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Non di rado nel raccogliere le leggende sui tormenti dei dannati che debbono espiare le loro colpe sulle Alpi, io ricordava qualche stupendo canto dell'Inferno e chiedevo a me stessa, se gli alpigiani nell'immaginare per le anime perdute e per quelle condannate ad un lungo purgatorio, nuovi tormenti intorno a nuovi tormentati, non ebbero ardimenti pari a quelli della mente sublime di Dante.
Di certo le credenze su parecchi tormenti dei dannati, rimaste ancora adesso fra le Alpi, sono la conseguenza di convinzioni comuni alle genti medioevali, che tanto si affannarono nel voler conoscere esattamente la condizione delle anime giuste o perverse dopo la morte; ma come sempre avviene per le leggende, che si adattano nella forma all'ambiente che trovano nel loro viaggio secolare, esse acquistarono tra le Alpi una grandezza epica, che non potevano avere fra le mura delle città, nelle sterminate pianure o sulle colline coperte di vigneti; e può darsi che Dante il quale tanto sapeva, non ignorò in quella sua parte la grandiosa poesia popolare delle Alpi.
Secondo antichissime credenze i dannati si troverebbero specialmente fra i ghiacciai, che furono sempre il terrore degli antichi alpigiani ed anche dei soldati o dei viaggiatori, costretti a passare sui varchi alpini. Questa credenza è rimasta ancora in molte regioni delle Alpi, ove pur si trovano guide coraggiose e cacciatori che vanno sempre con volto sereno, come a sfida del pericolo e della morte, fra le insidie dei ghiacciai.
Il Cibrario204 dice di quelli che trovansi fra la Lera e la Rossa, oltre il Pian d'Usseglio, così vasto e bello che vidi verso i 1300 metri di altezza; ma che è di una indicibile tristezza fra le montagne nude e minacciose, quando le tende dei soldati alpini o i fazzoletti rossi delle alpigiane non vedonsi fra i campi d'oro della segala, ed i vastissimi pascoli dalla tinta di smeraldi. Su quei monti, all'estremo confine d'Italia, e sotto ai ghiacciai pericolosi, trovansi, secondo la leggenda, innumerevoli peccatori e peccatrici che non otterranno di andare in Paradiso, finchè non abbiano distrutti i ghiacciai coll'ago di cui ciascuno di essi è armato.
Anche i morti che seguono il cavaliere vivente nelle valli dell'Elvo e del Cervo, debbono andare nel notturno viaggio fino ai ghiacciai del Monte Rosa, e con uno spillo adoperarsi a spezzare l'immensa massa gelida, finchè il gallo canti, ed essi siano costretti a tornare nelle Valli e scendere di nuovo nelle fredde tombe205.
Anche sui ghiacciai di Sea, oltre lo spaventevole vallone che ha lo stesso nome, in Val Grande, una guida fra l'imponente solitudine mi narrò dei morti che vanno in processione sui campi di neve e sul ghiaccio, fra la mole imponente della Ciamarella, che pare sorta a sfida delle cime vicine, e la maestosa Levanna. Costoro sono guidati da un vivo, e forse avranno anch'essi la missione di distruggere i ghiacciai, ma non trattasi di spiriti condannati ad un'aspra penitenza, ed il vivo che è chiamato a precederli fra i valloni o i crepacci profondi dei ghiacciai, deve avere fama di santità nel suo borgo natìo, al pari della guida dei morti della Valle di Varaita.
I dannati che, secondo la credenza popolare, trovansi nella Vallemaggia, sono in una condizione strana assai, perchè il diavolo non li vuole neppure nell'inferno. Saranno forse coloro che non furono nè amici, nè nemici di Dio, ma «per sè foro». In ogni modo è pur tremendo il supplizio al quale vengono condannati su quella regione alpina, essendo confinati per sempre sulle alte creste, nei burroni, o anche nei laghi. Secondo la credenza di quegli alpigiani essi trovansi in maggior numero sul ghiacciaio nella valle di Cavergno a Bavona.
