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SCENA PRIMA (Gabinetto.) TEODORO seduto presso un tavolino, GAFFORIO con un fascio di. lettere.
SCENA III . TEODORO, GAFFORIO.
SCENA IV TEODORO, poi TADDEO con LISETTA.
SCENA V Detti, e SANDRINO che a mezzo terzetto sopraggiunge e resta indietro a udire.
SCENA IX GAFFORIO e TADDEO, sulla strada.
SCENA. X BELISA, ed ACMET col seguito de' suoi servi, e TADDEO.
SCENA XIV TADDEO, poi LISETTA.
SCENA XVI ACMET con BELISA che scendono dalla gondola in fondo dell'atrio, serviti da TADDEO.
SCENA XVII TEODORO con GAFFORIO, indi LISETTA, e DETTI.
SCENA XVIII MISSIER GRANDE, con seguito di gente di giustizia, che scendono dalla gondola, e Detti.
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(Gabinetto.)
TEODORO seduto presso un tavolino, GAFFORIO con un fascio di. lettere.
Ecco, o sire, i dispacci: non è molto
«Della Corsica il gran cancelliere
«Fa saper, che non ha più maniere
«Per supplire alle pubbliche spese;
«Che le paghe son tutte sospese,
«Che prevede rivolte e tumulti
«Che però chiede gli ordini espressi
«Per frenar la licenza e gli eccessi.
Come! ai sudditi miei dunque non basta
L'esempio del lor re, per avvezzarli
Del danaro all'inopia e alla mancanza?
Sire, tutti non han la tua costanza,
E compenso vi vuol.
E qual compenso?
GAFFORIO pensando prima un poco.
Comodissimo e pronto espediente.
È indifferente.
«I fratelli Isac, Gionata e Abram
«Negozianti giudei d'Amsterdam,
«Condiscendono a titol di prestito
«Di sborsar venti mila fiorini,
«Numerabili in tanti zecchini;
«S'assicuri del dieci per cento;
«Dando loro in deposito o in pegno
«Qualche rendita o fondo del regno.»
E qual rendita o fondo in ipoteca
Può assegnarsi a costor?
GAFFORIO pensando prima alquanto.
Altro non veggio
No, l'ostriche,
Per la real mia mensa io le riserbo.
Son le tre passion mie favorite.
GAFFORIO come sopra.
Dunque assegnar potremo
Montagne e rupi assegna pur, se vuoi,
Gravide son, nè partoriscon mai.
GAFFORIO prendendo altro foglio.
«Cecchin Buono, sensal livornese,
«Cognitissimo in tutto il paese,
«Si dichiara, che avendo prestati
«Anni son cinquecento gigliati
«Dichiararsi di Corsica re;
«Che al presente si tiene per certo
«Sia in Venezia col nome d'Alberto;
«Non potendo ritrarne un quattrino,
«A un mercante chiamato Sandrino
«Manda l'obbligo, acciò li riscota,
«E gli segni a suo debito in nota.»
Questo è il peggior: a sì pressante urgenza,
Come potrem trovar pronto riparo?
GAFFORIO pensando prima un poco.
Tuo suocero divien, giusto mi sembra
Che di distinto onor fregiato sia.
Cioè?
Ricco è Taddeo, e vanità seduce
Il debole suo cor: liberalmente
Danaro sborserà per la patente.
Qualche segno di vita, e picciol fiato.
Chetati. A noi veggio venir Belisa;
Ritirati, Gafforio; a solo a solo
Con lei parlar io voglio;
Come trarmi potrò da quest'imbroglio!
Sei pur tu mio fratello?
Importante è per me più che non credi.
E tu come sei qui?
La storia mia
La tua branco saper. Spiegami in grazia
Cos'è cotesta frottola che ascolto,
Io sono eletto e incoronato re.
Colla sagacità, col franco ardire,
Coll'indefessa attività del mio
Stupir mi fai.
La propria esperienza
M'apprese, suora mia, che in questo mondo
Non v'è impossibil cosa a quei cui nulla
Preme se la sua fama illustra o sporca,
E se muor nel suo letto o sulla forca.
Come sei qua?
