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LA DISCUSSIONE
Lo stuolo de' Quadrupedi desia
Crear savio Governo, e in concistoro,
Al ragionar del Can la monarchia
D'adottar stabilisce, e già fra loro
Allo squittinio molti ammessi sono,
Acciò si elegga animal degno al trono.
Canto gli usi, i costumi, le vicende,
E l'ire animalesche, e di nemiche
Brutali schiere le battaglie orrende,
Che furo al tempo che le bestie antiche
Possedean la ragione e la loquela;
Cose che a noi dei tempi il buio cela.
Parlerò di materia affatto ignota,
Da cui forse trarrem qualche profitto.
La politica umana a tutti è nota,
Nè dell'animalesca alcuno ha scritto;
Che se passabilmente io vi riesco,
Mi dican pur poeta animalesco.
Te che il corso del Sol reggi e governi,
A te che i bruti cangi in astri eterni
Consacro i versi i miei; tu del tuo foco
Un raggio animator dall'alto invia,
Che infiammi al gran lavor la mente mia.
I membri più distinti e accreditati
D'ogni specie quadrupede di bruti
De' pubblici interessi incaricati
Eransi uniti, e s'eran già seduti
In una solennissima adunanza
Per affari dell'ultima importanza
Fissar dovean dopo maturo esame
Che convenir potesse a quel bestiame,
Prendendo i culti popoli per norma;
Un argin per opporre all'anarchia,
Che gran progressi ognor facendo gia.
Sapean, che l'anarchia, come di fatto
Negli stati accader vedean sovente,
Rompe di società qualunque patto,
E seco porta inevitabilmente
Conseguenze gravissime e funeste,
E de' corpi politici è la peste.
L'anarchia degli umor nel corpo umano
Come mortal considerar si dee;
E non è che un frenetico, un insano
Colui che ha in testa un'anarchia d'idee.
Di venti opposti l'anarchia produce
Tempesta in mar che a naufragar conduce.
In somma l'anarchia è d'ogni eccesso,
D'ogni calamità germe diabolico;
E l'inferno perfin, l'inferno istesso,
Secondo il più ortodosso e il più cattolico
Parer degli antichissimi nostri avoli,
Altro non è che un'anarchia di diavoli.
Perciò quei prudentissimi animali
Legislator, filosofi, politici,
Per porre alcun riparo a tanti mali,
Esami fean sintetici e analitici
Di qualunque governo o buono o tristo,
Repubblican, monarchico, oppor misto.
Se udiam gli aristocrati, il democratico
Egli è dell'anarchia fratel minore;
Se i democrati udiam, l'aristocratico
Egli è d'oligarchia fratel maggiore;
Chè, di giustizia e di ragion non è
Trascurar mille e favorirne tre.
Il misto è un certo amalgama posticcio,
Un non so che d'anfibio, o ermafrodito,
E specie di politico pasticcio
D'agri e di dolci intingoli condito,
Che avvicinar volendo e unir gli estremi
Di sua distruzion racchiude i semi.
In ciaschedun di lor trovi difetto,
Che unità manca in tutte e tre le forme,
Ove regna unità tutto è perfetto,
E senza l'unità tutto è difforme.
Moltiplice complesso ognor cadrà,
Fra molti governanti è ognor discordia;
Sempre guerra perciò gli uomin si fero;
Che fra gli stessi Dei stabil concordia
Esser mai non potè, l'attesta Omero.
E bestie avvezzo a oprar come lor piace,
Viver dovrian concordemente in pace?
Ciò ben sapean quell'erudite bestie,
Che unite eran colà solennemente
Per sottrarsi alle anarchiche molestie;
Ed erano convinte intimamente,
Che il governo monarchico è sol quello,
Che dir si può governo buono e bello.
E invero a esaminar la cosa a fondo
In monarchia s'unisce e si concentra
Quanto di buon, quanto di bello è al mondo
Onde fortunatissimo è chi c'entra;
E lo sfortunatissimo che n'esce
Debbe languir, come fuor d'acqua il pesce.
In monarchia si spira aura felice,
Che a ciascuno è di vita e sugo e germe.
Di tranquilli menar sicuro, inerme.
Possiede ognun sicuramente il suo,
E quel ch'è tuo sicuramente è tuo.
Viene la carestia? vien la gragnuola?
Chi vive in monarchia non muor d'inedia.
Vengono guai? la monarchia consola.
Manca danar? la monarchia rimedia.
Dal Ciel sono i monarchi prediletti,
Ei ne dirige opre, pensieri e detti.
Prendi uom rozzo e comun, fanne un monarca,
Tosto il favor del Ciel sopra gli piove;
Tosto divien di sapienza un'arca;
Nella testa di lui s'alloggia Giove.
Decide, ordina, giudica: un oracolo
Tutto a un tratto divien: pare un miracolo..
E perciò con ragion trasecolati
Restan quei savi, che un destin felice
Al fianco d'un monarca ha collocati,
Scorgendo in tutto quel ch'ei pensa e dice
Sublimi idee, pensier profondi e nuovi,
Nè sanno dove diavolo li trovi.
In qualunque assemblea repubblicana,
E sia pur di Licurghi e di Soloni,
Scuote la face ognor discordia insana,
E attizza odio, livor, dissensioni.
Assai si ciarla, e si contrasta assai,
Nulla di buon non si conclude mai.
Chi da un lato la tira e chi dall'altro
E raro la ragione e la giustizia,
Ma sol dell'eloquente e dello scaltro
l'interesse trionfa, o la malizia;
Perciò ben dice un certo libro anonimo
Repubblica e disordine è sinonimo.
Divisa autorità che si distende
Su teste democratiche, o patricie,
E qual materia elettrica, che prende
L'estension di vasta superficie;
Più che ampiamente è l'una e l'altra estensa,
Tanto divien men vigorosa e intensa.
Se però quell'elettrico vapore
Si condensa, s'agglomera, s'ammassa,
Fulmin divien, che con alto fragore
Scoppia, e fa gran ruina ovunque passa;
Così il poter con più vigore agisce,
Se in un sol si concentra e riunisce.
Parla un sovrano? è come parli un Nume
Ode ciascun, pronto obbedisce e tace,
Nè contraddir, nè replicar presume;
È legge universal ciò che a lui piace;
E par che accomunato abbia con lui
Lo stesso Onnipotente i dritti sui.
Che più? l'estro gli vien, mi crea ministro;
E sia pur io bestia ignorante, e sciocca,
Tutta la monarchia reggo e amministro;
Ho scienza nel cervel, sentenze in bocca.
Tolta da me la balordaggin prima,
Par ch'altro conio il mio padron m’imprima.
Ciò prova che il monarchico governo
È d'ogni altro governo il più perfetto;
E all'immortal somiglia ordine eterno,
Onde veggiam che l'Universo è retto
Ogni bene in sè stesso aduna e accoglie,
E ogni qualunque mal slontana e toglie.
Queste son verità chiare e palpabili,
Che in oggi a vero dir nessuno ignora;
Ma non meno di noi perite ed abili
Le bestie le sapeano infin d'allora;
Perciò fisso era in quel gran concistoro
Di stabilir la monarchia fra loro.
