Giovanni Battista Casti
Opere scelte di Giambattista Casti
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IL RE TEODORO IN VENEZIA DRAMMA EROI-COMICO PER MUSICA

ATTO SECONDO

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SCENA PRIMA (Gabinetto.) TEODORO seduto presso un tavolino, GAFFORIO con un fascio di. lettere.

SCENA II TEODORO, BELISA.

SCENA III . TEODORO, GAFFORIO.

SCENA IV TEODORO, poi TADDEO con LISETTA.

SCENA V Detti, e SANDRINO che a mezzo terzetto sopraggiunge e resta indietro a udire.

SCENA VI LISETTA, SANDRINO.

SCENA VII

SCENA VIII (Parte esteriore della locanda con veduta del ponte di Rialto, e sue vicinanze. Gente sopra il ponte, e sulla strada. Gondole sul canal grande che passano sotto il ponte, e altre barche che stan ferme.) TEODORO con LISETTA, e ACMET con pipa in compagnia, di BELISA, sopra il terrazzino della locanda; GAFFORIO e TADDEO sulla strada.

SCENA IX GAFFORIO e TADDEO, sulla strada.

SCENA. X BELISA, ed ACMET col seguito de' suoi servi, e TADDEO.

SCENA XI

SCENA XII (Gabinetto.) TEODORO, che pensoso si asside sopra una sedia presso a un tavolino, e GAFFORIO.

SCENA XIII GAFFORIO, TADDEO.

SCENA XIV TADDEO, poi LISETTA.

SCENA XV (Grand'atrio nella locanda sostenuta da un doppio ordine di colonne. In fondo balaustrata che corrisponde sul Canal grande, sul quale si vedono trapassare gondole e tutt'altra sorte di barche. Serventi che preparano la tavola.) SANDRINO, poi TADDEO.

SCENA XVI ACMET con BELISA che scendono dalla gondola in fondo dell'atrio, serviti da TADDEO.

SCENA XVII TEODORO con GAFFORIO, indi LISETTA, e DETTI.

SCENA XVIII MISSIER GRANDE, con seguito di gente di giustizia, che scendono dalla gondola, e Detti.

SCENA XIX (Prigione.) TEODORO, poi tutti uno dopo l'altro.

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ATTO SECONDO

 

<< <   > >>SCENA PRIMA

 

(Gabinetto.)

 

TEODORO seduto presso un tavolino, GAFFORIO con un fascio di. lettere.

 

GAFFORIO.

Ecco, o sire, i dispacci: non è molto

Che il corrier qui recolli.

 

TEODORO.

Esponi, ascolto.

 

GAFFORIO leggendo.

«Della Corsica il gran cancelliere

«Fa saper, che non ha più maniere

«Per supplire alle pubbliche spese;

«Che le paghe son tutte sospese,

«Che prevede rivolte e tumulti

«Che però chiede gli ordini espressi

«Per frenar la licenza e gli eccessi.

 

TEODORO.

Come! ai sudditi miei dunque non basta

L'esempio del lor re, per avvezzarli

Del danaro all'inopia e alla mancanza?

 

GAFFORIO.

Sire, tutti non han la tua costanza,

E compenso vi vuol.

 

TEODORO.

E qual compenso?

 

GAFFORIO pensando prima un poco.

Crear nel regno io penso...

I viglietti di credito.

 

TEODORO.

Comodissimo e pronto espediente.

 

GAFFORIO.

Determina la somma.

 

TEODORO.

È indifferente.

 

GAFFORIO prendendo un foglio.

«I fratelli Isac, Gionata e Abram

«Negozianti giudei d'Amsterdam,

«Condiscendono a titol di prestito

«Di sborsar venti mila fiorini,

«Numerabili in tanti zecchini;

«Purchè lor annual pagamento

«S'assicuri del dieci per cento;

«Dando loro in deposito o in pegno

«Qualche rendita o fondo del regno

 

TEODORO.

E qual rendita o fondo in ipoteca

Può assegnarsi a costor?

 

GAFFORIO pensando prima alquanto.

Altro non veggio

Che l'appalto delle ostriche.

 

TEODORO.

No, l'ostriche,

Per la real mia mensa io le riserbo.

Amor, la gloria e l'ostriche

Son le tre passion mie favorite.

 

GAFFORIO come sopra.

Dunque assegnar potremo

Le montagne di Nebbio

Gravide di metalli.

 

TEODORO.

Montagne e rupi assegna pur, se vuoi,

Che da gran tempo omai

Gravide son, partoriscon mai.

 

GAFFORIO prendendo altro foglio.

«Cecchin Buono, sensal livornese,

«Cognitissimo in tutto il paese,

«Si dichiara, che avendo prestati

«Anni son cinquecento gigliati

«Ad un tal Teodoro, che fe'

«Dichiararsi di Corsica re;

«Che al presente si tiene per certo

«Sia in Venezia col nome d'Alberto;

«Non potendo ritrarne un quattrino,

«A un mercante chiamato Sandrino

«Manda l'obbligo, acciò li riscota,

«E gli segni a suo debito in nota

 

TEODORO.

Questo è il peggior: a sì pressante urgenza,

Come potrem trovar pronto riparo?

 

GAFFORIO pensando prima un poco.

Ascolta, or che Taddeo

Tuo suocero divien, giusto mi sembra

Che di distinto onor fregiato sia.

 

TEODORO.

Cioè?

 

GAFFORIO.

Crearlo general tu puoi.

Ricco è Taddeo, e vanità seduce

Il debole suo cor: liberalmente

Danaro sborserà per la patente.

Ciò ridonar potria

Allo scheletro esangue

Del tuo tesor privato

Qualche segno di vita, e picciol fiato.

 

TEODORO.