Non solo sul Pian di Usseglio in Val di Viù, e nella Val Sesia credesi che le anime degl'infelici condannati ad un lungo purgatorio si trovino nei ghiacciai, ma questa credenza è generale nelle regioni alpine della Svizzera tedesca, ove gli alpigiani credono ancora che vengano condannate ad eterno martirio nel freddo intollerabile, quelle donne che hanno trattato acerbamente i vecchi genitori. Esse sarebbero dannate a andar di notte sui ghiacciai seguite da un orrido cane nero; e nelle più gelide notti dell'inverno, quando gli alpigiani sono raccolti nelle stalle anguste, o vicino alla legna accesa nel focolare, quelle Dame bianche maledette, tremanti pel freddo, passano in alto fra la paurosa solitudine delle montagne. Esse rimpiangono il tempo perduto, i giorni della vita passata e sanno che non debbono avere la speranza di veder cessare il loro aspro martirio.
Altra poetica leggenda italiana che ricorda le anime dei poveri morti, dannati a rimanere nei ghiacciai, è quella che narrasi in Alagna, in Val Sesia, e che trascrivo come l'ebbi dall'egregio cav. Farinetti. «In tempi non molto lontani vi era in Alagna la pia credenza, specialmente fra le donne, che le anime dei defunti, prima di salire al cielo erano obbligate per purgare le lievi colpe, di passare qualche tempo nei ghiacciai del Monte Rosa; e questo tempo poteva essere abbreviato dalle preghiere dei parenti e degli amici, quando fossero fatte sopra i ghiacciai stessi. Quindi nell'estate, nei dì festivi, comitive di donne si recavano in pellegrinaggio alle falde inferiori dei ghiacciai più vicini, e colà giunte si ponevano colle ginocchia nude sul vivo ghiaccio, pregando con fervore per le anime dei loro cari defunti.
«Non sono molti anni chi dettò queste linee, incontrò un giorno a poca distanza del ghiacciaio di Bers una buona donna con un sacchetto in tela sulle spalle, dal quale sporgeva un manico di legno; interrogata per sapere dove era diretta, e quale istromento avesse nel sacco, disse di recarsi ai ghiacciai per farvi alcuni gradini con una piccola scure, affinchè l'anima di sua madre, morta pochi giorni prima, vi potesse più facilmente salire.
«Questa pia credenza intorno alle anime purganti nei ghiacciai ha potuto avere qualche fondamento nel fenomeno singolare e misterioso, che si verifica qualche volta nei luoghi ove il ghiacciaio presenta una superficie alquanto estesa e poco inclinata. Nelle giornate calde di estate, il ghiaccio fonde sotto i raggi del sole formando una quantità di rigagnoli, i quali infiltrandosi nelle numerose piccole crepaccie più o meno profonde, producono alle volte dei suoni strani e sorprendenti, mentre sembra udire pianti, gemiti e singhiozzi di persone dolenti. Chi scrive queste parole ebbe occasione più volte di udire, non senza viva commozione, tali lamenti, e non si meraviglia punto, come la pia credenza, sopra narrata, abbia potuto avere origine nella mente semplice e buona dei montanari che abitano in vicinanza dei grandi ghiacciai.»
Chi ha veduto nel loro spaventevole aspetto certe altissime regioni alpine, e sa che cosa siano di notte, al pallido chiaror della luna i ghiacciai rotti dai crepacci paurosi, e coperti dalle nere diramazioni delle morene, può immaginare solo in tutta la sua grandezza il quadro imponente apparso alla fantasia degli alpigiani, quando hanno visto le innumerevoli schiere di fantasmi intenti al notturno lavoro onde distruggere il ghiaccio; ma più terribile ancora deve essere la scena, quando la tormenta imperversa ed i turbini di neve si levano verso il cielo scuro, quando i larici si spezzano, le montagne franano sotto l'urto violento delle valanghe, e gli spiriti travolti dalla bufera infernale, flagellati dalla neve gelida e dai rami spezzati, sono gittati da rupe a rupe e da cima a cima, nella guerra del vento contro le montagne. Scena spaventevole fra le Alpi! Ma pur nella calma dopo la tormenta, quando i dannati o le anime condannate ad un lungo purgatorio vanno innanzi nel lavoro inutile per distruggere i ghiacciai, che si consumano verso le valli nel secolare viaggio, ma si alimentano nelle regioni delle nevi eterne, la scena immaginata dalla fantasia popolare uguaglia in grandezza misteriosa e selvaggia quella ideata da Dante, quando egli videsi sotto i piedi il lago che parea di gelo, ed:
Avea di vetro e non d'acqua sembiante,
Non fece al corso suo sì grosso velo,
D'inverno la Danoia in Austerricch
Nè 'l Tanai là sotto il freddo cielo.
