Louise Michel
La comune
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PARTE PRIMA L'agonia dell'Impero

III. L'Internazionale. = Fondazione e processi. Proteste contro la guerra.

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III.
L'Internazionale. = Fondazione e processi.
Proteste contro la guerra.

Les Polonais souffrent, mais il y a par le monde une grande nation plus opprimée, c'est le prolétariat.

(Meeting du 28 septembre 1864.)

Il 28 settembre 1864 a Saint-Martin-Hall, a Londra, vi fu un grande comizio di protesta per la Polonia: i delegati di tutte le parti del mondo fecero delle misere condizioni della classe lavoratrice un così straziante quadro, che fu presa la deliberazione di considerare i dolori della Umanità intera come facenti parte della causa comune di tutti i derelitti.

Così nacque allora l'Internazionale: e grazie ai processi, ai quali fu sottoposta gli ultimi anni dell'impero, potè svilupparsi ed estendersi rapidamente.

E appena nel 71, salendo la scala polverosa nella casa della Corderie du Temple, nella quale si riunivano le sessioni dell'Internazionale, pareva di ascendere la scalinata di un tempio: e Tempio era, per verità, quello della pace del mondo nella libertà.

L'internazionale aveva pubblicato i suoi manifesti in tutti i giornali di Europa e d'America.

Ma l'Impero inquieto, quasi si fosse giudicato da se stesso, deliberò di considerarla come una società secreta. Ma era così poco secreta, che le sue adunanze si erano pubblicamente organizzate; ciò non ostante fu dichiarata un'associazione clandestina.

Gli Internazionalisti, dichiarati malfattori, nemici dello Stato, comparvero la prima volta davanti il Tribunale correzionale di ParigiSezione VI, il 26 marzo 1868, sotto la presidenza di Delesveaux. Gli accusati erano in tutto quindici: Chémalé, Tolain, Héligon, Murat, Camelinat, Perrachon, Fournaise, Dantier, Gautier, Bellamy, Gérardin, Bastier, Guyard, Delahaye, Delorme.

Gli atti d'accusa scelti apparivano gravemente pericolosi per la sicurezza dello Stato. Disgraziatamente, non colpivano nel giusto. Tolain presentò così le conclusioni generali degli accusati:

«Ciò che voi udiste da parte del Pubblico Ministero, è la prova migliore del pericolo che corrono gli operai, quando essi si sforzano di studiare le questioni che toccano più da vicino i loro interessi, di consigliarsi a vicenda, di conoscere infine, le vie, nelle quali han camminato fin qui alla cieca.

Per quanto essi facciano, per quante precauzioni prendano, per quanta sia la loro prudenza, e la loro, buona fede, essi vengono continuamente minacciati, perseguitati, e cascano sotto la morsa della legge».

E vi caddero anche questa volta, ma la condanna loro inflitta fu lieve in confronto di quelle subite dopo. Ogni accusato fu multato a 100 franchi d'ammenda, e l'Internazionale fu dichiarata sciolta: mezzo migliore questo per farla moltiplicare.

Ricordiamo la sentenza dei tribunali di quell'epoca giacchè erano la sola tribuna in Francia: ai loro giudizi erano sottoposti i principii dell'Internazionale: i suoi aderenti dichiaravano di non voler più sprecare la propria energia per aver dei padroni, combattere per la scelta di un tiranno: ogni individuo doveva essere libero in libero consorzio.

Ed era cosa commovente vedere quest'uomini soli, ergersi giudici, di fronte all'Impero, nei suoi Tribunali. Tolain di solito presentava le conclusioni, e quella volta disse:

«La taccia d'arbitrario vi ferisce. Ebbene, che è capitato a noi? Un giorno un funzionario si è alzato un po' di malumore; un caso qualsiasi gli richiama alla memoria l'Associazione internazionale, e siccome egli quel giorno vedeva tutto nero, d'innocenti ch'eravamo il giorno prima, siamo diventati rei, senza manco saperlo: allora, nel bel mezzo della notte si è forzato il domicilio di quelli che si sospettavano i capi, come se noi volessimo imporre la nostra opinione ai nostri aderenti, mentre noi ci sforziamo d'ispirarci alla loro, ed eseguirne le decisioni: e si è sfogliato e cercato tutto ciò che poteva dar ragione a sospetti; ma nulla avete trovato che potesse servire di base ad una qualsiasi accusa.

