Giovanni Battista Casti
Opere scelte di Giambattista Casti
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POESIE SCELTE

GLI ANIMALI PARLANTI

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CANTO PRIMO

CANTO SECONDO

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GLI ANIMALI PARLANTI

 

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CANTO PRIMO

 

LA DISCUSSIONE

 

ARGOMENTO

 

Lo stuolo de' Quadrupedi desia

Crear savio Governo, e in concistoro,

Al ragionar del Can la monarchia

D'adottar stabilisce, e già fra loro

Allo squittinio molti ammessi sono,

Acciò si elegga animal degno al trono.

 

Canto gli usi, i costumi, le vicende,

E l'ire animalesche, e di nemiche

Brutali schiere le battaglie orrende,

Che furo al tempo che le bestie antiche

Possedean la ragione e la loquela;

Cose che a noi dei tempi il buio cela.

Parlerò di materia affatto ignota,

Da cui forse trarrem qualche profitto.

La politica umana a tutti è nota,

dell'animalesca alcuno ha scritto;

Che se passabilmente io vi riesco,

Mi dican pur poeta animalesco.

Te che il corso del Sol reggi e governi,

O celeste Zodiaco, te invoco;

A te che i bruti cangi in astri eterni

Consacro i versi i miei; tu del tuo foco

Un raggio animator dall'alto invia,

Che infiammi al gran lavor la mente mia.

I membri più distinti e accreditati

D'ogni specie quadrupede di bruti

De' pubblici interessi incaricati

Eransi uniti, e s'eran già seduti

In una solennissima adunanza

Per affari dell'ultima importanza

Fissar dovean dopo maturo esame

Di governo legittimo la forma

Che convenir potesse a quel bestiame,

Prendendo i culti popoli per norma;

Un argin per opporre all'anarchia,

Che gran progressi ognor facendo gia.

Sapean, che l'anarchia, come di fatto

Negli stati accader vedean sovente,

Rompe di società qualunque patto,

E seco porta inevitabilmente

Conseguenze gravissime e funeste,

E de' corpi politici è la peste.

L'anarchia degli umor nel corpo umano

Come mortal considerar si dee;

E non è che un frenetico, un insano

Colui che ha in testa un'anarchia d'idee.

Di venti opposti l'anarchia produce

Tempesta in mar che a naufragar conduce.

In somma l'anarchia è d'ogni eccesso,

D'ogni calamità germe diabolico;

E l'inferno perfin, l'inferno istesso,

Secondo il più ortodosso e il più cattolico

Parer degli antichissimi nostri avoli,

Altro non è che un'anarchia di diavoli.

Perciò quei prudentissimi animali

Legislator, filosofi, politici,

Per porre alcun riparo a tanti mali,

Esami fean sintetici e analitici

Di qualunque governo o buono o tristo,

Repubblican, monarchico, oppor misto.

Se udiam gli aristocrati, il democratico

Egli è dell'anarchia fratel minore;

Se i democrati udiam, l'aristocratico

Egli è d'oligarchia fratel maggiore;

Chè, di giustizia e di ragion non è

Trascurar mille e favorirne tre.

Il misto è un certo amalgama posticcio,

Un non so che d'anfibio, o ermafrodito,

E specie di politico pasticcio

D'agri e di dolci intingoli condito,

Che avvicinar volendo e unir gli estremi

Di sua distruzion racchiude i semi.

In ciaschedun di lor trovi difetto,

Che unità manca in tutte e tre le forme,

Ove regna unità tutto è perfetto,

E senza l'unità tutto è difforme.

Moltiplice complesso ognor cadrà,

E l'anima di tutto è l'unità.

Fra molti governanti è ognor discordia;

Sempre guerra perciò gli uomin si fero;

Che fra gli stessi Dei stabil concordia

Esser mai non potè, l'attesta Omero.

E bestie avvezzo a oprar come lor piace,

Viver dovrian concordemente in pace?

Ciò ben sapean quell'erudite bestie,

Che unite eran colà solennemente

Per sottrarsi alle anarchiche molestie;

Ed erano convinte intimamente,

Che il governo monarchico è sol quello,

Che dir si può governo buono e bello.

E invero a esaminar la cosa a fondo

In monarchia s'unisce e si concentra

Quanto di buon, quanto di bello è al mondo

Onde fortunatissimo è chi c'entra;

E lo sfortunatissimo che n'esce

Debbe languir, come fuor d'acqua il pesce.

In monarchia si spira aura felice,

Che a ciascuno è di vita e sugo e germe.

Nella beata monarchia ti lice

Di tranquilli menar sicuro, inerme.

Possiede ognun sicuramente il suo,

E quel ch'è tuo sicuramente è tuo.

Viene la carestia? vien la gragnuola?

Chi vive in monarchia non muor d'inedia.

Vengono guai? la monarchia consola.

Manca danar? la monarchia rimedia.

Dal Ciel sono i monarchi prediletti,

Ei ne dirige opre, pensieri e detti.

Prendi uom rozzo e comun, fanne un monarca,

Tosto il favor del Ciel sopra gli piove;

Tosto divien di sapienza un'arca;

Nella testa di lui s'alloggia Giove.

Decide, ordina, giudica: un oracolo

Tutto a un tratto divien: pare un miracolo..

E perciò con ragion trasecolati

Restan quei savi, che un destin felice

Al fianco d'un monarca ha collocati,

Scorgendo in tutto quel ch'ei pensa e dice

Sublimi idee, pensier profondi e nuovi,

sanno dove diavolo li trovi.

In qualunque assemblea repubblicana,

E sia pur di Licurghi e di Soloni,

Scuote la face ognor discordia insana,

E attizza odio, livor, dissensioni.

Assai si ciarla, e si contrasta assai,

Nulla di buon non si conclude mai.

Chi da un lato la tira e chi dall'altro

E raro la ragione e la giustizia,

Ma sol dell'eloquente e dello scaltro

l'interesse trionfa, o la malizia;

Perciò ben dice un certo libro anonimo

Repubblica e disordine è sinonimo.

Divisa autorità che si distende

Su teste democratiche, o patricie,

E qual materia elettrica, che prende

L'estension di vasta superficie;

Più che ampiamente è l'una e l'altra estensa,

Tanto divien men vigorosa e intensa.

Se però quell'elettrico vapore

Si condensa, s'agglomera, s'ammassa,

Fulmin divien, che con alto fragore

Scoppia, e fa gran ruina ovunque passa;

Così il poter con più vigore agisce,

Se in un sol si concentra e riunisce.

Parla un sovrano? è come parli un Nume

Ode ciascun, pronto obbedisce e tace,

contraddir, replicar presume;

È legge universal ciò che a lui piace;

E par che accomunato abbia con lui

Lo stesso Onnipotente i dritti sui.

Che più? l'estro gli vien, mi crea ministro;

E sia pur io bestia ignorante, e sciocca,

Tutta la monarchia reggo e amministro;

Ho scienza nel cervel, sentenze in bocca.

Tolta da me la balordaggin prima,

Par ch'altro conio il mio padron m’imprima.

Ciò prova che il monarchico governo

È d'ogni altro governo il più perfetto;

E all'immortal somiglia ordine eterno,

Onde veggiam che l'Universo è retto

Ogni bene in stesso aduna e accoglie,

E ogni qualunque mal slontana e toglie.