Sol discuter dovean se convenisse
Re creare assoluto; o patto o legge,
E alcune stabilir regole fisse,
Per cui vietato fosse a quei che regge
D'oltrepassare i limiti prescritti
Contro gli altrui riconosciuti dritti.
Onde ai propri interessi ei non potesse,
Siccome fare il più de' re fur visti,
Sacrificare il pubblico interesse:
In somma un re, crear, che i pubblicisti,
Giusta il tecnico lor vocabolario,
Soglion chiamare Costituzionario.
Volendo inoltre quell'augusto stuolo
La forma di governo stabilire,
Posto si voglia a un animale solo
La potestà suprema attribuire,
Ch'ereditaria fosse od elettiva.
Che ambo i sistemi in uso sono, ed hanno
Ambo i vantaggi loro, i lor difetti.
Da una parte si rischia ad un tiranno,
Dall'altra a un imbecille esser soggetti;
Perciò spettava al savio lor consiglio
Di bilanciare l'util col periglio.
Gli animali più forti e più potenti
Che un'aristocrazia avrian voluto,
Conseguir non potendo i loro intenti,
Ammetter non volean un re assoluto,
Che ogni privato dritto avrebbe escluso,
E a suo capriccio del poter fatto uso.
Volean però, per contenere i regi,
Che l'oro non confondano col fango,
E i giusti e meritati privilegi
Conservino a ciascun e il proprio rango,
Dividere in due camere e in due classi
Gli alti animali e gli animali bassi.
Rege elettivo inoltre aver piuttosto
Volean, chè ognun di lor più che altri degno
Credeasi d'occupar quell'alto posto
Nè dubbio avean che in conferire il regno
Dagli elettori non si fosse fatta
Giustizia allo splendor della lor schiatta.
La gran pluralità però dei bruti
Contro quei forti e quei potenti istessi,
Dall'orgoglio de' quali eran tenuti
In servil dipendenza abietti, oppressi,
Trovar sperava in re assoluto e puro
Stabil sostegno e difensor sicuro.
Poichè a tutti coloro era ben noto,
Che re puro, assoluto, indipendente
Altro alfin non vuol dir che re dispoto;
Nè regnar da dispoto impunemente
Gran tempo ei può, se strettamente unito
Non tiensi al democratico partito.
Di costoro alla testa era un Can grosso,
Arrogante, ardentissimo e feroce;
Lungo pel, muso nero, ed occhio rosso;
E di petto instancabile e di voce.
Ringhia con tutti ognor, brontola e sbuffa,
Pronto con tutti ad attaccar baruffa.
Avea per altro il don della parola,
E gli uscian bei periodi di bocca,
E per molti anni essendo stato a scuola,
Composto avea, che in quell'età lontane
Fu detta la politica del Cane.
Tali fur dunque allor fra gli animali
Le politiche idee, qual'io d'esporle
Ebbi l'onor, e il Can d'idee cotali
Profitto trarre, e non cangiarle, o torle
Procurò destramente, e questo è quello,
Che in tai casi si fa da chi ha cervello.
Onde in quell'assemblea volle a ogni costo
Primeggiare ed aver distinto luogo,
Nè osando d'affettare il regio posto,
Capo-popol si fece, e demagogo
Più il regno non ambì, cangiò registro.
E aspirò a divenir primo ministro.
Un re, tra se dicea, nè aveva torto,
A forza di regnar spesso si secca;
Se dalle cure lo distrae l'accorto
Ministro, e a tempo il liscia, adula e lecca.
Come costante esperienza insegna,
Il re obbedisce, ed il ministro regna.
Della plebe quadrupede l'amica
Aura godeva ed era ai grandi in odio,
Come i tribuni già di Roma antica,
I Gracchi, i Saturnini, e Rullo, e Clodio,
Quando a parlar costui si fece avanti
Tutti applaudiro i democrati astanti.
E fino a quando inutili parole
Farem, dicea, cercando il quando, il come?
Alte e potenti bestie, un re si vuole,
Ma un re di fatti, e non re di nome;
Un re, che il giusto e il debole difenda
Contro chiunque a soverchiarlo imprenda.
Non curiam di gran prence i fregi esterni,
La pompa, il fasto, e l'apparato vano.
Savio prence vogliam, che ci governi,
Che abbia il poter, ch'abbia la forza in mano
Nè, per altra ragione a conferenza
Convocati qui siam: grand'è l'urgenza.
Della baldanza altrui dura e proterva
Gli aspri non soffrirem modi oltraggianti,
Giacchè servir si debbe, a un sol si serva
Nè il supremo potere usurpin tanti.
Legittimo padrone io non ricuso;
Serva chi vuol usurpatore intruso.
Leggi a chi regna impor, seco far patti,
Scusa vi chiedo, o bestie alte e potenti,
Vi proverò ch'egli è un pensar da matti,
E chimerici son regolamenti.
Non parlo invan, millanterie non trincio,
Ragiono da filosofo, e incomincio.
Spurgò, ciò detto, e fece alquanto pausa,
L'occhio girando intorno all'uditorio
Per osservar l'impression che causa
Il suo fervor politico oratorio.
Chè fatto fin allor non altro avea,
Che gli animi tentar dell'assemblea.
Altri per indolenza e per pigrizia
Al Can si riportaro interamente;
Altri per balordaggine e imperizia
A quella acconsentir bestia eloquente.
Che chi di spirto e di talenti è pieno
Domina ognor su quei che n'hanno meno.
Pochi, ma pochi assai v'eran, di cui
Erasi il cane assicurato pria:
Ch’ei non solea troppo fidarsi altrui,
Sapendo che il fidarsi è scioccheria
Chi distratto a quel dir l'attenta orecchia
Non presta, e chi sbadiglia, e chi sonnecchia.
Ma non dorme la Volpe; e non trascura
Un sì importante e critico momento,
Ch'anzi in opera por tutto procura
Il più fino e sagace accorgimento,
Sendo il furbo animal ben persuaso
Che il Can non opra mai, nè parla a caso.
Onde stassene attenta e vigilante
Qual piega ad osservar prendan le cose;
Che dichiararsi ella non vuol, se innante
Non scopre di ciascun le viste ascose;
E a tutto bada, e non badar s'infinge;
Ma il Caval sorge, ed a parlar si accinge.
Poi dice; o Can, noi qui ci siam raccolti
Per migliorar degli animai la sorte,
Noi d'ogni giogo pria liberi, e sciolti;
Nè conprend'io qual trista idea ti porte
A proporci dispotica arbitraria
Autoritade, a ogni ragion contraria.
Sotto despota re nulla tu sei,
O sei solo ciò ch'ei vuol che tu sia,
E forse su di te provar tu dei
Onde pria d'annullar te stesso e noi,
Pensaci o Can; vano è pentirsi poi.
