IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
In questa pagina
SCENA VI TADDEO, e poi GAFFORIO.
SCENA VII TADDEO, poi LISETTA.
SCENA IX BELISA con SANDRINO, LISETTA in disparte.
SCENA XI ACMET, BELISA, SANDRINO.
SCENA XIV TADDEO, che conduce LISETTA, e Detti.
SCENA XV (Sala.) BELISA, che tira per un braccio ACMET.
SCENA XVI SANDRINO, poi TADDEO e LISETTA.
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
(Gabinetto nella locanda di Taddeo.)
TEODORO che in magnifica veste da camera, malinconico e pensoso, sta seduto presso un tavolino, e GAFFORIO sotto il nome di GARBOLINO, poi TADDEO con il conto; indi LISETTA col caffé.
Scaccia il duol, mio re, chè degno
Quel tuo duol di te non è.
Deh sovvengati di Dario!
Di Temistocle, di Mario;
Grandi anch'essi, e pari tuoi,
Figliuol mio, coteste istorie,
Io le so, le ho lette anch'io;
Ma vorrei nel caso mio
Che domandi?
Se non erro,
D'incivil, di diffidente!
Garbolin?...
Non chiesi niente.
Tu t'inganni.
Ebben scusate;
Ah, Gafforio, il so pur troppo.
Parleremo fra me e te.
TEODORO a Lisetta mentre versa il caffè.
Col tuo brio, cogli occhi tuoi
La crudel malinconia
Oh che figlia! oh che zitella!
TEODORO da sè prendendo il caffè.
Com'è savia!
Com'è bella!
TEODORO, TADDEO, GAFFORIO, a tre.
TEODORO a Lisetta dando la tazza.
M'abbandoni?
LISETTA a Teodoro prendendo la tazza.
Mi perdoni.
Ah...
Che cos'ha?
GAFFORIO, TADDEO, LISETTA, a tre.
Eh via, state allegramente.
Perdona, o sire: io da più giorni il grande
Non riconosco in te; quel Teodoro
Che a ragion per suo re Corsica elesse
Corsica, patria mia, che per te spera
Di racquistar la gloria sua primiera;
Tu segretario mio, tu dello stato
Ministro principal, che per seguirmi
Vesti abito mentito, e di Gafforio
Il nonne in quel di Garbolin cangiasti;
Se amo i popoli miei, se cerco e bramo
La lor felicità tu ben lo sai.
De' miei nemici alle ricerche esposto,
Per sì bella cagion erro per mondo.
Per tutto soffrirei, ma esausto sono
Non sol gli erari pubblici del regno;
Ma delle borse nostre,
E questo è peggio assai,
E intanto invan dalle potenze amiche
I promessi sussidii attendo ognora.
Non disperiamo ancora: a noi fra breve
Il gratuito don giunger qui deve,
Che dai fedeli sudditi del regno
Mandasi a te, della lor fede in pegno.
Onde in ogni ordinario aspetto, o sire,
Una rimessa almen di mille lire.
E frattanto però duro, indiscreto
L'oste chiede denari, e porta il conto;
E non vorrei che un improvviso affronto...
Che ora in mente mi vien: codesta veste,
Che magnificamente ti ricopre
E che pretendi
Dirmi perciò?
Che in essa una risorsa
Del mio regio splendor l'unico avanzo,
Che in mirarlo talor sul dosso mio
Mi risovvengo ancor che re son io?
Ma dimmi, perché tanto
Attendo qui dell'alleate Corti.
Che qui i dispacci del mio regno attendo;
Che amo Lisetta inoltre sai: confesso
La debolezza mia,
Cara m'è sol per lei quest'osteria.
Ed ella, oh Dio! mi fugge, e par non veda
Ma non sdegnano amor l'anime grandi.
E più discreto a domandar danari
Forse lo renderò: forse la figlia
Farò che a te si renda
Più docile e indulgente; e se felice
Alla fin non riesce il mio maneggio,
Sia quel che vuol, noi non starem mai peggio.
Va, mi riposo in te: ma sopra tutto
Se Genovesi son nella locanda.
Eh non temer; se cautele io prendo,
La pelle tua, la pelle mia difendo.