Queste son verità chiare e palpabili,

Che in oggi a vero dir nessuno ignora;

Ma non meno di noi perite ed abili

Le bestie le sapeano infin d'allora;

Perciò fisso era in quel gran concistoro

Di stabilir la monarchia fra loro.

Sol discuter dovean se convenisse

Re creare assoluto; o patto o legge,

E alcune stabilir regole fisse,

Per cui vietato fosse a quei che regge

D'oltrepassare i limiti prescritti

Contro gli altrui riconosciuti dritti.

Onde ai propri interessi ei non potesse,

Siccome fare il più de' re fur visti,

Sacrificare il pubblico interesse:

In somma un re, crear, che i pubblicisti,

Giusta il tecnico lor vocabolario,

Soglion chiamare Costituzionario.

Volendo inoltre quell'augusto stuolo

La forma di governo stabilire,

Posto si voglia a un animale solo

La potestà suprema attribuire,

Esaminar dovea se conveniva

Ch'ereditaria fosse od elettiva.

Che ambo i sistemi in uso sono, ed hanno

Ambo i vantaggi loro, i lor difetti.

Da una parte si rischia ad un tiranno,

Dall'altra a un imbecille esser soggetti;

Perciò spettava al savio lor consiglio

Di bilanciare l'util col periglio.

Gli animali più forti e più potenti

Che un'aristocrazia avrian voluto,

Conseguir non potendo i loro intenti,

Ammetter non volean un re assoluto,

Che ogni privato dritto avrebbe escluso,

E a suo capriccio del poter fatto uso.

Volean però, per contenere i regi,

Che l'oro non confondano col fango,

E i giusti e meritati privilegi

Conservino a ciascun e il proprio rango,

Dividere in due camere e in due classi

Gli alti animali e gli animali bassi.

Rege elettivo inoltre aver piuttosto

Volean, chè ognun di lor più che altri degno

Credeasi d'occupar quell'alto posto

dubbio avean che in conferire il regno

Dagli elettori non si fosse fatta

Giustizia allo splendor della lor schiatta.

La gran pluralità però dei bruti

Contro quei forti e quei potenti istessi,

Dall'orgoglio de' quali eran tenuti

In servil dipendenza abietti, oppressi,

Trovar sperava in re assoluto e puro

Stabil sostegno e difensor sicuro.

Poichè a tutti coloro era ben noto,

Che re puro, assoluto, indipendente

Altro alfin non vuol dir che re dispoto;

regnar da dispoto impunemente

Gran tempo ei può, se strettamente unito

Non tiensi al democratico partito.

Di costoro alla testa era un Can grosso,

Arrogante, ardentissimo e feroce;

Lungo pel, muso nero, ed occhio rosso;

E di petto instancabile e di voce.

Ringhia con tutti ognor, brontola e sbuffa,

Pronto con tutti ad attaccar baruffa.

Avea per altro il don della parola,

E gli uscian bei periodi di bocca,

E per molti anni essendo stato a scuola,

Un saggio di politica barocca

Composto avea, che in quell'età lontane

Fu detta la politica del Cane.

Tali fur dunque allor fra gli animali

Le politiche idee, qual'io d'esporle

Ebbi l'onor, e il Can d'idee cotali

Profitto trarre, e non cangiarle, o torle

Procurò destramente, e questo è quello,

Che in tai casi si fa da chi ha cervello.

Onde in quell'assemblea volle a ogni costo

Primeggiare ed aver distinto luogo,

osando d'affettare il regio posto,

Capo-popol si fece, e demagogo

Più il regno non ambì, cangiò registro.

E aspirò a divenir primo ministro.

Un re, tra se dicea, aveva torto,

A forza di regnar spesso si secca;

Se dalle cure lo distrae l'accorto

Ministro, e a tempo il liscia, adula e lecca.

Come costante esperienza insegna,

Il re obbedisce, ed il ministro regna.

Della plebe quadrupede l'amica

Aura godeva ed era ai grandi in odio,

Come i tribuni già di Roma antica,

I Gracchi, i Saturnini, e Rullo, e Clodio,

Quando a parlar costui si fece avanti

Tutti applaudiro i democrati astanti.

E fino a quando inutili parole

Farem, dicea, cercando il quando, il come?

Alte e potenti bestie, un re si vuole,

Ma un re di fatti, e non re di nome;

Un re, che il giusto e il debole difenda

Contro chiunque a soverchiarlo imprenda.

Non curiam di gran prence i fregi esterni,

La pompa, il fasto, e l'apparato vano.

Savio prence vogliam, che ci governi,

Che abbia il poter, ch'abbia la forza in mano

, per altra ragione a conferenza

Convocati qui siam: grand'è l'urgenza.

Della baldanza altrui dura e proterva

Gli aspri non soffrirem modi oltraggianti,

Giacchè servir si debbe, a un sol si serva

il supremo potere usurpin tanti.

Legittimo padrone io non ricuso;

Serva chi vuol usurpatore intruso.

Leggi a chi regna impor, seco far patti,

Scusa vi chiedo, o bestie alte e potenti,

Vi proverò ch'egli è un pensar da matti,

E chimerici son regolamenti.

Non parlo invan, millanterie non trincio,

Ragiono da filosofo, e incomincio.

Spurgò, ciò detto, e fece alquanto pausa,

L'occhio girando intorno all'uditorio

Per osservar l'impression che causa

Il suo fervor politico oratorio.

Chè fatto fin allor non altro avea,

Che gli animi tentar dell'assemblea.

Altri per indolenza e per pigrizia

Al Can si riportaro interamente;

Altri per balordaggine e imperizia

A quella acconsentir bestia eloquente.

Che chi di spirto e di talenti è pieno

Domina ognor su quei che n'hanno meno.

Pochi, ma pochi assai v'eran, di cui

Erasi il cane assicurato pria:

Ch’ei non solea troppo fidarsi altrui,

Sapendo che il fidarsi è scioccheria

Chi distratto a quel dir l'attenta orecchia

Non presta, e chi sbadiglia, e chi sonnecchia.

Ma non dorme la Volpe; e non trascura

Un sì importante e critico momento,

Ch'anzi in opera por tutto procura

Il più fino e sagace accorgimento,

Sendo il furbo animal ben persuaso

Che il Can non opra mai, parla a caso.

Onde stassene attenta e vigilante

Qual piega ad osservar prendan le cose;

Che dichiararsi ella non vuol, se innante

Non scopre di ciascun le viste ascose;

E a tutto bada, e non badar s'infinge;

Ma il Caval sorge, ed a parlar si accinge.

Poi dice; o Can, noi qui ci siam raccolti

Per migliorar degli animai la sorte,

Noi d'ogni giogo pria liberi, e sciolti;

conprend'io qual trista idea ti porte

A proporci dispotica arbitraria

Autoritade, a ogni ragion contraria.

Sotto despota re nulla tu sei,

O sei solo ciò ch'ei vuol che tu sia,

E forse su di te provar tu dei

La verità della sentenza mia;

Onde pria d'annullar te stesso e noi,

Pensaci o Can; vano è pentirsi poi.