Nell'Enziloch secondo la credenza popolare sonovi anche innumerevoli dannati che gli alpigiani chiamano i Signori della valle. In vita sarebbero stati gli oppressori della povera gente. Nelle notti più oscure quando la nebbia si addensa fra le montagne, ed in mezzo alle nere pareti l'anima può sentire un'impressione invincibile di terrore; quando senza posa odonsi misteriose detonazioni, o la voce dei torrenti è coperta dal suono cupo cagionato dall'aprirsi di un nuovo crepaccio nei ghiacciai, o dal rovinìo di altre rupi su vecchie morene, gli abitanti di alcune borgate vicine, credono che i dannati accolgano fra una ridda infernale un nuovo cavaliere maledetto, andato in mezzo ad essi ad espiare i suoi peccati.
Sui monti che fanno da contrafforte alla valle Anzasca, quando il cielo comincia ad oscurarsi per minaccia di temporale e sibila il vento, le donne sogliono esclamare, unendo insieme le mani in atto di pregare: Chi sarà mai quell'anima che cade nell'inferno in questo momento!
Nel Trentino l'anima dell'uomo che avesse con intendimenti malvagi spostato i termini che segnano il limite delle proprietà, non può trovare la pace eterna, e deve errare senza posa intorno al pascolo o al campicello ove fu commessa quella triste azione; ed ha solo riposo, quando la pietra vien rimessa secondo giustizia nel sito d'onde era stata tolta. Sulle Alpi di Vaud credesi invece che le anime di coloro che hanno commesso simil colpa, si aggirano in forma di fuochi fatui, chandelettes, intorno ai termini spostati.
Anche nel Trentino credesi che le anime degli avari e degli usurai si aggirino di notte sulle montagne, intorno a certi tesori nascosti, che non avranno mai facoltà di rinvenire, mentre saranno di continuo tormentati dal desiderio di possederli. Dicesi pure che nella Valle di Sementina, in vicinanza di Bellinzona, vadano ad espiare le loro colpe le anime di altri avari, di usurai e di tutori ingiusti. Altri dannati ad eterno supplizio per le medesime colpe, si troverebbero, secondo una credenza che è comune nel villaggio di Lenk, fra una gola selvaggia dell'Illhorn, dove i franamenti soliti delle montagne, sarebbero cagionati da continue lotte fra gli spiriti maledetti. Anche gli avari che Dante vide nell'Inferno:
Percotevansi incontro, e poscia
pur lì
Si rivolgea ciascun voltando a retro
Gridando: Perchè tieni e perchè burli?
Così tornavan per lo cerchio tetro
Da ogni mano all'opposito punto
Gridandosi anche loro ontoso metro.
Ed al pari degli spiriti maledetti delle leggende alpine
In eterno verranno alli due cozzi.
Anche i cavalieri di Lauterbrunnen, che secondo la credenza popolare trovansi, come già vedemmo, nella spaventevole Roththal, sarebbero infelici spiriti condannati a battersi di continuo, ed a far cozzare insieme dolorosamente le fronti coperte di ferro. Nè si può negare che il combattimento di quei feroci cavalieri armati, il quale deve durare eternamente nelle valli, ove fra i burroni spaventevoli si alternano coi ghiacciai larghi spazii coperti di roccie dal color di sangue, dovrebbe essere di un aspetto indescrivibile per la sua triste imponenza se avvenisse realmente.
Parmi che solo certe leggende del mare intorno ai dannati possano uguagliare nella loro grandiosa poesia quelle delle Alpi, quando ci narrano di certi vascelli fantasmi che non portano solo i morti, come già dissi, ma hanno anche una ciurma di dannati. In balìa della tempesta vanno senza posa sugli oceani, sollevati dalle onde furenti verso le nubi, per ricadere negli abissi, paurosi, o, essendo spinti dall'uragano contro le nere pareti delle montagne, sono travolti da scoglio a scoglio nei pazzi turbinii del vento, e vengono sferzati dalle saette fra l'oscurità della notte.