O miei tristi pensier, che vergognosi
Dentro il sen v'ascendete, or che siam soli
Uscite fuor dall'affannoso petto
Delli natali miei, della mia sorte,
Aver saputo, collo scaltro ingegno,
E il titolo acquistar di Re de' Corsi,
Son costretto a fuggir ed a celarmi?
E qual birbon della più vil canaglia
Genova pon sul capo mio la taglia!
In ciaschedun che incontro
A ogni passo un'insidia, un tradimento,
Un colpo d'archibuso o di pistola,
Temo ch'ogni boccon non sia veleno
E in mezzo a tanti guai a tormentarmi,
Quanto mi sprezza più, più m'innamora.
Il mio amor è un brutto affanno;
II mio regno è un bel malanno;
Smorza amor, la gloria oscura;
Mi risana in sempiterno
(Sala nella locanda suddetta.)
LISETTA, che stira la biancheria, e altre DONZELLE impiegate in diversi lavori, poi SANDRINO.
Deh mi spiegate
Se sia diletto,
Se sia martire,
Io ben capire
Non posso ancor.
Deh ci spiegate
Il mio Sandrino
Quando non vedo,
Allora io credo,
Che sia dolor.
Se a me vicino
Lo credo allor.
CORO.
Deh ci spiegate,
(Mentre canta Lisetta, giunge Sandrino, e si pone in disparte a udire, poi si fa avanti.)
Amor che sia
Se vuoi sapere,
Lisetta mia
Odil da me.
È un garzoncello
Somiglia a te.
CORO.
Or imparate
Caro Sandrino mio, perchè cotanto
Ti fai desiderar?
Se teco esser vorrei continuamente
Il Ciel lo sa: ma il padre tuo... la gente...
La gente che può dir? Quanto a mio padre,
Egli sa che ci amiamo, ed è contento
Sì; ma quel conte.
Che non si sa chi sia.
Ti guarda con certi occhi... e non vorrei...
Non lo posso soffrir.
Che costor che girando van pel mondo
Son furbi, sopraffini, e fan mestiere
Eh! non temere.
Sì semplice non son...
Nella locanda
Son giunti ancor degli altri forestieri?
Di cui non vidi mai
Quegli occhi, quella burbera figura,
Quei brutti baffi suoi mi fan paura.
Odi...
Sandrin, m'incresce assai che altrove
Mi richiamino omai le mie faccende,
Ci rivedrem di poi, Sandrino mio,
CORO.
Or imparate
(Le donzelle cantando il suddetto coro pongono nei panieri le biancherie e le loro stoviglie, poi partono appresso a Lisetta.)
ACMET in abito d'Armeno seguito da' suoi SERVITORI vestiti nella medesima maniera, e SANDRINO, che attentamente l'osserva nell'uscir in scena. Acmet ordina a' suoi servi che aspettino; essi fatta una profondissima riverenza si ritirano in dietro. Acmet passeggia pensoso, e fa di tratto in tratto atti di smania, di fierezza e di collera.
Se al mio fato terribile e fiero
Fisso il torbido e tetro pensiero,
Mille serpi mi mordono il sen.
SANDRINO in disparte vedendo venir Acmet.
Chi è colui che con burbera faccia
Fra sè stesso parlando sen vien.
Onta, rabbia, dispetto e furore
M'arroventano l'anima e il core,
(Seco adirasi, freme e minaccia
Ah potessi comprenderlo almen!
È certo quegli lo stranier, di cui
Io dunque Acmet?...
SANDRINO osservando come sopra.
(Veramente costui
Io dunque quello...
(Nuova affatto non m'è quella sembianza.)
Che coll'istesso onnipotente...
(Al certo
Altrove il vidi.)
Il suo poter spartia;
(Eh, possibil non è...)
(Fra gl’inimici
Del nome musulmano e di Maometto
Vita e ricovro a mendicar costretto!)
(Fa cenno ai servi, che fatta profondissima rivererenZa partono.)
(No, non m'inganno, è desso;
È quegli Acmet istesso,
(V'è chi m'osserva.
Vidi colui.)
Che anch'ei mi riconosce.)