«Non potete dire sul conto dell'Internazionale se non ciò che era già noto a tutto il mondo, ciò che noi stessi avevamo gridato ai quattro venti della pubblicità.

«Confessate adunque che oggi noi siamo sottoposti ad un processo di sospetto, non per i delitti che abbiamo commesso, ma per quelli che credete che noi potremmo commettere».

Non pare forse di assistere ai processi contro i moderni libertari, detti ugualmente malfattori?

La sentenza fu confermata, per quanto fosse risaputo che i documenti considerati come secreti fossero stati tutti pubblicati.

La propaganda fattagli dal Tribunale, rese l'Internazionale ancor più popolare, e il 23 maggio successivo, nuovi accusati comparvero sotto le medesime accuse, che rasentavano quasi le perfidie della legge scellerata.

Erano Varlin, Malon, Humber, Grandjean, Bourdon, Charbonneau, Combault, Sandrin, Moilin. Dichiararono essi di appartenere all'Internazionale di cui erano solerti propagandisti; e Combault affermò che secondo le sue convinzioni, i lavoratori avevano il diritto di occuparsi dei loro propri affari. – È la lotta contro la giustizia! – gridò Delesveaux. – È al contrario la lotta per la giustizia! rispose Combault, sostenuto dai suoi compagni d'accusa.

Le citazioni prese dai giudici nelle carte scelte si rivolgevano contro loro stessi. Così la lettera di Pallay, dottore all'Università di Oxford, il quale scriveva non dover la miseria sparire con la scomparsa dei disgraziati, ma con l'eguale partecipazione di tutti alla vita: – L'antichitàdiceva Pallay – è morta per aver conservato nei suoi fianchi la piaga della schiavitù. L'era moderna compirà il suo cammino, e cadrà, se si ostinerà a credere che tutti debbano lavorare e imporsi sacrifici per procurare ricchezze e lusso a pochi soli.

Essendo stata l'Internazionale, come al solito, dichiarata disciolta, e gli accusati condannati a tre mesi di prigione e a cento franchi di multa, si presentava un altro processo. I registri dell'Internazionale erano stati trattenuti dal giudice istruttore. Combault, Murat e Tolain ricostruirono a memoria la loro registrazione in una lettera pubblicata nel Réveil.

Siccome il numero degli internazionalisti aumentava in ragione diretta di ogni scioglimento di società, si ebbero all'ultimo processo trentasette accusati, per quanto lo si chiami il processo dei trenta per non so quale antipatia ai numeri esatti.

Erano divisi in due categorie, quelli tenuti in conto di caporioni, e quelli invece che si credevano essere semplici affigliati, senza rendersi ben conto di questa divisione giacchè le accuse per tutti erano uguali.

La prima categoria era composta di Varlin, Malon, Murat, Johannard, Pindy, Combault, Heligon, Avrial, Sabourdy, Colmia detto Franquin, Passedonet, Rocher, Assi, Langevin, Pagnerre, Robin, Leblanc, Carle, Allard.

La seconda: Theisz, Coilot, Germain-Casse, Ducauquie, Flahaut, Landeck, Calain, Ansel, Berthin, Boyer, Girode, Delacour, Durand, Duval, Fournaise, Frankel, Girot, Malzieux.

L'avvocato generale era Aulois: i difensori Lachaus Bigot, Lenté, Rousselle, Laurier, che doveva presentare le conclusioni generali.

E si intesero allora terribili particolari sui risultati delle perquisizioni e il pericolo che c'era nel lasciar impuniti i criminali che minacciavano lo Stato, la famiglia, la proprietà, la patria e anche Napoleone III.

