Louise Michel
La comune
Lettura del testo

PARTE SECONDA La Repubblica del 4 Settembre

II. La riforma nazionale.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

II.
La riforma nazionale.

Amis, l'on a la République.
Le sombre passé va finir.
Debout tous, c'est l'heure héroïque,
Fort est celui qui sait mourir.

(L. M. Respublica).

Era dunque il potere che mutava così gli uomini del settembre? Quelli che noi avevamo visti fieri davanti all'Impero, tremavano ora all'idea della rivoluzione.

Davanti all'abisso che s'apriva, e ch'essi dovevano superare, rifiutavano di prendere lo slancio: promettevano, giuravano, studiavano la situazione, e volevano restarvi eternamente indecisi.

Anche noi, ma con ben altri sentimenti, ce ne rendevamo conto.

Guglielmo s'avvicinava: tanto meglio! Parigi, con una sortita impetuosa come un torrente, avrebbe schiacciato l'invasione. Le armate delle provincie si sarebbero unite: non si aveva forse la Repubblica?

E riconquistata la pace, non sarebbe stata una repubblica guerraiola, aggressiva contro gli altri popoli: l'Internazionale avrebbe pervaso il mondo sotto l'ardente risveglio dell'ideale sociale.

E nella convinzione profonda del proprio dovere, si chiedevano armi, e il governo le rifiutava: forse temeva di armare i rivoluzionari; forse mancavano per davvero: si viveva di promesse.

I Prussiani continuavano l'avanzata: erano già arrivati dove la ferrovia cessava di funzionare per Parigi: più vicini, sempre più vicini.

Nei Parchi, al Lussemburgo, al Bois de Boulogne 20.000 montoni, 40.000 buoi, 12.000 maiali raccolti morivano di fame e di tristezza, povere bestie; erano come una speranza visibile agli occhi di quelli che si inquietavano.

La provvigione di farina unitamente a quella tenuta dai fornai, era di 500.000 quintali, e ne restavano ancora cento mila di riso, dieci mila di caffè, da trenta a quarantamila di carne salata, senza contare le derrate che eran fatte venire dagli speculatori, i quali contavano di ricavarne un enorme profitto, centuplicato, nel caso disperato che fossero venute meno alla vita cittadina le altre provvigioni.

Le stazioni, i mercati, tutti i magazzeni erano pieni. Al nuovo teatro dell'Opera, ch'era già finito nelle parti essenziali, l'architetto Garnier fece forare lo strato di calcestruzzo su cui poggiavano le fondamenta e ne sgorgò fuori una corrente che discendeva da Montmatre: l'acqua non sarebbe mancata. Meglio sarebbe stato se tutto fosse mancato: il provvisorio dei primi giorni non avrebbe ostacolato lo slancio eroico di Parigi: si sarebbe potuto fiaccare l'invasione.

Alcuni sindaci si trovavano d'accordo con la popolazione di Parigi; Malon a Batignolles, Clémenceau a Montmatre furono giustamente rivoluzionari. Il municipio di Montmatre, con Jaclarol, Dereure, Lafont, per merito di Clemenceau, fece per un istante tremare la reazione. Ma questa si rinfrancò ben presto: gli animi più fieri e coraggiosi divenivano inutili nel vecchio ingranaggio dell'Impero, col quale, sotto nomi diversi, si continuava ad angariare i proletari.

I Prussiani guadagnavano terreno: il 18 settembre erano sotto i forti: il 19 si stabilivano nella pianura di Chatillon. Ma piuttosto d'arrendersi Parigi, come già Mosca, si sarebbe seppellita sotto le proprie ceneri.

Già correvan voci di tradimento del governo: non era composto che d'incapaci. Il potere compiva l'opera sua eterna; come farà sempre, finchè la forza sosterrà il privilegio.

Era giunto il momento nel quale se i governanti avessero rivolto le bocche de' loro cannoni contro i rivoluzionari, questi non se ne sarebbero per nulla meravigliati. Ma più la situazione si faceva grave e più ingigantiva l'ardore della lotta.

E lo slancio era così unanime che tutti sentivano la necessità di approfittarne per finirla. Anche lo stesso Siècle, il 5 settembre, pubblicava un articolo intitolato: Appello agli audaci, e cominciava così:

«A noi gli audaci; nelle circostanze gravi, occorre intelligenza pronta, arditezze non mai vedute.

«A noi i giovani. I temerari, gli audaci indisciplinati diventano i nostri uomini. L'idea e l'azione devono esser libere. Non abbiate soggezione, non fate più della burocrazia, sbarazzatevi una buona volta dei vecchi collari e delle vecchie corde: è questo il consiglio che ci dava l'altro giorno il vostro amico Joigneaux, e questo consiglio è la salvezza».

