IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
VII.
L'"affaire" della Villette. = Sedan.
Solo la Repubblica poteva liberare la Francia da ogni invasione, purificarla di vent'anni di impero ch'essa aveva subito; aprire tutte le grandi porte dell'avvenire ingombre dai mucchi di cadaveri.
A Montmartre, a Belleville, al quartier Latino gli spiriti rivoluzionari, e per di più anche i Blanquisti, correvano alle armi.
Si sapeva ormai la disfatta completa, di cui il Governo non annunciava che una cosa sola: la carica dei corazzieri.
Si sapeva che quattromila cadaveri, e gli altri prigionieri era quanto rimaneva del corpo d'armata di Trossard. Si sapevano i Prussiani già stabiliti in Francia. Ma più terribile era la situazione, più grande il coraggio. La Repubblica mitigherà le piaghe, ingrandirà le anime.
La Repubblica! non bastava vivere per essa, si voleva morire.
Gli è durante queste aspirazioni che il 14 agosto 1870 ebbe luogo l'affare della Villette. Sopratutto i Blanquisti credevano di poter proclamare la Repubblica prima che l'impero bacato cadesse da se stesso. Per questo, bisognavano delle armi: e siccome non ce n'erano abbastanza si volle incominciare coll'impadronirsi della caserma dei Pompieri, sul viale della Villette, n. 141, dove credo si sarebbero prese le armi.
Si disse che un pompiere vi fosse ucciso: fu appena ferito; lo confessò lui stesso più tardi.
Il posto era numeroso, ben armato. La polizia pervenuta non si sa come, si scagliò sui rivoluzionari. Quelli di Montmartre, venuti dopo, videro sul viale deserto, che le imposte s'erano chiuse con rumore, la vettura nella quale erano stati gettati Eudes e Brideau, prigionieri, circondata da spie e da fannulloni che gridavano: ai Prussiani!
Tutto era finito per questa volta, ancora; ma l'occasione ritornerebbe.
Il 16 agosto, una specie di successo riportato da Bazain a Borny, e ingrandito a bella posta dal governo, per poterlo sventolare in faccia alla credulità popolare, pareva ritardare ancora la ritirata dell'armata francese. Gli scontri di Gravelotte, di Rézonville, Vianville, Mars la Tour, furono gli ultimi, prima del ricongiungimento delle due armate prussiane che serrarono in un semicerchio l'armata francese: ben presto l'accerchiamento era completo. Il governo continuava ad annunciar vittorie. Il numero di queste vittorie rese più facile la condanna a morte di Eudes e Brideau. Persino alcuni radicali qualificarono per banditi gli Eroi della Villette, Gambetta aveva dapprincipio proposta contro d'essi la esecuzione immediata e senza processo.
Il complotto della Villette, fu per qualche tempo all'ordine del giorno, come spauracchio della borghesia.
I rivoluzionari del resto non erano i soli a giudicare la situazione e gli uomini nel loro giusto valore. Vi erano anche nell'armata alcuni ufficiali repubblicani. Uno d'essi, Nataniele Rosel, scriveva a suo padre (in questo stesso 14 luglio, in cui si tentò di proclamare la Repubblica a Parigi) la lettera seguente, conservata nei suoi scritti postumi:
«Io ho avuto dal principiar della guerra, delle avventure strane e numerose: ma una cosa che ti farà meravigliare è questa, che non sono mai stato mandato alla carica. Ci sono stato, sì, qualche volta; ma per mio piacere, e con minimo pericolo.
«A Metz, io non ho tardato a riconoscere l'incapacità dei nostri comandanti, generali e stato maggiore: incapacità senza rimedio, confessata da tutta l'armata; e siccome io ho l'abitudine di spingere le mie deduzioni fino all'estremo, pensavo, prima ancora del 14, ai mezzi di sbarazzare tutta questa massa d'ignoranti.
«Io ne avevo immaginati alcuni per questo, che non sarebbero poi così difficili. Mi ricordo che una sera, in compagnia del mio commilitone X, spirito generoso e risoluto, e che era tutto convinto delle mie idee, noi passeggiavamo davanti a questi alloggi magnifici della via Clercs, pieni di cavalli, di vetture, d'intendenti gallonati, e messo sossopra dal solito tumulto d'uno stato maggiore insolente e buontempone.
