Maria Savi Lopez
Leggende delle Alpi
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FUOCHI FATUI

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FUOCHI FATUI

Splendide meteore o fuochi fatui che non racchiudono sempre anime dannate le quali debbono espiare eternamente le proprie colpe, diedero origine ad altre bellissime leggende delle Alpi.

Sulle montagne di Vaud, se vedevasi passare rapidamente sul cielo una splendida meteora, che lasciava una striscia luminosa, dicevasi che i gnomi o genii delle miniere e dei tesori nascosti nelle montagne, cambiavano sotto quella forma dimora, o andavano a visitare altri loro compagni207.

In molte parti della Valle di Viù, la caduta delle così dette comete, stelle cadenti che si potrebbero anche dire attratte dalla bellezza delle candide regine delle montagne, annunziano secondo la credenza popolare, la morte dell'alpigiano, sulla casa del quale sembra che cadano. Splendide fiammelle che passano come il fulgore del lampo, e sono pei poveri abitanti delle Alpi una minaccia tremenda di morte. Anche nella Valle Anzasca si ha la medesima credenza.

In alcune regioni delle Alpi Cozie appartenenti alla Francia, le meteore sono credute opera di magìa, ed i fuochi fatui che apparivano nel camposanto di Puy Saint Pierre, ed anche in quello di Briançon erano anime dei morti o malefici vampiri. Nel Champ Saur, sulla medesima regione alpina, ed in un sito elevato, dal quale l'occhio spazia sul territorio di parecchi villaggi, avviene alcune volte nel corso dell'anno, che si vedano apparire certe fiammelle che si riuniscono in un sito buio e solitario, ove par che danzino, e dopo alcune ore spariscono. Gli alpigiani di Orcières dànno facilmente la spiegazione di questo fenomeno, e non solo dicono che sono gli stregoni che vanno sotto quella forma ad un loro infernale convegno; ma dànno colpa a quelle fiammelle di tutte le disgrazie che colpiscono quella regione o le loro famiglie208.

Nella valle di Susa gli spiriti e gli stregoni ballano al pari di quelli delle Alpi dell'Alto Delfinato, in forma di fuochi fatui, essi si raccolgono nel sito detto le clot du tour e sulle Alpi della Svizzera credesi che spaventevoli fiamme notturne appariscano nel sito ove furono erette delle forche.

Fra le più strane leggende sulle splendide fiamme viste dalla fantasia popolare, e che possono dirsi misteriose gemme delle montagne, si deve annoverare quella narrata dal Thesauro intorno ad una colonna di porfido, che trovavasi sopra un alto colle delle Alpi Graie. «Per dove si passa a Centroni, o siano Tarantasiensi». Questa colonna era «opera di grande artifizio, sul cui capitello, molti secoli avanti, un certo Policarpo, huomo opulento, haveva incastrato un gran Piròpo, che i paesani chiamavano occhio di Giove. A questi con invidiosa emulazione dell'indico serpente, aveva il demonio suggerito che da qualunque infermità detenuti, sarebbero quei fanciulli che havessero fissati gli occhi in quel carbonchio, soggiungendo mantenere sempre involta fra nembi quella celeste gemma, perchè non si divulgasse il mistero».

Anche il Guichenon nella sua storia di Casa Savoia fa cenno del leggendario occhio di fuoco, e vuolsi che la colonna fu atterrata dal diavolo, dopo che San Bernardo avendo vinto il demonio del Monte Giove, erasi messo in viaggio verso l'altissimo colle per andarla a distruggere; e l'infernale splendore fu spento per sempre. Strana leggenda, ma che può ricordarci come fosse esteso anche sulle Alpi Graie e Pennine, in tempi lontani, il culto per le misteriose divinità dei Celti, e come usassero i Druidi innalzare anche sugli alti colli delle Alpi le colonne sacre.

