Giovanni Battista Casti
Opere scelte di Giambattista Casti
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POESIE SCELTE

LA CAMICIA DELL'UOMO FELICE

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LA CAMICIA DELL'UOMO FELICE 1

 

NOVELLA GASTIGATA

 

Arsace a sollevar dalla mortale

Melancolia crudel, che sì l’afflisse,

Senza sapersen la cagion del male,

Che non si fece mai, che non si disse?

Tutta la facoltà medicinale

Pillole, droghe e farmachi prescrisse;

E tutti i venturieri e gl'impostori

Divenuti eran medici e dottori.

S'immaginar spettacoli novelli;

E piacer ricercati e pellegrini;

Ed uno fu dei lor pensier più belli

Di far venir d'Europa i burattini,

E da Napoli i cola e i polcinelli,

E da Bergamo i zanni e gli arlecchini;

E se altri sono in altre regioni

Più luminosi e celebri buffoni.

Ma tutti eran rimedii incerti e vaghi,

E vani espedienti e senza effetto;

Onde per ritrovar cosa che appaghi

Le speranze de' sudditi e l'affetto,

Fu convocata l'assemblea de' maghi,

A cui credeasi risedesse in petto

D'ignote cose la scienza arcana

Superiore a intelligenza umana.

Talor, ma raro assai, quell'adunanza

Soleasi unir con potestà plenaria

In casi di grandissima importanza,

O in qualche occasion straordinaria,

O grave perigliosa circostanza,

Che indispensabil renda e necessaria

Determinazion pronta, e pront'ordine

Per por riparo a qualche gran disordine.

Così i Greci in affar di conseguenza

Consultavan gli oracoli dei numi;

Così i Romani, giusta l'occorrenza,

Delle Sibille aprivano i volumi;

Così in casi talor di coscienza

Imploriamo anche noi consiglio e lumi

Da paffuti dottor, per lo più frati

Nella teologia laureati.

Il grave esterior, le rase chiome

Dan lor d'opinion l'alto vantaggio,

Con barbe lunghe sino al basso addome

Venìano lenti lenti; e al lor passaggio

La man sul petto il popol ponsi, come

Par suole in segno di rispetto e omaggio;

Che color riveriti e riguardati

Eran come del Cielo i deputati.

Io dir non vi saprei per qual sventura,

O piuttosto per qual fatalità

Da noi credito ottien più l'impostura,

che la semplice e nuda verità;

Forse non se le bada e non si cura

Per quella stessa sua semplicità,

E il tren dell'impostor colpisce gli occhi,

Appaga i sensi e impon rispetto ai sciocchi.

In un ampio salon quei babbuassi

Siedonsi a corte, e custodisce e guarda

Truppa i passaggi attorno, e all'erta stassi

Brusca, e indietro a respingere non tarda

Chiunque colà volga incauto i passi,

A colpi di spuntone e d'alabarda.

Di soldatesca a duri modi avvezza

Son privilegi impertinenza e asprezza.

Quali oracoli allor aprir la bocca

Quei vasi di saper; ma non l'apriro

Che per dir cosa stravagante e sciocca.

D'ogni scempiezza e d'ogni lor deliro

Non vi farò noiosa filastrocca;

Dirovvi sol che a maraviglia uniro

A interesse, ad orgoglio, ad arroganza

La superstizion e l'ignoranza.

Chi disse, che il sultano una moschea

Della più ancor delle moschee più belle

Al gran profeta edificar dovea;

E chi doversi consultar le stelle,

E che al sultan trovarsi sol potea

Rimedio dalla inspezion di quelle;

Chi disse, acciò il sultan s'allegri e svaghi,

Il governo lasciar doversi ai maghi

Chi disse, ch'ire a visitar la Mecca

Dee lo stesso sultan, ma da suo pari,

Cioè non far visita magna e secca;

Ma seco aver cameli e dromedari

Carchi di doni, e che d'Ormus la zecca

Quanti occorran fornir debba danari;

E se alla Mecca al mal la medicina

Non troverà, la troverà a Medina.

