o cumuli di massi caduti nel rovinìo delle montagne, non sono ancora conosciuti perfettamente, e gli alpigiani ricordando lontanissime tradizioni, vogliono che si trovassero in quei siti fiori alpini e fertili terreni. Questa strana credenza fa sì che su tutte le Alpi tedesche si trova con frequenza il nome di Blümlisalp – alpe fiorita – dato a qualche ghiacciaio o ad un deserto ove sono accumulate le pietre. In questo caso la fantasia degli alpigiani immagina cose strane, e va cercando la cagione di qualche sventura, che ha dovuto colpire i loro antenati, e quasi sempre su tutta la catena delle Alpi, si ricordano coloro i quali negando l'ospitalità ai poveri, furono insieme alle loro terre castigati tremendamente.
A questo rispetto una leggenda delle Alpi di Vaud dice che sopra un vasto pascolo, erano riuniti alcuni pastori, che discorrevano insieme piacevolmente, mentre custodivano il gregge vicino a parecchi alp. Una vecchia poverissima si avvicinò ad essi chiedendo un po' di latte e l'alloggio per la notte, ma fu respinta. Essa mandò una maledizione su quei crudeli, ed il ghiacciaio del Plan Nevé si formò ove trovavasi il fertile pascolo. Il poeta Enrico Durand ha raccolto la leggenda popolare e l'ha notata in versi, mentre dice che avendo la vecchia mandata la terribile maledizione:
Alors on entendit un
bruit épouvantable.
La montagne mugit jusqu'en son fondement,
Avalanches, torrents, tempêtes, éclairs de foudre
On eut dit le fracas d'un monde mis en poudre176.
Una leggenda quasi simile a questa è nota in Savoia intorno alla famosa Mer de glace dall'aspetto meraviglioso. Vuolsi che nel sito occupato dall'immensa distesa di ghiaccio, eranvi in altri tempi fertili pascoli. Ma l'avarizia degli abitanti della parte superiore di Chamonix era divenuta proverbiale. I poveri potevano passare innanzi alle grandi stalle ove era raccolto il gregge ed ai fienili pieni di fieno, ma non ricevevano mai un pezzo di pane e una buona parola da quei crudeli.
Un santo, o forse un arcangelo venuto dal paradiso, volle anche mettere a prova i crudeli alpigiani. Vestito da mendicante, celando la divina bellezza sotto il sembiante di un vecchio, andò nei villaggi, senza nulla ottenere a conforto dell'apparente suo dolore. Finalmente era sulla soglia dell'ultima casa ove non ancora avea ripetuta la sua mesta preghiera, quando venne il padrone e gli comandò di portare altrove la sua miseria; però dietro al crudele una fanciulla apparve con un grosso pezzo di pane ascoso sotto il grembiale, e trovò il mezzo di darlo al mendicante; mentre il padrone senza più curarsi dell'infelice si allontanava; ma il povero si trasfigurò in un attimo, innanzi alla fanciulla meravigliata e le disse: «affrettati, prendi ciò che possiedi di più prezioso e fuggi, la minima esitazione non salverebbe gli altri e perderebbe anche te, perchè una maledizione è discesa su questa terra».
La fanciulla prese la ròcca, solo bene del quale poteva disporre, e fuggì; quando si volse per vedere che cosa era avvenuto nel sito da lei abbandonato, scorse la sterminata Mer de glace che avea ricoperto ogni cosa177.
Il ghiacciaio della Marmolata nel Trentino, si formò pure, secondo la credenza popolare, in modo repente in un sito ove prima vedevansi alcuni pascoli alpini coperti di fiori smaglianti. Secondo la leggenda, la montagna era in tutto il suo splendore nel giorno 5 Agosto, dedicato alla Madonna della Neve, in cui si celebra una festa in tante cappelle delle Alpi e dicesi pur la Messa, se il tempo è favorevole sulla cima del Rocciamelone, a metri 3536 di altezza. Una vecchia avara non si diede pensiero del precetto che vieta il lavoro in giorno di festa, e per tema di un temporale cominciò a ritirare il fieno, ma la neve prese a cadere e la coprì interamente insieme ai pascoli ed un nuovo ghiacciaio si formò.