Nei tempi più lontani essi trasportarono sulle alture i tronchi delle querce, alberi sacri secondo le loro credenze209 ed anche quelle di altri popoli, ed intorno a quelli riunivansi per le cerimonie del loro culto. Poi al tronco d'albero fu sostituita la colonna in pietra, o un masso enorme concavo nella parte superiore, ove ardevano sostanze infiammabili, illuminando il semplice monumento ed i sacerdoti. Le colonne o le rupi colossali erano disposte in tal maniera, che vedevansi da lontano le splendide fiamme su quelle accese in certe epoche determinate, di maniera che i paesi occupati dai Celti dovevano qualche volta nella notte avere aspetto sublime, mentre tante fiamme elevavansi come vittoriose verso il cielo210.

Quest'usanza dovette anche essere comune ai Galli che Czoernig vuole distinti assolutamente dai Celti in tempi lontanissimi211, poichè nel Nord della Francia ove abitavano, mentre i Celti ne occupavano la parte meridionale, si conserva ancora il costume, come ricordo di quelle notturne illuminazioni, di accendere sulle alture i fuochi di San Giovanni; e forse anche in memoria di qualche usanza dei Celti, si usa ancora il sette settembre di accendere in Piemonte i fuochi dei quali già tenni parola, dicendo della processione delle Vergini sulle Alpi Cozie212.

Forse non al solo culto religioso dei Celti servirono le colonne o i massi, sui quali si accendevano i fuochi sacri, perchè erano disposti come le torri medioevali dei segnali, potendosi sempre da una colonna vederne un'altra213, in maniera che in tempo di guerra, o se avvicinavasi gente nemica, si poteva, a quanto parmi, dare l'allarme alla nazione intera.

I Romani, dei quali già vedemmo gli Dei vittoriosi sostituirsi a quelli degli antichi popoli delle Alpi, o confondersi con essi, innalzarono sui colli alpini are alle loro divinità; ma vicino a quelle dovettero rimanere le colonne che in tempi meno lontani servirono forse anche pel culto romano, e così a lungo ne durò la memoria, che in una lettera diretta da Emanuele Filiberto al papa, in cui lo prega assai caldamente di soccorrere i monaci dell'Ospizio di San Bernardo, notai ch'egli dice accennando al monastero, che trovasi «sul monte e colonne di Giove»214.

Forse nel costume che si ebbe di accendere vivide fiamme sulle colonne, che servivano come are dedicate alle divinità pagane, ebbe origine la credenza nello sfolgorante «occhio di Giove» sulle Alpi.

Dopo questa leggenda, si può ricordarne un'altra bellissima che il Lindern racconta lungamente in un suo lavoro sui Carpazii215.

Sulla torre del Karfunkel, a 2130 metri di altezza, splendeva sui Carpazii, verso l'imponente gruppo del Tatra, una gemma che mandava la sua luce fino alle valli vicine. Già vedemmo come gli abitanti delle Alpi di Vaud, stimassero che sarebbe divenuto possessore di un tesoro, colui che fosse riuscito ad impadronirsi di uno dei grossi brillanti, che portavano sulla fronte le enormi Vouivres. Così pure sui Carpazii sarebbe stato felicissimo colui, il quale fosse giunto a prendere la gemma detta Karfunkel, ed egli avrebbe anche ottenuto la facoltà di potersi rendere a suo talento invisibile.

Se si risalisse fino ai miti lontani, non si troverebbe forse in queste credenze un ricordo di Prometeo che anela a rapire la folgore a Giove?

Ma la rupe altissima della Torre del Karfunkel è inaccessibile, e quando avveniva che le fanciulle chiedessero ai fidanzati come prova d'amore la gemma che si faceva desiderare con un fascino potente, essi a metà dell'alta salita, mentre avevano la speranza in cuore e forse pensavano al ridente avvenire, precipitavano fra le dirupate roccie e morivano come il povero Hans, nella leggenda delle rose alpine.

Ora la gemma solitaria dei Carpazii è sparita, come l'occhio di fuoco delle Alpi Graie, come i brillanti dei draghi di Vaud, come il lume vagante della Valle d'Ala, che non hanno però avuto ancora dai nostri poeti l'onore della ballata smagliante; mentre la leggenda del Karfunkel è narrata in cinque ballate, in un poemetto ed in due canzoni ungheresi.

Si vuole che la gemma, la quale ha ispirato poeti e montanari, sia precipitata dall'alto della torre in un lago sottostante, dopo un violento terremoto o un temporale. Questo lago, forse a causa delle pietre del fondo, ha una tinta rossa. Da una traduzione tedesca di una delle ballate ungheresi, ho potuto tradurre liberamente in italiano la seguente leggenda della caduta del Karfunkel.