Ma il venerando Abumelek già sorge,

Ed alto arcano espettorar già vuole.

Nell'adunanza al sorger suo si scorge

Muto rispetto, ed alle sue parole

Riverente ciascun l'orecchia porge.

La sapienza sua venera e cole

Ormus, l'Eufrate, il Tigri, e le disperse

Nazion sulle sponde Arabe e Perse.

Il guardo pria solleva al ciel, poi dice

Solo indicar ciò che si cerca, io posso.

Al sultan ricovrar soltanto lice

La sua primiera ilarità, se indosso

La camicia si pon d'un uom felice.

Solo per modo tal da lui rimosso

Fia l'estremo languor che sì l'affanna.

Chi altri rimedii a lui propon, l'inganna.

Chi trovar tal camicia avrà la sorte

Gran premio s'abbia, ed il sultan l'ammetta

Fra li primari satrapi di corte.

Tal camicia si cerchi, a che s'aspetta?

Si trovi tosto ed al sultan si porte,

E calda calda indosso se gli metta;

E tosto che il sultan indosso avralla

Tornerà lieto: Abumelek non falla.

D'Abumelek alla proposta strana

Ciascun s'acqueta e replicar non osa;

E del gran mago la dottrina arcana

Passò per certa anzi infallibil cosa;

E ciaschedun lodò la sovrumana

Virtù della camicia portentosa,

Ciascun chiose vi fa, ciascun ne parla.

Resta solo a saper, dove trovarla.

Prima in Ormus e in ogni suo contorno

Cercàr felici, e non trovàr niente;

Onde d'Asia spedir per ogni intorno

E satrapi e bascià, chi ad occidente,

E chi a settentrion, chi a mezzogiorno,

E chi all'ampie contrade d'oriente.

Color partiro e scorser quinci e quindi

Persi, Fenici, Armeni, Arabi ed Indi.

Vider d'orgoglio turgidi monarchi;

Ch'eterna ambizion rode e divora;

Viderli ognor del pubblico odio carchi,

Tremanti e mai sicuri in lor dimora,

E a cui dei veri ben gli Dei fur parchi.

Falso splendor, che i vani oggetti indora,

Sui mortali elevarli invan pretende,

E fra loro i più miseri li rende.

Vider chi profondea ricchezze immense,

D'avaro genitor ampii tesori,

ln lusso, in feste, in equipaggi, in mense;

Ma dell'oro i satelliti timori,

E d'ammassar l'avide voglie intense

Agitavano il cor dei possessori;

E la noia maggior d'ogn'altra pena

Lor la vita amareggia ed avvelena.

Un dervis poi trovàr, di quel turchesco

Ordine monacal l'institutore

Di cui l'opposto fe' di san Francesco.

L'uno è di penitenza e di rigore,

L’altro è un ordin d'un genere burlesco.

Che qui ciascun secondo il proprio umore

Giudichi, in quanto a me son buon cattolico

Ma l'allegro amo più che il melancolico.

Or come aver colui la gioia in viso,

E negli atti lo scherzo ognor fu visto,

E sulle labbra la facezia e il riso,

Per lo sultano addolorato e tristo

I due bascià d'Ormus furon d'avviso

Della camicia sua di far acquisto;

Ma poi s'avvider ch'arte, e non natura

Quella ancor sostenea gaia impostura.

Chi vantava splendor di ceppo antico,

E le fumose immagini degli avi,

E profusi favor di prence amico,

E privilegi e onor, tracolle e chiavi;

Ma dell'invidia e dell'astuto intrico

E di lor vanità vittime e schiavi;

Sollievo certamente al mesto sire

Le lor camicie non potean fornire.

Chi fra vezzi lascivi e lusinghieri

Vita traea voluttuosa e molle;

Ma l'eccesso del vizio e dei piaceri,

Gli fiacca i sensi ed il vigor gli tolle,

E fra sospetti immaginati e veri

Per gelosia spregevol fassi e folle,

le camicie loro al tristo tedio

D'Arsace offrir potranno alcun rimedio.