Chetati. A noi veggio venir Belisa;

Ritirati, Gafforio; a solo a solo

Con lei parlar io voglio;

Come trarmi potrò da quest'imbroglio!

 

<< <   > >>SCENA II

 

TEODORO, BELISA.

 

BELISA.

Teodoro! io non erro

Sei pur tu mio fratello?

 

TEODORO.

Oh Dio! Belisa

Non mi scoprir. L'arcano

Importante è per me più che non credi.

E tu come sei qui?

 

BELISA.

La storia mia

Ti narrerò: per ora

La tua branco saper. Spiegami in grazia

Cos'è cotesta frottola che ascolto,

Che tu sei re de' Corsi?

 

TEODORO.

È ver: dei Corsi

Io sono eletto e incoronato re.

 

BELISA.

Ma come! con quai mezzi?

 

TEODORO.

Colla sagacità, col franco ardire,

Coll'indefessa attività del mio

Fecondo immaginar.

 

BELISA.

Stupir mi fai.

 

TEODORO.

La propria esperienza

M'apprese, suora mia, che in questo mondo

Non v'è impossibil cosa a quei cui nulla

Preme se la sua fama illustra o sporca,

E se muor nel suo letto o sulla forca.

 

BELISA.

Come sei qua?

 

TEODORO.

Belisa, a te confido

Degl'interessi miei lo stato vero

Smunti per lunghe guerre

Sono i sudditi miei, gli erari esausti.

Finchè l'economia, finchè l'interno

Ordine io non pervenga

A stabilir nel regno mio, non posso

Dirmi sul trono assicurato ancora.

Tutto col tempo e col danar farassi,

Dappertutto lo cerco,

Da più parti l'attendo. Ma per ora

Io ti confesso, o suora,

Che imbarazzato son per trovar modo

Per supplire alli miei

Quotidiani bisogni.

 

BELISA.

Inver tu sei

Un re da far pietà

(Si toglie dal dito l'anello ricevuto da Acmet e lo a Teodoro.)

Tien quest'anello

Usane a tuo piacer.

 

TEODORO.

Cara sorella,

Quanto grato ti son!

 

BELISA.

Senti, conosci

Quell'Armen ch'era meco?

 

TEODORO.

Acmet mi parve,

Ii deposto sultan.

 

BELISA.

Sì, è desso, e ha seco

Gioie in gran copia: esser a te costui

Util potrebbe: abboccati con lui

Io ti seconderò.

 

TEODORO.

Grazie ti rendo.

Invierò fra poco

Il segretario mio, che l'etichetta

Del cerimonial regoli teco.

 

BELISA.

Nelle tue circostanze puoi, fratello,

All'inezie pensar dell'etichette?

 

TEODORO.

Il cerimonial, sorella mia.

Pei gran principi è ver che sono inezie;

Ma per li re miei pari

Indispensabil sono e necessari.

 

BELISA.

Or via non disputiam; sopra il terrazzo

Suol divertirsi Acmet talvolta a udire

I gondolier che avanti alla locanda

S'adunano a cantar: farò che insieme

Colà vi ritroviate, e ivi potrete

A vostr'agio parlar: ma tu cotanto

Non t'invaghir di romanzesca e folle

Avventura, e d'un titolo ideale

Che ti potrebbe un giorno esser fatale.

Che stuol d'infelici

Lo scettro ti diede,

Il mondo lo crede

Tu stesso lo dici,

Nol niego: sarà.

Ma bada, fratello,

A quello che fai

Che se non avrai

Fortuna e cervello.

E regno e regnante

in men d'un istante

Al diavolo andrà.

Non son dottoressa,

Non son profetessa

Ma il mondo un pochetto

Lo so come va.

 

<< <   > >>SCENA III

.

TEODORO, GAFFORIO.

 

TEODORO.

Siegua pur ciò che vuoi, son nell'impegno,

ritirarsi or lice.

Suol l'esito felice

Giustificar le temerarie imprese.

O manca il colpo, e mi diranno un pazzo;

O felice riesce il mio disegno,

E col nome d'eroe m'acquisto un regno.

(Suona il campanello.)

 

GAFFORIO.

Eccomi, o sire.

 

TEODORO.

Ascolta,

Col gran sultano Acmet, che come sai,

Alloggia qui, mi si propon trattato,

Abboccamento e lega.

Vanne a Belisa, e spiega

Carattere di mio

Segretario e ministro.

Fa che il sultan s'impegni

Con pecuniari aiuti, o equivalente,

Sul trono corso a sostenermi, ed io

Impegnerommi a riconoscer lui

Legittimo sultano,

Ed aiutarlo a ricovrar il soglio.

Vanne, e avvertimi ognor, se Genovesi

Vedi arrivar nella locanda.

 

GAFFORIO.

Intesi.

 

<< <   > >>SCENA IV

 

TEODORO, poi TADDEO con LISETTA.

 

TEODORO.

Quanta inquietezza, e quanta

Pena la mia sovranità mi costa!

 

TADDEO.

È dunque vero, o sire,

Ciocchè confusamente udimmo dire,

Che quell'Armen...

 

TEODORO.

Sì quello

È il gran sultan deposto.

 

LISETTA.

(Cappita! Il gran sultano!)

 

TEODORO.

D'alleanza fra noi v'è sul tappeto

Un trattato segreto: onde famosa

Sarà questa locanda al par di Breda,

Di Munster, d'Utrect e d'Osnabrucco.

 

TADDEO.

Vedete quante cose! io son di stucco.

 

LISETTA.

Ma costui finalmente è un re davvero.

Ah Sandrino! Sandrino!

 

TEODORO presentando a Lisetta l'anello ricevuto da Belisa.

Prendi, mia cara, intanto

Lo sposalizio anello.

