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PARTE SECONDA
La Repubblica del 4 Settembre
I.
Il 4 settembre.
Amis, sous
l'Empire maudit
Que la République était belle!
In mezzo allo spavento che inspirava l'Impero, l'idea della sua prossima caduta si spandeva per Parigi, e noi, entusiasti, sognavamo la rivoluzione sociale.
Gli antichi gridatori di «A Berlino!» per quanta sostenessero ancora che l'armata francese era dovunque vittoriosa, si lasciavano sfuggire vili espressioni di resa che venivano loro ricacciate in gola, affermando che Parigi perirebbe anzichè arrendersi, e che si sarebbero gettati nella Senna quanti avessero parlato di resa: ed essi andavano a strisciare altrove.
La sera del 2 settembre, voci di vittoria uscite da fonte sospetta, dal governo, ci fecero credere che ogni cosa era perduta.
Una folla ondeggiante riempì le strade tutto il giorno, e durante la notte aumentò.
Il tre, vi fu seduta a Palazzo Borbone, su domanda di Palikao, che prometteva notizie gravi.
La piazza della Concordia era affollata di gente: altra ingombrava i viali, parlando di cose gravi: c'era per aria dell'ansietà.
Fin dal mattino un giovanotto che tra i primi aveva letto l'avviso del governo, lo commentava con gesti di stupore: fu immediatamente circondato da persone che gridavano: «ai Prussiani», e condotto alla sezione di Bonne-Nouvelle, dove un agente, gettandosi su di lui lo ferì gravemente.
Un altro, che sosteneva di leggere il disastro sull'avviso stava per farsi linciare, quando un terzo, che pareva degno di fede, levando per caso gli occhi, s'accorse del seguente proclama, che ormai tutta Parigi attonita poteva leggere.
Il consiglio dei ministri al popolo francese
«Una grave disgrazia ha colpito la Francia. Dopo tre giorni di lotta eroica sostenuta dall'armata del Maresciallo Mac Mahon contro trecentomila nemici, quarantamila uomini sono stati fatti prigionieri.
«Il generale Wimpfen, che aveva preso il comando dell'armata al posto del Maresciallo Mac Mahon, ferito gravemente, ha firmato una capitolazione: questo crudele rovescio non diminuisca il nostro coraggio.
«Parigi oggi è in istato di difesa: le forze militari del paese si organizzano: fra pochi giorni una nuova armata sarà sotto le mura di Parigi.
«Un'altra armata si forma sulle rive della Loira.
«Il vostro patriottismo, la vostra unione, la vostra energia salveranno la Francia.
«L'Imperatore è stato fatto prigioniero durante la guerra.
«Il governo, d'accordo con i poteri pubblici, prenderà tutte le misure, rese necessarie dalla gravità degli avvenimenti.
«Conte di Palikao, Enrico Chevreau, Ammiraglio Rigault de Genvuilly, Giulio Brane, Latour d'Auvergne, Grandperret, Clemente Duvernois, Magne, Busson, Billot, Girolamo David.
Per quanto abilmente messo insieme fosse questo proclama, a nessuno venne in mente che l'Imperatore potesse sopravvivere alla resa di una armata con i suoi cannoni, le armi, il proprio equipaggiamento, col quale poteva lottare e vincere.
Parigi quindi non s'inquietò punto per la sorte di Napoleone III: la repubblica esisteva prima che fosse proclamata. E più alta sopra la disfatta, della quale l'onta ricadeva sull'Impero, l'evocazione della Repubblica pareva illuminare tutti i volti; e l'avvenire si apriva come ad una gloria.
Un mare umano stipava Piazza della Concordia. In fondo, in ordine di battaglia erano gli ultimi difensori dell'Impero: poliziotti e guardie municipali nella sicurezza di dover ancora ubbidire al volere imposto dal colpo di Stato, mentre era certo che neppur essi avrebbero potuto risvegliarlo fra mezzo i morti.
Verso mezzogiorno, dalla via Reale, s'avanzarono battaglioni di guardie nazionali armate. Davanti ad esse quelle municipali, con la spada in pugno si schierarono in battaglione serrato: ma dovettero retrocedere insieme ai poliziotti quando videro che quelli si avanzarono a baionetta in canna.