Altri col perspicace alto intelletto

L'opre e gli arcani di natura apprese,

E quanto in ogni età fu fatto e detto;

Onde fra i dotti celebre si rese

Pien di filosofia la lingua e il petto;

Ma intollerante zel di mira il prese,

La letteraria cabala, il livore,

La possente ignoranza e il vecchio errore.

Massa infelice è il resto de' viventi

Allo scherno, all'insulto ed all'oltraggio

Esposta ognor de' forti e de' potenti;

Onde nella fatica e nel servaggio

Mena mesti fra miserie e stenti;

E dal penoso lor lungo viaggio

Trar non avean potuto alcun profitto

I messaggieri del sultano afflitto.

E sospirando ripetean talora,

O uomini felici, ove voi siete

fate soggiorno sulla terra ancora,

O noiati di noi sdegnato avete

Coi mortali comune aver dimora?

E cercaste spirar aure più liete?

E immersi in quel pensier torbido e tetro

Tornavan mesti e mal contenti indietro.

Dall'Egeo sino all'Indico oceano

Per borghi, per castella e per città

La camicia fatal cercata invano,

Che reca al possessor felicità,

A far fedel rapporto al lor sovrano

Ritornavano i satrapi e i bascià,

Che la camicia tanto ricercata

Del felice mortal non s'è trovata.

Così al can notator talun per spasso

Getta pietra sul fiume, e il can nell'onda

Per addentarla gettasi, ma il sasso

Sotto acqua rotolandosi s'affonda.

Indarno il can lo cerca, onde alfin lasso

Torna al padron che aspetta in sulla sponda;

E a lui par che confuso e sconsolato,

Dica, Caro padron, non l'ho trovato.Dunque, fra lor dicean cammin facendo

Abumelek, che ne' prestigi suoi

Fu infallibile ognor, grande e stupendo

Oracol di magia, ei stesso poi

crudelmente or vassi divertendo

Con tai ciance a ingannar Arsace e noi,

Noi bracchi di chimerica camicia,

D'ambasciador col titolo invernicia?

La costa occidental di Natolia,

E dell'Eussin le region rimote,

E d'entrambe le Armenie, e di Soría

Le città scorse più famose e note

Un paio di quei satrapi venia,

Andar vedendo le speranze vòte,

Per imbarcarsi a Bassora, e per mare

Alla reggia d'Ormus di passare.

Dell'Eufrate perciò varcàr le rive,

E nella terra entrar che la Scrittura

Nel libro della Genesi descrive,

Ov'aura allor spirò nitida e pura,

E far delizie d'amarezza prive,

Ed ove nello stato di natura

La prima madre e il primo genitore

Visser felici almen ventiquattr'ore.

Anzi un arabo autor perito e dottoIn ciò che ha di più raro il tempo antico(Che però ciecamente io non adotto),

Marca il sito preciso, ov'era il fico

Che fra noi tanto mal poscia ha prodotto.

Io non vo' garantirvelo; ma dico

Che quella terra oltre ogni dir feconda

Di bellissimi fichi anch'oggi abbonda.

Progredendo incontràr valletta amena,

D'onde esalava odor di Paradiso,

Di campestri vaghezze adorna e piena.

Ivi un pastor sopra l'erbetta assiso

Gía modulando boscareccia avena.

Due villanelle leggiadrette in viso

Presso lui canestrin con mano industre

Fean di giunco e di vimine palustre.

Il fido can giace al pastore accanto,

E svelto, agil di membra e vigoroso

Contadinotto e danza e canta intanto

Avanti a lor sul praticello erboso,

E coro fan le villanelle al canto

Con gaio intercalar melodioso,

E di letizia il bosco e i colli attorno

E tutto empian quel pastoral soggiorno.

Soffermansi i due messi in sul sentiero

Del silvestre spettacolo all'aspetto.