Si erano fatti discorsi violenti e relazioni sugli scioperi inserite nel «Marseillaise, Moniteur de l'insurrection».

Varlin aveva detto il 29 aprile del 70, nella redazione del Marseillaise: «L'Internazionale ha di già vinti i pregiudizi che tengono divisi popoli da popoli.

«Noi sappiamo ormai qual conto farne della provvidenza, la quale ha sempre tenuto dalla parte dei milioni. Il buon Dio ha fatto il suo tempo, ne abbiamo abbastanza: noi facciamo appello a tutti coloro che soffrono e lottano: noi siamo la forza e il diritto, noi dobbiamo bastare a noi stessi.

«I nostri sforzi devono tendere contro l'ordine giuridico, economico e religioso».

Gli accusati approvarono; Combault grida: «Noi vogliamo la rivoluzione sociale con tutte le sue conseguenze

Le tremila persone affollate nell'aula si levarono e applaudirono; il tribunale allarmato fece uno spaventoso miscuglio di parole come: picrato di potassio, nitroglicerina, bombe, ecc. nelle mani di un pugno d'individui, ecc.

«L'Internazionale, replica Avrial, non è un pugno d'individui, ma tutta la massa operaia che rivendica i propri diritti: od è la cattiveria dei nostri padroni che ci spinge alla rivolta

V'erano in alcune lettere sequestrate certi apprezzamenti che furono confusi con le accuse senza si capisse bene che cosa volessero significare.

In una lettera di Hins avevano notato questo passaggio ch'era profetico: «Io non comprendo questa corsa al potere da parte delle sezioni dell'Internazionale. Perchè volete immischiarvi in questi governi? Compagni, non seguiamo questo cammino».

Alcune adesioni pervennero alla presenza del Tribunale. «Io non sono dell'Internazionale, dichiara Assi, ma spero bene di appartenervi un giorno».

Fu il suo atto di ammissione.

Un'accusa di congiura contro la vita di Napoleone III fu messa da parte per prudenza: c'era già l'idea per aria e si temeva di provocar la catastrofe.

Lo spavento del procuratore generale era così grande, da ritenere per segni misteriosi le sigle e gli emblemi di mestiere adoperati in una lettera sequestrata dal gabinetto nero: la parola compagni, usata in Belgio fu incriminata. Germain-Casse e Combault espressero l'opinione generale degli altri accusati.

«Noi non mendicheremo una menzogna, disse Germain-Casse, per sfuggire a qualche mese di prigione; la legge altro non è ormai che un'arma messa al servizio delle vendette e delle passioni; non ha diritto quindi al rispetto. Noi la vogliamo quindi sottomessa alla giustizia ed all'uguaglianza». Egli termina così: «Permettete, Avvocato generale, che io vi ripeta le parole dell'amico Mallet: non toccate la scure; l'arme è pesante, la vostra mano è debole e il nostro tronco nodoso».

Combault, confutando l'asserzione del tribunale che nell'Internazionale ci fossero i capi e i gregari, disse: «Ognuno di noi è libero ed agisce liberamente; fra gl'internazionali non v'ha imposizione di pensiero di sorta. Io davvero non so comprendere la persistenza del pubblico ministero ad accusarci di cose che noi non abbiamo fatto, mentre egli potrebbe ampiamente accusarci di ciò che noi riconosciamo d'aver fatto: la propaganda dell'Internazionale, fatta a dispetto degli articoli 291 e 292 che noi violiamo apertamente dopo che fu deliberato lo scioglimento della società. Non ostante invece questo scioglimento, l'ufficio di Parigi continua a riunirsi.

«Da parte mia, io confesso che non mi sono mai trovato così frequentemente coi membri di quest'ufficio come nei tre mesi che passano dal 15 luglio al 15 ottobre. – Ciascun di noi operava per conto suo: non abbiamo noi catene: ognuno esplica individualmente le proprie energie

E fu questo un processo assai movimentato. Chalin, nel presentare la difesa collettiva, affermò che condannare l'Internazionale era come dar di cozzo contro il proletariato di tutto il mondo. Centinaia di migliaia di nuovi aderenti risposero all'appello in poche settimane, mentre i delegati erano prigionieri o proscritti.