 

LISETTA.

(Ma Sandrino m'inganna: e perché dunque

La sorte ricusar, che si presenta?)

 

TEODORO.

Sposa e regina io ti dichiaro omai:

E tu, Taddeo, mio general sarai.

 

<< <   > >>SCENA V

 

Detti, e SANDRINO che a mezzo terzetto sopraggiunge e resta indietro a udire.

 

TEODORO.

Permetti, o mia Lisetta,

Che in dito alfin ti metta

L'anello sposalizio

Segno d'amor, di fe.

(Pone in dito a Lisetta l'anello.)

 

LISETTA.

(Ora comincio a credere

Che sposa son d'un re.)

 

TEODORO.

Suocero mio Taddeo,

Io general ti creo

Le forze mie, gli eserciti

Omai confido a te.

 

TADDEO.

Ah veggio ben che suocero

Ora son'io d'un re.

 

TEODORO.

Il valoroso padre

Comanderà le squadre

Ai popoli la figlia

Comanderà con me.

(Esce Sandrino e resta indietro ascoltando.)

 

TUTTI.

strana meraviglia,

Vicendastupenda

Credibile non è.

 

SANDRINO facendosi innanzi a Teodoro, e mostrandogli un foglio.

Signor mio, chiedo perdono,

Vi saluta Cecchin Buono...

 

TEODORO.

(Che sorpresa impreveduta!)

 

SANDRINO.

Cecchin Buono vi saluta,

E domanda il pagamento

De' gigliati cinquecento.

 

TEODORO, TADDEO, LISETTA, a tre.

Che insolenza! che arditezza!

Che durezza di trattar!

 

SANDRINO mostrando sempre il foglio.

Ecco l'obbligo che canta

O a me fatene lo sborso,

O al consiglio de' Quaranta

Me ne vado a far ricorso:

Per costringervi a pagar.

 

TEODORO.

(Un processo ei mi minaccia!)

 

TADDEO, LISETTA, a due.

Ah colui ci ride in faccia!

 

SANDRINO.

(Mi comincio a vendicar.)

 

TEODORO, TADDEO, LISETTA, turbati, a tre.

Quei motteggi e quelle risa

Inquietudine e sospetto

Già mi destano nel petto,

E mi danno da pensar.

 

SANDRINO.

Se costor m'hanno deluso...

 

LISETTA.

Son derisa.

 

TEODORO, TADDEO, a due.

Son confuso.

 

SANDRINO.

(Saprò ben cosa mi far.)

 

TEODORO, TADDEO, LISETTA, a tre.

E non so cosa mi far.

 

SANDRINO a Teodoro.

Intendesti, signor: altri discorsi

Sono inutili omai. (Così vendetta

Fo di quell'impostor, di quell'infida.)

 

TADDEO.

E si poca creanza...

 

LISETTA.

E si poco riguardo...

 

SANDRINO a Lisetta, con ironia.

Ah se t'offesi...

Io ti chiedo perdon, bella regina.

(A Taddeo.)

Inclito general, perdon ti chiedo.

 

TEODORO.

L'ardir di cotestui, l'impertinenza

Stancar alfin potria

La sofferenza mia: vieni Taddeo

Noi lo saprem punire.

 

TADDEO.

punirem, Sandrin. Ti sieguo, o sire.

 

<< <   > >>SCENA VI

LISETTA, SANDRINO.

 

SANDRINO.

E quando fia che sopra il soglio assisa

Lisetta io veggia?... Ma che miro! è quello

L'anello che il sultan donò a Belisa.

Gran giro in un sol fe' quell'anello.

 

LISETTA.

E fino a quando ancor gl'insulti tuoi

Dovrò soffrir? Dunque per te sì poco

È l'avermi tradita,

Che al tradimento anche lo scherno aggiungi!

, malnato che sei,

(Sdegnata.)

, più presentarti agli occhi miei,

Infedel! tu pria m'inganni,

Poi m'insulti e mi deridi;

Ah che troppo intesi e vidi

Troppo vedo e intendo ancor.

Più non credo a un cor fallace

E ad un labbro mentitor.

Per chi mai perdei la pace,

Per chi mai m'accese amor!

 

<< <   > >>SCENA VII

 

SANDRINO.

Udite, udite come

Colei vanta innocenza;

E l'infedel d'infedeltà mi accusa.

Or fidatevi pur, creduli amanti,

Di femmina che amor promette e giura;

Son volubili, ingrate;

Vanità, leggerezza,

Interesse, capriccio

Ambizion, di novità desio,

Le fan passar d'un in un'altro amore,

E cangian loro in un momento il core.

Voi semplici amanti

Che a donne credete,

Son tutte incostanti,

L'esempio vedete,

Specchiatevi in me.

Il moto dell'onda,

Il soffio dell'aria.

La tremula fronda

lieve, sì varia,

instabil non è.

Eppur francamente

Le udite sovente

Vantar fido core,

Parlarvi d'amore,

Promettervi fe.

Voi semplici amanti

Che a donne credete,

Da lor rivolgete

Sollecito il piè.

 

<< <   > >>SCENA VIII

 

(Parte esteriore della locanda con veduta del ponte di Rialto, e sue vicinanze. Gente sopra il ponte, e sulla strada. Gondole sul canal grande che passano sotto il ponte, e altre barche che stan ferme.)

 

TEODORO con LISETTA, e ACMET con pipa in compagnia, di BELISA, sopra il terrazzino della locanda; GAFFORIO e TADDEO sulla strada.

 

CORO DI GONDOLIERI.

Chi brama viver lieto,

Chi divertir si vuole,

Venga, or che l'aere è cheto,

Sull'acque a passeggiar.

Non v'è più bel piacere,

O sorga o cada il sole,

Che libertà godere,

E in gondoletta andar.