Anche i magìa del mare sono come gli spiriti dei ghiacciai alpini, condannati a lavorare di continuo. Essi si aggirano sotto l'acqua fra la meravigliosa vegetazione ed i boschi di corallo; e non si può immaginare quale sia il loro faticoso ufficio, mentre debbono piegarsi agli ordini di un feroce demone del mare. Dovranno forse rendere più profondo il letto degli oceani o portare nelle grotte le ricchezze raccolte dopo il naufragio delle navi? Dicesi che di notte vanno a sedersi affranti sulle spiaggie o sugli scogli, e fanno quanto è possibile per trascinare nell'acqua i viandanti, o saltano sulle barche e le fanno sommergere; allietandosi quando le anime di altri annegati rimasti senza sepoltura, debbono discendere nel mare ed aiutarli nel fastidioso lavoro.
Nel Friuli credesi pure che i dannati debbano lavorare sul leggendario monte Canino. Appena giunge la notte essi carichi di pesanti catene incominciano a battere col piccone, essendo ufficio loro di disgregare i massi della montagna; e questa lotta contro le rupi delle Alpi è terribile al pari di quella contro i ghiacciai. Anche Giosuè Carducci dice che in Carnia:
Su la rupe del Moscardo
È uno spirito a penar,
Sta con una clave immane
La montagna a sfracellar,
ed è quell'infelice che già vedemmo innamorato delle fate alpine, e che porta come i nani dei nordici paesi il cappello ed un bel mantello rosso.
Anche sul leggendario Monte Pilato nella Svizzera, e sul Righi trovansi secondo le leggende, malvagi spiriti dannati ad eterno supplizio; ma essi si uniscono specialmente per la caccia furiosa, e passano come un turbine maledetto e malefico sulle vette delle montagne o nei boschi.
Già vedemmo che sulle Alpi di Vaud certe anime dannate si aggirano sulle montagne come fuochi fatui, e fu credenza assai estesa nel Medioevo quella che ritenne potersi l'anima di un dannato mutare in fiammella errante. Nella selvaggia Valle d'Ala, che mi parve così bella nella imponenza dei suoi paesaggi, vi fu in questo secolo e durava ancora, or sono pochi anni, la credenza vivissima nell'apparizione di una fiammella malefica, la quale compie forse da secoli un viaggio notturno, posandosi sui campanili dei villaggi fra Ceres ed Ala, e rimanendovi per qualche tempo, non come faro desiderato dai viandanti, ma a spavento di tutta la valle.
Narrasi pure nella Valle Anzasca, di un lume vagante il quale compie il suo notturno viaggio, sulla strada da Ponte Grande a Bannio, ma non altro mi è stato dato di conoscere intorno a quella misteriosa luce; invece vuolsi che la malefica fiamma della Valle d'Ala fosse l'anima di una vecchia strega che forse fu bruciata, come usavasi anche nei pacifici villaggi delle Alpi. E la leggenda narra che se di notte un viandante avesse osato guardarla, una voce in suon di minaccia sarebbe giunta fino a lui, e la fiamma sorvolando sugli abeti e sulle acque della Stura gli si sarebbe avvicinata trasformandosi in un cane mostruoso o in altro animale dall'aspetto spaventevole. In questo racconto trovasi pure una certa somiglianza con una credenza della lontana Calabria, ove dicesi che l'anima di una persona uccisa sopra una pubblica strada, può mutarsi in diabolica figura che va ad assalire i viandanti.
Näfels in Isvizzera, nel paese di Glaris, possiede uno splendido palazzo antico; non lungi di là trovasi un sentiero nel sito ove svolgevasi l'antica strada della valle ed esso vien chiamato Herrenweg. Vuolsi che i signori di un vicino castello, i quali usarono in altri tempi di percorrere quella via, debbono ora passarvi di notte in espiazione delle loro colpe, essendo trasformati in animali. Un certo balì chiamato Dolder ha l'aspetto di un cane di fuoco, e mentre aggirasi fra gli altri dannati fa risuonare un grosso mazzo di chiavi. Non solo questi maledetti signori passano di notte sulle montagne presso Näfels, ma anche un capraio tutto di fuoco compie le sue notturne passeggiate. Dicesi che quando scenderà fino a Brand, il lago di Hasler uscirà dal suo letto essendo causa d'infinita rovina alle terre vicine.