La struttura dei ghiacciai che è stata studiata con tanta cura, mentre notavasi la loro formazione a strati, ci toglie facoltà di credere che uno di essi sia apparso in modo istantaneo, e forse le leggende di questa specie così comuni sulle Alpi, ricordano solo i rigidi inverni, in cui i ghiacciai avanzandosi più del solito, come avvenne con frequenza, coprirono fertili pascoli. Di questo si potrebbe anche avere una prova nel ghiacciaio di Plan Nevé, che la leggenda ci ha detto di formazione istantanea, perchè narrasi che nell'anno 1822, essendo molto intenso il caldo, i ghiacciai si ritirarono più del solito, e nell'estate parecchi cacciatori di camosci e di marmotte, videro in mezzo alle frane ed ai massi gelidi del Plan Nevé gli avanzi di un vecchio ponte.
Già notai che il Monte Bianco era pur chiamato il Monte Maledetto, e nelle sue vicinanze la fantasia degli alpigiani ha inventato innumerevoli leggende. Dopo Passy, nel punto ove cessa la vegetazione, si vede una specie di altipiano, o di orribile deserto, innanzi al quale provasi un senso di sgomento, ed in quel sito trovavasi il Lago Verde, al quale erasi forse dato questo nome, perchè avea una tinta di smeraldi, simile a quella del lago di Viana che vidi in Val di Viù; e vuolsi che sulle sue sponde fiorissero i più bei fiori delle Alpi, mentre vicino alle sue acque tranquille, vivevano molte fate tutte giovani e bellissime.
Nelle caverne del Monte Maledetto, abitavano certi spiriti malvagi, i quali si accesero d'amore per le fate; ma esse erano felici nella libertà della vita sulle montagne, e non vollero corrispondere alla passione dei genii perversi delle Alpi. Costoro per vendicarsi fecero scorrere le acque torbide del Nant Noir nel lago, che perdette subito la sua tinta verde, e le sue sponde inondate rimasero senza fiori; ma questo non bastò ancora per rendere pago il loro desiderio di vendetta, e scossero la montagna che in parte rovinò nel lago, di maniera che la desolazione rimase per sempre in quel sito.
Il Dessaix, che ricorda questa leggenda, narra ancora che nel 1751 avvenne realmente in quella regione uno spaventevole franamento di rupi, ed una nube di polvere nera si elevò in mezzo a quel rovinìo. Vi fu chi credette che un vulcano si aprisse, ed il naturalista Vitaliano Donati partì da Torino per andare a studiare il fenomeno; egli spiegò ogni cosa scientificamente, ma gli alpigiani non badarono a quanto egli diceva; essi preferivano vivere in mezzo al mondo fantastico dal quale sono allettate le loro menti, e continuarono a narrare che i nani innamorati si erano in quel modo vendicati delle fate.
Altro stranissimo racconto immaginarono i montanari, intorno alla rupe che piange, la quale trovasi fra le Alpi di Vaud, in un sito selvaggio, vicino ad una foresta di pini, e le sue pareti sempre umide dominano il letto di un torrente. Essi dicono che la figlia bellissima di un alpigiano, chiamata Giulietta, abitava a poca distanza da quella rupe, ed era amata da un nobile giovane, chiamato Alberto di Chaulieu, ma essendo egli ricchissimo, suo padre non voleva che sposasse l'umile fanciulla. Una delle fate che erano così numerose su quelle montagne, proteggeva i giovani amanti e volle che andassero un giorno a visitarla vicino alla rupe; ma il barone furente giunse in quel sito coi suoi servi e voleva far gittare in un burrone i due infelici giovani. Poi cambiò proposito e comandò che fossero menati via come prigionieri, ma la fata cantava dolcemente sulla rupe, ed il possente signore comandò pure ai suoi di prenderla e di appiccarla ad un albero, perchè non voleva usare misericordia; ed Alberto sposerebbe solo Giulietta quando la rupe della fata piangerebbe. In quel momento avvenne un caso meraviglioso, perchè videsi che la rupe piangeva realmente. Allora il barone vinto dalla potenza della fata, dovette mantenere quanto avea promesso e suo figlio sposò la bella Giulietta.