 

TEODORO, LISETTA.

Come quel canto inspira

Diletto ed allegria

E attorno d'armonia

Fa l'aria risuonar!

 

CORO.

Ma quando parte il giorno.

E il tenebroso velo

Spiega la notte attorno

Sopra la terra e il mar,

La placida laguna

Vedrà far specchio al cielo;

E il raggio della luna

Nell'onda tremolar.

 

ACMET, BELISA.

Oh che gioconde immagini,

Che amabile pittura,

La semplice natura

Può sola presentar!

 

CORO.

In gondola alla bella

Può il giovane amoroso,

Con libera favella

Gli affetti suoi spiegar

Senza timor che alcuno

Drudo o rival geloso

Venga invido, importuno

Gli amanti a disturbar.

 

TADDEO, GAFFORIO, a due.

O libertà, tu sola

Puoi render l'uom felice;

Senza di te non lice

Felicità trovar.

 

TADDEO.

Che ve ne par, signori,

De' nostri nazional divertimenti?

 

TEODORO.

La gaia libertà di quei concenti

Gratissimo piacer desta nel core.

 

ACMET.

Di cotesto spettacolo

L'inusitata bizzarria diverte.

 

BELISA.

Si vede il buon amor, la contentezza.

 

LISETTA.

E della nazion l'indole allegra.

 

GAFFORIO a Taddeo.

Sembrano assai contenti.

 

ACMET

Olà, una pipa

Tosto si rechi anche a costui.

(Accennando Teodoro.)

 

BELISA.

Che pipa?

Bella creanza inver! fumar tabacco

In compagnia di donne!

 

LISETTA.

E non ha torto.

 

ACMET.

Voi donne sempre, e in tutto

Trovate da ridir.

 

BELISA.

Via quella pipa

Ed in gondola andiam, se pur v'aggrada,

Sul canal grande a passeggiar.

(Toglie ad Acmet la pipa e la gitta nel canale.)

 

ACMET.

Si vada.

 

TEODORO.

Signor, scusa vi chiedo: ho qualche affare

Che per or mi richiama al gabinetto.

 

LISETTA.

Me ancor vi prego di scusar.

 

BELISA.

Restate,

Andrem noi.

(Si levano tutti. Belisa, Acmet e Lisetta partono dalla terrazza.)

 

TEODORO.

Garbolino,

Ho qualche cosa a dirti.

 

GAFFORIO.

A momenti, signor, sono a obbedirti.

 

<< <   > >>SCENA IX

 

GAFFORIO e TADDEO, sulla strada.

 

GAFFORIO.

Vedi, Taddeo, che grazie al Cielo omai,

Com'io disposto avea, fra i due monarchi

Regolarmente e senza

Difficoltà seguì l'abboccamento.

 

TADDEO.

Grandi rivoluzion da quel congresso

Preveggo, amico.

 

GAFFORIO.

Hai ben ragion; sovente

In crocchio famigliar senza apparati,

I grandissimi affar si son trattati.

Ma vien Belisa e Acmet; al quartier nostro

Vieni; e troverai la tua patente

Di general già sottoscritta e pronta.

Per or partir degg’io;

Ci rivedrem; t'attendo in breve; addio.

 

TADDEO.

Non tarderò, non dubitar.

 

<< <   > >>SCENA. X

 

BELISA, ed ACMET col seguito de' suoi servi, e TADDEO.

 

BELISA.

Taddeo,

Scusa di grazia; ir sul canal vogliamo.

I gondolieri avvisa.

 

TADDEO.

Ti servirò, Belisa.

 

ACMET.

E colui dunque

È tuo fratello? due curiosi invero

Singolari cervelli ambedue siete.

 

BELISA.

ll vostro è raro inver; bel trattamento

A mio fratel faceste!

 

ACMET.

L'accolsi, il salutai:

Che altro dovea far mai

Ad un re da commedia,

A un sovranel ridicolo e pigmeo?

 

BELISA.

Così pigmeo com'è, val più di voi

Che, un re che vive e regna,

Per piccolo che sia,

Dev'esser anteposto

A qualunque gran re morto o deposto.

 

ACMET.

Ma tu m'insulti.

 

BELISA.

Anzi mi par piuttosto

Che insultiate voi me; veggo oramai

Ch'è impossibile affatto

La creanza insegnarvi e il civil tratto.

 

TADDEO.

Signori, già le gondole son pronte.

 

ACMET.

Olà, che lauta mensa al mio ritorno

Mi si prepari; inviterem con noi

Codesto tuo fratel...

 

BELISA.

Favor distinto.

 

ACMET.

Or dunque andiam, come propor ti piacque,

Colla barchetta a passeggiar sull'acque

 

ACMET a Taddeo con autorità..

Tu servimi, e la mensa

Ai cenni miei prepara.

(A Belisa.)

Tu placati, tu pensa,

(Affettuosamente.)

Cara, e serbarmi amor,

(A Taddeo con autorità.)

Il mio voler intendi,

Ed obbedir tu déi.

(A Belisa.)

T'obbedirò, tu sei

L'arbitra del mio cor.

(Da .)

(Nel comandar rammento

Ch'io sono Acmet ancor.

(A Belisa.)

E nell'amar mi sento

Umile, e servo ognor.

 

(Belisa e Acmet vanno a imbarcarsi sopra una gondola, e il seguito d'Acmet sopra un'altra, e intanto si replica il coro.)

 

CORO.

Chi brama viver lieta,

Chi divertir si vuole,

Venga, or che l'aere è cheto,

Sull'acque a passeggiar.

Non v'è più bel piacere,

O sorga o cada il sole,

Che libertà godere,

E in gondoletta andar.

 

<< <   > >>SCENA XI

 

TADDEO.