«Esiste oggi, soggiungeva, una specie di santa alleanza dei governi e dei reazionari contro l'Internazionale. Ma se lo ricordino bene i monarchici e i conservatori: l'Internazionale è l'espressione di una rivendicazione sociale troppo giusta e troppo consona alle aspirazioni contemporanee, perchè debba cadere prima di aver raggiunto il suo scopo.

«I proletari sono stanchi di rassegnazione; sono stanchi di vedere i loro tentativi d'emancipazione sempre repressi, sempre calpestati e puniti; sono stanchi d'essere vittime del parassitismo, di sentirsi condannati ad un lavoro senza speranza, ad una sudditanza senza limiti; di veder la loro esistenza tutta logorata dalla fatica e dalle privazioni, stanchi infine di raccattar da terra poche briciole d'un banchetto, di cui essi fanno tutte le spese.

«Ora il popolo vuole anzitutto governarsi da , senza intermediari, e soprattutto senza salvatori. Vuole la libertà completa.

«Qualunque sia il vostro verdetto, noi continueremo come per lo passato a conformare apertamente le nostre azioni alle nostre idee».

Dopo la requisitoria dell'avvocato imperiale, Combault replica ancora: «È un duello mortale fra noi e la legge; la legge soccomberà, perchè è cattiva ed ingiusta. Se nel 68, quand'eravamo pochi non siete riusciti a schiacciarci, credete forse di poterlo far ora, che siamo mille e mille? Voi potrete colpire gli uomini, non soffocherete l'ideale: l'ideale sopravvive a tutte le persecuzioni».

Furono condannati:

Varlin, Malon, Pindy, Combault, Héligon, Murat, Johannard a un anno di prigione e 100 lire di multa.

Arial, Sabourdy, Colmia detto Franquin, Passedoute, Rocher, Laugevin, Pagnerre, Robin, Leblanc, Carle, Allard, Theizz, Collot, Germain-Casse, Chalain, Maugold, Ansel, Berthin, Boyer, Cirode, Delacour, Durand, Duval, Fornaise, Girot e Malzieux a due mesi di prigione e 25 franchi di multa.

Assi, Ducanquie, Flahaut e Landeck furono assolti. Tutti in massa poi furono privati dei loro diritti civili e condannati alle spese. Ma quelli ch'erano stati condannati ad un anno di prigione non riuscirono a subirla: gli avvenimenti li liberarono. Questi individui così tenaci davanti alla giustizia imperiale dovevano insieme coi rivoluzionari, blanquisti ed oratori dei clubs formare la Comune, durante la quale la legalità e la burocrazia del potere annientarono la loro energia, finchè, ridiventati liberi e pronti per la lotta suprema, ripresero la loro potenza di volontà.

Già sotto l'impero la Francia era la nazione meno libera d'Europa. Tolain delegato nel 68 al congresso di Bruxelles, diceva con ragione che ci voleva un po' più di prudenza in un paese dove non esisteva « libertà di riunione, libertà d'associazione; ma, continua egli, se l'Internazionale non esiste più ufficialmente a Parigi, tutti noi restiamo membri della grande associazione, dovessimo pur essere affigliati separatamente a Londra, a Bruxelles o a Ginevra; e noi speriamo che dal congresso di Bruxelles esca una federazione grandiosa dei lavoratori di tutti i paesi contro la guerra che non è mai stata fatta se non a vantaggio dei tiranni contro la libertà dei popoli».

Dappertutto infatti, si facevano atti di protesta contro la guerra. Gli Internazionalisti francesi indirizzavano ai lavoratori tedeschi questo proclama:

«Fratelli di Germania,

«In nome della pace non ascoltate la voce pagata o servile di coloro che tentano di ingannarvi sulla vera opinione della Francia.