Con molta frequenza vedonsi sulle nostre Alpi certe croci nere messe a ricordo di sventure avvenute. Qualche volta esse trovansi fra un cumulo di rupi coperte di fiori alpini o di felci; ma non di rado sono riparate alquanto dalle nevi contro le pareti delle montagne, e fra rocce altissime. Alcune di esse sono state per molti inverni sepolte sotto la neve che si accumula nelle valli ed hanno una tinta terrea; altre che da poco tempo furono collocate fra i sassi sono nere, ma quasi tutte portano vicino ad una data recente o lontana, inciso nel legno il numero degli anni dei pastori o delle fanciulle morte vicino al letto di un torrente o in un triste vallone; e si conosce che erano nel fior della vita quando seguendo le capre o raccogliendo l'erba, precipitarono dalle rupi che si alzano minacciose e nere a chiudere le valli. Ma forse non la sola pietà dei congiunti, non la sola compassione che provasi fra le Alpi per le infelici vittime delle montagne, e pei viandanti sconosciuti uccisi dalla tormenta, valse a rendere così generale quel pio costume; e parmi che si dovette anche, nell'alzar le croci, ricordare le leggende delle valli, e si cercò di evitare l'apparizione dell'anima di un morto in forma paurosa di fantasma, o come fiammella vagante e malefica.
I fuochi fatui che in alcune regioni della Svizzera furono creduti spiriti malefici, che portavan la peste sulle montagne, appariscono in altri siti agli alpigiani come schiere temute di dannati; e questa volta ancora una credenza che fu generale in altri secoli, si ritrova nella sua fantastica poesia sulle Alpi, ove fu nota di certo assai prima che Dante vedesse le innumerevoli fiammelle che racchiudono le anime dei peccatori, i quali procurarono il danno altrui con frode ed inganno. Or non pensiamo che il nostro sommo poeta descriva solo una scena vista fra le bolge infernali; ma immaginiamo ch'egli si trovi in mezzo ad uno spaventevole paesaggio alpino, e ci dica collo splendore del verso lo spettacolo visto tante volte dalla fantasia accesa degli alpigiani nel mentre:
Quante al villan ch'al poggio si
riposa
Nel tempo che colui, che il mondo schiara
La faccia sua a noi tien meno ascosa,
Come la mosca cede alla zanzara,
Vede lucciole giù per la vallea,
Forse colà dove vendemmia ed ara:
Di tante fiamme tutta risplendea
L'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi
Tosto che fui là 've il fondo parea.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
E il Duca, che mi vide tanto atteso,
Disse: dentro da' fuochi son gli spirti:
Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso.
Dalla misteriosa e temuta fiammella della Valle d'Ala che pure aveva colle arti della magìa recato danno agli uomini con frode e inganni, partesi, come già dissi, con frequenza una voce a minaccia degli alpigiani. Nell'Inferno Dante chiese a Virgilio:
S'ei posson dentro da quelle faville
Parlar . . . . . . . . . . . .
E quando avanzaronsi verso di lui le anime di Ulisse e di Diomede raccolte in uno splendore infernale,
Lo maggior corno della fiamma
antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento affatica.
Indi la cima qua e là menando
Come fosse la lingua che parlasse
Gittò voce di fuori e disse . . . . . .
E come se il poeta si compiacesse in quella sublime visione apparsa in qualche modo anche agli alpigiani atterriti, un'altra vivida fiammella in cui si chiude l'anima di Guido da Montefeltro gli parla come persona viva, quando Ulisse e Diomede si allontanano.
Anche sul colle di San Giovanni, e proprio sul sentiero che dall'allegro villaggio mena verso il lago del Monte Civrari, delle fiammelle escono a notte dal camposanto e seguono i viandanti. Poveri fuochi fatui che spariranno all'alba, ed in cui la fantasia degli alpigiani vede spiriti cattivi e minacciosi. Anche nella nostra Valle di Andorno tristi spiriti si ascondono nei fuochi fatui che vanno errando lungo le tortuose sponde del Cervo; e forse nel ricordare qualche leggenda intorno alle fiamme infernali erranti sulle montagne, Goethe volle che mentre Fausto e Mefistofele traggono al Broken, nel mondo della magia e degl'incantesimi, ove si svolgeranno innanzi ad essi le bizzarre scene della notte di Valburga, un fuoco fatuo li guidi per l'aspra via; e mentre par che abbia intelligenza e parola, può in un certo modo anche essere messo a confronto col lume vagante della Val d'Ala, o con altre malefiche fiammelle che pur fra le Alpi, nella valle del Rodano precedono di notte secondo la credenza popolare le temute Fenette, che stanno a guardia dei giunchi e delle ninfee.