O là chi sei
Tu che lo sguardo osi fissarmi in volto?
E mi chiamo Sandrino: io vi guardava,
Perchè credea d'avervi visto altrove.
Parmi in Costantinopoli.
Tu dunque
Fosti in Costantinopoli?
Vi fui
Col nostro ambasciator, ed all'udienza
Fui del sultano Acmet, che in guisa tale
Rassomigliava a voi, che si diria
Che siete Acmet istesso.
(Util costui
Esser mi può: voglio scoprirmi a lui.)
Odi, e di ciò che ti dirò, parola
Bada ben di non far con uomo vivente,
O che la testa tua...
Questo pur è lo stil.) Signor, parlate
Io quell'Acmet istesso,
Sì quell'Acmet io sono, a cui tu dici
SANDRINO con meraviglia.
Come! tu dunque Acmet?...
Maomet nipote mio, come saprai,
Dal trono mi balzò: prigion mi chiuse
Dentro il vecchio serraglio, e già risolto
Avea di farmi strangolar. Lo seppi;
E a tempo del cordon la cerimonia
Colla fuga prevenni, e tolto meco
Mi condussi in Venezia, e qui mi faccio
Se l'opra mia
Util credete, io l'offro a voi.
L'accetto.
D'aLtro poi parlerem: per or vo' dirti
Che quinci spesso trapassar vid'io
Una straniera è quella allegra e franca,
Che Belisa si chiama: ella a te forse
Sì l'amo.
In quest'istessa
Locanda alloggia anch'essa: a lei potete
Spiegar il vostro amor: fra noi permessa
È una gentil dichiarazion d'affetto
Sorte fra noi non fa: fra noi l'uom colto
Con cortese linguaggio
Piace il cor dolce e la gentil maniera;
S'odia il tuon minaccioso e l'alma fiera.
Il passaggier lo tenue,
Per lo tranquillo mar.
(Parte.)
Che nuovo stil di mendicar affetto!
Pur m'è forza obbliar chi son, chi fui;
Ed adottar le stravaganze altrui.
Che risponde alla camera del conte,
Udii che Garbolin gli dava il titolo
Sarebbe mai un re che viaggi incognito?
Perchè no? Grazie al Ciel, non è più il tempo,
Che viaggiavano i re colle migliaia
Un dubbio sol... se è re, perchè non paga?
Il perché vi sarà: ho inteso dire,
Che i re hanno sempre un qualchelorperché,
Che non possiam saper noi gente bassa
E poi s'ei non è re, io non comprendo
Perché mai Garbolin da re lo tratti.
O Alberto è re, oppur costor son matti.
È un birbante, è un conte, è un re?
Qui v'è certo il suo perché.
Ma l'entrate non son ricche...
Ma Garbolino è qua.
(Con quella
Mi vuol pagar di complimenti.) E il conto?
Amico, il conto tuo nè più discreto,
Nè più giusto esser può, e perchè appunto
Sì onesto sei, vo' darti un buon consiglio.
Dunque tu vieni a. darmi
Sì, ma un consiglio
Che val più che i danar: il mio padrone
Se generosamente alcun lo tratta
Di generosità più allor si picca;
E perciò ti consiglio
Di non dargli mai conti, e alfin vedrai
Che dieci volte più del conto avrai.
Cotesto tuo padrone
Chi è egli?
Tu lo sai pur.
Conte, e non più?
No certo:
Lo conosce qualcun nella locanda?
Presso al vostro quartier, udii che tu
GAFFORIO come sopra.
Che non ti senta alcun: ciò che ascoltasti
Per carità non t'esca mai di bocca.
Dunque è un re veramente? e perché tanto
Perché vuole
Evitar gli spettacoli e le feste
Che vorria dargli la Città e il Senato.
Ma mi potresti dir che re egli sia?
GAFFORIO si cava il cappello, e Taddeo fa lo stesso.
Egli è il gran Teodoro, il re de' Corsi.
Come! egli è Teodoro? Ho udito tanto
Parlar di lui...
Grande, caro Taddeo, te lo dich'io
E se sai profittarne, una gran sorte
Si prepara per te.
Che sorte?
Egli ama
La figlia tua.