Pertanto scusa, amico Can, deh scusa;

Ma il tuo discorso a schiavitù ci mena:

Più poter che si han in man, più se n'abusa,

Se legittimo vincolo non frena

Il capriccio dispotico, che punge

Gl'indocili regnanti. E il Can soggiunge

Scusa tu, Caval mio; sei troppo ombroso,

E temi ove non son mali e perigli;

Credi prence assoluto un mostro esoso,

E alla volgar prevenzion t'appigli

Logico usar ragionamento astratto

Teco io non vo', vo' ti convinca il fatto.

Sa ognun di noi, quanto la specie umana

Sensatamente opra, ragiona, e pensa

L'illimitata autorità sovrana

Pur ella è sempre a sostener propensa;

E il poter assoluto ed arbitrario

Util non crede sol, ma necessario.

Senza di ciò quel bipede animale

Pieno di vanità, gonfio d'orgoglio,

Potria ripor sua gloria principale

In mantener i despoti sul soglio?

E in preferir l'utile lor privato

Al pubblico interesse, al ben di stato?

Non vedi tu con quanto ardor, con quanta

Ostinatezza scannansi a vicenda,

Acciò più forte ognor la sacrosanta

Autorità dispotica si renda?

Non vedi come ciaschedun s'onora

Del nobil giogo, e il dispotismo adora?

Se libere in te volgi idee secrete,

O muovi dubbio sol contro di quello,

Turbator della pubblica quiete

Tu sei chiamato, e al tuo sovran rubello.

Credi che l'uom così operar volesse,

Se ragion grandi e forti ei non avesse?

Onde su punto tal, Cavallo mio,

Gli scrupoli deponi, e i timor tuoi.

Despotismo vi vuol, te lo d'ich'io,

Su di me riposartene tu puoi;

Quando è il genere uman di tale avviso,

Caro Caval, questo è un affar deciso.

Era un Orso fra lor, cui l'uom già tenne

Per suo piacer gran tempo alla catena,

Onde a disciorsi, ed a fuggir pervenne.

Parlando il Cane, brontolava, e appena

Attese ch'egli di parlar finisse,

Che a lui si volse bruscamente e disse:

Tu che con tal gaiezza e compiacenza

Dell'uom l'esempio per model ci additi;

Propor credi animal per eccellenza,

E il più assurdo animal forse tu citi.

Propon di grazia, o Can, miglior modello,

S'ami che noi ci conformianno a quello.

Cui 'l Cane: Eppur all'uom, su cui si sfoga

Or l'antico astio tuo, servisti prima.

E l'Orso: Forse quei che ci soggioga

Esiger da noi debbe amore e stima?

Sorriser tutti, ed applaudiro all'Orso;

Ma il Can stè sodo, e proseguì il discorso:

Re, che di re non ha se non la scorza,

È un fantoccio di re, egli è un re nullo.

Impotente voler, che non ha forza,

Serve altrui di ludibrio e di trastullo

E quando un re è a termin tal ridutto

È meglio assai di non ne aver del tutto.

Che se poi della forza un re dispone,

in che d'autorità consiste il nervo,

Legge o patto al più forte invan s'impone;

Di leggi e patti ei men sarà mai servo:

Le leggi, i patti, e altre tai cose belle

Legano solo il debole e l'imbelle.

Ragion congiunta a sperienza insegna

Che ovcostituzion che freni e tempre

Il supremo poter, colui che regna

Della costituzion nemico è sempre,

E se ha la forza in man, le leggi abbatte

Che per temprare il poter suo fur fatte.

sol re non vogliam costitutivo,

E abbastanza finor dissi il perché;

Ma tampoco re vuolsi elettivo;

Poiché a ogni nuova elezion di re

L'urto de' concorrenti e de' rivali

Germe saria di rinascenti mali.

Re pertanto assoluto, ereditario,

Dico che a noi convien più che altro assai;

timor ci rattenga immaginario

Ch'egli ci opprima e tiranneggi: mai

Popol non fu, che finché volle, schiavo.

E i molti: Bravo! alto gridaron, bravo!

E i pochi a forza l'orgogliosa voce

Frenando si guardavano nel muso,

E contenendo l'indole feroce

Susurrando all'orecchia in tuon confuso,

Sicchè uditi non fosser dai lontani, Dicean fra lor: Sian maledetti i Cani!

O fosser falsi, o fosser veri e giusti

Di quel Cane audacissimo i discorsi,

Gli animai più potenti e più robusti

Liberamente e legalmente opporsi,

Risponder, contraddirgli avrian potuto;

di quel petulante avrian temuto.

Ma quell'audace bestia ha un gran partito,

E seco trae pluralità di voti;

Onde non voller d'animalardito

Inimicarsi i partitanti noti;

Perché ciascun di lor dentro di sé

Speranza avea d'essere eletto re.

Poichè, sebben sprezzanti ed orgogliosi,

Docili comparir sapean sovente,

Quando d'ambizion disegni ascosi,

O altro interesse lor volgeano in mente,

E avean fino il talento ed il coraggio

D'avvilirsi talor pel lor vantaggio.

Perciò con tanta nobiltà celare

Seppero allor l'interno lor dispetto,

Che quando il Can finì di perorare,

Chi un sorriso gli fece, e chi un ghignetto;

Onde credè il quadrupede oratore.

Aver di tutti guadagnato il core.

Dissimulazion! o sii sovrano

Dono del Cielo, o sii sublime e grande

Ritrovamento dell'ingegno umano,

I suoi favor per le tue mani spande

Fortuna, onde sicura in te confidi,

E l'infantil sincerità deridi.

Non così i grandi son dei nostri tempi,

Che l'ingenuità sempre han per duce;

mai la forza degli antichi esempi

La generosa indole lor seduce;

Ne avvilirebber mai l'animo altero

Per l'acquisto d'un regno o d'un impero.

Vero e però che il nobile costume,

E la vasta politica sublime

Spargendo or sulla terra un chiaro lume,

L'eroico egoismo ovunque imprime,

E di delicatezza i pregiudizi

Nella categoria ripon dei vizi.

Della filosofia al sacro foco

Scaldasi il mondo, e migliorando invecchia,

E le frivole scuote appoco appoco

Cavalleresche idee dell'età vecchia;

Di ciò inquietarsi non però conviene,

Lasciam le cose andar, che andranno bene.

Quell'assemblea, come diss'io, contraria

Non mostrossi del Cane al raziocinio;

E monarchia assoluta ereditaria

D'adottar stabiliro, e lo squittinio

Incominciàr dei concorrenti al trono,

Che molti e insigni pei lor merti sono.

Ma sapean quei quadrupendi elettori,

Forse più ancor degli elettor moderni,

Che convien lumi aver superiori

Per isceglier talun che ci governi,

E valutarne i merti, e andare adagio,

E non dare alla diavola il suffragio.

E senza previa esamina i sovrani

Armar d'autorità quasi infinita;

E ciecamente por nelle lor mani

Le sostanze dei sudditi e la vita,

L'onor, la stima, e quanto a ognuno è caro

Delle sostanze e della vita al paro.