Discendeva un cacciatore
Col camoscio sulle spalle,
E volgeva al triste lago
Che rosseggia nella valle.

Fra le rupi a piè del monte
Ripetea la sua canzone
Una mesta giovanetta,
Che guardava il bel garzone.

Ei l'udi mentre nel petto
Gli si accese un vivo amore,
E le chiese di seguire
Nella vita il cacciatore.

Per le valli e le montagne
Sempre uniti, sempre erranti
Essi andrebbero felici,
Come sposi, come amanti.

La fanciulla aveva gli occhi
Scintillanti e bello il viso,
Diede al giovin cacciatore
La malia d'un suo sorriso,

Fra la nebbia della sera
Già splendea sull'alta vetta,
Come il sole e come il fuoco
Una gemma maledetta.

Ed al giovin cacciatore
Con parole appassionate,
La fanciulla chiese in dono
Quella pietra delle fate.

Ma la gemma in un baleno
Tra le rupi maestose
Mise un vivido bagliore
E nel lago si nascose.

Una fata in mezzo all'acqua
Sollevò la testa bionda,
E guardando il cacciatore
Ch'era fermo sulla sponda,

Gli promise quella gemma
Come premio al suo valore
S'egli andava in fondo al lago
A cercarla per amore.

Ei balzò fra l'acqua rossa
Che lo cinse, lo travolse;
Ma la fata in fondo al lago
Fra le braccia lo raccolse

E gli disse: son la gemma
Che splendeva e t'amo anch'io,
Nel mio regno resterai
Perchè sei lo sposo mio.

Fra le rupi a piè del monte
Ripetea la sua canzone,
Quella mesta giovanetta
Che avea vinto il bel garzone.

Altre leggende accennano spesso alla potenza magica di certe pietre preziose, e par che esse siano una trasformazione parziale di leggende arabe o indiane. Anche nell'Edda scandinava si dice di una pietra verde fatta cogli occhi del figlio di Nidur; ed altra leggenda ancora si riferisce alla Torre del Karfunkel donde si dice che un certo Duca Ernesto portò via l'opále, che dovea più tardi adornare la corona imperiale di Germania. Però sembrami che si debba anche in queste leggende ritrovare memoria delle credenze medioevali, che attribuivano strane e diverse virtù alle pietre preziose, e diedero argomento a parecchi libri che ci restano come documenti curiosi della credulità umana.

Fra i racconti dell'apparizione di splendide fiamme sulle montagne, va anche annoverato quello che ci lasciò il monaco Guglielmo nella sua Cronaca della Sagra di San Michele216 dicendo che mentre San Giovanni Vincenzo, andato per penitenza sul monte Civrari, adunava, per ubbidire al volere divino, il materiale necessario per costruire la Sagra, appariva in tutte le notti sulla montagna opposta un globo di fuoco che irradiava gran parte della Valle di Susa; e verso quel globo molte colombe trasportavano il materiale per la costruzione. San Giovanni Vincenzo, essendosi persuaso che quella fiamma non veniva accesa dai demoni delle Alpi, discese a predicare nella valle, dicendo che dove essa appariva, doveva essere eretta la nuova chiesa. Mentre si pensava a costruire la Sagra, che doveva essere uno dei monumenti più maestosi delle Alpi, un vescovo era ospitato nel castello di Avigliana, di cui vidi ancora le rovine fra l'incanto della Valle di Susa; e quando egli riposava in una notte, un'immensa colonna di fuoco apparve sulla montagna predestinata. Il vescovo, nell'udire i gemiti delle genti atterrite, uscì a confortarle, e nel giorno seguente una numerosa processione andò sul monte, preceduta dal clero e dai nobili della valle. Mentre divotamente tutti si raccolsero per udire la Messa, apparve per nuovo prodigio nell'alto, sorretta dagli angioli, la Sagra quale doveva essere costrutta ad onore di San Michele.

