Maria Savi Lopez
Leggende delle Alpi
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LAGHI ALPINI

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LAGHI ALPINI

Non v'è penna che possa descrivere la bellezza di tanti laghi alpini. Molti trovansi fra le rupi, le creste, le cime inaccessibili e l'imponente tristezza di certi paesaggi sublimi. Se ne vedono altri in mezzo ai fiori ed alla neve, fra una gaiezza di tinte che non vale a rendere più lieve l'impressione di sgomento che provasi a tanta altezza, mentre pare alla fantasia accesa che le acque dalle tinte così varie, ora nere, ora bianche, ora bigie o verdi, celino gelosamente molti segreti della montagna.

I laghi alpini sono spesso alimentati da sorgenti invisibili, ed in questo caso pare strano vederli senza una causa apparente che li abbia formati; e l'immaginazione degli alpigiani trovandosi dinanzi ad un mistero, ha lavorato o lavora fervidamente nell'inventare numerose e bizzarre leggende intorno ad essi.

Vicino al lago del Civrari, piccolo e bigio, che vidi in un paesaggio tristissimo, trovasi, secondo una credenza popolare, un tesoro; e fra i rododendri, la neve e l'erba coperta di viole alpine, vedesi la traccia di lunghe ricerche fatte dagli alpigiani. Una volta all'anno il parroco di Col San Giovanni deve andare a quell'altezza, verso i 2000 metri, per benedirlo. Questo costume di benedire i laghi ritrovasi pure in altri siti delle Alpi, e l'Auber descrive la scena bellissima che vedesi intorno al lago del Rutor, in Val d'Aosta, quando tutti gli abitanti della Thuile passano in processione seguendo il loro parroco, il quale deve benedire le acque minacciose; e questa volta troviamo pure nella pia cerimonia cristiana in uso sulle Alpi, una viva memoria del paganesimo.

Già accennai al culto che si ebbe per le divinità delle fontane, dei fiumi e dei ruscelli; ma par che i Celti onorarono in modo speciale i laghi delle montagne, e le antiche popolazioni delle Alpi credettero di udire nel mormorìo lieve dell'acqua mossa dall'aura montana, o nella voce possente delle cascate, le parole delle divinità che rivelavano ai miseri mortali i segreti dell'avvenire. Avvenne pure che si punivano certi delitti, gittando nei laghi i colpevoli, e questo castigo toccava pure alle mogli infedeli301. Anzi il costume di far morire nei laghi i condannati alla maggior pena, durò a lungo, e vi fu pure chi se ne avvalse in tempi non lontanissimi in mezzo alle Alpi; poichè trovai la relazione manoscritta «De la manière que Philippe de Savoye, Seigneur de Bresse, appelé Philippe Mons.r de Savoye, cinquième fils du Duc Louis, depuis duc de Savoye, sous le nom de Philippe II, surnommé Sans terre, fit enlever à Thonon dans la maison il était logé le duc Louis son père, le marquis de St-Sorlin Seigneur de Varne, Maréchal de Savoye et Jacques de Valpergue, Chancellier de Savoye, le quel Marquis fut tué par son ordre immédiatement après par le bâtard de Rochechoard et le dit chancelier fu conduict à Morgès, il fut condamné à la mort et ensuite jeté dans au lac...»302.

Nel ritornare a dire delle credenze di antichi popoli pagani intorno ai laghi, è forza riconoscere che si dovette ritenerli quali dimore predilette dei numi, e specialmente di quelli che predicevano l'avvenire; o si provò nel guardarli quel ribrezzo invincibile, che sentivasi pei siti ove si punivano i colpevoli. Si aggiunga a questo che le medesime ragioni, le quali indussero antiche genti a credere che le divinità si compiacessero sulle più alte cime delle Alpi, dovettero far sì che gli alpigiani venerassero in modo speciale i laghi che trovavansi sulle regioni alpine più elevate; di maniera che nelle leggende ora perdute, si conservò forse memoria di feste e di cerimonie religiose, che avevano luogo intorno a certi laghi alpini.

Il rispetto che si ebbe in molte regioni pei laghi sacri dovette, dopo la trasformazione medioevale delle loro divinità in demoni, avvenuta innanzi alla coscienza popolare, mutarsi in terrore invincibile, cagionato dalla credenza che fossero custoditi da spiriti infernali; e le inondazioni prodotte con frequenza dalle acque che scendono dai laghi alpini, sembrarono opera dei demoni, ai quali era, ed in certe regioni pare ancora necessario, di togliere colla benedizione, data da un sacerdote, ogni potenza malefica.