Pertanto scusa, amico Can, deh scusa;
Ma il tuo discorso a schiavitù ci mena:
Più poter che si han in man, più se n'abusa,
Se legittimo vincolo non frena
Il capriccio dispotico, che punge
Gl'indocili regnanti. E il Can soggiunge
Scusa tu, Caval mio; sei troppo ombroso,
E temi ove non son mali e perigli;
Credi prence assoluto un mostro esoso,
E alla volgar prevenzion t'appigli
Logico usar ragionamento astratto
Teco io non vo', vo' ti convinca il fatto.
Sa ognun di noi, quanto la specie umana
Sensatamente opra, ragiona, e pensa
Pur ella è sempre a sostener propensa;
E il poter assoluto ed arbitrario
Util non crede sol, ma necessario.
Senza di ciò quel bipede animale
Pieno di vanità, gonfio d'orgoglio,
Potria ripor sua gloria principale
In mantener i despoti sul soglio?
E in preferir l'utile lor privato
Al pubblico interesse, al ben di stato?
Non vedi tu con quanto ardor, con quanta
Ostinatezza scannansi a vicenda,
Acciò più forte ognor la sacrosanta
Non vedi come ciaschedun s'onora
Del nobil giogo, e il dispotismo adora?
Se libere in te volgi idee secrete,
O muovi dubbio sol contro di quello,
Turbator della pubblica quiete
Tu sei chiamato, e al tuo sovran rubello.
Credi che l'uom così operar volesse,
Se ragion grandi e forti ei non avesse?
Onde su punto tal, Cavallo mio,
Gli scrupoli deponi, e i timor tuoi.
Despotismo vi vuol, te lo d'ich'io,
Su di me riposartene tu puoi;
Quando è il genere uman di tale avviso,
Caro Caval, questo è un affar deciso.
Era un Orso fra lor, cui l'uom già tenne
Per suo piacer gran tempo alla catena,
Onde a disciorsi, ed a fuggir pervenne.
Parlando il Cane, brontolava, e appena
Attese ch'egli di parlar finisse,
Che a lui si volse bruscamente e disse:
Tu che con tal gaiezza e compiacenza
Dell'uom l'esempio per model ci additi;
Propor credi animal per eccellenza,
E il più assurdo animal forse tu citi.
Propon di grazia, o Can, miglior modello,
S'ami che noi ci conformianno a quello.
Cui 'l Cane: Eppur all'uom, su cui si sfoga
Or l'antico astio tuo, servisti prima.
E l'Orso: Forse quei che ci soggioga
Esiger da noi debbe amore e stima?
Sorriser tutti, ed applaudiro all'Orso;
Ma il Can stè sodo, e proseguì il discorso:
Re, che di re non ha se non la scorza,
È un fantoccio di re, egli è un re nullo.
Impotente voler, che non ha forza,
Serve altrui di ludibrio e di trastullo
E quando un re è a termin tal ridutto
È meglio assai di non ne aver del tutto.
Che se poi della forza un re dispone,
in che d'autorità consiste il nervo,
Legge o patto al più forte invan s'impone;
Di leggi e patti ei men sarà mai servo:
Le leggi, i patti, e altre tai cose belle
Legano solo il debole e l'imbelle.
Ragion congiunta a sperienza insegna
Che ov'è costituzion che freni e tempre
Il supremo poter, colui che regna
Della costituzion nemico è sempre,
E se ha la forza in man, le leggi abbatte
Che per temprare il poter suo fur fatte.
Nè sol re non vogliam costitutivo,
E abbastanza finor dissi il perché;
Ma nè tampoco re vuolsi elettivo;
Poiché a ogni nuova elezion di re
L'urto de' concorrenti e de' rivali
Germe saria di rinascenti mali.
Re pertanto assoluto, ereditario,
Dico che a noi convien più che altro assai;
Nè timor ci rattenga immaginario
Ch'egli ci opprima e tiranneggi: mai
Popol non fu, che finché volle, schiavo.
E i molti: Bravo! alto gridaron, bravo!
E i pochi a forza l'orgogliosa voce
Frenando si guardavano nel muso,
E contenendo l'indole feroce
Susurrando all'orecchia in tuon confuso,
Sicchè uditi non fosser dai lontani, Dicean fra lor: Sian maledetti i Cani!
O fosser falsi, o fosser veri e giusti
Di quel Cane audacissimo i discorsi,
Gli animai più potenti e più robusti
Liberamente e legalmente opporsi,
Risponder, contraddirgli avrian potuto;
Nè di quel petulante avrian temuto.
Ma quell'audace bestia ha un gran partito,
E seco trae pluralità di voti;
Onde non voller d'animal sì ardito
Perché ciascun di lor dentro di sé
Speranza avea d'essere eletto re.
Poichè, sebben sprezzanti ed orgogliosi,
Docili comparir sapean sovente,
Quando d'ambizion disegni ascosi,
O altro interesse lor volgeano in mente,
E avean fino il talento ed il coraggio
D'avvilirsi talor pel lor vantaggio.
Perciò con tanta nobiltà celare
Seppero allor l'interno lor dispetto,
Che quando il Can finì di perorare,
Chi un sorriso gli fece, e chi un ghignetto;
Onde credè il quadrupede oratore.
Aver di tutti guadagnato il core.
Dono del Cielo, o sii sublime e grande
Ritrovamento dell'ingegno umano,
I suoi favor per le tue mani spande
Fortuna, onde sicura in te confidi,
E l'infantil sincerità deridi.
Non così i grandi son dei nostri tempi,
Che l'ingenuità sempre han per duce;
Nè mai la forza degli antichi esempi
La generosa indole lor seduce;
Ne avvilirebber mai l'animo altero
Per l'acquisto d'un regno o d'un impero.
Vero e però che il nobile costume,
Spargendo or sulla terra un chiaro lume,
L'eroico egoismo ovunque imprime,
E di delicatezza i pregiudizi
Nella categoria ripon dei vizi.
Scaldasi il mondo, e migliorando invecchia,
E le frivole scuote appoco appoco
Cavalleresche idee dell'età vecchia;
Di ciò inquietarsi non però conviene,
Lasciam le cose andar, che andranno bene.
Quell'assemblea, come diss'io, contraria
Non mostrossi del Cane al raziocinio;
E monarchia assoluta ereditaria
D'adottar stabiliro, e lo squittinio
Incominciàr dei concorrenti al trono,
Che molti e insigni pei lor merti sono.
Ma sapean quei quadrupendi elettori,
Forse più ancor degli elettor moderni,
Che convien lumi aver superiori
Per isceglier talun che ci governi,
E valutarne i merti, e andare adagio,
E non dare alla diavola il suffragio.
E senza previa esamina i sovrani
Armar d'autorità quasi infinita;
E ciecamente por nelle lor mani
Le sostanze dei sudditi e la vita,
L'onor, la stima, e quanto a ognuno è caro
Delle sostanze e della vita al paro.
Ne ignoravan però, che se si tratta
Di principe assoluto ereditario,
La cosa allor vien fuori bell'e fatta,
Chè fornito di tutto il necessario
Ei nasce, e appien de' suoi doveri instrutto,
È la stessa natura pensa a tutto:
E passa per istrana maraviglia
Di padre in figlio la virtù sovrana
Col sangue stesso di real famiglia;
Come scorrendo va l'acqua piovana
Di canale in canal, nè dal condotto
Goccia trapela, benchè logro o rotto.