Mi comanda costui con tant'altura

Come s'io fossi schiavo suo: pertanto

Lo compatisco: ancora

Non può saper che generale io sono

Quando il saprà, mi chiederà perdono.

Veramente è il mio caso

Unico nell'istorie:

Se alcun m'avesse detto

Che suocero d'un re, che generale

Un giorno io diverrei, gli avrei risposto

Eh va via, che sei matto.

Eppure... eppure è un fatto.

Nondimeno ogni cosa in questo mondo

Ha il suo diritto e il suo rovescio: il mio

Grado di general gran sorte in vero,

Grand'onore è per me

Ma in obbligo mi pon d'ire alla guerra,

E farmi sbudellar gloriosamente.

Gran contrasto nel core e nella mente

Mi fan l'onor, la gloria e la paura;

Conviene fare riflession matura.

Per onor farmi ammazzare!

Ma Taddeo, che te ne pare?

Meglio è star nell'osteria

Meglio è fare il locandier.

Ma se il Cielo ha decretato

Questo mio generalato,

Ricusar!... Sì bassa idea

Saria d'anima plebea,

Troppo ignobile pensier.

Su dunque alla reggia;

Sul trono la figlia

Regina si veggia

E veggiasi il padre,

Di belliche squadre

Taddeo condottier.

Mia cara locanda,

Cari ospiti, addio; Già pongo in obblío

L'antico mestier.

 

<< <   > >>SCENA XII

 

(Gabinetto.)

 

TEODORO, che pensoso si asside sopra una sedia presso a un tavolino, e GAFFORIO.

 

GAFFORIO

Sire, tutto a seconda

Va de' nostri desir. Già col sultano

Amicizia stringesti, e già tra voi

Gettate son le prime fondamenta

Di solida alleanza

Utilissima a te: già di Lisetta

Il possesso otterrai: per la patente

Il danaro a sborsar pronto è Taddeo;

E tu pur te ne stai con faccia mesta

Mille tristi pensier covando in testa?

 

TEODORO.

Gafforio, io veggio ben che le speranze

Colla realità mesci e confondi.

 

GAFFORIO.

Ma quai dubbi, signor?

 

TEODORO.

Acmet trovai

Pe' miei interessi indifferente assai.

E ciò che da Taddeo ti riprometti

È dubbio ancor; ed agli urgenti e grandi

Bisogni miei recar non può che lieve

Passaggiero sollievo. E bruscamente

Sandrin minaccia intanto

Di chiamarmi in giudizio, e se seguisse

Un sospetto di fuga, una cattura...

Ah che il solo pensier mi fa paura!

Allor de' creditori

Si solleva il vespaio, e tutti a un tratto

Potrian venirmi sopra in quella guisa

Che i cani per istinto

Corrono a morder l'abbattuto e il vinto.

 

GAFFORIO.

Con quali idee ti vai

Tormentando la mente!

 

TEODORO.

Ah tu non sai

Qual feci, giorni son, sogno funesto

Che non ti dissi ancor: ma che l'istanza

Di quel duro Sandrin più vivamente

Ora lo rende al mio pensier presente.

 

CAFFORIO.

Qual sogno è dunque mai, che tanta tema

Può destarti nel cor?

 

TEODORO.

Odilo e trema.

Non era ancora

Sorta l'aurora,

Allor che i languidi

Miei sensi un torbido

Sonno letargico

Tutti ingombrò.

Ed ecco apparvemi

Spettro terribile,

Che smunto e pallido

Con occhi lividi,

Qual chi dimagrasi

Per gran digiuni,

Catene e funi

In man tenea.

E pallio ed abito,

Veste e calzoni

Tessuti avea

Di citazioni,

Di conti e d'obblighi,

E pagherò.

Corona e scettro

Sugli occhi fransemi

L’orribil spettro.

Indi volgendomi

Sguardo funereo,

Io sono il Debito,

Alto gridò.

Poscia per l'aere

Si dileguò.

Un forte palpito

Le membra scossemi,

E il sonno ruppemi;

E più nell'animo

Da quel momento

Non ho contento,

Pace non ho.

 

GAFFORIO.

E sogni dunque e spettri,

che sol per donnicciuole e per fanciulli

Spauracchi son, dunque potran la forte

Anima intimidir di Teodoro?

Ma Taddeo venir veggio a questa volta

Ritirati, signor, lasciami seco.

 

TEODORO.

Vado; ma tu frattanto

L'imminente sventura

Per ogni modo disviar procura.

 

<< <   > >>SCENA XIII

GAFFORIO, TADDEO.

 

GAFFORIO.

Povero sire, inver mi fa pietà!

(A Taddeo che viene.)

Vieni Taddeo, che appunto

Io parlar ti volea.

 

TADDEO.

Son qua, favella.

 

GAFFORIO.

Con tua figlia il mio re vuol che in quest'oggi

Compiasi il matrimonio: eseguir dessi

Il sovrano voler: giusto è che prima,

Del nuovo onor veggasi il padre adorno.

Attendi; e in un istante a te ritorno.

(Entra.)

 

TADDEO.

Che generoso re! Qual luminosa

Figura in breve far dovrà Taddeo

Sul teatro del mondo!

Ah ch'io perdo la testa e mi confondo.

(Gafforio torna con una gran patente in mano, seguito da un cameriere che porta l'uniforme.)

 

GAFFORIO.

La patente ecco qua di generale.

Già sai che per tai cose

Certe tasse vi son, che in tutti i stati

Soglion pagarsi indispensabilmente;

Ma questo non è niente

In paragon del grand'onor.

 

TADDEO.

Lo credo.

 

GAFFORIO.

Il mio uniforme volontier ti cedo,

Conciossiachè son general anch'io.