Questa tema dei laghi che si ritrova ancora fra certi alpigiani, fu, a quanto sembrami, provata anche da molta parte della gente medioevale, alla quale spesso parve che fossero i laghi l'immagine o le porte dell'Inferno; così nelle Vite dei Santi Padri, raccolte dai Bizantini, notasi una spaventevole visione di Sant'Antonio, in cui dicesi che un gigante gli apparve in orribile aspetto. Era nero e con una mano toccava il cielo, mentre sotto i piedi aveva un lago grande come il mare; una moltitudine di anime volavano accanto a lui, e quelle che passavangli sul capo erano raccolte dagli angioli; quelle che gli capitavano fra le mani cadevano nel lago, il quale era l'inferno.

In altra leggenda dicesi di tre monaci greci che vanno verso il Levante per giungere nel sito ove si uniscono cielo e terra, e trovasi il Paradiso terrestre. Dopo molte vicende essi giungono vicino ad un lago di zolfo, sul quale guizzano serpi di fuoco; pare che dalla sua profondità si elevi il mormorio di una immensa folla che si agiti, ed una voce dice: Questo è il sito del castigo eterno303.

Un ricordo delle antiche credenze nel potere delle divinità delle acque, ritrovavasi ancora sulle Alpi della Francia prima della Rivoluzione. Nella caverna del Montclus vedevasi, secondo la credenza popolare, un re seduto sul suo trono in mezzo a splendidi tesori. Nei tempi di siccità straordinaria molte processioni si adunavano intorno ad una fontana, che scorgesi a poca distanza da quella caverna, nel villaggio dell'Épine, ed innanzi alla gente, una fanciulla scendeva nella vasca ove raccoglievasi l'acqua, mentre speravasi di ottenere dopo quella cerimonia una pioggia abbondante.

Parmi che fra tutti i laghi leggendarii delle Alpi abbia grande importanza quello del monte Pilato, intorno al quale narransi con parecchie varianti molti racconti meravigliosi. Le sue acque scure sono con frequenza terse come uno specchio, senza che vi sia il più lieve movimento sulla loro superficie, e pare che uno spirito ascoso in quel sito si compiaccia nell'immobilità e nel silenzio; ma se per caso cade nel lago un pezzo di legno o una pietra, avviene un cambiamento meraviglioso. Il signore del lago sdegnasi e solleva le acque con un rumore spaventevole, la sua gran voce risuona sulla montagna a terrore degli alpigiani, e spesso avviene che uno spaventevole temporale si scateni sulle Alpi: secondo certe varianti delle leggende questo signore del lago sarebbe Pilato. Nel secolo XVI si minacciavano tremendi castighi a chi facesse l'ascensione del monte Pilato.

È pure strana la somiglianza di questa leggenda svizzera, con molti racconti che si dissero in Italia intorno al monte Pilato presso Scariotto, ove nel secolo XIV si mettevano a guardia degli uomini, i quali dovevano impedire alle streghe di consacrare in quel sito i loro libri. Fazio degli Uberti nel Dittamondo (III, cap. I) ricorda questo fatto, avendo visitato nella Marca di Ancona Scariotto, ove la leggenda vuole pure che sia nato Giuda. Egli dice ancora che se avveniva a chi intendevasi di magìa, di consacrare il suo libro vicino al lago del monte Pilato, avea subito principio un violento temporale304.

Forse il subito imperversare del föhn, che può in un attimo sconvolgere i laghi alpini, non solo toglie ogni esagerazione alla scena stupenda descritta dallo Schiller quando mostraci Guglielmo Teli sul lago minaccioso; ma può fino ad un certo punto farci intendere la causa delle leggende, che dicono come sia violenta e repentina l'ira delle possenti divinità dei laghi alpini.

Credesi pure che se gittasi una pietra nera nel lago Selvaggio sopra Askeles nel Tirolo, cade la pioggia. Se la pietra è bianca, grandina. Nei boschi della Baviera, in memoria delle antiche divinità dei laghi, che non andavano offese con atti villani, i boscaiuoli hanno il costume di non gittare pietre nei laghi, per evitare che avvengano inondazioni.