Nell'ammirare la forza della fantasia degli alpigiani è però impossibile essere meravigliati quando si raccolgono tanti strani racconti ch'essi andarono immaginando, perchè ogni anima fervida, che pur non creda nell'esistenza delle fate, dei folletti, del popolo notturno e degli spiriti aerei, trovandosi fra le Alpi, è in mezzo a tale bellezza di paesaggi, a tale imponenza della natura, a tale magia di luce e di colori, o a tale tristezza di ambiente, che può andare ideando strane cose. Così Tschudi nel descrivere con efficacia meravigliosa ed insuperabile il risveglio della vita sulle Alpi, dopo la desolazione dell'inverno, mentre la neve si scioglie, i primi fiori si aprono fra la tristezza delle rupi, e un nuovo fremito di vita e d'amore passa fra i rami degli abeti e dei faggi, dice che gli pare di assistere ad una ridda festosa degli spiriti.
Il magico spettacolo del miraggio prodotto dalla nebbia e che scorgesi con frequenza sul Righi o su altre cime delle Alpi, che trovansi non lungi dai laghi o dai terreni umidissimi, avviene anche sull'Harz, ove i montanari lo chiamano lo spettro di Brocken. Ed anche sul Brocken, che è la cima più alta di quei monti dell'Harz, che ci ricordano l'anima poetica ed appassionata dell'Heine, Goethe vide i casi meravigliosi della notte di Valburga. Il Michelet invece ricorda i suoi studi storici di fronte ai ghiacciai, e vuol provare che, negli anni in cui questi si avanzarono maggiormente verso le valli, la rigidezza dell'inverno e la miseria furono causa di nuove e sanguinose rivoluzioni; poi, mentre guarda quel Monte Bianco, sul quale è andato a cercare la neve e la pace, gli sembra che sia un gigante fatidico, e che nel vedere la sua fronte più o meno coperta di nubi, si possa conoscere il destino dell'Europa e sapere se avvicinasi il tempo della pace serena o delle rivoluzioni che distruggono i troni178.
Lo Schiller, che senza essere alpinista, fu, quando scrisse il Guglielmo Tell, uno dei poeti più sublimi delle Alpi, descrive nella Canzone dell'Alpe un picco chiamato la Regina, che si è trasformato, innanzi alla sua fantasia, in un trono incrollabile:
Altera e radiante
La reina vi siede, un adamante
Ne forma al capo maestoso il serto,
L'astro del dì le manda
Gl'infocati suoi rai, e il sol la indora,
Ma la sua fredda e candida ghirlanda
Giammai non accalora179.
Invece il Goethe nel canto che scrisse sulle Alpi agli Spiriti dell'acqua, non vide in essa le fate, ma un'immagine poetica e fedele dell'anima umana, ed i suoi versi furono tradotti dal Rambert, il quale poco si curò della forma nel verso francese, ma volle rendere con chiarezza il concetto del sommo poeta, e dice180:
Toute âme humaine
Ressemble à l'eau,
Qui du ciel tombe,
Remonte au ciel,
Et sur la terre
Retombe encore,
De l'un à l'autre
Passant toujours.
Le flot s'élance
Des hauts rochers,
Il se balance
Pur et brillant,
Puis sur la pierre
Glisse en poussière
Et rebondit,
S'étale en gerbe,
Large, superbe,
Et doucement
Tombe et murmure.
Vient-il heurter
Quelque saillie,
Il la blanchit
De son écume,
Et par degrés
Court à l'abîme.
Puis dans le Val
Il va tranquille
Cercher l'asile
Du beau lac bleu
Miroir des cieux.
Le vent des ondes
Amant jalous
Les y soulève
Les y confond.
Ame de l'homme,
Semblable à l'eau,
Destin de l'homme
Pareil au vent.
Finalmente il Berlepsch nella sua prosa che ha grandezza ed armonia di vera poesia, dopo aver accennato, come già dissi, alla superstiziosa credenza di un alpigiano innanzi al rovin'o del Rossberg, finisce col veder egli stesso, nella catastrofe avvenuta sulle Alpi, una rinnovazione della lotta dei Titani contro le divinità dell'Olimpo, e pare che la fantasia dell'uomo coltissimo, avvezzo alle reminiscenze dell'antichità pagana, abbia lavorato al pari di quella dell'ignorante alpigiano, che credeva lo spaventevole fenomeno opera di esseri soprannaturali.