E vennero in folla gli audaci: non c'era bisogno di chiamarli: era la Repubblica. Ma tosto il lento funzionamento amministrativo, quello stesso dell'Impero, paralizzò ogni movimento.

Niente era mutato, giacchè tutto il meccanismo era lo stesso salvo i nomi: avevan messo una maschera, e null'altro. Le munizioni falsificate, le forniture solo in scritto, la mancanza di tutto ciò ch'era di prima necessità, il guadagno scandaloso dei fornitori, l'armamento insufficiente, non lasciavano alcun dubbio.

Per confessione dello stesso Ministro della Guerra, il solo battaglione completamente armato era quello degli impiegati dei ministeri.

È vero però che anche i più inabili sarebbero stati buoni nello slancio della disperazione, guidati da individui decisi a riconquistarsi la libertà. Felice Pyat, troppo sospettoso (ma pagato perchè lo fosse) e quelli ch'erano sfuggiti alle giornate di giugno e di dicembre, rivivevano le ore già vissute; i rivoluzionari, sperando di poter vincere anche senza il concorso del Governo, si volgevano al popolo di Parigi, coi comitati di vigilanza e coi clubs.

Strasburgo, assalita il 13 agosto non era ancora capitolata il 18 settembre.

Quanto più straziante quel giorno l'angoscia in Parigi seguendo l'agonia di Strasburgo, che ferita, bombardata da ogni parte, non voleva morire; allora ad alcuni di noi vene l'idea, meglio ad alcune, chè eravamo quasi tutte donne, di ottenere delle armi e di correre attraversando i campi nemici, e portare aiuto a Strasburgo, a difenderla od a morire con lei. Il nostro piccolo gruppo prese la via dell'Hotel-de-Ville gridando: «A Strasburgo, a Strasburgo! dei volontari per Strasburgo!».

Ad ogni passo s'univano nuovi manifestanti, donne e giovanette, la maggior parte studenti.

Fummo in breve in buon numero.

Sulle ginocchia della statua di Strasburgo stava aperto un libro: andammo ad apporvi la nostra firma di volontari. Di qui, in silenzio, ci dirigemmo al Municipio, eravamo una minuscola armata.

Erano accorse anche parecchie istitutrici: ve ne erano della Via del Fauburg du Temple, che io rividi più tardi; vi incontrai per la prima volta la signora Vincent, che forse tolse da questa manifestazione l'idea delle associazioni femminili.

Io ed André Leo fummo incaricate di andare a reclamare le armi. Con nostra grande meraviglia fummo ricevute senza difficoltà e consideravano la nostra domanda come già accolta, quando condotte in uno stanzone dov'erano all'ingiro delle panchette, vi restammo rinchiuse. V'erano già due prigionieri: uno studente, arrestato durante la dimostrazione, e che si chiamava, credo, Senart, ed una vecchia, ch'era stata arrestata mentre attraversava la piazza con l'ampolla dell'olio che aveva appena comperato: non sapeva perchè, e quelli che l'avevano agguantata lo sapevano ancor meno. Tremava tanto che versava l'olio d'ogni arte, macchiandosi tutto il vestito.

Dopo tre o quattro ore venne un colonnello ad interrogarci: non volemmo rispondere prima che la povera vecchia fosse messa in libertà: il suo spavento e l'ampolla dell'olio nelle sue mani vacillanti dicevan chiaramente che non era una del corteo.

Finimmo per l'intenderci: fu rimessa in libertà: uscì tremando sulle scarne gambe, cercando di non lasciar cadere l'ampolla, donde l'olio gocciava continuamente.

Procedette quindi al nostro interrogatorio, e siccome noi approfittavamo dell'occasione per esporre la nostra richiesta d'armi per formare il battaglione volontario, l'ufficiale, che sembrava non capisse nulla, ci gridò stupidamente: «E che ve ne importa che Strasburgo perisca, se voi tanto non siete la?»

Era un omaccione dalla figura regolare, insignificante: dalle spalle quadrate, ben piantato, un esemplare dorato sul taglio del grado di colonnello.

Cosa potevamo rispondere, se non guardarlo in faccia? Siccome io ripetevo ad alta voce il numero del suo kepì, comprese la sciocchezza che aveva detto e se ne andò.

Qualche ora più tardi un membro del Governo giunto al Municipio ci fece rimettere in libertà tutti e tre. Un po' colla forza e un po' coll'inganno la dimostrazione era stata dispersa.

Quel giorno stesso Strasburgo capitolava. Si parlava assai dell'armata della Loira. – Guglielmo, dicevano, si troverebbe preso fra questa armata e una irruente sortita dei parigini.

La fiducia nel governo diminuiva di giorno in giorno, lo si giudicava incapace, come del resto ogni governo; ma si contava sull'audacia di Parigi. Nell'attesa ognuno trovava tempo per esercitarsi al tiro nelle baracche; da parte mia ero divenuta assai abile; cosa che noi abbiamo potuto constatare nelle compagnie di marcia durante la Comune.