Perciò natura oggi lasciar dobbiamo
Unicamente oprar su tai materie;
Ma dovean gli animai di cui parliamo
Riflessioni far mature e serie,
E d'ogni candidato il merto e il pregio
pesar pria d'elevarlo al grado regio.
Per implorar perciò lumi ed aiuto,
Fêr la solita prece al gran Cucù,
Che dal gener quadrupede e pennuto
Meglio altrove di ciò darovvi conto;
Per or non vo' interrompere il racconto.
Benché fosse il Caval svelto, ben fatto,
Magnanimo, gentil, rapido al corso,
un popol fiero a governar non atto
Lor parve un re, che porti altrui sul dorso.
Nè piè, nè muso avea, nè testa adorna
D'unghia, di zanna, o di superbe corna.
Ricco manto, agil corpo, e piè veloce,
Gagliardia, sommo ardire, indole fiera
La Tigre ha in ver, ma sanguinario, atroce
L'aspetto, il guardo, e dee chiunque impera,
Per quanta crudeltà racchiuda in petto,
Mostrar clemenza in sul ridente aspetto.
Allo squittinio poi fu posto l'Orso,
E come democrata a elegger lui
Molti coi lor suffragi avrian concorso.
Ma il Can per non so quai motivi sui,
Il Can dominator dell'assemblea,
Coll'Orso occulta inimicizia avea.
Robusto è l'Orso, egli dicea, l'accordo;
E ciò ch'io lodo, è furbo, e fa il minchione,
Ma l'aria avria di re villano e lordo,
E alquanto ha del pagliaccio e del buffone.
Ilarità sta ben; ma elegger poi
Un re buffon, che si diria di noi?
Cui l'Orso: Certo tu per tai maniere
Di far ti studi di buffon la parte
Nè so chi meglio compia il suo mestiere,
Io buffon per natura, o tu per arte.
Rise al motteggio la mandra elettiva:
All'Orso nondimen diè l'esclusiva.
Porta il Cervo di corna alta corona,
Ma re saria di qualità vigliacche.
Strenuo è il Toro e valente di persona,
Ma buon re non saria che per le vacche.
Circa i bruti unicorni, ingiunta fue
Legge a chi regna: o nessun corno, o due.
Si vuol che in aria allor di concorrente
L'Asin, chi l'crederia? si presentasse;
E le sue lunghe orecchie, e il possente
Raglio, e altre e altre qualità vantasse
Ma tutti rigettàr con onta e smacco
Quel pretendente ignoranton vigliacco.
Il Mulo, o fosse affezion simpatica,
Fosse l'affinità, la parentela,
Che intimamente, e ognor si vede in pratica,
Opera in certi casi e si rivela,
S'accinse allor con tutto il suo potere
L'Asino candidato a sostenere.
Poiché, si sa, se non s'ignora affatto,
La genesi degli Asini e de' Muli,
Ch'essi fra lor parenti son di fatto,
Onde ognun vede, senza ch'io l'aduli,
Che il Mulo si piccò meritamente
Della ripulsa data a un suo parente.
Qual farsi ascolto, ei disse, accusa insulsa
Contro il cugino mio, savi animali,
Per dargli un ingiustissima ripulsa?
Scorrete pur le dinastie brutali,
E ad animai del mio cugin men degni
Spesso vedrete abbandonati i regni.
Critico a lui talor lo sguardo io volgo,
E difettuzzo alcun lieve e minuscolo
Vi trovo inver, comune ai grandi e al volgo;
Ma se il merito suo sodo e maiuscolo...
E qui rimase un perorar sì dotto,
Per disgrazia dell'Asino, interrotto.
Chè sorse appena, appena aprì la bocca,
Levossi universal confuso chiasso;
E l'insolente moltitudin sciocca
A basso il Mulo! grida, il Mulo a basso,
Ond'ei tace, e alla pubblica ingiustizia
Parentela sacrifica e amicizia.
Un tratto sì amichevole e obbligante
E quando ottenne carica importante
Come, se avrete pazienza un poco,
In seguito vedrassi a tempo e loco.
Ma tu, che a pazientar sei tanto avvezzo,
Pazienza, Asino mio, chè vendicato
Un dì forse sarai di tal disprezzo,
E in alta dignità posto e onorato,
Sederai in trono, o gli starai vicino,
E reggerai de' popoli il destino.
Saran, non dubitarne, appien saranno
I gran talenti tuoi riconosciuti
E umili avanti a te si prostreranno
I più eccelsi intelletti, e i più saputi;
Tu ne' grandi sarai pubblici imbrogli
Saldo puntel dei vacillanti sogli.
Altri molti animai di specie varie,
I quai dovendo da lontan venire,
O per altre ragion straordinarie
Alla gran sessione intervenire
Potuto non avean, proposti furo
Da qualche agente o amico lor sicuro.
Chi la Giraffa altissima propose,
chi propose il zo-andro Orangutango,
O bestia tal che fra le più famose
Paresse meritar distinto rango.
Ma il Can, che avea di già contratto impegni
Fe' a vuoto andar qualunque altrui disegno.
E quel consesso al suo parer condutto,
Persuadette che ciascun sovrano
Esser debbe tutt'uomo, o bestia tutto
Che tal non era inver l'Orangutano,
Che un'equivoca avea figura strana,
Cioè mezza brutale e mezza umana.
Che indefinita ancipite apparenza
Re costituzionario aver sol può;
Re d'ambigua politica esistenza,
E che in parte è sovrano, in parte no
Ma chi aver debbe autorità indivisa
Par debba aver fisonomia decisa.
Che se un dì vi saran figure strambe
Di carattere ambiguo e di sembianza
Animal tanto a due, che a quattro gambe,
Che usurperan dispotica possanza,
Saran tai mostri allor prova sicura,
Che corrotta è politica e natura.
Nè essendo in oltre gli animai proposti,
Personalmente all'assemblea presenti,
Con esempi provò veri o supposti,
Che ballottar non si potean gli assenti,
Ma donde tratte, il diavolo lo sa.
Forse avean qualche lor pubblico dritto,
Che avesser, non direi, codice scritto,
Ma serie solo d'osservanze pratiche,
Come avvi un Jus fra noi, che anche al presente
Jus non scritto diciam comunemente.
Poichè sol per istinto ed abitudine
Qualunque bestia anche oggidì si regge:
Lor prima legge è la consuetudine,
E non come fra noi, seconda legge.
Onde cred'io citasse il Can legale
Qualche consuetudine brutale.
Avean in somma il jus che chiamar lice
La legislazion della natura
Provida universal legislatrice,
E dell'opere altrui norma sicura;
Ma non entriam di grazia in metafisica,
Chè di passar per seccator si risica.