Degl'interessi miei lo stato vero
Sono i sudditi miei, gli erari esausti.
Finchè l'economia, finchè l'interno
A stabilir nel regno mio, non posso
Dirmi sul trono assicurato ancora.
Tutto col tempo e col danar farassi,
Dappertutto lo cerco,
Da più parti l'attendo. Ma per ora
Che imbarazzato son per trovar modo
Per supplire alli miei
Inver tu sei
(Si toglie dal dito l'anello ricevuto da Acmet e lo dà a Teodoro.)
Quanto grato ti son!
Sì, è desso, e ha seco
Gioie in gran copia: esser a te costui
Util potrebbe: abboccati con lui
Io ti seconderò.
Invierò fra poco
Il segretario mio, che l'etichetta
Del cerimonial regoli teco.
Nelle tue circostanze puoi, fratello,
All'inezie pensar dell'etichette?
Il cerimonial, sorella mia.
Pei gran principi è ver che sono inezie;
Indispensabil sono e necessari.
Or via non disputiam; sopra il terrazzo
Suol divertirsi Acmet talvolta a udire
I gondolier che avanti alla locanda
S'adunano a cantar: farò che insieme
Colà vi ritroviate, e ivi potrete
A vostr'agio parlar: ma tu cotanto
Non t'invaghir di romanzesca e folle
Avventura, e d'un titolo ideale
Che ti potrebbe un giorno esser fatale.
Tu stesso lo dici,
Nol niego: sarà.
A quello che fai
Che se non avrai
Non son dottoressa,
Non son profetessa
.
Siegua pur ciò che vuoi, son nell'impegno,
Giustificar le temerarie imprese.
O manca il colpo, e mi diranno un pazzo;
O felice riesce il mio disegno,
E col nome d'eroe m'acquisto un regno.
(Suona il campanello.)
Eccomi, o sire.
Col gran sultano Acmet, che come sai,
Alloggia qui, mi si propon trattato,
Abboccamento e lega.
Carattere di mio
Con pecuniari aiuti, o equivalente,
Sul trono corso a sostenermi, ed io
Impegnerommi a riconoscer lui
Ed aiutarlo a ricovrar il soglio.
Vanne, e avvertimi ognor, se Genovesi
TEODORO, poi TADDEO con LISETTA.
Quanta inquietezza, e quanta
Pena la mia sovranità mi costa!
Ciocchè confusamente udimmo dire,
Che quell'Armen...
Sì quello
D'alleanza fra noi v'è sul tappeto
Un trattato segreto: onde famosa
Sarà questa locanda al par di Breda,
Di Munster, d'Utrect e d'Osnabrucco.
Vedete quante cose! io son di stucco.
Ma costui finalmente è un re davvero.
TEODORO presentando a Lisetta l'anello ricevuto da Belisa.
Lo sposalizio anello.
(Ma Sandrino m'inganna: e perché dunque
La sorte ricusar, che si presenta?)
Sposa e regina io ti dichiaro omai:
E tu, Taddeo, mio general sarai.
Detti, e SANDRINO che a mezzo terzetto sopraggiunge e resta indietro a udire.
(Pone in dito a Lisetta l'anello.)
Omai confido a te.
Comanderà con me.
(Esce Sandrino e resta indietro ascoltando.)
TUTTI.
Sì strana meraviglia,
Credibile non è.
SANDRINO facendosi innanzi a Teodoro, e mostrandogli un foglio.
(Che sorpresa impreveduta!)
De' gigliati cinquecento.
TEODORO, TADDEO, LISETTA, a tre.
SANDRINO mostrando sempre il foglio.
O a me fatene lo sborso,
O al consiglio de' Quaranta
Per costringervi a pagar.
TEODORO, TADDEO, LISETTA, turbati, a tre.
Son derisa.
Son confuso.
(Saprò ben cosa mi far.)
TEODORO, TADDEO, LISETTA, a tre.
E non so cosa mi far.
Intendesti, signor: altri discorsi
Sono inutili omai. (Così vendetta
Fo di quell'impostor, di quell'infida.)
E si poca creanza...
E si poco riguardo...
SANDRINO a Lisetta, con ironia.