Ne ignoravan però, che se si tratta

Di principe assoluto ereditario,

La cosa allor vien fuori bell'e fatta,

Chè fornito di tutto il necessario

Ei nasce, e appien de' suoi doveri instrutto,

È la stessa natura pensa a tutto:

E passa per istrana maraviglia

Di padre in figlio la virtù sovrana

Col sangue stesso di real famiglia;

Come scorrendo va l'acqua piovana

Di canale in canal, dal condotto

Goccia trapela, benchè logro o rotto.

Perciò natura oggi lasciar dobbiamo

Unicamente oprar su tai materie;

Ma dovean gli animai di cui parliamo

Riflessioni far mature e serie,

E d'ogni candidato il merto e il pregio

pesar pria d'elevarlo al grado regio.

Per implorar perciò lumi ed aiuto,

Fêr la solita prece al gran Cucù,

Che dal gener quadrupede e pennuto

Come lor nume venerato fu:

Meglio altrove di ciò darovvi conto;

Per or non vo' interrompere il racconto.

Benché fosse il Caval svelto, ben fatto,

Magnanimo, gentil, rapido al corso,

un popol fiero a governar non atto

Lor parve un re, che porti altrui sul dorso.

piè, muso avea, testa adorna

D'unghia, di zanna, o di superbe corna.

Ricco manto, agil corpo, e piè veloce,

Gagliardia, sommo ardire, indole fiera

La Tigre ha in ver, ma sanguinario, atroce

L'aspetto, il guardo, e dee chiunque impera,

Per quanta crudeltà racchiuda in petto,

Mostrar clemenza in sul ridente aspetto.

Allo squittinio poi fu posto l'Orso,

E come democrata a elegger lui

Molti coi lor suffragi avrian concorso.

Ma il Can per non so quai motivi sui,

Il Can dominator dell'assemblea,

Coll'Orso occulta inimicizia avea.

Robusto è l'Orso, egli dicea, l'accordo;

E ciò ch'io lodo, è furbo, e fa il minchione,

Ma l'aria avria di re villano e lordo,

E alquanto ha del pagliaccio e del buffone.

Ilarità sta ben; ma elegger poi

Un re buffon, che si diria di noi?

Cui l'Orso: Certo tu per tai maniere

Di far ti studi di buffon la parte

so chi meglio compia il suo mestiere,

Io buffon per natura, o tu per arte.

Rise al motteggio la mandra elettiva:

All'Orso nondimen diè l'esclusiva.

Porta il Cervo di corna alta corona,

Ma re saria di qualità vigliacche.

Strenuo è il Toro e valente di persona,

Ma buon re non saria che per le vacche.

Circa i bruti unicorni, ingiunta fue

Legge a chi regna: o nessun corno, o due.

Si vuol che in aria allor di concorrente

L'Asin, chi l'crederia? si presentasse;

E le sue lunghe orecchie, e il possente

Raglio, e altre e altre qualità vantasse

Ma tutti rigettàr con onta e smacco

Quel pretendente ignoranton vigliacco.

Il Mulo, o fosse affezion simpatica,

Fosse l'affinità, la parentela,

Che intimamente, e ognor si vede in pratica,

Opera in certi casi e si rivela,

S'accinse allor con tutto il suo potere

L'Asino candidato a sostenere.

Poiché, si sa, se non s'ignora affatto,

La genesi degli Asini e de' Muli,

Ch'essi fra lor parenti son di fatto,

Onde ognun vede, senza ch'io l'aduli,

Che il Mulo si piccò meritamente

Della ripulsa data a un suo parente.

Qual farsi ascolto, ei disse, accusa insulsa

Contro il cugino mio, savi animali,

Per dargli un ingiustissima ripulsa?

Scorrete pur le dinastie brutali,

E ad animai del mio cugin men degni

Spesso vedrete abbandonati i regni.

Critico a lui talor lo sguardo io volgo,

E difettuzzo alcun lieve e minuscolo

Vi trovo inver, comune ai grandi e al volgo;

Ma se il merito suo sodo e maiuscolo...

E qui rimase un perorardotto,

Per disgrazia dell'Asino, interrotto.

Chè sorse appena, appena aprì la bocca,

Levossi universal confuso chiasso;

E l'insolente moltitudin sciocca

A basso il Mulo! grida, il Mulo a basso,

Ond'ei tace, e alla pubblica ingiustizia

Parentela sacrifica e amicizia.

Un trattoamichevole e obbligante

Grato l'Asino poi non obliò;

E quando ottenne carica importante

Solenissimamente lo provò;

Come, se avrete pazienza un poco,

In seguito vedrassi a tempo e loco.

Ma tu, che a pazientar sei tanto avvezzo,

Pazienza, Asino mio, chè vendicato

Un forse sarai di tal disprezzo,

E in alta dignità posto e onorato,

Sederai in trono, o gli starai vicino,

E reggerai de' popoli il destino.

Saran, non dubitarne, appien saranno

I gran talenti tuoi riconosciuti

E umili avanti a te si prostreranno

I più eccelsi intelletti, e i più saputi;

Tu ne' grandi sarai pubblici imbrogli

Saldo puntel dei vacillanti sogli.

Altri molti animai di specie varie,

I quai dovendo da lontan venire,

O per altre ragion straordinarie

Alla gran sessione intervenire

Potuto non avean, proposti furo

Da qualche agente o amico lor sicuro.

Chi la Giraffa altissima propose,

chi propose il zo-andro Orangutango,

O bestia tal che fra le più famose

Paresse meritar distinto rango.

Ma il Can, che avea di già contratto impegni

Fe' a vuoto andar qualunque altrui disegno.

E quel consesso al suo parer condutto,

Persuadette che ciascun sovrano

Esser debbe tutt'uomo, o bestia tutto

Che tal non era inver l'Orangutano,

Che un'equivoca avea figura strana,

Cioè mezza brutale e mezza umana.

Che indefinita ancipite apparenza

Re costituzionario aver sol può;

Re d'ambigua politica esistenza,

E che in parte è sovrano, in parte no

Ma chi aver debbe autorità indivisa

Par debba aver fisonomia decisa.

Che se un vi saran figure strambe

Di carattere ambiguo e di sembianza

Animal tanto a due, che a quattro gambe,

Che usurperan dispotica possanza,

Saran tai mostri allor prova sicura,

Che corrotta è politica e natura.

essendo in oltre gli animai proposti,

Personalmente all'assemblea presenti,

Con esempi provò veri o supposti,

Che ballottar non si potean gli assenti,

E citò teorie, e autorità;

Ma donde tratte, il diavolo lo sa.

Forse avean qualche lor pubblico dritto,

Usi cosüetudini, prammatiche;

Che avesser, non direi, codice scritto,

Ma serie solo d'osservanze pratiche,

Come avvi un Jus fra noi, che anche al presente

Jus non scritto diciam comunemente.

Poichè sol per istinto ed abitudine

Qualunque bestia anche oggidì si regge:

Lor prima legge è la consuetudine,

E non come fra noi, seconda legge.

Onde cred'io citasse il Can legale

Qualche consuetudine brutale.

Avean in somma il jus che chiamar lice

La legislazion della natura

Provida universal legislatrice,

E dell'opere altrui norma sicura;

Ma non entriam di grazia in metafisica,

Chè di passar per seccator si risica.