ELEZIONE DEL RE DEGLI ANIMALI QUADRUPEDI
D'esser eletto, re pende la sorte
Fra l'Elefante, ed il Lion dubbiosa;
Già il partito del primo è reso forte;
Per l'altro arringa il Can, che ha mira ascosa.
La Volpe astuta il Cane allor sostiene,
E re il Lione proclamato viene.
Se del comun sulla gran massa sorgi
E volgi a tutti i tempi, a tutti i lochi
Filosofico sguardo, ovunque scorgi
pretensioni molte e merti pochi;
Chi pretende e non merta ognor vedrai;
Chi merta e non pretende è raro assai.
Più ancor raro è trovar fra i concorrenti
Chi siane degno per virtù e talenti,
E per le qualità che, necessarie
All'alto grado son che si desira,
E a cui lo stuol de' candidati aspira.
Perciò nel ballottar quegli animali,
In chi non si trovaron requisiti,
In chi difetti si trovar reali;
E alfin ravvicinandosi i partiti,
S'accordar tutti in bestie due fra tante,
Ma che bestie! il Leone e l'Elefante.
Così se s'urta impetuoso stuolo
Di varii venti sull'ondoso agone,
Cedon vinti i minori, e restan solo
Borea contr'Austro in singolar tenzone,
Finché un de' due dopo crudel contrasto
Rìman solo padron del campo vasto.
In tanto gli altri concorrenti esclusi,
Tristi e di mal umor per lo rifiuto,
Mortificati stavansi e confusi,
Poiché fra tutti lor non v'era bruto
Che in sè non fosse persuaso e certo,
Essersi fatto torto al suo gran merto.
Più ch'altri intollerante ed orgogliosa
Non può la Tigre il maltalento e l'ira
Dissimular, e altrui tener nascosa:
Soffia, sbuffa, e dagli occhi il fuoco spira;
Ma opporsi alla concorde non potea
General volontà dell'assemblea.
Alla discussion primier fu posto
L'Elefante, e quantunque avesse anch'egli
Nemici occulti ed un partito opposto,
Pur nel popol quadrupede, e fra quegli,
Che s'erano a congresso ivi raccolti
Avea diversi ammiratori e molti.
Poichè il comun che ne' giudizi sui
Sol dall'esterno regolar si suole,
Avvezzo s'era a rispettare in lui
Quella massa di carne, e quella mole.
E in ver chi mai l'onor a lui conteso
Ne avria, se un re far si dovesse a peso?
In quel pensoso e taciturno aspetto,
In quella gravità che ha per natura,
Ravvisavano un savio e circospetto
Senno, che pria d'oprar pesa e matura;
Un indefesso pensator profondo,
E il più grosso filosofo del mondo.
Senza parlar di quella forza immensa,
Della maravigliosa agile e franca
Proboscide, onde ciò si ben compensa
Che al natural suo meccanismo manca,
Ratta la vibra, la prolunga e spiega,
L'accorcia, la ritira e la ripiega.
Quel colossal volume un gran vantaggio
Rendeva inoltre alle minori bestie;
Poiché solean dell'infocato raggio
Ristorarsi talor dalle molestie,
Quando sull'arso suol più ferve il giorno,
All'ombrifera fera assise intorno.
Sapean, benché ciò paia un picciol pregio,
Ch'egli è in fatti però pregio reale,
Poiché volendo dir che il favor regio
Gode il tal per esempio, ovver la tale,
Udiam in verso dir, non men che in prosa,
Del real patrocinio all'ombra posa.
Queste ed altre ragion di simil sorte
Da' partitanti destramente addotte,
Fèr sugli astanti impression sì forte
Che, se poneasi allora alle ballotte,
Forse tanti suffragi avrebbe avuti
Ch'or saria l'Elefante il re de' bruti.
Ma il Can, che avea previsto il caso avanti,
Levossi in piè per prevenir il colpo,
Ed escluder volendo l'Elefante,
Perorò pel Leon; nè in ciò l'incolpo;
Che in ver non c'era altro animal sì degno
Come il Leon per ottenere il regno.
Ma non crediate che pe' merti suoi
Mosso si fosse il Can, come allor parve.
Un gran segreto, ora che siam fra noi,
Un geloso segreto io vo' svelarve.
Non me ne fate autor, io non vo' guai,
Massime col Leon che stimo assai.
Convien dunque saper che quelle due
Bestie impegno fra loro avean contratto,
Che se il Can riuscia colle arti sue
A far sì che, il Leon re fosse fatto,
Poiché il Leone eletto re sarebbe,
Nomato il Can primo ministro avrebbe.
Dell'aristocrazia capo è il Leone,
E il Can per dominar nell'assemblea,
Della democrazia si fe' il campione.
A favor del Leon per conseguenza.
Oh andatevi a fidar dell'apparenza!
Oh! se vedersi l'animo potesse
Di tanti che crediam mossi da zelo,
Oh! come si vedria che l'interesse
Li muove sol! Degli uomini e del Cielo
Costoro per mestier si prendon gioco
Quindi è che a certe smorlie io credo poco,
Solo la Volpe concepì sospetto
Che vi fosse fra lor qualche concerto;
E sentor forse avea del lor progetto,
Forse, che dir non lo potrei di certo
Ma sappiam che di ciò ch'altri non vede
Quell'astuto animal tosto si avvede.
Osservatrice tacita pertanto
La Volpe tuttavia starsi prefisse
Tutto ad udir, tutto a spiar, fintanto
Che la cosa vie più chiara apparisse,
E assicurarsi se felici o vane
Le mire riuscissero del Cane.
Dunque a parlar colui di nuovo imprese;
E incominciò: Potente alto bestiame,
Preceder tutte le più gravi imprese
Savio consiglio dee, maturo esame,
E il grand'affar, di cui fra noi si tratta,
Stabilito che sia, non si ritratta.
Tutti finor del candidato stuolo
I requisiti esaminaste omai.
Un sol ne resta, ma di tutti ei solo
Le più gran qualità vince d'assai:
Di chi parlo intendete: egli è il Leone,
Solo il nome di cui rispetto impone.
Tacerò ciò che solo appaga gli occhi,
E la criniera e la superba coda;
Cose tai che il gran numer degli sciocchi
Sopra qualunque pregio ammira e loda;
Esterno adornamento, esterna dote
Vanti colui che altro vantar non puote.
So ben che chi soltanto il guardo fisa
Alla sua maestevole figura,
Dei quadrupedi il principe ravvisa,
Principe dato lor dalla natura
Ma pregi più massicci io sottometto
Al giudizio del vostro alto intelletto.
E al mondo v'è chi del Leone ignori
La robustezza e la possanza estrema?
V'è alcun che nol rispetti e non l'onori?
Ed alcun v'è che l'ira sua non tema?
Evvi animal sì ardito e sì gagliardo,
Che sostener ne possa il solo sguardo?
Se del Leone il fremito feroce
Ode da lungi, entro la cupa selva,
Al fier ruggito, alla terribil voce
Timida fugge ogni più ardita belva;
E sbigottita si rannicchia e interna
Entro il covil della natia caverna.