In Venezia innanzi a certi stupendi mosaici della chiesa di San Marco, ricordai i versi bellissimi dell'Aleardi, il quale nella tradizione di San Marco narra la leggenda che dice essere apparso al Santo sulla laguna veneta il tempio stupendo; e pensai pure con profonda compiacenza alla Sagra di San Michele, nuda e nera fra le Alpi, mentre minaccia rovina, ed è così diversa dalla meravigliosa chiesa d'oro dei Veneziani; ma nella sua lontana origine, ha pure il fascino di una leggenda che s'assomiglia in parte a quella ricordata dai preziosi mosaici.

Vicino alla tradizione di San Marco ed a quella della Sagra di San Michele, si può riferirne un'altra che descrive la meravigliosa costruzione di un Santuario, senza però fare parola di fiamme e di fuochi fatui. Essa vien narrata in una bella e lunga poesia e di questa trascriverò alcune strofe, che meglio della prosa diranno come venne fabbricato il Santuario di San Bernardo nel Trentino:

La fidente leggenda del popolo
Che travisa le cose più conte
Manifesta perchè sorse un tempio
Sulla cima inaccessa del monte.

Logorato dai geli e dai turbini
Il delubro del santo cadea,
E la rupe su cui riposavasi
Essa pure minata cedea.

Quando intorno sui monti s'unirono
Muti corvi in foltissima schiera
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quegli uccelli per novo miracolo
Croce, travi e le pietre cadenti,
E il sepolcro del Santo portarono
Dove adesso l'onoran le genti217.

Leggende dello stesso genere si ripetono con frequenza anche in altre regioni essendo modificate appena da qualche variante. Fra le altre narrasi che la chiesa di Altishofen, sull'Engelberg, fu anche edificata nel sito ove trovasi, perchè gli angioli nell'ubbidire alla volontà del Signore portarono lassù le pietre necessarie alla sua costruzione.

Ma tornando ai fuochi fatui dirò che la credenza nella loro malefica potenza non fu sempre inutile a certe alpigiane, poichè le salvò da infinito danno, come narra una leggenda della bellissima valle di Gruyères. Due cavalieri della nobil casa che avea signoria su quella valle, ove già vedemmo passar la bizzarra processione danzante, detta Grande Coquille, vollero partire coi crociati per andare in Terra Santa. Essi scelsero fra i loro pastori cento giovani bellissimi per accompagnarli nel periglioso viaggio; ma quando venne il momento della partenza, le giovani alpigiane impedirono il passo ai nuovi guerrieri, chiudendo le porte del castello che furono più tardi aperte colla forza. Esse piansero disperatamente nel vedere partire i fratelli, gli sposi, i fidanzati, e risposero con grida di dolore allo scudiere che alzò lo stendardo del suo signore innanzi alla porta del castello, gridando: «En avant la Grue, il s'agit d'aller, reviendra qui pourra».

Mentre erano lontani i forti giovani, Gruyères fu assalita da nemici potenti, e toccò alle donne ed alle fanciulle di difendere il castello; ma esse non si perdettero d'animo e divisarono di ottenere colla frode ciò che difficilmente sarebbe loro riuscito di conseguire colle armi. Nell'oscurità della notte uscirono dal castello facendosi precedere da una quantità di capre, che portavano certi piccoli ceri legati alle corna, e mossero verso i nemici, i quali, nello scorgere quelle fiammelle, credettero che avvenisse un caso meraviglioso e fossero accese dalle streghe, o formassero una schiera di spiriti maligni. Vinti da indicibile spavento partirono, ed il castello fu salvo218.

Ritroviamo pure i fuochi fatui in una leggenda della Provenza, che Mario Girard raccolse nel suo splendido volume di poesie: Les Aupiho, scritto a gloria di una breve catena di monti detta in francese Les Alpilles, e che si eleva presso Arles. I versi provenzali, che hanno per titolo: Lou trau de la cabro d'or, dicono che non lungi dal Grau di Pégoulié, vicino al Rodano, si trova il famoso precipizio detto della capra d'oro. Un giovane guardiano di tori selvaggi, nel desiderio di trovare un tesoro, volle discendere di sera al chiaror della luna nel precipizio, senza ricordare che deve andarne lontano, chi teme la morte, nell'ora in cui il fuoco fatuo balla sulla sponda del fiume.