 

 

 

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CANTO SECONDO

 

ELEZIONE DEL RE DEGLI ANIMALI QUADRUPEDI

 

ARGOMENTO

 

D'esser eletto, re pende la sorte

Fra l'Elefante, ed il Lion dubbiosa;

Già il partito del primo è reso forte;

Per l'altro arringa il Can, che ha mira ascosa.

La Volpe astuta il Cane allor sostiene,

E re il Lione proclamato viene.

 

 

Se del comun sulla gran massa sorgi

E volgi a tutti i tempi, a tutti i lochi

Filosofico sguardo, ovunque scorgi

pretensioni molte e merti pochi;

Chi pretende e non merta ognor vedrai;

Chi merta e non pretende è raro assai.

Più ancor raro è trovar fra i concorrenti

A luminose dignità primarie,

Chi siane degno per virtù e talenti,

E per le qualità che, necessarie

All'alto grado son che si desira,

E a cui lo stuol de' candidati aspira.

Perciò nel ballottar quegli animali,

In chi non si trovaron requisiti,

In chi difetti si trovar reali;

E alfin ravvicinandosi i partiti,

S'accordar tutti in bestie due fra tante,

Ma che bestie! il Leone e l'Elefante.

Così se s'urta impetuoso stuolo

Di varii venti sull'ondoso agone,

Cedon vinti i minori, e restan solo

Borea contr'Austro in singolar tenzone,

Finché un de' due dopo crudel contrasto

Rìman solo padron del campo vasto.

In tanto gli altri concorrenti esclusi,

Tristi e di mal umor per lo rifiuto,

Mortificati stavansi e confusi,

Poiché fra tutti lor non v'era bruto

Che in non fosse persuaso e certo,

Essersi fatto torto al suo gran merto.

Più ch'altri intollerante ed orgogliosa

Non può la Tigre il maltalento e l'ira

Dissimular, e altrui tener nascosa:

Soffia, sbuffa, e dagli occhi il fuoco spira;

Ma opporsi alla concorde non potea

General volontà dell'assemblea.

Alla discussion primier fu posto

L'Elefante, e quantunque avesse anch'egli

Nemici occulti ed un partito opposto,

Pur nel popol quadrupede, e fra quegli,

Che s'erano a congresso ivi raccolti

Avea diversi ammiratori e molti.

Poichè il comun che ne' giudizi sui

Sol dall'esterno regolar si suole,

Avvezzo s'era a rispettare in lui

Quella massa di carne, e quella mole.

E in ver chi mai l'onor a lui conteso

Ne avria, se un re far si dovesse a peso?

In quel pensoso e taciturno aspetto,

In quella gravità che ha per natura,

Ravvisavano un savio e circospetto

Senno, che pria d'oprar pesa e matura;

Un indefesso pensator profondo,

E il più grosso filosofo del mondo.

Senza parlar di quella forza immensa,

Della maravigliosa agile e franca

Proboscide, onde ciò si ben compensa

Che al natural suo meccanismo manca,

Ratta la vibra, la prolunga e spiega,

L'accorcia, la ritira e la ripiega.

Quel colossal volume un gran vantaggio

Rendeva inoltre alle minori bestie;

Poiché solean dell'infocato raggio

Ristorarsi talor dalle molestie,

Quando sull'arso suol più ferve il giorno,

All'ombrifera fera assise intorno.

Sapean, benché ciò paia un picciol pregio,

Ch'egli è in fatti però pregio reale,

Poiché volendo dir che il favor regio

Gode il tal per esempio, ovver la tale,

Udiam in verso dir, non men che in prosa,

Del real patrocinio all'ombra posa.

Queste ed altre ragion di simil sorte

Da' partitanti destramente addotte,

Fèr sugli astanti impressionforte

Che, se poneasi allora alle ballotte,

Forse tanti suffragi avrebbe avuti

Ch'or saria l'Elefante il re de' bruti.

Ma il Can, che avea previsto il caso avanti,

Levossi in piè per prevenir il colpo,

Ed escluder volendo l'Elefante,

Perorò pel Leon; in ciò l'incolpo;

Che in ver non c'era altro animaldegno

Come il Leon per ottenere il regno.

Ma non crediate che pe' merti suoi

Mosso si fosse il Can, come allor parve.

Un gran segreto, ora che siam fra noi,

Un geloso segreto io vo' svelarve.

Non me ne fate autor, io non vo' guai,

Massime col Leon che stimo assai.

Convien dunque saper che quelle due

Bestie impegno fra loro avean contratto,

Che se il Can riuscia colle arti sue

A far sì che, il Leon re fosse fatto,

Poiché il Leone eletto re sarebbe,

Nomato il Can primo ministro avrebbe.

Dell'aristocrazia capo è il Leone,

E il Can per dominar nell'assemblea,

Della democrazia si fe' il campione.

Della pluralità dispor potea

A favor del Leon per conseguenza.

Oh andatevi a fidar dell'apparenza!

Oh! se vedersi l'animo potesse

Di tanti che crediam mossi da zelo,

Oh! come si vedria che l'interesse

Li muove sol! Degli uomini e del Cielo

Costoro per mestier si prendon gioco

Quindi è che a certe smorlie io credo poco,

Solo la Volpe concepì sospetto

Che vi fosse fra lor qualche concerto;

E sentor forse avea del lor progetto,

Forse, che dir non lo potrei di certo

Ma sappiam che di ciò ch'altri non vede

Quell'astuto animal tosto si avvede.

Osservatrice tacita pertanto

La Volpe tuttavia starsi prefisse

Tutto ad udir, tutto a spiar, fintanto

Che la cosa vie più chiara apparisse,

E assicurarsi se felici o vane

Le mire riuscissero del Cane.

Dunque a parlar colui di nuovo imprese;

E incominciò: Potente alto bestiame,

Preceder tutte le più gravi imprese

Savio consiglio dee, maturo esame,

E il grand'affar, di cui fra noi si tratta,

Stabilito che sia, non si ritratta.

Tutti finor del candidato stuolo

I requisiti esaminaste omai.

Un sol ne resta, ma di tutti ei solo

Le più gran qualità vince d'assai:

Di chi parlo intendete: egli è il Leone,

Solo il nome di cui rispetto impone.

Tacerò ciò che solo appaga gli occhi,

E la criniera e la superba coda;

Cose tai che il gran numer degli sciocchi

Sopra qualunque pregio ammira e loda;

Esterno adornamento, esterna dote

Vanti colui che altro vantar non puote.

So ben che chi soltanto il guardo fisa

Alla sua maestevole figura,

Dei quadrupedi il principe ravvisa,

Principe dato lor dalla natura

Ma pregi più massicci io sottometto

Al giudizio del vostro alto intelletto.

E al mondo v'è chi del Leone ignori

La robustezza e la possanza estrema?

V'è alcun che nol rispetti e non l'onori?

Ed alcun v'è che l'ira sua non tema?

Evvi animalardito e sì gagliardo,

Che sostener ne possa il solo sguardo?

Se del Leone il fremito feroce

Ode da lungi, entro la cupa selva,

Al fier ruggito, alla terribil voce

Timida fugge ogni più ardita belva;

E sbigottita si rannicchia e interna

Entro il covil della natia caverna.