«Esaminavamo le porte, come erano situate e come con cinquanta uomini risoluti si potevano toglier di mezzo quegli spacconi; e cercavamo questi cinquanta uomini, e non ne abbiamo trovati che dieci!...
«Il 14 agosto, verso sera, noi vedemmo dall'alto dei bastioni l'orizzonte da Saint Julien a Quenlen rischiarato dai fuochi di battaglia,
«Il 16 l'armata aveva guadata la Mosella e trovava il nemico a faccia a faccia. Appena sbarazzato del mio servizio, i convogli di feriti, che giungevano, annunciavano una grande battaglia. Corsi a cavallo attraverso Moulin e Ghatel fino alla pianura di Gravelotte, dove potei assistere ad una parte dello scontro al fianco di una batteria di mitragliatrici comandata meravigliosamente.
«Io ho rivisto una volta ancora, il giorno della capitolazione, il capitano di questa batteria.
«Il 18 andai ancora, la sera, ad assistere alla battaglia, ed incontrai il generale Grenier: se ne tornava, dopo aver perso, con 1a sua divisione che si ritirava tranquillamente, avendo combattuto sette ore di seguito senza essere sostituita. Il giorno dopo il blocco era completo.
«Ed io non continuai neppure a cercare dei nemici per questi generali incapaci.
«Il 31 agosto e il primo di settembre, tentarono di dar battaglia, e non sapevano neppure come impegnare le truppe.
«Il disgraziato Leboef, cercò, si disse, di farsi uccidere sul campo, e riuscì solo a far uccidere scioccamente molti giovani valorosi.
«Andai la sera del 31 a vedere la battaglia al forte di Saint-Julien, e il giorno dopo, 1 settembre, sul campo di battaglia incontrai certo Saillard, divenuto capo squadrone, che attendeva ancora con due batterie, il momento di entrare in azione.
«Io ho provato raramente un più grande stringimento di cuore, vedendo le ultime probabilità che ci restavano, abbandonate così vergognosamente; chè ogni volta che ci si batteva, sentivo rinascere la fiducia.
(Scritti postumi di Rossel, raccolti da Giulio Amigues).
Non era forse cosa strana, che persone che mai s'erano viste nè conosciute, pensassero nello stesso tempo alla stessa ora nefasta, in cui i despoti compivano l'opera loro, gli uni a proclamare la Repubblica liberatrice e gli altri a liberare l'armata di quegli ufficiali insolenti e parassiti dell'Impero?
Mentre le vittorie, secondo i dispacci, continuavano, e facevano udire i loro squilli su tutte le loro irreparabili disfatte; Eudes e Brideau sarebbero stati giustiziati, senza i ritardi portati a quest'esecuzione da una lettera di Michelet, coperta di firme a migliaia, protestante contro quest'atto delittuoso. Tale era la bufera di spavento che imperversava su Parigi in quest'ultima agonia imperiale, che parecchi, i quali dapprima avevano data con entusiasmo la loro firma, venivano a richiederla. (N'andava, dicevano, della loro testa!).
Ma siccome in pericolo erano sopratutto le teste dei nostri compagni Eudes e Brideau, confesso che non volli cancellare alcuna firma sulle liste che m'erano state confidate.
Adele Esquiros, André Leo ed io fummo incaricate di portare il voluminoso incarto al governatore di Parigi, general Trochu.
Non era cosa facile poter giungere fino a lui, ma si era avuto ragione di sperare nell'audacia femminile. Più ci si diceva ch'era impossibile penetrare presso il governatore, e più noi ci spingevamo innanzi. Riuscimmo ad entrar d'assalto in una specie d'anticamera; circondata da divani appoggiati ai muri e in mezzo una piccola tavola coperta di carte. Quivi attendevano di solito quelli che volevano veder il governatore. Eravamo sole.