A piè del ghiacciaio nella valle di Cavergno, notasi un laghetto chiamato il Lago Nero, e dicesi che fra le sue acque si trovano condannate a qualche tremendo supplizio molte anime perdute, fra le quali va anche annoverata quella di Pilato. In questo lago non avviene neppure che gli alpigiani gettino pietre, perchè sono convinti che, se lo facessero, darebbero causa ad un forte temporale; e narrasi che in altri tempi l'imprudenza di coloro che non rispettarono il lago, cagionò a molti infiniti danni.

In questa credenza di tanti alpigiani si potrebbe anche trovare, a quanto parmi, un lontano ricordo del terrore che provavasi pei leggendarii draghi dei temporali, che secondo certi canti eroici tedeschi vivevano nei laghi, e furono vinti dalla forte spada di Teodorico. La tema di offendere le antiche divinità delle acque non fu però estesa su tutta la catena delle Alpi, poichè in qualche sito della Svizzera si usava di battere le acque con una verga, quando eravi minaccia di temporale, ma questo era a dir vero un fatto isolato e contrario alle credenze che furono nel Medioevo comuni a popoli diversi, e sono ricordate anche in certi poemi cavallereschi. Nell'opera di Chrestien de Troyes, che ha per titolo Le Chevalier au Lion, il cavaliere Yvain vede nella fontana di Baranton, un gigante al quale obbediscono tutte le belve della foresta di Brocéliande. Egli attinge con una secchia d'oro un po' d'acqua in quella fontana, e gittandola a terra causa ad un violento temporale.

Vuolsi che il racconto dei prodigi che avvenivano nella foresta di Brécilien, quando spargevasi l'acqua della sua fontana, sia un ricordo della tradizione celtica, poichè questa selva sarebbe somigliante alla vecchia foresta dei Druidi descritta da Lucano, la quale è il tipo, il modello di tutte le foreste incantate, senza escludere quella della Gerusalemme liberata. La celebre fontana di Baranton potevasi anche mettere a paragone, fino ad un certo punto, con un lago della Catalogna, il quale era subito sconvolto da tremendo temporale se turbavasi la pace dei suoi genii tutelari305.

Innumerevoli leggende di altro genere si narrano pure intorno ai laghi alpini, ma è forza dirne solo alcune, poichè a raccoglierle tutte non basterebbero parecchi volumi.

Nel Biellese, oltre il venerato Santuario d'Oropa, verso i 2000 metri, mi apparve per un momento solo il lago del Mucrone, quando il vento vittorioso diradò in un baleno la nebbia che lo copriva, e lo vidi scintillare sotto i raggi del sole, e poi nascondersi di nuovo sotto la triste nube. Intorno a quel lago dai riflessi d'acciaio sulla tinta bigia dell'acqua, si aggira di notte una processione dei morti, che va innanzi silenziosamente. Un'altra credenza popolare vuole che lo stesso lago sia così profondo da giungere al livello del Santuario di Oropa.

Il lago di Viano che vidi a molta altezza, fra la Valle di Viù e quella d'Ala, ha una tinta di smeraldi scintillanti, e narrasi che non lungi dalle rupi selvaggie che lo chiudono, si riuniscano di notte le belle fate della valle di Viù, mentre gli stregoni suonano una musica dalla melodia appassionata.

Vuolsi che anche sulle sponde del lago di Annecy si trovi ricordo delle belle fate, che avevano molte loro dimore in quel sito, vicino ad una rupe detta Chère, ove parecchie grotte si aprono a livello dell'acqua. Una di queste chiamata Le Grand Pertuis, era pure, secondo la credenza popolare, abitata dalle fate, le quali forse custodivano qualche tesoro, al pari delle fate del castello di Féternes, delle quali già tenni parola, e che pur si riparavano in una Grotte des fées, ove avevano a compagni, nel custodire un tesoro, molti genii infernali delle Alpi, che prendevan forma di gatti mostruosi306.