Mia figlia! ah che tu scherzi!
Fidati a me, io non t'inganno.
E poi...
Non può mia figlia esser sua sposa; il mondo,
Tu vedi ben... l'onor... già mi capisci.
Capisco ben: Taddeo, tu t'hai ragione,
E perciò il mio padrone
Matrimonio segreto, il qual col tempo
Potrebbe pubblicarsi, e la tua figlia
Montar sul trono e diventar regina.
(Gran sorte in ver questa saria per noi.)
Ma come assicurarmi
Poss'io che vero sia quanto asserisci?
Vuoi prove? eccole qua: guarda, e stupisci.
(Gafforio cava di tasca un fascio di carte.)
Queste son lettere
Questi capitoli
(Cava di tasca un gran sigillo.)
Per tutto scorgonsi
Di Maestà.
(Parte.)
Di Maestà.
Io son fuori di me! corpo del diavolo!
Qui non si tratta già di bagattelle;
Il suocero d'un re. Cosa può fare
Il merito d'aver sì bella figlia!
Che importa a me se Savio del Consiglio,
Se patrizio non son, nè senatore;
Se tu, Lisetta mia, tu dolce frutto
Di mia paternità, compensi il tutto!
Impaziente io sono... eccola. Ah vieni,
(Va incontro a Lisetta che vede venire, e l'abbraccia.)
Vieni fra le mie braccia, o cara figlia,
Tu lo splendor sarai di mia famiglia.
Parleranno di te.
Che dite mai?
Ah! tu sarai
È quei che alloggia
Nella nostra locanda?
Quello appunto.
Egli conte non è.
Chi è dunque?
È un re,
E che specie
Di re credete voi che sia costui?
Egli... ma zitto: egli è de' Corsi il re;
Il gran Teodoro, e non il conte Alberto.
Ma non potreste equivocar?
No certo.
Vidi cogli occhi miei, toccai con mano
Di Maestà.
Ei t'ama, e per isposa a me poc'anzi
Dal segretario suo chieder ti fece.
O voi siete impazzato, o mi volete
Far impazzar; e poi non vi sovviene
Che in isposa a Sandrin mi prometteste?
Altri tempi, altre cure: or occuparsi
Di sì bassi pensier più non conviene.
Ed io dovrei...
Sarai, Lisetta mia, sarai regina.
Ed invece della cresta
E scherzando i nepotini
Tutti intorno a me verranno:
O che cari pargoletti!
Che graziosi principini!
Tutti omaggio presteranno
(Parte.)
Che novità, che stravaganza è questa!
Di quale confusion m'empì la testa
Di mio padre, il linguaggio oscuro e strano,
Il conte Alberto è re!... vuole sposarmi!
Non vi sarebbe sotto qualche trappola
Per ingannare me e mio padre?... E poi
Come potrei Sandrino mio tradire?...
Tradirlo! ah no... mi sentirei morire!
Come obbliar potrei
Ah ch'io ne morirei
Sarò costante ognor.
Ma che rimiro? ei stesso
Con Belisa vien qua: molto occupati
In familiar discorsi, e allegri molto
Mi paiono ambedue: cos'egli mai
Ha da far con colei? sono inquieta
Se non giungo a saper di che si parli
Mi porrò qui in disparte ad ascoltarli.
BELISA con SANDRINO, LISETTA in disparte.
Per te tutto è ardor.
Conquiste fa ognor.
M'insultano ancor!)
Non far la tiranna
A TRE.
Da questo momento
Dunque come dicea, gentil Belisa,
Il deposto sultano, Acmet è quello
Un deposto sultan! prendermi spasso
Con quel Turco vogl'io. Vo' che conosca
Qual differenza passa
E di questo cervel vo' dargli idea.
Felice te, che sei
Delle vicende tue!
Le mie vicende,
Che altri pianger farian, rider mi fanno.
Sarei ben curioso
Io di narrarle
Non ho difficoltà. Nacqui in Vestfalia;
Un mio fratel, che solo
Restat'era di tutta la famiglia,
Sparve improvviso; e nell'età più fresca
Il mal non fu sì grande: uno straniero
Mi si offre per isposo, a lui mi fido:
Abbandono la patria: indi a non molto
E allor...