La magnanimità del suo gran core,
Dai cor sì spesso dei potenti esclusa,
Fa sì che contro ogni animal minore
Della possanza sua mai non abusa;
Sdegna le belve a contrastar non atte,
Perdona ai vinti, ed i superbi abbatte.
E conclude alla fin che tanti e tali
Straordinari merti in lui vedea,
Che eleggendosi un re degli animali,
Egli a tutti preposto esser dovea;
Spera però che eletto re sarà.
Fin qui contro del Can nulla evvi a dire,
Nè alcuno esser potea di lui scontento;
Ma lo rodeva un certo tal desire
Di far pompa di spirito e talento
Mal consigliata passion che altrui
Spesso fa torto, ed or lo fece a lui.
Se non lodato, almen scusabil fia
Chi, mancando ragion, cerca far uso
Del motteggio talor, dell'ironia;
Ma se ragion non manca, io non iscuso
Chi la mordace satira e le vane
Facezie adopra, come fece il Cane.
Il Can che colla solita arditezza
Fe' contro l'Elefante un'invettiva
Ignavia solo, inerzia e stolidezza
Disse che in quel bestione ei discopriva,
Ed un'anima stupida e melensa,
Che in lui vegeta sol, non opra e pensa.
Disse che somigliante alla Balena
D'ossa e di carne entro gran massa assorto
Torpe lo spirto, e vita e moto appena
Scorgeva in lui, che come sconcio aborto
Senza articolazion, senza giuntura,
Lo costruì, quando dormia, Natura.
Il Cane, a vero dire, avea gran torto,
Poiché malgrado i bei discorsi sui,
Sappiam che l'Elefante è molto accorto,
E cose si raccontano di lui,
Che son di molto intendimento indizio,
Di senno, di memoria e di giudizio.
Ma quantunque potesse ognun smentire
Tali imputazion calunniose,
Nessuno osò d'opporsi, e contraddire
Alle accuse del Can; nessun rispose;
Ma perché? forse alcun dentro di se
Maravigliando chiederà, perché?
Non trovo altra ragion che l'influenza,
Ch'ebbe il Can sul quadrupede bestiame,
Che colpito da quella impertinenza
Al suo voto adería senz'altro esame;
E se talun rispondergli potea,
Cosa inutil credendola, tacea.
Gran prova e questa, che qualunque oggetto,
Se anche trattar in pubblico si debbe,
Può sempre esporsi in differente aspetto;
Se non fosse così, ne seguirebbe,
Che le assemblee non fallirebber mai;
Cosa assai dubbia in ver, ma dubbia assai.
Non vediam tuttodì progetti, e piani
Spesso allo Stato, e a ciaschedun dannosi
Proposti ancor nei parlamenti umani
Da orator prepotenti imperiosi,
Riscuotere l'assenso universale,
Perchè gli ha detti, e gli ha proposti un tale?
Venia la muffa intanto all'Elefante,
E il mal umor già l'occhio torbo accenna,
La proboscide arriccia, e la pesante
Mole del capo tremolo tentenna;
Come all'urto di Borea in giogo alpino
Scuote l'annosa cima altero pino.
Par che il Can non vi badi, e quel ch'è peggio,
L'acre derision a ingiuria aggiunge,
E ognor più con amaro aspro motteggio
La flemmatica belva irrita e punge
Che, come è stil di chi brillar presume,
Piccante avea di motteggiar costume.
Disse, che se per suo fatal disastro
Quel bestione inflessibile cadea,
Come alta guglia, o come gran pilastro
Eternamente al suol giacer dovea;
Se con argani, suste, ed altri arredi
Non si accorresse per riporlo in piedi.
Il piccino descrisse in pazze guise
Occhio, onde ben non sai, s'ei veglia, o dorme;
E la meschina coda indi derise,
Sproporzionata a quel corpaccio enorme.
Concludendo il chiamò di coda sobrio,
Coda, che delle code era l'obbrobrio.
Mentre scherza così quell'insolente,
Si stanca l'Elefante, ed entra in furia;
Che tranquillo talor soffre il potente
Un affronto piuttosto, ed un'ingiuria;
Ma se porlo in ridicolo vorrai
Non isperar che tel perdoni mai.
Ritira a se la formidabil tromba,
Coll'occhio il colpo, e col pensier bilancia,
E poscia a un tratto con terribil romba
Contro il Can rapidissima la slancia;
E se lo prende e direzion non varia,
Lo manda in pezzi e fracassato in aria.
Quei dell'intenzion sendosi avvisto
Colla coda dell'occhio ognor lo guarda,
E quando in atto di scagliar l'ha visto
Il fatal colpo a declinar non tarda;
Scansasi ratto, e spicca un sì gran salto,
Che non altro mai più ne fe' tant'alto.
Non colse il Cane, no; che in chi delinque
Non cade ognor punizion, ch'ei merta;
Ma colse alcune bestie a lui propinque,
Che come il Can non eran state all'erta.
Tre ne stramazza a terra, e due ne schiaccia,
Ne getta una lontan dugento braccia.
Or qui pensate voi quanto scompiglio,
Quanta indignazion produsse in tutto
Quel rispettabilissimo consiglio
L'atto di violenza indegno e brutto,
Atto per cui con sì solenne offesa,
La maestà quadrupede fu lesa!
Gran sorte ella è, dicean, ch'ei non sia stato
Alla suprema dignità promosso!
Gran sorte! che se tanto ci fa privato,
Quanto più ci saria pesato addosso,
Se dal concorde universal suffragio
Si fosse eletto pria re sì malvagio!
Un re vedendo sì balordo e zotico
Avremmo detto: ad altro ei pensa, ei dorme;
Mentre con proditorio atto dispotico
Scagliando il naso smisurato enorme,
Sovente, e in ogni non previsto caso
Certamente ci avria dato di naso.
E posto ancor che il Can si sia permessa
Alcuna espression poco gentile,
È ben, si sa, ch'è libertà concessa
Di pensier, di vocaboli, e di stile.
Nè lice a chicchessia senza alcun dritto
Trarne vendetta, o farne altrui delitto.
La generalità di quel congresso,
Irritata a ragion, stavasi in forse
Se vendicar non debba un tale eccesso
E l'Elefante ben di ciò s'accorse;
Che l'ira, il mal talento, e la minaccia
A ciaschedun vedea dipinta in faccia.
E ben s'avvide che non era omai
Più tempo d'ivi starsene a balocco;
Che accader forse gli potrian de' guai,
A cui volersi oppor, pensiero sciocco,
E sciocca in ver pretension saria;
Usò perciò prudenza; ed andò via.
Calmato alquanto il torbido tumulto,
E lo sconcerto general, che avea
Fra lor prodotto il temerario insulto
Fatto alla dignità dell'assemblea,
Il Can ritorna al posto ov'era avanti
Per perorar di nuovo ai circostanti.
Quantunque, ei disse, attoniti e confusi
Vi vegga tuttavia pel giusto orrore,
Che impresso vi si scorge ancor su i musi,
E l'indignazion gettovvi in core,
A vista dell'atroce iniquo oltraggio;
Pur di nuovo a parlar mi fo coraggio.