Alcuni scienziati affermarono che il Grand Pertuis era stato la dimora di poveri trogloditi, poi si stimò che vi riparassero qualche volta coloro che vivevano in certe abitazioni lacustri; ed altre tradizioni dicono che fu dimora dei Saraceni. Ora trovasi presso il Grand Pertuis il ricordo di sventura recente, poichè vicino alla grotta scorgesi una piccola statua della Vergine, messa a memoria di un giovane barcaiuolo, il quale vinto dalla curiosità e nella speranza di trovare un tesoro, entrò nel Grand Pertuis, ma non tornò mai indietro per rivedere i suoi cari e la luce del sole.

Non lungi dal confine fra Valcamonica e la Valtellina, scorgesi vicino al Passo di Gavia, un lago che vien detto Nero, ma è di un azzurro cupo scintillante, circondato sulle sponde da fiori delicati e belli, mentre un altro lago sul versante Valtellinese è bianco a causa della specie di sabbia che ne ricopre il fondo. La leggenda vuole che vi sia una misteriosa relazione d'amore fra i due laghi, situati a poca distanza l'uno dall'altro, e su due versanti diversi307. Essi vengono creduti opera delle fate, e forse quando la neve mette una tinta uniforme sulle rupi e sui ghiacciai, sull'erba disseccata e sui cespugli di rododendri, lo spirito del lago nero parla ancora d'amore alla fata del lago bianco, in mezzo alla desolazione delle Alpi.

La leggenda del Lago della Vecchia nel Biellese è forse una delle più note fra quelle intorno ai laghi alpini, e se un pietoso racconto non attraesse i cuori verso quelle acque bigie, non si troverebbero forse a poca distanza sopra un album, in un rifugio, tanti nomi illustri di scrittori e d'artisti, andati a visitare il lago leggendario, che mi parve di meraviglioso aspetto.

A quell'altezza, innanzi all'acqua tersa come uno specchio, ove si rifletteva lo scintillìo dei nevai e delle rocce che sembravano d'acciaio, io non mi trovai fra quel silenzio che mi fece provare spesso un senso di sgomento vicino ad altri laghi alpini; invece si udiva la voce dell'acqua che scendeva in cascata dagli altissimi nevai, che si adagiano verso le nude creste.

Fra quella solenne grandezza del paesaggio alpino visse la vecchia leggendaria, che ebbe un orso per fido compagno. Dicesi ch'ella aveva portato sulla fronte un serto di regina, ed era andata a cercare la pace vicino al lago alpino, ove in una bara d'oro avea fatto deporre la salma dello sposo, che erale stato unito da infinito amore negli anni sereni della giovanezza, e fra lo splendore del regno.

Vicino al lago a 1874 metri dal livello del mare, ella visse a lungo ricordando sempre l'uomo amato, finchè i suoi capelli divennero candidi come i nevai che si estendono verso gli altissimi colli; e forse quando fiorivano di nuovo i rododendri e le viole alpine, e la neve non ricopriva più la superficie gelata del lago, le sembrava di veder fra l'acqua trasparente un volto amato; ed una misteriosa voce le andava ripetendo che al pari dello sposo troverebbe fra le Alpi l'eterna pace. Quando morì, gli alpigiani ch'ella avea beneficati, vollero che dormisse per l'ultima volta sotto l'acqua bigia, vicino alla bara d'oro. Desiderato Chiaves, De Amicis, Angelo Mosso, Colomiatti ed altri uomini illustri visitarono il Lago della Vecchia, e forse mentre guardavano le acque bigie risplendenti, apparve innanzi ad essi una figura serena di regina, adorna dall'aureola più bella che la fedeltà in amore possa mettere intorno ad una fronte di donna.

Il lago di San Giuliano nel Trentino ha anche la sua leggenda, che dice di un cuore umano che amò e soffrì. Questo lago trovasi verso i 2000 metri, sopra un monte della Valle di Genova, e vuolsi pure che intorno ad esso abbiano dimora streghe e demoni. La leggenda di San Giuliano dice che in un impeto di gelosia cieca, ed a causa di un fatale errore egli uccise il padre e la madre della moglie, che nell'udire il tristissimo caso, fu come colpita al cuore e morì. L'infelice omicida fuggì lontano dal proprio castello, provando in cuore lo spasimo del rimorso, ma ovunque egli andava udiva il canto del gallo come l'aveva sentito mentre uccideva i poveri vecchi. Finalmente in Val di Genova, sull'alto monte vicino al lago, gli parve di trovar la pace desiderata; ma fu raggiunto dagli sgherri che lo seguivano per punirlo del delitto commesso, ed essi lo misero con molte serpi in un sacco e lo gittarono nel lago. Per miracolo fu salvo, e dopo lunghi anni passati vicino al lago espiando il suo peccato con molte lagrime, acquistò nome e gloria di Santo308.