Allora un urlo immenso della folla, come un inno portato dal vento salì fino al cielo:
Viva la Repubblica!
Le guardie municipali e i poliziotti circondarono il Parlamento, ma la folla invadente si spingeva fin sotto le finestre gridando: Viva la Repubblica!
La Repubblica era come una visione di sogno! Stava dunque per sorgere?
Le sciabole dei poliziotti volano per aria, le finestre e le porte sono infrante, la folla e le guardie nazionali invadono il Parlamento.
Il vocio delle discussioni si allarga fin di fuori, rotto di tanto in tanto dal grido di: Viva la Repubblica. Quelli che han potuto entrare, gettano giù dalle finestre pezzi di carta, su cui stanno scritti i nomi proposti per un Governo provvisorio.
La folla canta la Marsigliese. Ma l'impero l'ha profanata: noi, ribelli, non la intoniamo più.
La canzone di Bonhomme, passa tagliando l'aria col suo ritornello vibrante.
Noi sentivamo di essere la rivolta, e la volevamo.
Si fanno dei nomi: per alcuni, come quello di Ferry, ci sono dei commenti, ma i più rispondono: «Che importa! poichè abbiamo la Repubblica, cambieremo quelli che non valgono nulla». Sono quelli del governo che fanno la lista. L'ultima porta: Arago, Cremieux, Giulio Favre, Giulio Ferry, Gambetta, Garner-Pagés, Glais-Bizoin, Eugenio Pelletan, Ernesto Picard, Giulio Simon, Trochu, governatore di Parigi.
La folla grida: Rochefort. Lo si mette sulla lista; è la folla che comanda oggi.
Un nuovo grido si eleva: Al Municipio!
Era di già bello davanti al Parlamento; ma là fuori, è ancor più superbo lo spettacolo. La folla si riversa al Municipio vive i giorni del suo splendore.
Il governo provvisorio è già là; uno solo ha la fascia rossa, Rochefort, che esce di prigione.
Ancora si grida: Viva la Repubblica!
Si respira finalmente la libertà! si pensa.
Rochefort, Eudes, Bridean, quattro disgraziati, che grazie ai rapporti falsi degli agenti erano stati condannati per l'affare della Villette (ed essi non ne sapevano nulla!) i condannati nel processo di Blois ed alcuni altri perseguitati dall'impero erano mesi in libertà,
Il 5 settembre Blanqui, Flotte, Rigaud, Th. Ferré, Breullé, Granger, Verlet (Enrico Place), Ranvuier, e tutti gli altri aspettavano alla loro volta Eudes e Brideau, di cui Eugenio Pelletan era andato a firmare l'ordine di liberazione alla prigione di Cherche-Midi.
Si credeva insomma, insieme con la Repubblica, di avere anche la libertà. Chi avesse parlato di resa sarebbe stato fatto a pezzi.
Parigi drizzava al sole di settembre quindici forti, come tante corazzate montate da audaci marinai: quale armata avrebbe osato assalirla?
Del resto invece di un lungo assedio si sarebbero fatte delle sortite in massa: non era più Badinque, era la Repubblica.
Il governo giurava che non si sarebbe arreso.
Tutte le buone volontà si offrivano devote fino alla morte. Avrebbero voluto avere mille vite per offrirle.
I rivoluzionari erano dappertutto; si moltiplicavano: sentivano in sè una potenza di vita enorme; sembrava ch'essi fossero la rivoluzione stessa.
Si marciava, Marsigliese vivente, sostituendo quella che l'impero aveva profanato.
Ma ciò non durerà, diceva il vecchio Miot, che si ricordava del '48.
Un giorno, sulla porta del municipio, Giulio Favre ci strinse nelle sue grandi braccia, Rigaud, Ferrè e me, chiamandoci suoi cari figli. Io lo conoscevo già da lungo tempo: egli era stato, come Eugenio Pelletan, presidente della società per l'istruzione elementare e in via Hautefeuille, dove avevano luogo i corsi della scuola, si gridava viva la Repubblica, molto tempo prima della fine dell'Impero.