A livello del suolo scorgesi rotondo e scuro Lou trau de la cabro d'or, e non si ha conoscenza della sua profondità, perchè nessuno ha potuto misurarla. Di notte vedonsi molte fiamme intorno a quel precipizio ed esse vanno poi a spegnersi nel Rodano.

Il giovane audace discese dal cavallo che montava nel seguire i tori e fece per discendere nel trau, ma una radice gli si avvinse intorno soffocandolo. Egli potè liberarsi e colle mani si tenne sospeso sull'orlo del precipizio, poi la forza gli venne meno e precipitò nello spaventevole abisso; eppur sapeva prima di mettersi nell'arduo cimento a qual pericolo si espone chi passa in quel sito.

Pescatori e guardiani di tori selvaggi fecero costrurre una cappella a ricordo del povero morto, ed ora ancora dal trau de la cabro d'or escono di notte le fiammelle che vanno a spegnersi nel Rodano.

Anche sul monte Cistella vedonsi nella notte, secondo la credenza popolare, molte fiammelle misteriose, ma non vanno a spegnersi nell'acqua, e dura a lungo la loro corsa sulle montagne, mentre passano sulle alte creste, scendono verso i valloni o spariscono fra le rupi scoscese; ma ignoro se innanzi agli alpigiani di quella regione siano fiamme che racchiudano spiriti dannati, o folletti simili a quelli che nelle leggende francesi si mostrano vestiti di luce e sono detti: Eclaireurs, éclairons o failleux.

Nel ricordare tutte queste strane leggende e credenze intorno ai fuochi fatui, le quali si trovano in ogni nostra valle italiana, modificate o trasformate da varianti diverse, è impossibile non essere meravigliati dalla tenacità di certi ricordi del passato. Nel volgere dei secoli, le montagne mutano aspetto, le frane colmano i valloni, le valanghe distruggono i boschi, i ghiacciai si estendono o si ritirano sui bruni fianchi delle Alpi; i torrenti ed i fiumi si aprono nuovi letti fra le roccie accumulate, e le alte cime si assottigliano in mezzo al vento delle tormente; ma le credenze popolari passano inevitabilmente da generazione a generazione, ed i fuochi fatui sono sempre per gli alpigiani anime di dannati, di streghe e di misteriosi spiriti. Ed ora ancora nei cimiteri delle valli alpine le fiammelle erranti si alimentano nello spirito dei poveri morti, ignoti al mondo, come or sono circa 700 anni esse si alimentarono, secondo la credenza di altri popoli, nella lontana terra d'Islanda nell'anima del prode guerriero Gunnar; il quale di notte, mentre la luna splendeva sulla valle che vien descritta nella stupenda saga di Nial, non dormiva sotto la fredda terra, ma cantava in mezzo alle misteriose fiamme il mesto canto della morte.





207 Alfred Céresole, Op. cit.



208 Ladoucette, Op. cit.



209 In certi boschi della Francia la quercia più bella viene detta ancora dai legnaiuoli L'arbre du Seigneur.



210 Dietro l'autorità di Jacopo Durandi, il Des Ambrois accenna ai Druidi che ebbero possanza nella Valle di Susa, e l'illustre Degubernatis nel suo lavoro sulla Mythologie des plantes, dice che estesero fino a Bologna il loro culto.



211 Czoernig, Die alten Völker Oberitaliens. Wien, 1885.



212 Vuolsi anche nei fuochi di San Giovanni trovare la traccia di certe feste pagane in onore della gioventù o dell'estate, e non poche volte Mannhardt ne tiene parola nel suo volume sul Baumkultus der Germanen.



213 Mémoires de l'Académie Celtique.



214 Archivio centrale di Stato in Torino. Minute delle lettere del Duca.



215 Trovasi in un annuario del Club Alpino Ungherese.



216 Monumenti di storia patria: Libellus Narrationis seu chronicon coenobii Sancti Michaelis de Clusa.



217 Massimiliano Callegari, Annuario degli Alpinisti Tridentini.



218 Mémoires et documents publiés par la société d'histoire de la Suisse Romande, Tome I. Notice historique sur le comté et les premiers comtes de Gruyères.



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