Non l'ho portato ancor; larghetto è alquanto

Pel dosso mio; a te star dee d'incanto.

più mi costa che zecchini cento.

 

TADDEO.

Cento zecchini! è un po' caretto in vero,

E la patente?

 

GAFFORIO.

Più o meno, secondo

La generosità del candidato.

 

TADDEO.

Ma pur?

 

GAFFORIO.

Mille zecchini;

E qualche volta ancor sino a due mila.

 

TADDEO.

Che diavol dici mai? vuoi rovinarmi?

Io diverrei un general spiantato.

 

GAFFORIO.

Danaro non fu mai meglio impiegato.

Orsù via fa che indosso

Ti veggia l'onorifica divisa

Depon l'antiche spoglie;

Scordati ciò che fosti: a nuova vita

Ora rinasci.

(Taddeo si leva l'abito che ha indosso, e si pone l'uniforme aiutato dal cameriere.)

 

TADDEO al cameriere.

Adagio.

 

GAFFORIO.

Ad altre cure

Il destin ti riserva.

 

TADDEO.

Adagio dico,

Che diavol fai? tu vuoi

Dislogarmi le braccia

Pria d'andar alla guerra.

 

GAFFORIO.

A meraviglia!

Quell'uniforme, amico,

Par fatto pel tuo dosso.

 

TADDEO.

Oibò m'è stretto,

Muover mi posso appena.

 

GAFFORIO.

Tanto meglio

Più avrai del militar. Ecco la spada.

Costa cento zecchini.

 

TADDEO.

Il conto cresce.

 

GAFFORIO.

Pel tuo re, per lo stato

Impugnar tu la déi.

 

TADDEO.

Lo stato e il re

Stan conci, per mia fe,

Se non hann'altri difensor che me.

 

GAFFORIO.

Ormai ti lascio, o general Taddeo

Tu recami il danar tosto che puoi.

 

TADDEO.

Ma general fratello, e come vuoi

Che assieme por tanto danar poss'io?

 

GAFFORIO.

Eh non ti sgomentar, pensaci; addio.

 

<< <   > >>SCENA XIV

TADDEO, poi LISETTA.

 

TADDEO.

Colla sua flemma e gravità costui

Tutto aggiusta e facilita.

Grande è in vero l'onor; ma costa caro.

Pur non ci sgomentiam, so che ogni conto

Ammette il suo difalco; esagerati

Anch'io so fare i conti; anch'io gli ho fatti;

Poi si discorre, e alfin si viene ai patti.

Ma vien Lisetta. Appressati, mia figlia,

Rimira il quondam locandier tuo padre

Trasfigurato in condottier di squadre.

LISETTA.

Inver altr'uomo, o genitor, mi sembri

Ma dimmi, or ch'hai quell'uniforme indosso,

E non ti senti in petto

Un cor da generale?

 

TADDEO.

Ora che al trono

Sei destinata, o figlia,

Non ti senti sul busto

Un capo da regina?

 

LISETTA.

I pensier grandi

Già gorgogliar mi sento entro del cranio.

 

TADDEO.

Già i spiriti guerrieri

Mi sento brulicar dentro le vene.

 

LISETTA.

Mi si slargan le idee: sento ingrandirmi,

E di me stessa divenir maggiore.

 

TADDEO.

L'alma s'innalza e mi s'ingrossa il core.

Cosa far pensi, o figlia,

La sera e la mattina;

Allor che un regina

Sul trono ti vedrò?

 

LISETTA.

Comporrò il piè, le ciglia,

E in ogni moto e detto,

Di maestà un pochetto

Sempre vi mischierò.

Cosa far pensi, o padre,

Quando il comando avrai

Delle guerriere squadre

Che il re ti destinò?

 

TADDEO.

Mi darò l'aria e il tuono

Di capitan valente;

E agli ordini sovente

Contrordini unirò,

 

LISETTA.

Riceverò le suppliche,

Le grazie segnerò.

 

TADDEO.

I colonnelli, i pifferi

E i tamburin farò.

 

LISETTA.

Che gran vicissitudini

Incomprensibilissime

 

TADDEO.

Che strane metamorfosi

Imperscrutabilissime

 

A DUE.

Il ciel ci preparò!

 

TADDEO.

Or dunque vadasi

L'eccelsa carica

Ad occupar.

 

LISETTA.

Or dunque vadasi

Il real talamo

Ad occupar.

 

TADDEO.

E i corsi eserciti

A comandar.

 

LISETTA.

E i corsi popoli

A governar.

 

<< <   > >>SCENA XV

 

(Grand'atrio nella locanda sostenuta da un doppio ordine di colonne. In fondo balaustrata che corrisponde sul Canal grande, sul quale si vedono trapassare gondole e tutt'altra sorte di barche. Serventi che preparano la tavola.)

 

SANDRINO, poi TADDEO.

 

SANDRINO.

Già fatto è il colpo: in breve

Di sue imposture il fio

Dovrà pagar quel venturier: non io

Fui sol che feci contro lui ricorso;

Ma mille creditor fecer lo stesso.

Anzi udii che il governo, indotto e mosso

Da forti impegni, si varrà di questo

Plausibile pretesto

Per arrestarlo e ritenerlo in carcere;

Qual uom che instiga i popoli a rivolta,

E gli altrui dritti e titol regio usurpa.

Se tanti egli ha sedotti, io non stupisco

Se Lisetta e Taddeo sedusse ancora.

Ma vien ei già coll'uniforme indosso

Di general: ridicola figura!

Si vide mai sciocchezza eguale a questa!

L'ambizion è un brutto mal di testa.

(Parte.)

 

TADDEO chiama i serventi della locanda, che vengono ad udire i suoi ordini.