Ah se t'offesi...
Io ti chiedo perdon, bella regina.
(A Taddeo.)
Inclito general, perdon ti chiedo.
L'ardir di cotestui, l'impertinenza
La sofferenza mia: vieni Taddeo
Tí punirem, Sandrin. Ti sieguo, o sire.
E quando fia che sopra il soglio assisa
Lisetta io veggia?... Ma che miro! è quello
L'anello che il sultan donò a Belisa.
Gran giro in un sol dì fe' quell'anello.
E fino a quando ancor gl'insulti tuoi
Dovrò soffrir? Dunque per te sì poco
È l'avermi tradita,
Che al tradimento anche lo scherno aggiungi!
(Sdegnata.)
Và, nè più presentarti agli occhi miei,
Più non credo a un cor fallace
E l'infedel d'infedeltà mi accusa.
Or fidatevi pur, creduli amanti,
Di femmina che amor promette e giura;
Le fan passar d'un in un'altro amore,
E cangian loro in un momento il core.
Son tutte incostanti,
Specchiatevi in me.
Sì instabil non è.
Eppur francamente
Da lor rivolgete
(Parte esteriore della locanda con veduta del ponte di Rialto, e sue vicinanze. Gente sopra il ponte, e sulla strada. Gondole sul canal grande che passano sotto il ponte, e altre barche che stan ferme.)
TEODORO con LISETTA, e ACMET con pipa in compagnia, di BELISA, sopra il terrazzino della locanda; GAFFORIO e TADDEO sulla strada.
CORO DI GONDOLIERI.
Chi divertir si vuole,
Sull'acque a passeggiar.
E in gondoletta andar.
CORO.
CORO.
Senza timor che alcuno
Senza di te non lice
De' nostri nazional divertimenti?
La gaia libertà di quei concenti
Gratissimo piacer desta nel core.
Di cotesto spettacolo
L'inusitata bizzarria diverte.
Si vede il buon amor, la contentezza.
E della nazion l'indole allegra.
Tosto si rechi anche a costui.
Che pipa?
Bella creanza inver! fumar tabacco
E non ha torto.
Voi donne sempre, e in tutto
Ed in gondola andiam, se pur v'aggrada,
Sul canal grande a passeggiar.
(Toglie ad Acmet la pipa e la gitta nel canale.)
Si vada.
Signor, scusa vi chiedo: ho qualche affare
Che per or mi richiama al gabinetto.
Andrem noi.
(Si levano tutti. Belisa, Acmet e Lisetta partono dalla terrazza.)
Ho qualche cosa a dirti.
A momenti, signor, sono a obbedirti.
GAFFORIO e TADDEO, sulla strada.
Vedi, Taddeo, che grazie al Cielo omai,
Com'io disposto avea, fra i due monarchi
Regolarmente e senza
Difficoltà seguì l'abboccamento.
Grandi rivoluzion da quel congresso
In crocchio famigliar senza apparati,
I grandissimi affar si son trattati.
Ma vien Belisa e Acmet; al quartier nostro
Vieni; e là troverai la tua patente
Di general già sottoscritta e pronta.
Ci rivedrem; t'attendo in breve; addio.
BELISA, ed ACMET col seguito de' suoi servi, e TADDEO.
Scusa di grazia; ir sul canal vogliamo.
I gondolieri avvisa.
E colui dunque
È tuo fratello? due curiosi invero
Singolari cervelli ambedue siete.
ll vostro è raro inver; bel trattamento
A mio fratel faceste!
Che altro dovea far mai
A un sovranel ridicolo e pigmeo?
Così pigmeo com'è, val più di voi
Per piccolo che sia,
A qualunque gran re morto o deposto.
Ma tu m'insulti.
Che insultiate voi me; veggo oramai
Ch'è impossibile affatto
La creanza insegnarvi e il civil tratto.
Signori, già le gondole son pronte.
Olà, che lauta mensa al mio ritorno
Mi si prepari; inviterem con noi
Or dunque andiam, come propor ti piacque,
Colla barchetta a passeggiar sull'acque
(A Belisa.)
Il mio voler intendi,
(A Belisa.)
T'obbedirò, tu sei
(Da sè.)