Il grand'affar, per cui qui uniti siamo,
Or pienamente consumar conviene,
Poiché non d'altro consultar dobbiamo,
Altra difficoltà non ci rattiene.
Or quest'affare interamente, questo
Compiasi, e poi ragionerem del resto.
Se il sol competitor fu l'Elefante,
Che al Leon contrastar potesse il regno,
Colui con quell'azione da birbante
Si rese omai di tanto onore indegno;
E lui dichiara la ragione, e il fatto,
Pubblico impiego a' sostener non atto.
Anzi ei partendo, e abbandonando il posto
Ad ogni sua pretension rinunzia.
Perché dunque si tarda? e perché tosto
La voce universal non si pronunzia
A favor di colui, che in questo stuolo
Di regnar sopra tutti è degno solo?
Soggiunse poi, che il nuovo re l'eccesso
Dell'Elefante allor punito avrebbe,
E che l'atto primiero, un tal processo
Della sovrana autorità sarebbe;
Poiché d'un re novello il primo passo
Qualche cosa esser dee che faccia chiasso.
Una pecora allor fra gli elettori
Osò mostrarsi, e dir: Qual sicurtà
Avrem noi che un re tal non ci divori
E il Can: La regia generosità.
Voglialo il Ciel! colei riprese allora;
Ma saran tali i successori ancora?
E il Can: Si cerchi egregio prence avere,
Formare i successori ad esso incombe;
Egregi ei ne darà: d'aquile altere
Ed un presente ben fisso e sicuro
È il garante miglior del ben futuro.
Altre repliche il Can più non attese,
Sdegnoso d'altercar con pecorelle
L'ardire di colei tutti sorprese,
E molti sostenean, che bestia imhelle
Levar la voce in pubbliche assemblee,
E coi potenti disputar non dee.
Ma la Volpe i suffragi universali
Vedendo, che il Leon riunirebbe,
E che il Cane primier fra gli animali
Sotto il regno di lui figurerebbe,
Se finché quei parlò non l'interruppe,
Altro levossi, ed il silenzio ruppe;
E disse: che politica, e ragione
Altamente esigean, che fosse eletto
Re di tutti i quadrupedi il Leone,
E che la scelta di sì gran soggetto
A tutta la savissima assemblea
Merito sommo, e sommo onor facea:
Che del Leon le qualità sovrane
Ella avanti il consesso esposte avria,
Se l'egregio orator, se il savio Cane
Con cotanta eloquenza, ed energia
Fatto già non l'avesse in miglior foggia,
Ch’ella perciò del Can l'arringa appoggia.
Poscia esaltò quel nobile animale
Su gli animai più forti e più famosi,
Ed al suo ragionar die' un giro tale,
Che esagerate sempre e lusinghiere
Eran le date lodi, e parean vere.
Alla Volpe, ed al Can tutti applaudiro;
Ma quei che conosceano e l'una, e l'altro
Sotto i baffi ridean, poiché capiro
Altro non esser, che artifizio scaltro,
Apparenze fallaci, e nomi vani,
Gentilezza, e amistà fra Volpi e Cani.
Fu pertanto il Leon re proclamato
Dall'assemblea quadrupede elettiva;
E il Cane allora, a perdita di fiato,
Evviva, grida, Leon Primo! evviva!
E tutti con isforzo di polmone,
Viva il Leon, gridàr, viva il Leone!
Ma il Leone, che un tacito contegno
Tenuto sempre infin allora avea.
Poiché si vide assicurato il regno
Dal voto general dell'assemblea,
In piè rizzassi, la criniera scosse,
Mostrò le zanne, e per parlar si mosse.
Non sì tosto si vide e si comprese
Che il re novello a favellar s'accinge,
Ciascun s'affolla, e innanzi a orecchie tese
Per udir ciò ch'ei dir volea si spinge;
Come creduli a udir stavan gli Achei
Se parlavan dal tripode gli Dei.
E quei sentissi il cor sì dilatato
Da un intestina espansion reale,
Che avendo sempre in singolar parlato
La prima volta allor parlò in plurale,
Quasi che il singolar più non convenga
Ad un sovrano, e ch'ei plural divenga.
Giacché, disse quel fier, fra tanti e tanti
In noi trovaste qualità bastanti
Sugli altri per eleggerci a regnare,
Che al pubblico voler noi non dobbiamo
Opporci, di già noi lo sapevamo.
Ma quantunque non senza repugnanza
Prestiamci ad accettar l'alta incombenza,
Assicuriamo tutta l'adunanza
Della nostra real riconoscenza,
Sicuri che alcun mai non oserà
Riguarderemo i nostri amati e cari
Sudditi come amici e come figli,
Invitandogli ognor ne' gravi affari
A giovarci coll'opra e coi consigli;
E scettro riterrem corona e trono,
Qual deposito sacro, e non qual dono.
Perciò sulla real nostra parola
Giuriam di mantener quant'abbian detto.
Giuriam che ognor del nostro oprar la sola
Brutal felicità sarà l'oggetto;
E tutto ciò giuriam nel tempo stesso
Che abbiam promesso, e non abbiam promesso.
In compenso speriam che ciascun mostri,
Senza punto aspettar che se gli dica,
Cieca sommissione agli ordin nostri;
Poiché se mai che alcun ci contraddica
Sofferto non abbiam come Leone,
Figuratevi poi come padrone.
Che il bel discorso che il Leone tenne
Facesse impression, son persuaso,
Ma a noi, che in ogni occasion solenne
Ripeterlo ascoltiam, non fa più caso;
Chè son per noi cose usuali e vecchie,
Ed assuefatte omai v'abbiam le orecchie.
Ma le proteste di bontà, d'amore,
A quella brutal turba in ciò novizia
Parean sincera effusion di core,
E di già ne facea la sua delizia,
E alzò concordemente ancor maggiori
E gli applausi, e gli evviva, ed i clamori.
Il lieto grido universal fe' l'eco
Rimbombar per i colli e per le selve,
E per ogni vallon, per ogni speco
Onde esultàr di giubilo le belve,
Che sotto d'un padron ciascuna spera
Goder felicità stabile e vera.
Pel grand'amor verso il padron novello
Pianser di tenerezza, e tra i più grandi
Piaceri non trovar piacer più bello,
Quanto avere un padron che le comandi;
Cui se offriran la pelle, il pel, la vita,
Sarà accettata ognor, se non gradita.
Concordemente al Cielo, acciò conservi
Al diletto padron mille anni e mille
Buon appetito, e vigorosi nervi
O buone bestie! oh quanto a voi fa onore
La sensibilità del vostro core!
Oh preziose lacrime! in vederle
Cader dai vostri grugni, intenerisco;
Son gemme, son crisoliti, son perle;
Cara brutalità del tempo prisco,
La virtù, il sentimento, e i dover suoi
Alla posterità tu insegnar puoi.
Fenomeno si vide allor mirabile,
Che ammetter forse or non vorrà la critica,
Ma autentico si rende e incontrastabile
Dalla storia brutal pre-adamitica,
Che tratta fu da una pagoda antica,
E il come e il quando uopo non è, ch'or dica.
