Virgilia D'Andrea
Tormento
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ROVINE

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ROVINE

I.

Ad uno, ad uno, macerati, i forti
Cadon nei lacci de le trame oscure.
Or de l'autunno i rivoltosi insorti
Scolora il sogno di perdute alture.

E sulle vie ricanta la mitraglia,
Sgombra le piazze e le agguerrite arene,
E sospinta, ripassa la canaglia,
Ove già vinse, in ferri ed in catene.

Ed altra folla avanza, urla, si allaccia;
Ma dai balconi dei palazzi aviti
Si spara, si ferisce e si minaccia.

Fugge la plebe e i giovanetti arditi,
Col petto rosso e con le tronche braccia
Giaccion nel sonno... dal gran sogno uniti.

II.

E da Bologna parte un grido: A noi!
Per soffocare i pallidi ribelli
Passan, cantando, i salariati eroi
Fra i gagliardetti fulvi ed i coltelli.

Ed improvvisa snodasi una fiamma:
S'alza, si avvolge, turbina, trascina.
... dove un sogno v'era o un orifiamma,
Guizza, scintilla, crèpita, rovina.

Cadon le mura e crollano le Sedi
E inceneriti son drappi e bandiere.
Freme l'incendio, avvampa, arde, divora,

E di sangue si spruzza e si colora,
Fulge sinistro ne le fosche sere
E i cuori vince e le tremanti fedi.

III.

L'un dopo l'altro vengono i più buoni
Pugnalati alle spalle e denudati.
Tra i gavazzar di bacchiche canzoni
Agonizzano, affranti, i giustiziati.

E sui trafitti cadono le madri
Rivoltellate sopra il cor dei figli...
E gli assoldati ai paltonieri, ai ladri,
Scrivono bandi e impongono gli esigli.

Madre, ritrova una più grande vita!
Porgi la bocca cupa e insanguinata,
E questa folla a la rivolta incita,

Or che, dolente, è irrisa e abbandonata
Da chi la volle rivoltosa e ardita,
Da chi la trasse, dal dolor, sdegnata.

IV.

Udite, udite, o miei compagni, a Siena
Città dolce e gentil romba il cannone.
Sessanta petti han fatto una catena
E d'ansia è la difesa e di passione.

Ma la bocca di fuoco arde sui volti
E s'apre un varco ne la Casa rossa:
Escono, i vinti, màdidi e sconvolti
E cadon, muti, su la terra smossa.

E mentre il sangue bùlica nel mondo
Il truce vecchio, perfido, sorride
Per la grandezza de la sua vittoria!

Di quanto sangue, o vile, è la tua gloria,
Di quale strazio la corona incide,
Pallido vecchio, minaccioso e immondo!

V.

Lieto sui colli imbalsamati splende
Il sol d'autunno tepido e soave...
Palpita Roma e bella si protende
Come gran vela d'una azzurra nave.

Egli guarda e s'oblia... egli rammenta
La giovinezza sua dolce e canora
Or che la vita sferza e lo tormenta
E non v'è sole a lumeggiar l'aurora.

Ma un branco di ribaldi lo minaccia:
Scopriti il capo, passa il tricolore...
… Pel tricolore ho dato ambe le braccia,

Egli risponde... e ardente è il suo valore.
Ma il condottiere lo percuote in faccia
Ed urla vile al generoso core.

VI.

Ei getta allor le braccia artificiali
Contro l'insulto di spavaldi... eroi...
Son questi i sogni, i canti e gli ideali
Con cui l'Italia immortalate voi?

Eccomi fango e cencio, ombra servile,
E frale carne pallida e sparuta!...
Oh! patria, essi ti fanno abbietta e vile...
E mordi, allora, e insulta, e addenta e sputa.

Ma generosa si rivolta Roma.
Freme, si avventa, al turbine trascina,
I ribaldi sconfigge e sperde e doma.

Fugge la sana gioventù latina
Dai polsi forti e da la folta chioma...
Fermenta l'Augusteo fatto latrina.

VII.

Or cupi e muti vanno i moribondi
Lugubre schiera – a chiedere del pane.
Hanno la bocca amara e gli occhi fondi,
Vuoti i polmoni e le pupille insane.

Passano stanchi... ed i sanguigni sputi
Marciti fiori infestano il selciato.
Sui tetri volti lividi e sparuti
Come ferita è il labbro insanguinato.

Ma dal vetusto luogo del convegno
L'arma d'Italia guata... e li colpisce.
Urlano i petti affaticati e tristi,

Ed i grumi, di pianto e sangue misti,
Sputan le bocche, contro chi ferisce...
E di tal sangue si ringemma il regno.

VIII.

Fremono i rivi e gemono le fonti
Attorno ai cimiteri aspri e montani.
Un morto hanno scavato, oggi, fra i monti
Gracchiando, i corvi, nei silenzi arcani.

E ravvolto di alloro e di bandiere,
Tra crisantemi e amor passa l'ignoto...
Le tristi donne, mèmori e severe
Tra fitti pianti avvolgono l'immoto.

IX.

Ecco, Fante, la patria immensa e grande,
E l'avvenire e i fulgidi ideali...
Ad ogni passo si discopre un morto

Dal cor strappato e livido e contorto,
E sopra il teschio ghignano i pugnali
Che vi piantan, passando, armate bande.

Ecco, Fante, la patria altera e forte
Ed il valore e l'epiche passioni!
Stridon, sinistri, i ferri e le ritorte
E grondan sangue vivo le prigioni.

Ed or ritenta l'emigrante il mare...
E ne l'angoscia, tacito riprova,
Senza riposo, l'àncora a levare...
E cerca attorno una speranza nuova.

Alzati, Fante, e sfolgorante al sole,
Rovescia il forte che ti preme il cuore,
Mentre il tuo volto màcero guardiamo...

E riscuoti la folla al tuo richiamo,
Che senza pace e senza onore muore...
Ed il suo canto rigermogli al sole.

X.

Ed ogni donna il suo dolore porti
E ridistenda il suo funesto lutto.
Poi, sulle braccia, risollevi i morti
Per rifare l'ordito ampio distrutto.

Vibri la folla e al ciel levi la fronte
E la febbre risenta del cammino...
Chè su l'azzurro e insormontato monte
S'impenna, ancora, il vìndice destino.

E voli, e voli, e voli, ala possente,
Il suo gran canto, dai raccolti steli,
E pulsi, fiera, libera e fremente,

Assorba, il sangue, dai corruschi cieli,
Ricada, in fior, su l'aspettante gente
E i cuor ravvolga di pietosi veli.

Rimini, Gennaio 1922.


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