Ch'io sono Acmet ancor.
(A Belisa.)
(Belisa e Acmet vanno a imbarcarsi sopra una gondola, e il seguito d'Acmet sopra un'altra, e intanto si replica il coro.)
CORO.
Chi divertir si vuole,
Sull'acque a passeggiar.
E in gondoletta andar.
Mi comanda costui con tant'altura
Come s'io fossi schiavo suo: pertanto
Lo compatisco: ancora
Non può saper che generale io sono
Quando il saprà, mi chiederà perdono.
Se alcun m'avesse detto
Che suocero d'un re, che generale
Un giorno io diverrei, gli avrei risposto
Eppure... eppure è un fatto.
Nondimeno ogni cosa in questo mondo
Ha il suo diritto e il suo rovescio: il mio
Grado di general gran sorte in vero,
Ma in obbligo mi pon d'ire alla guerra,
E farmi sbudellar gloriosamente.
Gran contrasto nel core e nella mente
Mi fan l'onor, la gloria e la paura;
Conviene fare riflession matura.
Questo mio generalato,
Su dunque alla reggia;
Cari ospiti, addio; Già pongo in obblío
(Gabinetto.)
TEODORO, che pensoso si asside sopra una sedia presso a un tavolino, e GAFFORIO.
Va de' nostri desir. Già col sultano
Amicizia stringesti, e già tra voi
Gettate son le prime fondamenta
Utilissima a te: già di Lisetta
Il possesso otterrai: per la patente
Il danaro a sborsar pronto è Taddeo;
E tu pur te ne stai con faccia mesta
Mille tristi pensier covando in testa?
Gafforio, io veggio ben che le speranze
Colla realità mesci e confondi.
Pe' miei interessi indifferente assai.
E ciò che da Taddeo ti riprometti
È dubbio ancor; ed agli urgenti e grandi
Bisogni miei recar non può che lieve
Passaggiero sollievo. E bruscamente
Di chiamarmi in giudizio, e se seguisse
Un sospetto di fuga, una cattura...
Ah che il solo pensier mi fa paura!
Allor de' creditori
Si solleva il vespaio, e tutti a un tratto
Potrian venirmi sopra in quella guisa
Corrono a morder l'abbattuto e il vinto.
Tormentando la mente!
Ah tu non sai
Qual feci, giorni son, sogno funesto
Che non ti dissi ancor: ma che l'istanza
Di quel duro Sandrin più vivamente
Ora lo rende al mio pensier presente.
Qual sogno è dunque mai, che tanta tema
Non era ancora
Allor che i languidi
Tutti ingombrò.
Ed ecco apparvemi
Qual chi dimagrasi
Tessuti avea
Di citazioni,
E pagherò.
Indi volgendomi
Io sono il Debito,
Si dileguò.
E più nell'animo
Da quel momento
Non ho contento,
Pace non ho.
che sol per donnicciuole e per fanciulli
Spauracchi son, dunque potran la forte
Ma Taddeo venir veggio a questa volta
Ritirati, signor, lasciami seco.
Vado; ma tu frattanto
Per ogni modo disviar procura.
Povero sire, inver mi fa pietà!
(A Taddeo che viene.)
Io parlar ti volea.
Son qua, favella.
Con tua figlia il mio re vuol che in quest'oggi
Compiasi il matrimonio: eseguir dessi
Il sovrano voler: giusto è che prima,
Del nuovo onor veggasi il padre adorno.
Attendi; e in un istante a te ritorno.
(Entra.)
Che generoso re! Qual luminosa
Figura in breve far dovrà Taddeo
Ah ch'io perdo la testa e mi confondo.
(Gafforio torna con una gran patente in mano, seguito da un cameriere che porta l'uniforme.)
La patente ecco qua di generale.
Certe tasse vi son, che in tutti i stati
Soglion pagarsi indispensabilmente;
Ma questo non è niente
Lo credo.
Il mio uniforme volontier ti cedo,
Conciossiachè son general anch'io.
Non l'ho portato ancor; larghetto è alquanto
Pel dosso mio; a te star dee d'incanto.
Nè più mi costa che zecchini cento.
