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Partout va rampant le policier louche,
Tout est embuscade, on erre farouche
(L. M. le Coupe-Gorge)
L'Impero faceva intorno a sè del gran fracasso proprio come quei governi che hanno bisogno d'allontanarsi d'addosso l'opinione pubblica. Complotti, ch'egli stesso preparava; bombe lanciate da spie prezzolate; scandali; delitti scoperti a tempo opportuno, conosciuti però da lungo tempo e tenuti in serbo: tutte cose che abbondano sul finir d'ogni regno.
Non era difficile quindi di travolgere i migliori e i più ardenti tra i rivoluzionari in qualcuna di queste macchinazioni. Il poliziotto che avesse offerto dei proiettili avrebbe trovato non una ma cento mani pronte a riceverli; ma le cose messe sù così dagli spioni non vengono mai a proposito. La funicella passa e si nasconde sotto il fantoccio, finchè verrà il tempo che ci sarà davvero un complotto, ma vasto come la Francia, ma a viso aperto, ma grande come il mondo. Guérin traditore ed altri non ebbero da far molta fatica per fornire ai loro padroni tutte le apparenze di una cospirazione.
Nella tormenta che passava turbinando sopra l'Impero, si abbozzò il processo di Blois.
Guérin sapeva bene ritrovare le bombe ch'egli stesso aveva distribuite, e le indicò alle perquisizioni. Ma lo scenario era stato imbastito troppo miseramente: data la grandezza degli elementi avrebbero potuto, sulla trama gigantesca, tessere un dramma capace d'entusiasmare anche lo stesso uomo di dicembre: ma i ruffiani d'ordinario mancano di genialità: l'apparato era proprio inverosimile.
Il teatro scelto per mettere in scena l'accusa, che doveva terrificare il mondo intero, mettendo in mostra i retroscena rivoluzionari, era la sala degli Sati di Blois. L'Impero voleva un gran successo: e l'ebbe in ragione inversa de' suoi desideri. Noi troviamo che la grandezza e il decoro stavano dalla parte di coloro che rappresentavano al processo dell'Impero la lotta per la giustizia: difatti ci stavano a loro agio, e di lì gettarono in faccia ai giudici la verità.
Gli accusati, erano: Bertrand, Drain, Th. Ferré, Ruisseau, Grosnier, Meusnier, Ramey, Godinot, Chassaigne, Jarrige, Grenier, Greffier, Vité, Cellier, Fontaine, Prost, Benel, Guérin, Claeys, Lyon, Sapia, Mégy, Villeneuve, Dupont, Lerenard, Tony Moilin, Perriquet, Blaizot, Letouze, Cayol Beaury, Berger, Laundy, Dereure, Laygues, Mabille, Razona, Notril, Ochs, Rondet, Biré, Evilleneuve, Careau, Carme, Pehian, Joly, Ballot, Cournet, Pasquelin, Verdier, Pellerin, Bailly.
Gli avvocati Protot, e Floquet (al quale si attribuiva l'apostrofe allo zar: «Viva la Polonia, signore!) erano tra i difensori.
Alcuni arrestati, che mai prima s'erano visti, annodarono là delle solide amicizie.
Come nei processi contro l'Internazionale, detta associazione a delinquere, gli accusati furono divisi in due categorie, per quanto tutti confessassero apertamente il loro odio per l'impero e il loro amore per la Repubblica. I giudici furiosi perdevano la testa: forse vedevano anch'essi avvicinarsi a gran passi quella Rivoluzione di cui gli accusati parlavano così audacemente.
Vi si ebbero delle condanne alla prigione, ai lavori forzati, senza motivi per gli uni e per gli altri. Le accuse erano così poco solide, che nel medesimo incarto una cosa era in disaccordo con un'altra. Vi furono forzatamente alcuni assolti fra i quali Ferré, il quale aveva ingiuriato il tribunale; ma contro di lui i fatti erano stati così stupidamente riportati, che venivano a cadere da sè davanti all'uditorio stupefatto, non essendo mai esistito ciò che gli si attribuiva, e non essendosi esitato a mettere in vista i testi contradditori, opera della polizia.
Quelli tra gli accusati che dovevano essere deportati, non ebbero il tempo di partire.
L'Impero aveva fatto un calcolo sbagliato sul processo di Blois, fatto proprio contemporaneamente alla dichiarazione di guerra, per far approvare questa guerra, risultato di una intesa fra despoti, come necessaria e gloriosa, nel tempo stesso ch'essi incominciarono le persecuzioni contro i rivoluzionari.
Gli uomini del processo di Blois, erano capaci di combattere e di cospirare contro Napoleone III; ma essi non avevano agito nella maniera svelata dai poliziotti: erano degli audaci essi, e non si era saputo inventare delle parti confacenti al loro carattere. Fra lo spavento della rivoluzione, e la marcia trionfale su Berlino, Napoleone III, congratulato da Zangiacomi, che si felicitava con lui d'essere sfuggito al complotto diretto contro la sua vita, si domandava se mai le congiure dei poliziotti non avessero fatto scoppiare qualche complotto vero e serio.
Frattanto i vecchi burgravi Bismarck e Guglielmo sognavano l'Impero d'Occidente, Carlomagno e i suoi pari.
Il traditore Guérin comparve insieme agli altri, ma la sua attitudine sospettosa, la dappocaggine dell'alta corte, vecchi dubbi sul suo conto, resi più sicuri dall'interrogatorio, finirono col convincere della missione odiosa ch'egli aveva compiuto.
Siccome noi non avremo più occasione di parlare di quest'individuo, mettiamo qui l'ultimo cenno della sua esistenza.
Non potendo più servire la prefettura, poichè era stato scoperto, la trovò anche ingrata.
Non sapendo come guadagnarsi la vita, nè a che partito appigliarsi, venne a Londra, nel momento in cui i proscritti della Comune vi cercavano asilo. Si faceva passare per un rifugiato politico, fra coloro che non lo conoscevano; avendo avuto cura di mutare nome, e cercava lavoro. In queste condizioni, Guérin si presentò ad un rifugiato, Vallet, che non lo aveva mai visto, chiedendogli che l'aiutasse a cercarsi un impiego. Commosso dalla sventura di quest'individuo, che nessuno conosceva, Vallet l'indirizzò ad un amico, anche lui proscritto.
Ma appena Guérin ebbe posto piede in quella casa, se ne fuggì spaventato: vi riconosceva la voce di Mallet, che aveva contro di lui delle prove innegabili.
Ora Guérin è un vecchio malandato e dall'andatura inquieta. Cammina e volge di tanto in tanto la testa indietro, come se qualche cosa lo seguisse: e lo segue, infatti, il suo tradimento.