La pura gioia ed il contento vero

Di quella gente avventurosa in petto

Trasfonde ai due messaggi un lusinghiero

Non conosciuto pria dolce diletto,

E ad osservar quel boscareccio crocchio

Stansi senza aprir bocca e batter'occhio.

Stati alcun tempo taciti ed attenti,

Al compagno un di lor fe' manifesta

L'emozion che prova in cor: Non senti

Tenero senso, gli dicea, che desta

La gioconda armonia di quei concenti

A veder tanta gioia e tanta festa,

Caro satrapo mio, di', che ne dici?

Color non si diria, che son felici?

Ma come in gente mai povera e sbricia

Possibil fia che un giubilo si veggia,

Che non si suol fra nobiltà patricia,

E in gran città trovar e in alta reggia?

Possibil fìa che la fatal camicia

Cercar fra alberghi pastoral si deggia,

Che in van finor fra le mollezze e gli agi

Trovar sperossi e in splendidi palagi?

Amico, quei risponde, io tel confesso,

Sorpreso a primo colpo anch'io restai;

Di cotal gente l'esultanza io stesso

Con maraviglia e con piacer mirai;

Ma più maturo poi fatto riflesso,

Vidi e compresi ben, che non può mai

Gente d'ogni agio priva e altrui soggetta

Aver felicità solida e schietta.

Di rozzi abitator di boschi e valli

Quelle le usate son rustiche ferie;

Ma non già di color i canti e i balli

Son vere gioie e contentezze serie;

Ma rapiti momenti ed intervalli,

Che frappongono ai stenti e alle miserie,

E dopo quel brevissimo solazzo

Tornano alla fatica e allo strappazzo.

Così se asino ancor la fune snoda,

A cui legato lo lasciò il villano;

Con ritte orecchie e con arcata coda

Saltar lo vedi sull'erboso piano;

E ragghia e scherza, e ti parrà che goda

Ma dopo il breve ruzzo e il gaudio vano

Di nuovo il vettural lo sottopone

Alla fune, alla soma ed al bastone.

Troppo, satrapo mio, l'altro ripiglia,

Fitte in capo ti stan l'idee di corte,

Troppo quel tuono al cortigian somiglia,

Qualunque stato abbia destino o sorte

Assegnato a ciascun che si consiglia

Colla ragion, sa ben come sopporte

Privazion di ciò ch'agi tu appelli,

sua felicità ripone in quelli.

Poich'ei fatti ebbe questi e altri riflessi,

D'interrogar per ischiarir le cose

Sul loro stato quei pastori istessi

Al cortigiano satrapo propose;

Onde mezzi non sieno e modi omessi

Di pervenire al ver; e quei rispose

Giacché così filosofar t'aggrada,

Disinganniam le astratte idee: si vada.

Sovr'essi, poiché viderli appressare,

Fissár gli sguardi, e li stimàr coloro

Ai gran turbanti, all'abito talare

E al satrapesco esterïor decoro

Personaggi di rango e d'alto affare,

E interrupper la danza e i canti loro,

Non sapendo qual fin, qual interesse

Satrapi e cortigian colà traesse.

Perchè, o pastor, diceano i messaggieri,

Perchè per noi cessar? noi gl'innocenti

A turbar non veniam, vostri piaceri;

Ditene sol quai fausti avvenimenti

Qual ragion (poiché qui noi siam stranieri)

lieti oggi vi rende e sì contenti?

E da quei che la danza avea sospesa

Franca risposta ai messagier fu resa.

Chiunque siate voi, non già vedeste

Rare cose fra noi straordinarie.

Pastorali abitudini son queste,

E costumanze solite ordinarie;

Onde non dure sembranci e moleste

Le cure nostre giornaliere e varie.

E quai cure elle son? chi ve le impose?

Richieser quelli, e il villanel rispose

Stranier, noi grazie al Ciel, di gran signori

Al dominio il destin non sottopone.

Siam poveri, ma liberi pastori.

Non qui d'avaro burbero padrone

Denno il lusso nudrir gli altrui sudori,

qui gli ordini altieri alcun c'impone.