Or altri abbandonando
Ed or abbandonata,
Degli uomini a conoscer l'incostanza;
A pagarli però m'accostumai;
Ascolto tutti e con nessun mi lego.
Il tuo bizzarro umor, Belisa, ammiro.
Sandrin, colei ch'è teco, è quella appunto
Belisa è questa.
ACMET, prendendola per un braccio.
Dunque vien meco.
BELISA, distaccandosi sdegnosamente.
Olà, signor, che impertinenza! abbiate
Più rispetto per me.
Tu non dicesti
Che sei la serva mia?
Dunque non m'ami?
Tocca a inspirarmi amor.
Il favor mio
Sopra di te discese,
Come rugiada del mattin, che cade
Ad innaffiar le rose e i tulipani.
Eh ch'io non ho bisogno
(Ad Acmet.)
Come! tu sai chi sono! oimé! che intendo!
È troppo giusto che la donna amata
Non temete, signor, ch'io tacerò;
E se amabil sarete io v'amerò.
ACMET, presentando con aria autorevole un anello a Belisa.
Prendi questo gioiello: amami, e taci.
D'offrir doni a una giovine che s'ama?
Che far dunque dovrei?
Gentilmente convien pregarla pria
E d'accettarlo, e di scusar l'ardire:
Che fan l'onor fin d'accettar il dono.
Questa prima lezion mettete in pratica;
(Questa è una cosa da morir di risa.)
Questo gioiello d'accettar, Belisa,
Ti prego, e dell'ardir chiedo perdono.
Scuso l'ardire, Acmet, e accetto il dono.
(Facendo un grand'inchino, prende il gioiello.)
Tanto non attendea: se seguirete
A profittar così, farete in breve
Sotto la scuola mia
Un onore immortale alla Turchia.
Se voi bramate
Il nostro amore,
Di farvi amar.
Sono quei nodi
Che il cor ci possono
Se ancor non l'intende,
A quel babbuino
La scuola puoi far.
È impertinente e pazza: eppur l'istessa
Impertinenza sua, la sua pazzia
Ha una segreta incognita magia
Che irrita il mio desir, punge il mio core:
(Parte.)
Va, stai concio: hai trovato un umor bello,
Che a buon partito ti porrà il cervello.
Ritorno a te negoziator felice.
Al locandier parlai, qualche sospetto
Vidi che avea dell'esser tuo; ma seppi
Trarne vantaggio a tuo favor: gli dissi
Chi sei.
Che mai facesti!
Non ti turbar, è un galantuom: promise
Il grand'arcano custodir, lo resi
Fanatico di te: scoprii l'affetto
Che hai per la figlia sua, lo lusingai
D'un matrimonio che, per or segreto,
Dal regno un dì saria riconosciuto.
Ma la mia dignità tu comprometti.
Perché, signor? con isposar Lisetta
Appaghi il genio tuo: nè solo il padre
Non più danar ci chiederà; ma forse
Ci porgerà qualche soccorso ancora.
E credi tu che con serene ciglia
Corsica mirerà sul trono assisa?
Un espediente, o sire, atto alle tue
Presenti circostanze io sol propongo.
Come c'insegna il Puffendorff e il Grozio.
Se in avvenir non converrà, si sciolga.
Pel volgo, o sire, indissolubil nodo
Ma per disciorre i pari tuoi d'impegno
Nè grande sforzo vi vuol mai, nè studio:
Legge o ragion che il matrimonio annulli...
Eh, mio sire,
Sempre i viventi a modo lor faranno,
E i posteri diran quel che vorranno.
TADDEO, che conduce LISETTA, e Detti.
Vieni, o figlia, a un re che t'ama
Ch'io mi prostri!
(S'inginocchia.)
A' piedi vostri...
TEODORO a Taddeo, porgendogli la mano.
Ah! conoscer tu non puoi
Tutti ancor i pregi suoi,
Alla vostra volontà.
Bassa gli occhi, e si confonde.
(A Teodoro.)
Ell'è un po' vergognosetta.
Del buon cor ch'io scorgo in te.
TEODORO, TADDEO, GAFFORIO a tre.