Olà serventi e camerieri!... Udite

La volontà del general Taddeo:

A me più non convien mestier plebeo

Tu dispensier, tu cantinier sarai;

E tu che hai più di galantuom mostaccio,

Prolocandier ti faccio.

Or gravemente in uniforme e in spada,

Belisa e Acmet ad incontrar si vada.

 

<< <   > >>SCENA XVI

 

ACMET con BELISA che scendono dalla gondola in fondo dell'atrio, serviti da TADDEO.

ACMET.

Olà, si serva

Tosto la mensa.

 

TADDEO.

Prolocandiere,

Fa il tuo dovere

Udisti? pensa

Che or tocca a te.

 

ACMET.

Perché quell'abito

Strano e difforme?

 

BELISA.

Quell'uniforme,

Taddeo, perché?

 

TADDEO.

Che meraviglia

Che generale

Sia chi la figlia

Marita a un re?

 

<< <   > >>SCENA XVII

 

TEODORO con GAFFORIO, indi LISETTA, e DETTI.

 

TEODORO a Taddeo, salutandolo.

Addio, generale.

(Ad Acmet.)

Sultan, ti saluto.

(A Belisa.)

Madama, buon .

 

LISETTA.

Salute, signori,

E buon appetito.

 

ACMET.

Se tutto è servito,

Poniamci a sedere.

 

TADDEO.

Il prolocandiere

Già tutto servì.

 

TUTTI.

A mensa si sieda;

In volto si veda

A tutti la gioia,

Il riso, il piacer.

Sia lungi la noia

E il tristo pensier.

 

ACMET.

Dunque con Teodoro

La figlia di Taddeo

Contratto ha l'imeneo?

 

GAFFORIO.

Sì... l'imeneo... cioè...

 

TADDEO.

Cosa vuol dir, cioè?

Contratto: così è.

 

ACMET, BELISA a due.

Costor son pazzi affè.

 

TEODORO.

Che nuova abbiam?

 

LISETTA.

Dell'Opera

Si parla molto.

 

TEODORO.

Incontra?

 

BELISA.

Sì e no.

 

TADDEO.

Chi è pro, chi contra.

 

TEODORO.

Domanda un po' a quel Trace

Se l'Opera gli piace.

 

TADDEO.

Che può capir costui!

 

LISETTA ad Acmet.

Vi foste voi?

 

ACMET.

Vi fui.

 

BELISA ad Acmet.

Che ve ne par?

 

ACMET.

Follie.

 

LISETTA.

Come?

 

TADDEO.

Perchè, signor?

 

ACMET.

Ove si vide, e quando

Alcun morir cantando?

 

TADDEO ad Acmet.

E quel vocin di Cesare?

 

ACMET.

Pieno di tali eroi

Fu il mio serraglio ancor.

 

BELISA ad Acmet.

Gusto non è fra voi.

 

ACMET a Belisa.

Lo strano e inverisimile

Di vostro gusto è ognor.

 

LISETTA.

Per l'Opera qua ieri

Giunser de' forestieri.

 

TEODORO con ansietà.

Di qual nazion?

 

TADDEO.

Romani,

Toscani, Genovesi.

 

TEODORO, turbato, a Gafforio.

Gafforio, udisti?

 

GAFFORIO, pensoso, a Teodoro.

Intesi.

 

ACMET.

Orsù beviam.

 

TUTTI.

Beviamo.

 

ACMET.

Il vino è bello e buono;

Ed io non la perdono

All'arabo profeta,

Che a' Musulman lo vieta,

Per voglia di vietar.

 

TADDEO.

Beviam de' sposi a onore.

 

TADDEO, ACMET, BELISA, GAFFORIO, a quattro.

Evviva Bacco e Amore!

 

TEODORO, LISETTA a due, ciaschedun da .

Eppur contento il core

Nel petto mio non par.

 

GAFFORIO a Teodoro, vedendo venir la gente di giustizia.

Oh Dio, Teodoro,

Chi son costoro?

 

LISETTA.

Che veggio ohimè!

 

TADDEO.

Ohimè! signori,

Gli esecutori.

 

TEODORO a Gafforio.

Ah ch'io già tremo!

 

GAFFORIO a Teodoro.

Signor, prevedo

De' guai per te.

 

<< <   > >>SCENA XVIII

 

MISSIER GRANDE, con seguito di gente di giustizia, che scendono dalla gondola, e Detti.

 

MISSIER GRANDE a Teodoro.

D'ordin supremo,

Signor, dovete

Venir con me.

(Si levano tutti da tavola.)

 

TADDEO, LISETTA, GAFFORIO, BELISA, a quattro.

Missier, badate

A quel che fate,

Chè quegli è un re.

 

MISSIER GRANDE.

L'ordin supremo

Compir si de'.

 

TEODORO.

Almen, Missiere,

Dite il perché.

 

MISSIER GRANDE.

Saper volete

Dunque il perché?

 

TUTTI.

Sì, sì, leggete

Sentiam cos'è!

 

MISSIER GRANDE, cava di tasca un foglio e lo legge.

«Venti mila gigliati ai Tunesini;

«Quattro mila e seicento ai Livornesi;

«Ghinee quindici mila e due scellini,

«Per più cambiali ai negozianti inglesi;

«Quaranta mila ottantasei fiorini,

«In vari tempi e date, agli Olandesi.

«Debiti innoltre in Cadice, in Lisbona,

«In Amburgo, in Marsiglia, in Barcellona

 

ACMET, TADDEO, LISETTA, a tre.

Oh quanti debiti!

Tanto il suo regno

Valer non può.

 

TEODORO.

Amici, addio;

Forza è ch'io vada:

Ecco la spada;

Prigion men vo.

(Teodoro consegna la spada a Missier Grande.)

 

TUTTI.