Cento zecchini! è un po' caretto in vero,
E la patente?
Più o meno, secondo
La generosità del candidato.
Ma pur?
Mille zecchini;
E qualche volta ancor sino a due mila.
Che diavol dici mai? vuoi rovinarmi?
Io diverrei un general spiantato.
Danaro non fu mai meglio impiegato.
Scordati ciò che fosti: a nuova vita
(Taddeo si leva l'abito che ha indosso, e si pone l'uniforme aiutato dal cameriere.)
Ad altre cure
Che diavol fai? tu vuoi
A meraviglia!
Muover mi posso appena.
Tanto meglio
Più avrai del militar. Ecco la spada.
Se non hann'altri difensor che me.
Ormai ti lascio, o general Taddeo
Tu recami il danar tosto che puoi.
Ma general fratello, e come vuoi
Che assieme por tanto danar poss'io?
Eh non ti sgomentar, pensaci; addio.
Colla sua flemma e gravità costui
Grande è in vero l'onor; ma costa caro.
Pur non ci sgomentiam, so che ogni conto
Ammette il suo difalco; esagerati
Anch'io so fare i conti; anch'io gli ho fatti;
Poi si discorre, e alfin si viene ai patti.
Ma vien Lisetta. Appressati, mia figlia,
Rimira il quondam locandier tuo padre
Trasfigurato in condottier di squadre.
Inver altr'uomo, o genitor, mi sembri
Ma dimmi, or ch'hai quell'uniforme indosso,
Già gorgogliar mi sento entro del cranio.
Mi sento brulicar dentro le vene.
Mi si slargan le idee: sento ingrandirmi,
E di me stessa divenir maggiore.
L'alma s'innalza e mi s'ingrossa il core.
Sempre vi mischierò.
Quando il comando avrai
I colonnelli, i pifferi
E i tamburin farò.
Che gran vicissitudini
Che strane metamorfosi
A DUE.
Or dunque vadasi
Ad occupar.
Or dunque vadasi
Ad occupar.
A comandar.
A governar.
(Grand'atrio nella locanda sostenuta da un doppio ordine di colonne. In fondo balaustrata che corrisponde sul Canal grande, sul quale si vedono trapassare gondole e tutt'altra sorte di barche. Serventi che preparano la tavola.)
Già fatto è il colpo: in breve
Dovrà pagar quel venturier: non io
Fui sol che feci contro lui ricorso;
Ma mille creditor fecer lo stesso.
Anzi udii che il governo, indotto e mosso
Da forti impegni, si varrà di questo
Per arrestarlo e ritenerlo in carcere;
Qual uom che instiga i popoli a rivolta,
E gli altrui dritti e titol regio usurpa.
Se tanti egli ha sedotti, io non stupisco
Se Lisetta e Taddeo sedusse ancora.
Ma vien ei già coll'uniforme indosso
Si vide mai sciocchezza eguale a questa!
L'ambizion è un brutto mal di testa.
(Parte.)
TADDEO chiama i serventi della locanda, che vengono ad udire i suoi ordini.
Olà serventi e camerieri!... Udite
La volontà del general Taddeo:
A me più non convien mestier plebeo
Tu dispensier, tu cantinier sarai;
E tu che hai più di galantuom mostaccio,
Prolocandier ti faccio.
Or gravemente in uniforme e in spada,
Belisa e Acmet ad incontrar si vada.
ACMET con BELISA che scendono dalla gondola in fondo dell'atrio, serviti da TADDEO.
Fa il tuo dovere
Che or tocca a te.
Perché quell'abito
Quell'uniforme,
Taddeo, perché?
Che meraviglia
Che generale
Sia chi la figlia
TEODORO con GAFFORIO, indi LISETTA, e DETTI.
TEODORO a Taddeo, salutandolo.
(Ad Acmet.)
(A Belisa.)
Se tutto è servito,
Già tutto servì.
TUTTI.
A tutti la gioia,
Dunque con Teodoro
Sì... l'imeneo... cioè...
Cosa vuol dir, cioè?
Contratto: così è.
Che nuova abbiam?
Dell'Opera
Si parla molto.
Sì e no.