Parigi volendo difendersi vegliava.

Il Consiglio federale dell'Internazionale risiedeva alla Corderie du Temple: si riunivano i delegati dei clubs; così fu riunito il comitato centrale dei venti dipartimenti il quale a sua volta creò in ciascun dipartimento dei sotto comitati di vigilanza composti d'ardenti rivoluzionari.

Uno dei primi atti del comitato centrale fu di esporre al governo la volontà di Parigi, volontà ch'era espressa in poche parole su un affisso rosso, che fu strappato dai muri, nel centro di Parigi, dai poliziotti; acclamato nei sobborghi e scioccamente attribuito dal governo ad alcuni emissari prussiani. Ecco l'avviso:

LEVA IN MASSA!
ACCELERAZIONE DELL'ARMAMENTO.
APPROVVIGIONAMENTO!

I firmatari erano Avrial, Beslay, Briouse, Chalain, Combault, Camélinat, Chardon, Demay, Duval, Dereure, Frankel, Th. Ferré, Flourens, Longuet, Malon, Ondet, Pottier, Pindy, Rauvier. Régère, Rigaud, Serrailler, Tridon, Theisz, Trinquet, Vaillant, Varlin, Vallés.

In risposta all'affisso che rappresentava realmente la volontà di Parigi, voci di vittoria tornarono a circolare come già sotto l'Impero, annuncianti il prossimo arrivo dell'armata della Loira.

Non era però l'armata della Loira che arrivava, ma la notizia della disfatta del Pourget e della resa di Metz fatta dal maresciallo Bazaine, che metteva nelle mani del nemico una piazza forte che nessun esercito mai aveva potuto prendere, i forti, le munizioni, cento settantatre mila uomini, lasciando indifeso il Nord e l'Est.

Il 4 settembre allorchè io ed André Leo percorrevamo Parigi, una signora ci invitò a salire sulla vettura raccontandoci che l'armata era priva di viveri, di munizioni, di tutto, – combattendo l'accusa che sarebbe stata poi formulata dopo la presa di Metz. Ci assicurava che Bazaine non avrebbe mai tradito. Era sua sorella.

Forse egli fu più codardo che traditore; ma il risultato è lo stesso.

Il giornale «Le Combat» di Felice Pyat, il 27 ottobre, annunciava la capitolazione di Metz. La notizia, diceva, veniva da fonte sicura; difatti essa veniva da Rochefort, il quale imposto dalla folla al governo il 4 settembre, non poteva senza tradire, mantenere il silenzio, e l'aveva detto a Flourens, comandante dei battaglioni di Belleville. Costui lo trasmise a Felice Pyat che lo pubblicò sul Le Combat.

Subito la notizia fu smentita e le macchine del giornale rovinate dagli agenti di polizia; ma ogni istante apportava nuove prove, Neppure Pelletan aveva potuto mantenere il silenzio sulla capitolazione di Metz. Gli altri membri della difesa ipnotizzati dal loro cattivo genio, il nano Foutriquet che rientrava in Parigi dopo aver preparato la capitolazione presso tutti i Sovrani d'Europa, continuavano a negare stretti fra la disfatta e la marea popolare.

Una nota apparve sul Journal Officiel che annunciava quasi essere questione di sottoporre Felice Pyat ad una corte marziale. Ecco questa nota datata 28 ottobre 1870:

«Il governo ha creduto suo dovere di rispettare la libertà di stampa. Malgrado gli inconvenienti che essa può arrecare in una città assediata, avrebbe potuto in nome della salvezza pubblica sopprimerla o restringerla.

«Il governo ha preferito attenersi alla pubblica opinione. A lei quindi denuncia le seguenti linee che sono tolte dal giornale Le Combat diretto da Felice Pyat:

«La capitolazione di Bazaine, fatto vero, sicuro e certo che il governo della difesa nazionale stima nell'animo proprio sia un secreto di stato, e che noi denunciamo all'indignazione della Francia come un alto tradimento. – Il Maresciallo Bazaine ha inviato un colonnello al re di Prussia per trattare della resa di Metz e della pace in nome di sua Maestà l'Imperatore Napoleone III. (Le Combat).

«L'autore di quest'infame calunnia non ha osato far noto il suo nome: ha firmato Le Combat. È a colpo sicuro la lotta della Prussia contro la Francia, che, non potendo ferire direttamente il cuore della nazione, ferisce coloro che la difendono; gettando loro contro due accuse tanto infami quanto false: che il governo inganna il pubblico nascondendogli notizie importanti, e che il glorioso soldato di Metz disonora il paese con un tradimento.