Anche sul mare nelle fiammelle dette di Sant'Elmo i marinai credono che si trovino anime condannate a lunga dimora nel purgatorio. Se appare una di quelle fiamme sulle spiaggie dell'isola di Batz e si avvicina alle case, i loro abitanti chiudono atterriti le porte e le finestre, perchè credono che abbia un fascino irresistibile. Gl'infelici che la guardano restano come ammaliati, e sono interamente in sua balìa; essi debbono seguirla ovunque, sulle scogliere e sulle rupi, finchè miseramente cadano nel mare o in qualche burrone profondo.
Sulle spiaggie settentrionali della Francia o sulle altissime scogliere bagnate dall'Atlantico, se passano misteriose fiamme, dicesi pure che racchiudono povere anime che vanno chiedendo ai vivi la carità di una preghiera; o essendo dannate ad eterno supplicio annunziano ai marinai l'avvicinarsi della burrasca.
Se la fantasia degli alpigiani può vedere nelle gole delle montagne e sui ghiacciai i dannati, non credo però che sarà mai possibile alla fantasia popolare in Italia di vederli fra la serenità del nostro cielo; ma a cagione dell'influenza inevitabile dell'ambiente, i dannati trovansi secondo una credenza dei poveri Eschimesi, sopra il loro tristissimo cielo, in una regione desolata ove vedonsi valli, montagne e laghi, ed essi soffrono pel freddo e la fame. I buoni invece godono in un mondo sotterraneo.
Come avviene pure in tante leggende e Visioni medioevali o nell'Inferno dantesco, i dannati delle Alpi trovansi quasi sempre in compagnia dei demoni. Insieme vanno alle notturne battaglie nei burroni profondi e nei valloni così selvaggi, che a stento l'uomo osa entrarvi. Coi demoni sono travolti nelle cacce furiose o vanno ad essi uniti in certe processioni notturne, alle quali non prendono parte le anime buone e sante. Come i demoni alpini, hanno facoltà di spaventare gli uomini e di trarli a rovina; ma forse fra tanti spiriti dannati, che secondo le leggende formano un popolo di disperati sulle Alpi, sembrami che le figure più spaventevoli siano quelle dei suicidi, che trovansi fra le schiere numerose di demoni i quali hanno il costume di rimanere sulle Alpi di Vaud, ove già vedemmo che il diavolo ha sulla cima dei Diablerets una prediletta dimora.
Queste anime, non sono fiammelle erranti, ne' bruni fantasmi, ma hanno conservato il misero corpo che ebbero nel tempo della vita mortale. Condannate a salire o a discendere continuamente sulle roccie delle Alpi, debbono avere nell'aspetto spaventevole qualche cosa che ricorda i seminatori di civili e religiose discordie, che Dante vide nella nona bolgia laceri e spaccati nelle membra. Ma questi dannati delle Alpi hanno maggiormente sofferto nelle braccia fra le torture continue; e quelli che trovansi da molti anni al supplizio le hanno già consumate o fatte a brani fino alle spalle. Quelli giunti più tardi le hanno monche solo fino al gomito206.
Dante nel castigo dei dannati non si servì di certi volgari mezzi immaginati in tante Visioni, dalla fantasia dei popoli medioevali, ma seppe dare epica grandezza all'argomento. Egual cosa fecero i poveri alpigiani, quando guardavano con terrore i ghiacciai o certi spaventevoli paesaggi alpini; e mentre noi c'inchiniamo riverenti innanzi al nostro sommo poeta, non dimentichiamo però di ammirare anche la grandezza dei concetti che trovasi rispetto ai dannati fra tanti abitanti delle Alpi; i quali non sanno come si scrivano i versi, ma hanno coscienza del grandioso aspetto della natura che li circonda, e ne sentono tutta la poesia nel cuore e nel pensiero; mentre credono che un mondo fantastico pauroso o gentile venga a popolare nella notte la solitudine delle montagne.