(Al suo padre, a Teodoro, e Gafforio.)
TEODORO, TADDEO, GAFFORIO a tre.
(Sala.)
BELISA, che tira per un braccio ACMET.
Non siate sì selvatico.
E dove mai mi strascichi?
Tu mi potrai slogar.
A ciaschedun che incontrasi
Vi voglio presentar.
Mi vengon le vertigini.
A DUE.
Vedete(or veggo) che le femmine,
(Belisa prende di nuovo Acmet per il braccio, e lo conduce via.)
SANDRINO, poi TADDEO e LISETTA.
In ogni loco
La cerco ognor.
Mi stanno ancor.)
Quando, o Taddeo,
Me con tua figlia
La mia Lisetta
Più non darà.
Che stravaganze!)
E le speranze?
E le promesse?
Le circostanze
Non son le istesse.
Lo rende |
|
Mi rende |
Tal novità.
Ma qua viene Lisetta il mio bene.
È qui il perfido, è qui il traditore.
Vieni, o cara, l'affanno e il dolore
Deh consola d'un'anima amante,
E osi ancora parlarmi d'amore?
E osi il guardo fissarmi nel volto?
Fuggi, ingrato, che più non ascolto
Le menzogne d'un'alma infedel.
Brava figlia! quel nobile orgoglio
Degno è d'anima grande che al soglio
Con ragion destinata è dal Ciel.
Ma che avvenne? che sento? ove sono?
Vanne pur, mentitor, t'abbandono;
D'uno scettro l'acquisto e d'un trono
TEODORO con GAFFORIO, e DETTI.
Scacciasti dal core
( È assai premuroso...)
Di quel menzogner.
Sarà voler mio
Il vostro voler.
Che bel complimento!
Il perfido |
omai |
L'origine |
TEODORO, TADDEO, GAFFORIO, a tre.
Con giubbilo omai
Il mio |
|
Di quel |
TEODORO, TADDEO, GAFFORIO, a tre.
Quel suo cangiamento
TUTTI.
Da questo momento
a veder. |
|
BELISA traendo per un braccio ACMET, e DETTI.
(Ad Acmet.)
ACMET fa bruscamente un saluto.
TUTTI.
Ben venuto, ben venuto.
Mia sorella al certo è quella.
Certo quello è mio fratello.
GAFFORIO a Teodoro, accennando Acmet.
Hai ragion, sì certo è desso.
(Cos'è mai codesto imbroglio!)
Li conosci?
Uno di quelli
TADDEO, LISETTA, SANDRINO, a tre.
BELISA a Sandrino, accennando Teodoro.
Chi è colui?
TEODORO a Lisetta, accennando Belisa.
Chi è colei?
GAFFORIO a Taddeo, accennando Acmet.
Chi è costui?
ACMET a Belisa, accennando Gafforio.
Colui chi è?
GAFFORIO a Lisetta, accennando Acmet.
Chi è colui?
TEODORO a Taddeo, accennando Belisa.
Chi è costei?
ACMET a Sandrino, accennando Teodoro.
Chi è costui?
SANDRINO, TADDEO, LISETTA, attoniti, a tre.
Si riguardano, stupiscono,
Sei, o non sei fratello mio?
TADDEO ad Acmet.Dunque Acmet deggio chiamarti?
Taci, taci, o fo strozzarti.
Dunque quei de' Corsi è il re?
TUTTI.
Che disordine e scompiglio.
Parmi in testa aver due mantici
Resto come un sasso immobile...
E non so cosa mi far!
TUTTI DA SE’.
Già Belisa.
Mi ravvisa:
È saviezza
D'evitar.
(Parte.)
Pel mio sire
Non lo deggioAbbandonar.
(Parte.)
S'egli è quello
Mio fratello,
Qui v'è sotto qualche imbroglio
Me ne voglio
(Parte.)
Quivi al certo
Io son scoperto.
Il periglio
Di schivar.
(Parte.)
Io già vidi
Or è vano
Altro indagar.
(Parte.)
Ognun fugge: il caso è brutto:
Meglio il tutto
(Parte.)
M'han piantato come un cavolo;
E Taddeo cosa farà?