«Noi diamo a queste due invenzioni la smentita più recisa. Denunciate ad un consiglio di guerra esse esporrebbero il loro autore ad una severa punizione. Noi abbiamo maggior fiducia nella pubblica opinione; essa stigmatizzerà come si meritano questi falsi patrioti, che usano dell'arte loro per seminare sfiducia contro il nemico, e per rovinare con le loro calunnie quelli che devono combatterlo.

«Dopo il 17 agosto nessun dispaccio diretto del Maresciallo Bazaine ha potuto rompere i cordoni nemici. Ma noi sappiamo che lungi dal pensare ad un atto di viltà, che non si arrossisce di attribuirgli, il maresciallo non ha cessato di molestare il nemico con delle brillanti sortite.

«Il general Bourbaki ha potuto sfuggire e le sue relazioni con la delegazione di Tours, e l'accettazione da parte sua di un comando importante dimostrano chiaramente la falsità delle notizie fabbricate che noi abbandoniamo al disprezzo di tutti gli onesti».

L'indomani 29 ottobre, la smentita del governo inserita nel Le Combat era seguita da questa dichiarazione

«Chi m'ha denunciato il piano di resa di Bazaine per la salvezza del popolo è il cittadino Fluorens, il quale m'ha detto di saperlo direttamente dal cittadino Rochefort, membro del governo provvisorio della difesa nazionale.

Felice Pyat.

Non si trattava quindi solamente del piano di Trochu, depositato secondo la canzone ed anche secondo la storia, presso il sig. Duclon, notaio, ma anche del piano Bazaine, che consisteva molto semplicemente nell'abbandonare ogni cosa al nemico.

Un dispaccio ufficiale, affisso a Parigi il 29 ottobre, annunciava con infinite precauzioni la presa di Bourget: e davanti al dispaccio firmato Schmidt, i poliziotti potevano raccogliere le riflessioni dei Parigini, non certo favorevoli al governo.

Gli imbecilli pretendevano che il dispaccio fosse falso, e la polizia si affrettava ad appoggiare questa affermazione pur di guadagnar tempo.

Il trenta di sera, un nuovo dispaccio riferiva quasi tale e quale era avvenuto il massacro di Bourget.

Il giorno dopo si leggeva il seguente avviso:

«Thiers è arrivato oggi a Parigi. Egli si è recato subito al Ministero degli affari esteri, ed ha reso conto al governo della sua missione. – Grazie alla buona impressione fatta su tutta Europa dalla resistenza di Parigi, quattro grandi potenze neutre – l'Inghilterra, la Svizzera, l'Austria e l'Italia – si sono accordate in un'idea comune. Esse propongono ai belligeranti un armistizio che avrebbe per oggetto la convocazione di una assemblea nazionale.

«Ben inteso che tale armistizio dovrebbe avere per oggetto il vettovagliamento proporzionato alla sua durata per tutto il paese.

Il Ministro Giulio Favre.

Seguiva la notizia della capitolazione di Metz e dell'abbandono di Bourget.

«Noi non potevamo – dice Giulio Favre nella sua Storia della difesa nazionaleritardare la divulgazione di queste due prime notizie. L'arrivo di Thiers essendo stato annunciato, bisognava dire ciò che egli andava a fare a Varsailles.

«L'evacuazione di Bourget si era saputa a Parigi il mattino del 30: la sera, tutta Parigi la conosceva. Il procrastinare non era permesso che su Metz: noi non avevamo una notizia ufficiale, ma disgraziatamente non ne ponevamo dubitare. Gi sembrò di non aver il diritto di conservare il silenzio. Noi avremmo dato ragione alle calunnie del giornale Le Combat. Conforme alla nostra decisione, l'Officiel del 31 pubblicava quanto segue:

«Il governo apprende ora la notizia dolorosa della capitolazione di Metz. Il Maresciallo Bazaine e la sua armata hanno dovuto arrendersi, dopo eroici sforzi, la mancanza di viveri e di munizioni non permettendo loro alcuna resistenza; essi sono prigionieri di guerra.

«L'esito tanto sfortunato di una lotta di quasi tre mesi, causerà certo in tutta la Francia una profonda e penosa impressione, ma non abbatterà il nostro coraggio. Pieni di riconoscenza per i bravi soldati, per la generosa popolazione che ha combattuto palmo a palmo per la patria, la città di Parigi vorrà essere degna di loro; sarà fatta forte dal loro esempio e dalla speranza di vendicarli».

Infine il rapporto militare annunciava il disastro e l'abbandono di Bourget.

Gli è con queste goccie d'acqua benedetta che fu annunciata la catastrofe. Dei fieri tribuni che combattevano l'impero, neppur uno rimaneva: si erano ritirati come scoiattoli nella loggia ove altri prima di loro, e altri ancora dopo, andarono e andranno!....

Si erano avviati verso il potere che schiaccia eternamente i diseredati.


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License