Come in un subito

Tutto cangiò.

 

TEODORO a Lisetta.

Tu, cara, serbami

Gli affetti tuoi;

Vado, ma poi

Ritornerò.

(Parte in mezzo alla gente di giustizia.)

 

LISETTA.

Un uomo in carcere

Sposar non vo'.

 

GAFFORIO.

Povero sire,

Lo seguirò.

(Parte.)

 

BELISA.

Il mio pronostico

Già s'avverò.

 

TADDEO.

O re di coppe,

O re di picche!

Il mio berlicche

L'indovinò.

 

ACMET.

Il tempo è torbido,

Meglio è partire;

Col core placido

Qui più non sto.

(Sandrino esce dall'altra parte.)

 

SANDRINO.

Che fu Lisetta?

Che fu Taddeo?

 

TADDEO.

Editti ed ordini,

E marche e titoli,

Trono, imeneo,

Generalato,

E tutto al diavolo.

A un tratto andò.

 

SANDRINO a Lisetta.

Or tu vedi per chi m'abbandoni?

E ombra vana sedurre ti può?

 

LISETTA.

Tu l'amor di Belisa preponi.

 

BELISA, SANDRINO, a due.

Cosa mai nel cervel ti saltò?

 

LISETTA.

E fia ver che ingannata mi sia?

 

SANDRINO.

Vita mia, colpa alcuna non ho.

 

LISETTA, SANDRINO, a due.

E mio

padre?

E tuo

 

TADDEO.

Più oppormi non so.

 

BELISA.

L'amor vostro turbar io non voglio;

Rimanetevi in pace, men vo.

(Parte.)

 

TADDEO.

Di quest'abito presto mi spoglio;

Più patenti e uniformi non vo'.

(Parte.)

 

LISETTA.

Dunque mi serbi affetto?

 

SANDRINO.

Dunque tu m'ami ancor?

 

A DUE.

Sempre lo stesso oggetto

Fisso mi sta nel cor.

 

LISETTA.

Anima mia!

 

SANDRINO.

Mio bene!

 

A DUE.

Dimentichiam le pene,

Si torni al primo amor.

 

<< <   > >>SCENA XIX

 

(Prigione.)

 

TEODORO, poi tutti uno dopo l'altro.

 

TEODORO.

Questo squallido soggiorno

D'ogni intorno

Offre immagini funeste;

E fra queste nude pietre

Scure e tetre

Pien d'orrore

Sento il core

Palpitar.

Dunque questa catacomba

È la tomba

D'ogni mio vasto disegno!

Questo è il regno

E questo è il trono?

Questi dunque i stati sono,

Ove un credea regnar!

Ma pur veggio in lontananza

Di speranza

Balenar languido raggio,

Che coraggio

Mi comincia ad inspirar.

La speranza è quella sola

Che consola

Ogni meschino

Già vicino

A disperar.

 

BELISA.

Ah tel diss'io, fratello,

Che di regnar la rabbia

Alla galera o in gabbia

T'avria condotto un !

 

GAFFORIO.

Serba coraggio, o sire,

E amor di gloria in petto.

Regolo e Baiazetto

Peggio di te finì.

 

TEODORO.

Finiscila una volta

Colle tue rancie istorie

Non mi parlar di glorie,

Non mi seccar così.

 

TADDEO riportando l'uniforme, la spada e la patente.

Io non vo' saper più niente

D'uniforme e di patente.

 

LISETTA a Teodoro.

Tienti anel, corona e regno,

Ch'io mi sciolgo d'ogni impegno.

 

SANDRINO.

Questi è il re, questi è colui

Che vuol tòr le spose altrui.

 

ACMET.

Se di nuovo ti rivedo,

È per tòr da te congedo.

 

BELISA ad Acmet.

Caro Turco, se tu parti...

Fratel mio, se di giovarti

Facoltà non m'è concessa.

Penso anch'io partir di qua.

 

LISETTA, TADDEO, SANDRINO, GAFFORIO, a quattro.

Come! tu sei sua sorella?

Tu del sangue principessa!...

Questa è bella in verità.

 

TEODORO.

Ite pur, non m'affliggete,

O tacete per pietà.

 

TUTTI.

Ciò che alletta il core umano,

Quanto è vano, quanto è frale!

 

TEODORO.

Giusto ciel! quanto noiosa

È la gente virtuosa,

Quando predica morale!

 

GAFFORIO.

A far la vendetta

Di tutti i tuoi torti

D'Europa le Corti

Solleciterò.

 

ACMET.

Farem la colletta

Pel principe corso

E a darti soccorso

Contribuirò.

 

TADDEO.

Infin che in prigione

Farete soggiorno,

Il pranzo ogni giorno

A voi manderò.

 

SANDRINO.

Or che ho la mia sposa

Più irato non sono

per Cecchin Buono

Più istanza farò.

 

BELISA.

Sta allegro, fratello:

Le leggi in favore

Son sempre di quello

Che solver non può.

 

LISETTA.

Allor che vedranno

Che un soldo non hai,

Ti libereranno,

O vogliano o no.

 

ACMET.

Di sorte volubile

Esempio son io,

Esempio sei tu.

 

TUTTI.

Consolati, addio,

Mai nulla di stabile

Al mondo non fu.

 

TEODORO.

In pace lasciatemi

Udir non vo' più.

(Si ritira.)

 

TUTTI.

Come una ruota è il mondo:

Chi in cima sta, chi in fondo;

E chi era in fondo prima,

Poscia ritorna in cima:

Chi salta, chi precipita,

E chi va in su, chi in giù

Ma se la ruota gira,

Lascisi pur girar.

Felice è chi fra i vortici

Tranquillo può restar.

 

FINE DELL'ATTO SECONDO, ED ULTIMO.

 



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