Non ci turbano il cor avide voglie,

E quel poco che abbiam, nessun cel toglie.

L'industrioso provvido cultore

Dolce compenso della sua fatica

Gode, quando al benefico favore

E di pioggia feconda e d'aura amica

Dal suol vede spuntar l'erbetta e il fiore,

Crescer le piante e biondeggiar la spica,

E in copia il nudrimento uscir dal seno

Dell'ubertoso fertile terreno.

Guidiamo ai paschi or sull'aprico colle

Le pecorelle, or nell'ombrosa valle;

Poscia del sole al tramontar satolle

In rozze le chiudiamo umili stalle,

E fornisconci il latte e il cacio molle,

E lane e pelli, onde coprir le spalle.

Talor proviam, se a noi di trar riesce

Nelle reti gli augelli, all'amo il pesce.

Sol queste son nostre ricchezze. Figlio

Di quel pastor che vedete, io sono.

Fresco e robusto è ancor: al suo consiglio,

Poiché sempre il trovai sensato e buono,

E con profitto e con piacer m'appiglio.

Allorché Mostanser era sul trono

Fu in Bagdad giovinetto, e ad anni venti,

Era già guardian dei regii armenti.

Ma de' ministri l'alterigia stolta

Sdegnando, del sultan dopo la morte

Qua venne; e delle iniquità talvolta

Della città parlando e della corte,

Coll'esempio la voglia a noi ne ha tolta,

E contenti viviam di nostra sorte.

Le due che assise son su quell'erbosa

Piaggia, una è suora mia, l'altra è mia sposa.

Il colto suol ci nutre e ci sostenta,

L'opra di nostre man di che abbisogna

Fornisce ognun di noi, il più ci tenta;

di ammassar e primeggiar s'agogna,

Desir, che tanto mal tra voi fomenta.

La danza, il canto, il suon della zampogna

Dopo l'usato giornalier lavoro

A noi son di sollievo e di ristoro.

Stupiti i due bascià davangli ascolto,

Domandàr poscia: E nulla brami o speri

E quegli: Ho l'uopo mio, cerco il molto.

Restar mutoli alquanto, e fra pensieri

Fiso un l'altro guardandosi sul volto;

Al pastor poi rivolti i messaggieri

Dissergli alfin: Dunque tu sei felice?

E il pastor rispondeva: Il cor mel dice.

Ambo allor se gli stringono alla vita,

E di dosso il saion traggongli intanto.

Agli assassin, grid'ei, correte, aita!

E alte grida si levano e gran pianto

In tutta la famiglia sbigottita.

E i bascià: Non temer, cedi soltanto

La tua camicia e guiderdon ne avrai.

Ed ei: camicia a me? non l'ebbi mai.

In fatti il ricercarono, ma delusi

Trovàr ch'ei non avea camicia indosso;

Onde mesti partivansi e confusi,

E ch'esister potesse un grande e grosso

Garzon senza camicia contro gli usi

Comuni, parea lor un paradosso;

E credendo ottenuto aver l'intento

Vider svanire ogni speranza al vento.

Tornati dunque a Ormus con tristi auspici

Sparser della camicia i cercatori,

Che gli astri ai voti lor non furo amici,

E che delle camicie i possessori.

Come all'esterno appar, non son felici,

Sebben gli dicon tai gli adulatori,

E il volgo come tai li cole e officia.

Quei che felici son, non han camicia.

 

 






1 Narra il Casti in un'altra novella che il sultano Arsace, ricevuto in dono da un mago un misterioso berretto per virtù del quale, quando se ne coprisse, ei poteva far palesare i più segreti pensieri a coloro che con esso lui parlassero senza che eglino se n’accorgessero, volle farne sperienza con un suo favorito cameriere, il quale rivelò essere d'amor carnale riamato dalla Sultana. Arsace non potendo trarne vendetta perchè al mago donatore avea promesso di non mostrare cruccio,   sdegno di tutto ciò che scoprisse per virtù di quel berretto, cade in profonda melancolia.



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