La magnanimità del suo gran core,

Dai corspesso dei potenti esclusa,

Fa sì che contro ogni animal minore

Della possanza sua mai non abusa;

Sdegna le belve a contrastar non atte,

Perdona ai vinti, ed i superbi abbatte.

E conclude alla fin che tanti e tali

Straordinari merti in lui vedea,

Che eleggendosi un re degli animali,

Egli a tutti preposto esser dovea;

Che dalla savia lor brutalità

Spera però che eletto re sarà.

Fin qui contro del Can nulla evvi a dire,

alcuno esser potea di lui scontento;

Ma lo rodeva un certo tal desire

Di far pompa di spirito e talento

Mal consigliata passion che altrui

Spesso fa torto, ed or lo fece a lui.

Se non lodato, almen scusabil fia

Chi, mancando ragion, cerca far uso

Del motteggio talor, dell'ironia;

Ma se ragion non manca, io non iscuso

Chi la mordace satira e le vane

Facezie adopra, come fece il Cane.

Il Can che colla solita arditezza

Fe' contro l'Elefante un'invettiva

Ignavia solo, inerzia e stolidezza

Disse che in quel bestione ei discopriva,

Ed un'anima stupida e melensa,

Che in lui vegeta sol, non opra e pensa.

Disse che somigliante alla Balena

D'ossa e di carne entro gran massa assorto

Torpe lo spirto, e vita e moto appena

Scorgeva in lui, che come sconcio aborto

Senza articolazion, senza giuntura,

Lo costruì, quando dormia, Natura.

Il Cane, a vero dire, avea gran torto,

Poiché malgrado i bei discorsi sui,

Sappiam che l'Elefante è molto accorto,

E cose si raccontano di lui,

Che son di molto intendimento indizio,

Di senno, di memoria e di giudizio.

Ma quantunque potesse ognun smentire

Tali imputazion calunniose,

Nessuno osò d'opporsi, e contraddire

Alle accuse del Can; nessun rispose;

Ma perché? forse alcun dentro di se

Maravigliando chiederà, perché?

Non trovo altra ragion che l'influenza,

Ch'ebbe il Can sul quadrupede bestiame,

Che colpito da quella impertinenza

Al suo voto adería senz'altro esame;

E se talun rispondergli potea,

Cosa inutil credendola, tacea.

Gran prova e questa, che qualunque oggetto,

Se anche trattar in pubblico si debbe,

Può sempre esporsi in differente aspetto;

Se non fosse così, ne seguirebbe,

Che le assemblee non fallirebber mai;

Cosa assai dubbia in ver, ma dubbia assai.

Non vediam tuttodì progetti, e piani

Spesso allo Stato, e a ciaschedun dannosi

Proposti ancor nei parlamenti umani

Da orator prepotenti imperiosi,

Riscuotere l'assenso universale,

Perchè gli ha detti, e gli ha proposti un tale?

Venia la muffa intanto all'Elefante,

E il mal umor già l'occhio torbo accenna,

La proboscide arriccia, e la pesante

Mole del capo tremolo tentenna;

Come all'urto di Borea in giogo alpino

Scuote l'annosa cima altero pino.

Par che il Can non vi badi, e quel ch'è peggio,

L'acre derision a ingiuria aggiunge,

E ognor più con amaro aspro motteggio

La flemmatica belva irrita e punge

Che, come è stil di chi brillar presume,

Piccante avea di motteggiar costume.

Disse, che se per suo fatal disastro

Quel bestione inflessibile cadea,

Come alta guglia, o come gran pilastro

Eternamente al suol giacer dovea;

Se con argani, suste, ed altri arredi

Non si accorresse per riporlo in piedi.

Il piccino descrisse in pazze guise

Occhio, onde ben non sai, s'ei veglia, o dorme;

E la meschina coda indi derise,

Sproporzionata a quel corpaccio enorme.

Concludendo il chiamò di coda sobrio,

Coda, che delle code era l'obbrobrio.

Mentre scherza così quell'insolente,

Si stanca l'Elefante, ed entra in furia;

Che tranquillo talor soffre il potente

Un affronto piuttosto, ed un'ingiuria;

Ma se porlo in ridicolo vorrai

Non isperar che tel perdoni mai.

Ritira a se la formidabil tromba,

Coll'occhio il colpo, e col pensier bilancia,

E poscia a un tratto con terribil romba

Contro il Can rapidissima la slancia;

E se lo prende e direzion non varia,

Lo manda in pezzi e fracassato in aria.

Quei dell'intenzion sendosi avvisto

Colla coda dell'occhio ognor lo guarda,

E quando in atto di scagliar l'ha visto

Il fatal colpo a declinar non tarda;

Scansasi ratto, e spicca un sì gran salto,

Che non altro mai più ne fe' tant'alto.

Non colse il Cane, no; che in chi delinque

Non cade ognor punizion, ch'ei merta;

Ma colse alcune bestie a lui propinque,

Che come il Can non eran state all'erta.

Tre ne stramazza a terra, e due ne schiaccia,

Ne getta una lontan dugento braccia.

Or qui pensate voi quanto scompiglio,

Quanta indignazion produsse in tutto

Quel rispettabilissimo consiglio

L'atto di violenza indegno e brutto,

Atto per cui con sì solenne offesa,

La maestà quadrupede fu lesa!

Gran sorte ella è, dicean, ch'ei non sia stato

Alla suprema dignità promosso!

Gran sorte! che se tanto ci fa privato,

Quanto più ci saria pesato addosso,

Se dal concorde universal suffragio

Si fosse eletto pria remalvagio!

Un re vedendobalordo e zotico

Avremmo detto: ad altro ei pensa, ei dorme;

Mentre con proditorio atto dispotico

Scagliando il naso smisurato enorme,

Sovente, e in ogni non previsto caso

Certamente ci avria dato di naso.

E posto ancor che il Can si sia permessa

Alcuna espression poco gentile,

È ben, si sa, ch'è libertà concessa

Di pensier, di vocaboli, e di stile.

lice a chicchessia senza alcun dritto

Trarne vendetta, o farne altrui delitto.

La generalità di quel congresso,

Irritata a ragion, stavasi in forse

Se vendicar non debba un tale eccesso

E l'Elefante ben di ciò s'accorse;

Che l'ira, il mal talento, e la minaccia

A ciaschedun vedea dipinta in faccia.

E ben s'avvide che non era omai

Più tempo d'ivi starsene a balocco;

Che accader forse gli potrian de' guai,

A cui volersi oppor, pensiero sciocco,

E sciocca in ver pretension saria;

Usò perciò prudenza; ed andò via.

Calmato alquanto il torbido tumulto,

E lo sconcerto general, che avea

Fra lor prodotto il temerario insulto

Fatto alla dignità dell'assemblea,

Il Can ritorna al posto ov'era avanti

Per perorar di nuovo ai circostanti.

Quantunque, ei disse, attoniti e confusi

Vi vegga tuttavia pel giusto orrore,

Che impresso vi si scorge ancor su i musi,

E l'indignazion gettovvi in core,

A vista dell'atroce iniquo oltraggio;

Pur di nuovo a parlar mi fo coraggio.