Si sperò di farci uscire con le buone, ma noi, seduteci su un divano, dichiarammo di essere venute in nome del popolo di Parigi per consegnare nelle mani del generale Trochu delle carte, di cui egli doveva aver contezza. Questo appoggio da parte del popolo sortì buon effetto: non osarono gettarci fuori, e tentarono con ogni dolcezza di farci depositare il nostro album sulla tavola fra le carte: cosa che non poterono ottenere. Uno degli uscieri allora si allontanò, ritornando poco dopo con un signore, che ci dissero poi essere il segretario del Governatore. Costui entrò in trattative con noi; ci disse che Trochu era assente ed egli aveva l'ordine di ricevere in nome suo ciò ch'era indirizzato al generale, e volle notare su un registro la consegna dell'album che noi gli rilasciammo, dopo avere avute le prove di non essere ingannate.
Il tempo incalzava, e malgrado il segretario ci assicurasse che il governatore di Parigi aveva gran rispetto per la volontà del popolo, noi vivevamo in continuo timore che l'esecuzione fosse fatta da un giorno all'altro, in qualche eccesso di delirio imperiale.
Un'armata prussiana scendeva lungo la Mosa, i francesi ripiegavano su Sedan.
Si legge a questo proposto nel rapporto ufficiale del generale Ducrot (colui che doveva ritornare o vincitore o morto, ma che non fu nè l'uno nè l'altro): «Questa piazza forte aveva la sua importanza strategica, poichè, raccordandosi a tutti per mezzo di Mezieres, e per il tronco di Huson, era l'unico mezzo di vettovagliamento di un'armata operante al nord di Metz ed era appena al sicuro d'ogni colpo di mano; nè viveri, nè munizioni; nè approvvigionamento di sorta. Alcuni cannoni avevano 30 colpi da sparare, altri sei, ma la maggior parte mancava di spazzoloni.»
Il primo settembre i Francesi furono accerchiati e fatti a pezzi come in un crogiolo dall'artiglieria nemica, che occupava le alture.
Caddero due generali, Treillard ucciso, e Margueritte mortalmente ferito. Baufremont allora, per ordine di Ducrot, scagliò tutte le divisioni contro l'armata prussiana. Aveva con sè il primo ussari e il 6. cacciatori, Brigata Tailiard, il 1., 2. e 4. cacciatori d'Africa, Brigata Margueritte. Ciò fu orribile e bello; ed è questa la famosa carica di Sedan.
L'impressione fu così superba che il vecchio Guglielmo esclamò: Oh, che bravi soldati!
La carneficina fu così grande che la città e le campagne circostanti erano coperte di cadaveri. In questo lago di sangue gli imperatori di Francia e di Germania avrebbero ben potuto estinguere la loro sete.
Il due settembre, nella bruma della sera, l'armata vittoriosa, in alto sopra i colli, inalzava un cantico di grazie al dio degli eserciti, il quale pure invocarono Bonaparte e Trochu.
Le voci melodiose dei tedeschi, piene di sogno, si librarono incoscienti sopra il sangue versato.
Napoleone III esasperato non volle ritentare la sorte: si arrese, e con lui si arresero più di 80.000 uomini, le armi, le bandiere, centomila cavalli 650 pezzi di artiglieria.
L'Impero era finito, e così profondamente seppellito, che mai avrebbe potuto risuscitare.
L'uomo di dicembre finiva in quello di Sedan, trascinando con sè tutta la dinastia.
Così è: oramai non si potrà agitare che la cenere della leggenda imperiale.
E nella valle di Sedan, sembra di veder come in un volo di fantasmi, passare la gazzarra imperiale, trascinata insieme agli dei d'Offenbach dall'orchestra beffarda della Bella Elena, mentre avanza l'oceano spettrale dei morti.
Più tardi fu attribuita a Gallifet, la carica comandata da Baufremont, per attenuare l'indimenticabile orrore della carneficina di Parigi: noi sappiamo che Gallifet si trovava infatti a Sedan, dove raccolse il cappello da generale di Margueritte; ma ciò non diminuisce la responsabilità ch'egli ha del sangue immolato, e che non si cancellerà mai più.
I prigionieri di Sedan furono condotti in Germania.
Sei mesi dopo la commissione di saggio dei campi di battaglia fece sterrare le fosse, nelle quali i cadaveri erano stati ammonticchiati in fretta; si versò sopra dell'acqua ragia e con del legno di larice si accese un falò. Sugli avanzi, perchè tutto fosse consumato si gettò della calce viva.
E che terribile divoratrice di uomini fu in quegli anni, la calce viva!