Chi è pro, chi contra.
Che può capir costui!
Vi foste voi?
Vi fui.
Che ve ne par?
Come?
Ove si vide, e quando
Fu il mio serraglio ancor.
Gusto non è fra voi.
Lo strano e inverisimile
Di vostro gusto è ognor.
Giunser de' forestieri.
Di qual nazion?
TUTTI.
Ed io non la perdono
TADDEO, ACMET, BELISA, GAFFORIO, a quattro.
TEODORO, LISETTA a due, ciaschedun da sè.
GAFFORIO a Teodoro, vedendo venir la gente di giustizia.
Chi son costoro?
Gli esecutori.
Ah ch'io già tremo!
De' guai per te.
MISSIER GRANDE, con seguito di gente di giustizia, che scendono dalla gondola, e Detti.
Venir con me.
TADDEO, LISETTA, GAFFORIO, BELISA, a quattro.
A quel che fate,
Compir si de'.
Almen, Missiere,
Dite il perché.
Saper volete
Dunque il perché?
TUTTI.
Sì, sì, leggete
MISSIER GRANDE, cava di tasca un foglio e lo legge.
«Venti mila gigliati ai Tunesini;
«Quattro mila e seicento ai Livornesi;
«Ghinee quindici mila e due scellini,
«Per più cambiali ai negozianti inglesi;
«Quaranta mila ottantasei fiorini,
«In vari tempi e date, agli Olandesi.
«Debiti innoltre in Cadice, in Lisbona,
«In Amburgo, in Marsiglia, in Barcellona.»
ACMET, TADDEO, LISETTA, a tre.
Oh quanti debiti!
Tanto il suo regno
Valer non può.
Ecco la spada;
(Teodoro consegna la spada a Missier Grande.)
TUTTI.
Come in un subito
Tutto cangiò.
Gli affetti tuoi;
Vado, ma poi
(Parte in mezzo alla gente di giustizia.)
Lo seguirò.
(Parte.)
Il mio pronostico
Già s'avverò.
Il mio berlicche
L'indovinò.
Qui più non sto.
(Sandrino esce dall'altra parte.)
Che fu Lisetta?
Che fu Taddeo?
E tutto al diavolo.
Or tu vedi per chi m'abbandoni?
E fia ver che ingannata mi sia?
Vita mia, colpa alcuna non ho.
E mio |
|
E tuo |
L'amor vostro turbar io non voglio;
Rimanetevi in pace, men vo.
(Parte.)
Di quest'abito presto mi spoglio;
Più patenti e uniformi non vo'.
(Parte.)
Dunque tu m'ami ancor?
A DUE.
Sempre lo stesso oggetto
Anima mia!
Mio bene!
A DUE.
Dimentichiam le pene,
(Prigione.)
TEODORO, poi tutti uno dopo l'altro.
D'ogni intorno
Dunque questa catacomba
È la tomba
Questo è il regno
E questo è il trono?
Questi dunque i stati sono,
Ma pur veggio in lontananza
Di speranza
Che coraggio
Che consola
Ogni meschino
Già vicino
A disperar.
Non mi seccar così.
TADDEO riportando l'uniforme, la spada e la patente.
Ch'io mi sciolgo d'ogni impegno.
Questi è il re, questi è colui
LISETTA, TADDEO, SANDRINO, GAFFORIO, a quattro.
Come! tu sei sua sorella?
Tu del sangue principessa!...
Ite pur, non m'affliggete,
TUTTI.
Ciò che alletta il core umano,
Quanto è vano, quanto è frale!
A far la vendetta
Di tutti i tuoi torti
Farete soggiorno,
A voi manderò.
Or che ho la mia sposa
Più irato non sono
Più istanza farò.
Son sempre di quello
Che solver non può.
Allor che vedranno
Che un soldo non hai,
Ti libereranno,
O vogliano o no.
Esempio son io,
Esempio sei tu.
TUTTI.
Mai nulla di stabile
Al mondo non fu.
In pace lasciatemi
(Si ritira.)
TUTTI.
Chi in cima sta, chi in fondo;
Tranquillo può restar.
FINE DELL'ATTO SECONDO, ED ULTIMO.