Il grand'affar, per cui qui uniti siamo,

Or pienamente consumar conviene,

Poiché non d'altro consultar dobbiamo,

Altra difficoltà non ci rattiene.

Or quest'affare interamente, questo

Compiasi, e poi ragionerem del resto.

Se il sol competitor fu l'Elefante,

Che al Leon contrastar potesse il regno,

Colui con quell'azione da birbante

Si rese omai di tanto onore indegno;

E lui dichiara la ragione, e il fatto,

Pubblico impiego a' sostener non atto.

Anzi ei partendo, e abbandonando il posto

Ad ogni sua pretension rinunzia.

Perché dunque si tarda? e perché tosto

La voce universal non si pronunzia

A favor di colui, che in questo stuolo

Di regnar sopra tutti è degno solo?

Soggiunse poi, che il nuovo re l'eccesso

Dell'Elefante allor punito avrebbe,

E che l'atto primiero, un tal processo

Della sovrana autorità sarebbe;

Poiché d'un re novello il primo passo

Qualche cosa esser dee che faccia chiasso.

Una pecora allor fra gli elettori

Osò mostrarsi, e dir: Qual sicurtà

Avrem noi che un re tal non ci divori

E il Can: La regia generosità.

Voglialo il Ciel! colei riprese allora;

Ma saran tali i successori ancora?

E il Can: Si cerchi egregio prence avere,

Formare i successori ad esso incombe;

Egregi ei ne darà: d'aquile altere

Non si generan timide colombe

Ed un presente ben fisso e sicuro

È il garante miglior del ben futuro.

Altre repliche il Can più non attese,

Sdegnoso d'altercar con pecorelle

L'ardire di colei tutti sorprese,

E molti sostenean, che bestia imhelle

Levar la voce in pubbliche assemblee,

E coi potenti disputar non dee.

Ma la Volpe i suffragi universali

Vedendo, che il Leon riunirebbe,

E che il Cane primier fra gli animali

Sotto il regno di lui figurerebbe,

Se finché quei parlò non l'interruppe,

Altro levossi, ed il silenzio ruppe;

E disse: che politica, e ragione

Altamente esigean, che fosse eletto

Re di tutti i quadrupedi il Leone,

E che la scelta di sì gran soggetto

A tutta la savissima assemblea

Merito sommo, e sommo onor facea:

Che del Leon le qualità sovrane

Ella avanti il consesso esposte avria,

Se l'egregio orator, se il savio Cane

Con cotanta eloquenza, ed energia

Fatto già non l'avesse in miglior foggia,

Ch’ella perciò del Can l'arringa appoggia.

Con elogi magnifici e pomposi

Poscia esaltò quel nobile animale

Su gli animai più forti e più famosi,

Ed al suo ragionar die' un giro tale,

Che esagerate sempre e lusinghiere

Eran le date lodi, e parean vere.

Alla Volpe, ed al Can tutti applaudiro;

Ma quei che conosceano e l'una, e l'altro

Sotto i baffi ridean, poiché capiro

Altro non esser, che artifizio scaltro,

Apparenze fallaci, e nomi vani,

Gentilezza, e amistà fra Volpi e Cani.

Fu pertanto il Leon re proclamato

Dall'assemblea quadrupede elettiva;

E il Cane allora, a perdita di fiato,

Evviva, grida, Leon Primo! evviva!

E tutti con isforzo di polmone,

Viva il Leon, gridàr, viva il Leone!

Ma il Leone, che un tacito contegno

Tenuto sempre infin allora avea.

Poiché si vide assicurato il regno

Dal voto general dell'assemblea,

In piè rizzassi, la criniera scosse,

Mostrò le zanne, e per parlar si mosse.

Non sì tosto si vide e si comprese

Che il re novello a favellar s'accinge,

Ciascun s'affolla, e innanzi a orecchie tese

Per udir ciò ch'ei dir volea si spinge;

Come creduli a udir stavan gli Achei

Se parlavan dal tripode gli Dei.

E quei sentissi il cordilatato

Da un intestina espansion reale,

Che avendo sempre in singolar parlato

La prima volta allor parlò in plurale,

Quasi che il singolar più non convenga

Ad un sovrano, e ch'ei plural divenga.

Giacché, disse quel fier, fra tanti e tanti

Animali di merto singolare

In noi trovaste qualità bastanti

Sugli altri per eleggerci a regnare,

Che al pubblico voler noi non dobbiamo

Opporci, di già noi lo sapevamo.

Ma quantunque non senza repugnanza

Prestiamci ad accettar l'alta incombenza,

Assicuriamo tutta l'adunanza

Della nostra real riconoscenza,

Sicuri che alcun mai non oserà

Lagnarsi della nostra maestà.

Riguarderemo i nostri amati e cari

Sudditi come amici e come figli,

Invitandogli ognor ne' gravi affari

A giovarci coll'opra e coi consigli;

E scettro riterrem corona e trono,

Qual deposito sacro, e non qual dono.

Perciò sulla real nostra parola

Giuriam di mantener quant'abbian detto.

Giuriam che ognor del nostro oprar la sola

Brutal felicità sarà l'oggetto;

E tutto ciò giuriam nel tempo stesso

Che abbiam promesso, e non abbiam promesso.

In compenso speriam che ciascun mostri,

Senza punto aspettar che se gli dica,

Cieca sommissione agli ordin nostri;

Poiché se mai che alcun ci contraddica

Sofferto non abbiam come Leone,

Figuratevi poi come padrone.

Che il bel discorso che il Leone tenne

Facesse impression, son persuaso,

Ma a noi, che in ogni occasion solenne

Ripeterlo ascoltiam, non fa più caso;

Chè son per noi cose usuali e vecchie,

Ed assuefatte omai v'abbiam le orecchie.

Ma le proteste di bontà, d'amore,

A quella brutal turba in ciò novizia

Parean sincera effusion di core,

E di già ne facea la sua delizia,

E alzò concordemente ancor maggiori

E gli applausi, e gli evviva, ed i clamori.

Il lieto grido universal fe' l'eco

Rimbombar per i colli e per le selve,

E per ogni vallon, per ogni speco

Onde esultàr di giubilo le belve,

Che sotto d'un padron ciascuna spera

Goder felicità stabile e vera.

Pel grand'amor verso il padron novello

Pianser di tenerezza, e tra i più grandi

Piaceri non trovar piacer più bello,

Quanto avere un padron che le comandi;

Cui se offriran la pelle, il pel, la vita,

Sarà accettata ognor, se non gradita.

E voti fer con umide pupille

Concordemente al Cielo, acciò conservi

Al diletto padron mille anni e mille

Buon appetito, e vigorosi nervi

O buone bestie! oh quanto a voi fa onore

La sensibilità del vostro core!

Oh preziose lacrime! in vederle

Cader dai vostri grugni, intenerisco;

Son gemme, son crisoliti, son perle;

Cara brutalità del tempo prisco,

La virtù, il sentimento, e i dover suoi

Alla posterità tu insegnar puoi.

Fenomeno si vide allor mirabile,

Che ammetter forse or non vorrà la critica,

Ma autentico si rende e incontrastabile

Dalla storia brutal pre-adamitica,

Che tratta fu da una pagoda antica,

E il come e il quando uopo non è, ch'or dica.