Nel ripetere questa semplice e commovente leggenda alpina, è forza che io ricordi pure il San Giuliano di Lope de Vega, il quale appare nel dramma che ha per titolo El Animal profeta. In questa specie di mistero adorno di bellezza artistica dall'ingegno di Lope de Vega, il santo uccide i proprii genitori, ma la moglie non cade colpita a morte; essa fugge con lui in Roma per ottenere il perdono della colpa involontaria. Il papa manda gli sposi infelici in Calabria ove dovranno fondare un ospizio pei poveri ammalati, ed essi hanno la speranza in cuore; ma incontrano il diavolo il quale vuol fare intendere a Giuliano che il suo peccato non può essere espiato. La fede di Giuliano vacilla ed egli ha la disperazione nell'anima, finchè gli appare il Signore che rende vane le insidie del demonio.

Se togliesi al lavoro di Lope de Vega la bellezza della forma ed il movimento drammatico, il quale deve dare pregio ad ogni scena, non è forse più grandiosa nel dolore la figura di San Giuliano, quale essa appare ai poveri alpigiani, mentre egli fugge sulle Alpi, e fra la solitudine paurosa deve sentire più acutamente lo strazio del rimorso, al quale si unisce l'infinito dolore per la morte della moglie?

Intorno ai laghi alpini della Svizzera si narrano pure innumerevoli e bizzarre leggende, e spesso gli alpigiani di quelle regioni credono che vivano nelle loro acque molti pesci dalle forme bizzarre, alcuni dei quali portano sul capo una corona al pari di certe serpi; ma non rinvenni traccia di simile credenza sulle Alpi italiane da me visitate.

Strane cose si raccontano pure nella Svizzera intorno ad uno spirito che si aggirava sulla montagna o sul lago di Selisberg. Fin da tempi antichissimi quel fantasma fu chiamato Elbst, e quando balzava dalla montagna nel lago, aveva, come il Karfunkel dei Carpazii, l'apparenza di una palla di fuoco. Altre volte sotto forma di una ruota di fuoco girava intorno al lago, o mutavasi in un pesce mostruoso. Vi sono ancora infiniti racconti intorno ad altre trasformazioni dell'Elbst, e dicesi pure che alcune volte due fantasmi si aggirano su quel lago. Vi furono certi montanari i quali affermavano anche di aver visto molti fantasmi sul lago, e narravasi che prima dell'apparizione dell'Elbst un vento fortissimo agitava le acque. Egli lasciavasi vedere preferibilmente di sera.

Qualche volta appariva pure sul lago di Zug, prima che vi fosse guerra o pestilenza, e vuolsi che si mostrasse nel 1863 dopo sette anni in cui era stato invisibile. In queste diverse notizie si può trovare una viva memoria delle antiche divinità dei laghi, alle quali era forza non recare offesa, poichè dicesi che se avvenisse a qualche alpigiano di uccidere l'Elbst, quando prende aspetto di pesce, una grande inondazione devasterebbe le terre vicine.

Narrasi pure che il piccolo lago presso Egolzwil copra un castello, che si può vedere quando il tempo è bello, secondo la credenza popolare, e scorgesi anche fra le sue acque tranquille, un campanile, dal quale partesi qualche volta un flebile suono di campana.

La leggenda del Lago dei quattro Cantoni è anche assai bizzarra. Essa dice che nelle sue vicinanze viveva in una casetta un uomo misterioso, insieme all'unica sua figlia. Alcune volte, se avveniva che il vecchio fosse infermo, la fanciulla attraversava con lui il lago sopra un battello, menandolo verso Lucerna, e tornavano quando ogni pericolo era scomparso. Un giorno mentre imperversava sul lago un temporale, essi furono insieme al battello travolti fra le acque e morirono. Da quel tempo cominciò ad apparire sul lago una specie di piccolo vascello fantasma, che andava innanzi sull'onda, mentre una fanciulla vestita di bianco rimaneva immobile vicino al timone. Se il battello si avvicinava alla sponda si dovevano temere grandi sventure, e dicesi ancora che dopo l'arrivo dei Francesi nella Svizzera, al finire del secolo scorso, sparve per sempre il battello fantasma colla sua dama bianca.