Non sì tosto il Leon fu eletto re,
Che un non so che di dignità celeste
Lo circondò, lo penetrò, gli die'
Maestà tal che in lui creduto avreste
Esser in nuova inesplicabil guisa
Seguita metamorfosi improvvisa.
Incredibil dirò cosa, ma istorica:
D'intorno nitidissima si sparse
Alla criniera sua luce fosforica,
Che i baffi, e il pel gl'illuminò, non gli arse;
Sfolgoràr gli occhi rilucenti e belli,
Che di Leda parean gli astri gemelli.
Non altrimente anche al figliuol d'Enea
Scappato dal famoso incendio d'Ilio,
Lucida fiamma intorno al crin splendea,
Siccome piena fe fanne Virgilio.
Quel portentoso scintillante fregio
Spuntano i fior sull'arido terreno
Ovunque l'orma riverita ei stampa,
E in erba fresca si converte il fieno
Ogni ruscel viengli a lambir la zampa,
E dell'auretta il dolce mormorio
Par che susurri: vo' baciarti anch'io.
Ora se il Ciel la potestà sovrana
Venera a cotal segno anche in un bruto,
Che fia d'un re che la figura umana
Dall'amica natura abbia ottenuto?
E sol da questo imparino i mortali
A venerare i prenci anche animali.
Fatto ch'ebbe il Leon l'immenso passo,
(Poiché, secondo giustamente io penso,
Passar a un grado altissimo dal basso,
Come a re da privato è un passo immenso)
Ad onta della solita apparenza,
Animato parea da un'altra essenza.
Eran l'idee più chiare e meglio espresse
Nelle parole sue più savie e dotte,
Le naturali secrezioni stesse
Eran più regolari e più concotte:
E da' meati o dagli augusti pori
Parea d'ambrosia e nettare nutrito;
Parea celeste succo, e l'ammiranda
Entro il nappo di Giove aver sorbito
Dell'immortalità sacra bevanda.
Quasi in Nume converso anche il direi,
Se coda e zampa avessero gli Dei.
Conciossiachè la qualità regale.
È un caustico adustivo, un assorbente,
Un corrosivo, un dissolvente tale,
Che tutto ove s'attacca interamente
Disfa, discioglie, annichilisce e sforma,
Ed in sè l'immedesima e trasforma.
In un re si distrugge, e si rinnova
Quindi d'allor che un re Leone esiste,
Chi in lui cerca il Leone, il re sol trova.
Tal se talun zucchero o sale adacqua,
Zucchero e sal non trova più, ma l'acqua,
Che quell'onnipotente non so che,
Quell'immensa immortal virtù infinita,
Che non si sa capir che diavol'è,
D'infondere è capace e moto e vita
A pigra e fral vilissima materia,
Che a pensarvi... per Bacco! è cosa seria.
Ed io di più scommetterei che se
Quel bestial collegio avesse eletto,
Veduto si saria lo stesso effetto;
E viste avrem le stesse qualità
Forse il fuoco così tolto dall'etra
Per lo furto fatal di Prometeo,
Fredda animando ed insensata pietra,
Una donna bellissima ne feo,
Onde spirar si vide e senso e vita
Dello scultor sotto la mano ardita.
S'affollar tutti intorno al re animale
I sudditi animali, e chi invittissimo,
Augusto, potentissimo, immortale,
Chi 'l disse gran Leon, chi Leonissimo;
E acciò sopra di lor noi non restassimo,
Vi fu infin chi chiamollo ottimo massimo.
Fissi tutti gli sguardi erano in lui;
A lui tutti i pensieri eran rivolti,
Come se nulla l'esistenza altrui,
E dileguati, e nell'oblio sepolti
Fosser tutti gli oggetti, come suole
Sparir ogni astro all'apparir del Sole.
Ma regal maestà mista con grazia,
Quei dispiegando nel sereno aspetto,
Sorridendo li accoglie, e li ringrazia,
Talchè guadagna di ogni cor l'affetto
E se fra gli altri alcun più degno scorge,
Oh clemenza! la zampa ancor gli porge.
Allor confuso susurrio si spande
La zampa il re?... la zampa?... sì la zampa;
E ad atto sì magnanimo e sì grande
Ciascun per lui d'amor, di zel più avvampa.
Ed in tutti i suoi detti, in tutte l'opre
L'alta bontà del suo bel cor discopre.
Ah come mai d'infantil gioia e lieve
Vi puote, o bestie, infatuar cotanto
L'illusion d'un falso ben, che in breve
Cangiar dovrassi in vero duolo, e in pianto?
E alfin accorti dell'error, vorrete
Scuotere il giogo allor, ma non potrete.
Dei quadrupedi sudditi la folla
Tutta seguir volea l'orme sovrane,
Ma il Leon nol permise, e congedolla,
E gentilmente indi rivolto al Cane,
Amico, gli dicea, tu vieni meco;
Di molti e gravi affari ho a parlar teco.
Tosto maggior si leva il susurrio
Ha detto amico al Can! con maraviglia
Va ripetendo ognun: L'ho udito anch'io
Sì, sì, gli ha detto amico, altri ripiglia;
E il Can ciascun invidia, e fra sé dice,
Oh fortunato Cane! oh Can felice!
Ma il re col Can volgendo agli altri il tergo,
Da picciolo corteggio accompagnato,
Incamminossi al suo selvoso albergo,
Per accudire ai varii affar di stato;
Che con eroiche gesta e fatti egregi
Vuol la gloria ecclissar de' più gran regi.
Vanne la regal bestia, e a farle omaggio
Avanti a lui spargono il suol di fiori
Le quadrupedi ninfe in sul passaggio;
E fanno intanto gli asini canori
Di concenti suonar l'aere d'intorno,
Finch'ei non giunga al suo real soggiorno.
E ogni qual volta in valle, in monte, in selva,
Le belve del quadrupede dominio
S'incontravano poi con qualche belva
Che stat'era presente allo squittinio,
Discorsi interminabili, infiniti,
E domande facevanle, e quisiti.
Quella allor gli alti pregi esalta e loda
Del novello adorabile sovrano;
Il capo or ne descrive, ed or la coda, Or la criniera ed ora il deretano,
Or l'alta dignità quando spalanca
L'augusto grifo e la sovrana branca.
Rilevava ogni moto, ed ogni detto,
E lungo vi facea vario comento;
Tutto grande, mirabile, perfetto,
Tutto è stupendo in lui, tutto è portento;
Nè si stancava mai di proferire
Pomposi elogi dell'eccelso sire.
Parea che al mondo più non esistesse
Idea di ciò che pria si fe', si disse;
E che d'ogn'altro affar, d'ogni interesse
Le cure il nuovo re tutte assorbisse;
E che un essere sol fosse in natura,
E il resto poi secrezione impura.
Nè s'intendea qual magico prestigio
Nei liberi animai cangiato e vinto,
Con strano inesplicabile prodigio,
Avesse il natural libero istinto
Nè il gran problema ha risoluto ancora.