«Non date ascolto a provocazioni insensate perchè la guerra fra di noi sarebbe guerra fratricida.

«Siate tranquilli come può esserlo un grande popolo coraggioso senza compromettere la propria dignità.

«I nostri reggimenti non farebbero che completare da una parte e dall'altra del Reno il trionfo del dispotismo.

«Anche noi, vent'anni fa, anche noi credemmo di veder splendere l'alba della libertà; che il ricordo dei nostri falli vi serva almeno d'esempio. Padroni oggi del vostro destino, non curvatevi come noi, sotto una nuova tutela.

«L'Indipendenza che voi avete conquistata, col suggello del vostro sangue, è il più grande dei beni; la sua perdita, credeteci, è per i popoli la causa dei rimpianti più strazianti.

«Lavoratori di tutti i paesi, qualunque sia la riuscita dei nostri sforzi comuni, noi, membri dell'Internazionale dei lavoratori, che non conosciamo frontiere di sorta, noi vi indirizziamo come pegno di solidarietà indissolubile i voti ed i saluti dei lavoratori di Francia.

«Gli Internazionalisti Francesi».

Gl'Internazionalisti tedeschi risposero:

«Fratelli francesi,

«Anche noi vogliamo la pace, il lavoro e la libertà; perciò ci associamo di tutto cuore alla vostra protesta, ispirata da un ardente entusiasmo contro tutti gli ostacoli che ci impediscono il nostro pacifico sviluppo, e principalmente contro le guerre selvagge. Animati da fraterni sentimenti, uniamo alle vostre le nostre mani e vi affermiamo da uomini d'onore che non sanno mentire, che non è nei nostri cuori il più piccolo odio nazionale contro di voi, che noi non subiamo la violenza, e non entriamo che costretti e forzati nelle bande guerriere che vanno a portare la rovina e la miseria nei campi tranquilli dei nostri paesi.

«Anche noi siamo uomini di lotta, ma vogliamo combattere lavorando pacificamente e con tutte le nostre forze per il bene dei nostri e dell'umanità; vogliamo combattere per la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza, contro il dispotismo dei tiranni che opprimono la santa libertà; contro la menzogna e la perfidia, da qualunque parte vengano.

«Solennemente vi promettiamo che rullo di tamburi, rombar di cannoni, vittorie, disfatte ci distrarranno dal nostro lavoro per la unione dei proletari di tutto il mondo.

«Anche noi non conosciamo più frontiera perchè sappiamo che sulle due rive del Reno, nella vecchia Europa, come nella giovane America vivono i nostri fratelli, coi quali noi siamo pronti ad affrontare la morte per il trionfo dei nostri sforzi: la Repubblica Sociale. Viva la pace, il lavoro, la libertà!

«A nome dei membri dell'associazione Internazionale dei lavoratori di Berlino

«Gustavo Kwasniewski».

Al manifesto dei lavoratori francesi era unito quest'altro:

«Ai lavoratori di tutto il mondo,

«Noi protestiamo contro la sistematica distruzione della razza umana, contro lo sperpero dell'oro del popolo, che non deve servire che a fecondare il suolo e l'industria; contro il sangue sparso per la soddisfazione odiosa della vanità dell'amor proprio, delle ambizioni di monarchi viziosi e insaziabili.

«Sì, con tutte le nostre forze noi protestiamo contro la guerra come uomini, come cittadini, come lavoratori.

«La guerra è il risveglio di istinti selvaggi e di rancori nazionali.

«La guerra è il mezzo adoperato dai governanti per soffocare la pubblica libertà.

«Gli Internazionalisti Francesi».

Queste giuste rivendicazioni furono sopraffatte dagli inni bellicosi delle bande imperiali delle due contrade, le quali spingevano verso il comune macello il gregge francese e il gregge tedesco.

Possa il sangue dei proletari dei due paesi cementare l'alleanza dei popoli contro i loro oppressori!


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