Ed ora nello scrivere le ultime pagine di questo libro, debbo dire che non mi avvenne mai di trovare sulle nostre Alpi fate e folletti, mentre andavo ricordando le leggende delle montagne, ed avrei voluto, anche per pochi istanti, vedere la danza degli spiriti sui miosotidi azzurri come il mare, che bacia la spiaggia della mia Napoli, o sugli eriofori scintillanti al sole e le genziane nate vicino alla neve.

Ma se non incontrai il popolo notturno dei fantasmi, o le fate splendenti sui ghiacciai, e non mi riuscì neppure coll'accesa fantasia di vedermi intorno le meravigliose creazioni poetiche del passato, sentii invece sulle Alpi un'impressione potente e nuova, cagionata da un fatto reale.

Qualche volta avevo l'anima assorta nella contemplazione di un paesaggio indescrivibile; i ghiacciai mandavano bagliori sotto i raggi del sole; i nevai scintillavano vicino alle margherite ed alle viole, e fra quella festa di luce e di colori, in mezzo al fragor dei torrenti, al suono cupo dei massi che franavano sulle vecchie morene ed ai sibili del vento, io udiva estatica delle voci che parlavano misteriosamente al cuore, e non parevami più di appartenere alla terra. Ma sui colli vicini o in mezzo al verde cupo dei faggi, mi appariva di repente uno scintillìo che non era cagionato da una vertiginosa corsa di fate, di folletti, di draghi alpini o di cacciatori selvaggi, ma partivasi dai fucili dei nostri soldati alpini, ed allora in un baleno parevami che l'anima tornasse dalle regioni eteree dove era andata in cerca di un mondo fantastico. L'amore pei ricordi grandiosi e poetici del passato era vinto da un affetto intenso per l'Italia tutta; le reminiscenze delle antiche mitologie erano dimenticate, ed i fantasmi visti dalla fantasia popolare svanivano fra la nebbia lontana, mentre qualche cosa d'indescrivibile dava un'imponenza nuova al paesaggio alpino, e sentivasi che l'amore di tutta la nazione circonda le immense fortezze sorte a difesa del nostro paese.

Allora io pensava che le schiere temute dei demoni alpini, e gl'innumerevoli spiriti malefici, i quali secondo la credenza che atterriva i nostri avi, stavano a difesa di tutti i varchi, non valsero a salvarci dal danno di tante invasioni straniere; ma parevami che dai burroni profondi, dalle valli deserte, dalle scure foreste partissero infinite voci degli spiriti leggendarii, e dicessero alle cime eccelse, alle bianche regine delle nevi, e ad ogni cuor d'Italiano avvezzo a battere fra i pericoli delle montagne, che sventolerà sempre sulle Alpi la libera bandiera della patria; perchè i petti dei nostri soldati sono un baluardo più forte ancora che tutte le rupi accumulate sui colossi alpini. E potevasi in quel momento guardare senza dolore e senza paura i monti che furono in altri tempi superati vittoriosamente dai nostri nemici; poichè se venisse un giorno di cimento tremendo sui colli, sui dirupati sentieri e nelle valli selvaggie, i nostri soldati saprebbero uguagliare in fortezza coloro che morirono così lungi da noi sulle sabbie africane; e quando nei secoli che verranno, ogni memoria delle fate, dei folletti o delle processioni dei morti sarà forse perduta sulle nostre montagne, l'Italia tutta ricorderebbe ancora la gloria dei soldati delle Alpi, divenuti gli eroi leggendarii di epici racconti ed i geni tutelari della patria, fra le nevi eterne e lo splendore degli immensi ghiacciai.

 

 

 





301 Sébastien Rhéal, Op. cit.



302 Archivio centrale di Stato in Torino. Storia della Real Casa, categoria 3a.



303 Ozanam, Des sources poétiques de la Divine Comédie, pag. 436.



304 Burchkhardt, Op. cit., vol. II, pag. 362.



305 Hersart de Villemarqué, Op. cit., pag. 90.



306 Dessaix, Op. cit., pag. 92.



307 Corona, Picchi e Burroni.



308 Annuario degli alpinisti tridentini. – Le leggende del Trentino.



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