Non sì tosto il Leon fu eletto re,

Che un non so che di dignità celeste

Lo circondò, lo penetrò, gli die'

Maestà tal che in lui creduto avreste

Esser in nuova inesplicabil guisa

Seguita metamorfosi improvvisa.

Incredibil dirò cosa, ma istorica:

D'intorno nitidissima si sparse

Alla criniera sua luce fosforica,

Che i baffi, e il pel gl'illuminò, non gli arse;

Sfolgoràr gli occhi rilucenti e belli,

Che di Leda parean gli astri gemelli.

Non altrimente anche al figliuol d'Enea

Scappato dal famoso incendio d'Ilio,

Lucida fiamma intorno al crin splendea,

Siccome piena fe fanne Virgilio.

Quel portentoso scintillante fregio

Emblema fu del diadema regio.

Spuntano i fior sull'arido terreno

Ovunque l'orma riverita ei stampa,

E in erba fresca si converte il fieno

Ogni ruscel viengli a lambir la zampa,

E dell'auretta il dolce mormorio

Par che susurri: vo' baciarti anch'io.

Ora se il Ciel la potestà sovrana

Venera a cotal segno anche in un bruto,

Che fia d'un re che la figura umana

Dall'amica natura abbia ottenuto?

E sol da questo imparino i mortali

A venerare i prenci anche animali.

Fatto ch'ebbe il Leon l'immenso passo,

(Poiché, secondo giustamente io penso,

Passar a un grado altissimo dal basso,

Come a re da privato è un passo immenso)

Ad onta della solita apparenza,

Animato parea da un'altra essenza.

Eran l'idee più chiare e meglio espresse

Nelle parole sue più savie e dotte,

Le naturali secrezioni stesse

Eran più regolari e più concotte:

E da' meati o dagli augusti pori

Spira gentil soavità d'odori.

Parea d'ambrosia e nettare nutrito;

Parea celeste succo, e l'ammiranda

Entro il nappo di Giove aver sorbito

Dell'immortalità sacra bevanda.

Quasi in Nume converso anche il direi,

Se coda e zampa avessero gli Dei.

Conciossiachè la qualità regale.

È un caustico adustivo, un assorbente,

Un corrosivo, un dissolvente tale,

Che tutto ove s'attacca interamente

Disfa, discioglie, annichilisce e sforma,

Ed in l'immedesima e trasforma.

Laonde tuttociò che preesiste

In un re si distrugge, e si rinnova

Quindi d'allor che un re Leone esiste,

Chi in lui cerca il Leone, il re sol trova.

Tal se talun zucchero o sale adacqua,

Zucchero e sal non trova più, ma l'acqua,

Che quell'onnipotente non so che,

Quell'immensa immortal virtù infinita,

Che non si sa capir che diavol'è,

D'infondere è capace e moto e vita

A pigra e fral vilissima materia,

Che a pensarvi... per Bacco! è cosa seria.

Ed io di più scommetterei che se

Quel bestial collegio avesse eletto,

Invece del Leon, l'Asino re,

Veduto si saria lo stesso effetto;

E viste avrem le stesse qualità

Nell'Asin divenuto maestà.

Forse il fuoco così tolto dall'etra

Per lo furto fatal di Prometeo,

Fredda animando ed insensata pietra,

Una donna bellissima ne feo,

Onde spirar si vide e senso e vita

Dello scultor sotto la mano ardita.

S'affollar tutti intorno al re animale

I sudditi animali, e chi invittissimo,

Augusto, potentissimo, immortale,

Chi 'l disse gran Leon, chi Leonissimo;

E acciò sopra di lor noi non restassimo,

Vi fu infin chi chiamollo ottimo massimo.

Fissi tutti gli sguardi erano in lui;

A lui tutti i pensieri eran rivolti,

Come se nulla l'esistenza altrui,

E dileguati, e nell'oblio sepolti

Fosser tutti gli oggetti, come suole

Sparir ogni astro all'apparir del Sole.

Ma regal maestà mista con grazia,

Quei dispiegando nel sereno aspetto,

Sorridendo li accoglie, e li ringrazia,

Talchè guadagna di ogni cor l'affetto

E se fra gli altri alcun più degno scorge,

Oh clemenza! la zampa ancor gli porge.

Allor confuso susurrio si spande

La zampa il re?... la zampa?... sì la zampa;

E ad attomagnanimo e sì grande

Ciascun per lui d'amor, di zel più avvampa.

Ed in tutti i suoi detti, in tutte l'opre

L'alta bontà del suo bel cor discopre.

Ah come mai d'infantil gioia e lieve

Vi puote, o bestie, infatuar cotanto

L'illusion d'un falso ben, che in breve

Cangiar dovrassi in vero duolo, e in pianto?

E alfin accorti dell'error, vorrete

Scuotere il giogo allor, ma non potrete.

Dei quadrupedi sudditi la folla

Tutta seguir volea l'orme sovrane,

Ma il Leon nol permise, e congedolla,

E gentilmente indi rivolto al Cane,

Amico, gli dicea, tu vieni meco;

Di molti e gravi affari ho a parlar teco.

Tosto maggior si leva il susurrio

Ha detto amico al Can! con maraviglia

Va ripetendo ognun: L'ho udito anch'io

Sì, sì, gli ha detto amico, altri ripiglia;

E il Can ciascun invidia, e fra sé dice,

Oh fortunato Cane! oh Can felice!

Ma il re col Can volgendo agli altri il tergo,

Da picciolo corteggio accompagnato,

Incamminossi al suo selvoso albergo,

Per accudire ai varii affar di stato;

Che con eroiche gesta e fatti egregi

Vuol la gloria ecclissar de' più gran regi.

Vanne la regal bestia, e a farle omaggio

Avanti a lui spargono il suol di fiori

Le quadrupedi ninfe in sul passaggio;

E fanno intanto gli asini canori

Di concenti suonar l'aere d'intorno,

Finch'ei non giunga al suo real soggiorno.

E ogni qual volta in valle, in monte, in selva,

Le belve del quadrupede dominio

S'incontravano poi con qualche belva

Che stat'era presente allo squittinio,

Discorsi interminabili, infiniti,

E domande facevanle, e quisiti.

Quella allor gli alti pregi esalta e loda

Del novello adorabile sovrano;

Il capo or ne descrive, ed or la coda, Or la criniera ed ora il deretano,

Or l'alta dignità quando spalanca

L'augusto grifo e la sovrana branca.

Rilevava ogni moto, ed ogni detto,

E lungo vi facea vario comento;

Tutto grande, mirabile, perfetto,

Tutto è stupendo in lui, tutto è portento;

si stancava mai di proferire

Pomposi elogi dell'eccelso sire.

Parea che al mondo più non esistesse

Idea di ciò che pria si fe', si disse;

E che d'ogn'altro affar, d'ogni interesse

Le cure il nuovo re tutte assorbisse;

E che un essere sol fosse in natura,

E il resto poi secrezione impura.

s'intendea qual magico prestigio

Nei liberi animai cangiato e vinto,

Con strano inesplicabile prodigio,

Avesse il natural libero istinto

Filosofia vi studiò fin'ora,

il gran problema ha risoluto ancora.



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