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III.
Il 31 ottobre.
La
comfiance est morte au fond des cœurs farouches,
Homme, tu mens, soleil, cieux, vous mentez!
Soufflez, vents de la nuit, emportez, emportez
L'honneur et la vertu, cette sombre chimère.
Le notizie della disfatta, l'incredibile mistero in cui il governo aveva voluto avvolgerle, la risoluzione di non arrendersi a nessun costo, e la certezza che ci si arrendeva in secreto, fecero l'effetto di una corrente ghiacciata dentro un vulcano in ignizione. Si respirava del fuoco, del fumo ardente.
Parigi, che non voleva arrendersi, nè essere tradita; che era stanca di menzogne ufficiali, insorse. Allora, come il 4 di settembre si era gridato: Viva la repubblica, si gridò: Viva la Comune!
Quelli che il 4 settembre si erano rivolti alla Camera, si diressero verso il municipio: talvolta nel nostro cammino incontravamo dei gruppi di imbecilli che ci raccontavano come a momenti l'armata prussiana era tagliata in due o tre pezzi, non ricordo più da chi; oppure deploravano che gli ufficiali francesi non avessero conosciuto un sentiero che menava diritto nel cuore del nemico: altri ancora aggiungevano: siamo padroni di tutte le strade! Ma i tre pezzi erano tre armate prussiane; e i padroni delle strade erano ancora i prussiani.
Qualche credenzone comprato dagli spioni, continuava a gridare davanti ai proclami del governo, che erano dispacci falsi, inventati da Felice Pyat, Rochefort e Flourens, per gettare lo spavento e l'ammutinamento in faccia al nemico; cosa del resto che si fece fin dal principiò della guerra, e poi per tutto il tempo che durò, per ostacolare la resistenza e raffreddare tutti gli slanci generosi.
I dimostranti seguivano la marcia verso il Municipio. Giungevano da ogni parte, malmenando creduloni e spie; il mare umano si ingrossava. La guardia nazionale era schierata davanti al portone: alcuni cartelli eran portati in giro tra la folla.
NIENTE ARMISTIZIO
LA COMUNE
RESISTENZA O MORTE
VIVA LA REPUBBLICA!
La folla applaudiva, e talvolta, come avesse alle spalle il nemico, lanciava grida formidabili: – Abbasso Thiers! Ma sembrava che urlassero a morte. Molti di coloro che erano stati ingannati gridavano più forte: Tradimento! tradimento!
I primi delegati furono rimandati colla solita affermazione che Parigi non si sarebbe mai arresa,
Trochu tentò di parlare, affermando che non restava più che da combattere, che cacciare i Prussiani con il patriottismo e l'unione.
Non lo si lasciò continuare, e come il 4 di settembre, continuatamente un solo grido si levò fino al cielo: La Comune! Viva la Comune!
Un'ondata enorme precipita i dimostranti dentro il Municipio, dove le guardie mobili si tenevano schierate sugli scaloni.
Lefrançais s'infiltra tra di esse come un aculeo, ed il vecchio Beslay facendo montare sulle sue spalle Lacoeur della camera sindacale dei legatori, lo fa passare da una piccola finestra, vicino al portone; dei volontari di Tibaldi vi si precipitano: la porta è aperta, ed inghiotte la folla, finchè ce ne può entrare.
Nel salone intorno alla tavola stavano Trochu, Giulio Favre, e Giulio Simon, ai quali alcuni popolani domandarono conto della vigliaccheria del governo. Trochu, con delle frasi interrotte da grida di sdegno, rispose che era stato vantaggioso per la Francia abbandonare le piazzeforti, occupate il giorno prima dai tedeschi, dato le circostanze.
Ed il bretone testardo continuava su questo tono, quando ad un tratto impallidì: gli avevano messo davanti un foglio di carta, sul quale erano scritte le volontà del popolo:
La Comune.
Resistenza o morte.
Niente armistizio.
È la fine della Francia! – disse Trochu – profondamente convinto.
Comprendeva finalmente quanto da più ore gli si andava ripetendo – la caduta del governo per la difesa nazionale.
Ad un tratto Trochu staccò dal petto una decorazione e la consegnò ad un ufficiale delle guardie bretoni.
– Questo è un segnale! – gridò Cipriani, il compagno di Flourens.
Sentendosi scoperto Trochu si guardò attorno, e vedendo che i reazionari cominciavano ad allontanarsi, parve rassicurarsi.
I membri del governo si ritirarono per deliberare; e dietro loco domanda, Rochefort acconsentì ad annunciare la costituzione della Comune, perchè nessuno li credeva più: egli si affacciò ad una finestra del Municipio, riferì alla folla la promessa del governo, rassegnò le sue dimissioni, e dai rivoluzionari fu condotto a Belleville, dove lo si voleva. Attorno a Trochu si schierarono i bretoni, come lui ingenui e testardi, come avrebbero fatto intorno ad una Madonna qualsiasi nelle pianure dell'Armonica; attendevano gli ordini, ma Trochu non ne diede.
Frattanto i membri del governo, ingannando la buona fede di Flourens e delle guardie nazionali, con diversi pretesti uscirono, approfittando del momento per compire l'opera loro di tradimento.
Picard faceva battere a raccolta, e il 106 battaglione della guardia nazionale, composto interamente di reazionari, giunse sotto il comando di Ibos, la cui audacia era degna di miglior causa, schierandosi davanti ai cancelli del Palazzo di città.
Siccome il 106 gridava: Viva la Comune! lo si lasciò passare.
Tosto 40.000 uomini circondarono il Municipio, e «per evitare un conflitto», dice Giulio Ferry, essendo state concluse le convenzioni, le compagnie di Flourens dovettero ritirarsi.
Meno ingenuo degli altri il capitano Greffier aveva arrestato Ibos, ma Trochu, G. Favre, e G. Ferry, avendo data nuovamente la loro parola della nomina della Comune, promisero inoltre che la libertà sarebbe stata garantita a tutti, qualunque fosse stato l'esito degli avvenimenti.
I membri del governo rimasti al Municipio si riunirono nell'apertura di una finestra per osservare lo schieramento del 106 battaglione.
Milliére ebbe allora il sospetto di un tradimento, e propose di far appello alle guardie nazionali dei sobborghi; ma Flourens rifiutò, dicendo che era stata data parola, e che non bisognava quindi far atto di diffidenza. – Milliére, conformandosi alle idee di Flourens rimandò il suo battaglione, che era venuto a schierarsi sulla piazza di Grêve.
La folla si era calmata leggendo il manifesto che si andava attaccando e che annunciava la proclamazione della Comune per elezione; quelli che fiduciosi si ritirarono, appresero con stupore il giorno dopo la notizia del nuovo tradimento del governo.
Ferry, che era andato a raggiungere Picard, ritornò alla testa di numerose colonne che si schierarono a battaglia. Nello stesso tempo per il sotterraneo che andava dalla Caserma Napoleone al Municipio giunsero altri rinforzi di guardie Brettoni. Trochu l'aveva detto; esse andavano a «combattere i lupi».
Avendo spento il gaz per far meglio riuscire l'agguato, i Bretoni a baionetta in canna entravano di soppiatto per il sotterraneo, mentre i battaglioni di linea, condotti da G. Ferry, entravano dalla cancellata.
Blanqui non dubitando che si potesse così mancar di parola, fece trasmettere a Costant Martin l'ordine di installare al municipio del primo dipartimento il dottor Pilot, in sostituzione del sindaco Tenaille Saligny. Sulla porta un soldato incrocia l'arma. Costant Martin allontana la baionetta, ed entra con i suoi amici. Nella sala del consiglio, Meline spaventato va a cercare il sindaco non meno atterrito: consegna seggio e cassaforte agli inviati di Blanqui. Ma alla sera quel municipio era ripreso. – Flourens n'era uscito col vecchio Tomisier fra due ale di soldati; Blanqui e Milliére uscirono ugualmente giacchè il governo non osava ancora sprezzare la parola data e non mantenuta.
La stessa sera si riunirono alla Borsa gli ufficiali della guardia nazionale per trattare intorno agli avvenimenti degli ultimi tre giorni. Siccome si gridava dal di fuori: Ogni ufficiale al suo posto! un uomo con un manifesto bianco si slancia nell'ufficio; il manifesto, era il decreto di convocazione per la nomina della Comune.
– Viva la Comune! – gridarono le guardie nazionali presenti. – Meglio sarebbe stato – soggiunse una voce –– la Comune rivoluzionaria nominata dalla folla.
– Che importa? – gridò Rochebrune, – purchè essa lasci che Parigi si difenda dall'invasione!
Egli espose allora l'idea, da tempo già esposta da Lullier, che Parigi presa d'assalto, non avrebbe mai su un sol punto dei bastioni, che qualche migliaio di uomini, di cui una sortita di duecentomila poteva e doveva aver ragione.
Lo si acclama; si vuol nominare Rochebrune generale della guardia nazionale: ma egli grida: – Prima la Comune!
Allora un nuovo arrivato sale alla tribuna, e racconta che il 106 battaglione ha liberato il governo, che il manifesto ha mentito, che la difesa nazionale ha mentito, che Trochu regolava la marcia delle sconfitte, e che Parigi doveva più che mai vegliare per non essere tradita. Si grida: – Viva la Comune.
Un omaccione, che aspetta, non so perchè, sulla piazza, si immischia fra le guardie nazionali e cerca di esprimere la propria opinione. – Bisogna sempre aver dei capi, dice; bisogna ci sia un governo per guidarvi...
Dev'essere un oratore reazionario: non si ha tempo nè voglia d'ascoltarlo.
Sì. Il manifesto aveva mentito, il governo aveva mentito.
Parigi non nominava la sua Comune.
Tutti coloro che il giorno prima erano stati acclamati, erano posti in istato d'accusa: Blanqui, Millière, Flourens, Jaclard, Vermorel, Felice Pyat, Lefrançais, Eudes, Levrault, Tridon, Ranvier, Razona, Tibaldi, Goupil, Pillot, Vesinier, Régère, Cyrille, Joly, Chatelain.
Alcuni eran già agli arresti. Felice Pyat, Vesinier, Vermorel, Tibaldi, Lefrançais, Goupil, Tridon, Ranvier, Jaclard, Baüer erano prigionieri. Le prigioni si riempivano, racchiudendo in mezzo ai rivoluzionari buon numero di poveri individui arrestati, come sempre, per errore, che nulla avevano fatto.
L'affare del 31 ottobre fu redatto da giudici al servizio della difesa nazionale. Un attentato, il cui fine era d'eccitare alla guerra civile armando i cittadini gli uni contro gli altri: quindi sequestri arbitrari, e minacce.
Gli è forse l'Impero che ritorna? si chiedevano gli ingenui.
Non era mai scomparso: le sue leggi non avevano ancor cessato d'esistere, s'erano anzi inasprite; ma il riflusso dei marosi rende più terribili le tempeste.
Al palazzo di città, le guardie bretoni con gli occhi turchini fissi nel vuoto, si domandavano se Trochu non avrebbe presto liberata la Francia dai delinquenti che vi causavano tanti disastri, per poter tornarsene a rivedere il mare, le roccie di granito dure come i loro crani, le loro lande dove s'abbattono i gallinacci; a danzare nei giorni di festa.