Louise Michel
La comune
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PARTE SECONDA La Repubblica del 4 Settembre

IV. Dal 31 ottobre al 22 gennaio.

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IV.
Dal 31 ottobre al 22 gennaio.

Les voila revêtus du linceul de l'empire,
S'y ensevelissant et la France avec eux,
Et le nain foutriquet, le gnome fatidique
Cousant le voile horrible avec ses doigts hideux.

(L. M. Les Spectres)

Sì, era l'Impero! le prigioni piene, la paura e le delazioni all'ordine del giorno, le disfatte mutate in vittorie nei manifesti!

Le sortite erano proibite, e il nome del vecchio Blanqui gettato in viso alla bestialità umana come minaccia di castigo. I generali, così calmi prima dell'invasione, s'affrettano a minacciare la folla: alti sull'orizzonte stanno giugno e dicembre, più spaventosi che per lo passato.

Giulio Favre, che non può certo essere sospettato di simpatia per i moti rivoluzionari, racconta così la situazione di fronte all'armata.

«Il generale Ducrot, che occupava (31 ottobre) la porta Maillot, sentendo della disfatta del governo, non attese alcun ordine, fece prender le armi alla sua truppa, montar i cannoni, e mosse verso Parigi: si volse indietro se non quando vi giunse».

Questa volta Ducrot non era in ritardo, giacchè si trattava della folla. Giulio Favre, nello stesso libro, dice a proposito della spiegazione data da Trochu in riguardo alle piazze forti abbandonate dall'esercito:

«Quanto alla perdita di Bourget, il generale dichiarò ch'essa non aveva alcuna importanza militare, che la popolazione a Parigi s'era spaventata fuor di proposito. L'occupazione del villaggio aveva avuto luogo senza ordine, e contrariamente al sistema generale stabilito dal governo di Parigi, e dal comitato di difesa: avrebbe dovuto sempre ritirarsi

(G. Favre, Il governo della difesa nazionale).

Era ben lo stesso Giulio Favre, che sotto l'Impero aveva audacemente detto: Questo processo può essere considerato come un pezzetto di specchio infranto, nel quale il paese può vedersi tutto intero! – Ma nessun uomo resiste alle tentazioni del potere: bisogna che vi caschi. La Repubblica di settembre era ormai affidata al plebiscito, il quale, grazie alla paura, sempre la maggioranza contro il diritto, cioè al governo che l'invoca.

I soldati, i marinai, i rifugiati dei dintorni di Parigi votarono militarmente, e probabilmente, aggiungendo i trecentomila parigini che se ne astennero, la difesa nazionale ebbe 321, 313 voti. Le voci di vittoria non cessarono. Il generale Gambriel aveva avuto tanti successi brillanti, che non gliene credevano uno solo. Si diceva anche che i malfattori del 31 ottobre avevano portato via dal municipio l'argenteria e i sigilli dello stato. Dopo il plebiscito del 3 novembre, il governo annunciò che avrebbe adempiute le sue promesse, e provveduto alle elezioni municipali.

Durante questo tempo, gli arrestati del 31 ottobre erano sempre in carcere, ma quando comparvero dopo 3 mesi davanti al consiglio di guerra, si dovettero assolvere tutti coloro ch'erano presenti; e poichè l'accusa rimproverava loro di essere stati avversari dell'impero, cadeva da stessa, giudicandosi ora sotto la Repubblica. Costant Martin era stato dimenticato questa volta; lo si doveva cogliere 26 anni dopo.

Parecchi di coloro ch'erano stati sotto processo, furono eletti, come protesta nei diversi dipartimenti di Parigi: i sindaci e le giunte repubblicane furono rielette.

A Montmartre, il municipio, i comitati di vigilanza i clubs, gli abitanti erano con Belleville, lo spavento dei poliziotti. Si aveva l'abitudine nei quartieri popolari di non inquietarsi troppo per i governanti; padrona era la libertà; essa non sarebbe mai capitolata. Presso i comitati di vigilanza si riunivano gli uomini più devoti alla rivoluzione, sacrificati prima alla morte; si ritempravano gli animi.

Ci si riuniva per simpatia, i visi armonizzavano i caratteri, gli entusiasti e gli scettici, fanatici tutti della rivoluzione, che volevan bella, grande, ideale.

Ci si trovava al N. 41 della Chaussée Clignancourt, dove ci si scaldava più al fuoco delle idee che a quello della legna e del carbone, – perchè solamente nelle grandi occasioni, quando si riceveva qualche delegato, si gettava sul caminetto un dizionario o una seggiola.

Verso le 5 o le 6 di sera giungevano tutti, davano il resoconto del lavoro fatto durante la giornata o da farsi il giorno dopo: si chiacchierava, rubando fin l'ultimo minuto; poi ciascuno si recava al proprio club alle otto precise.

Qualche volta, si andava in parecchi in qualche club reazionario a far della propaganda repubblicana. Al Comitato di vigilanza di Montmartre, ed alla Patria in pericolo io passai le mie più belle ore durante l'assedio. Vi si viveva in certo qual progresso d'idee, nella soddisfazione di sentirsi in mezzo alla lotta intensa per la libertà.

Alcuni clubs erano presieduti da membri del comitato di vigilanza: quello di Reine-Blanche da Burlot, un altro da Arrousart, quello di Perot da Farè, e quello della Giustizia da me. Questi due ultimi erano detti fra i clubs rivoluzionari: «Distretti di Grandi Carriere», appellativo certo non piacevole a coloro che credevano di veder risuscitare ancora il 93.

Ma la parola presiedere non si intendeva allora come una sinecura onorifica, ma si fondava sulla accettazione d'ogni responsabilità davanti al governo, quindi prigione, e sul dovere di mantenersi al proprio posto a salvaguardare la libertà di riunione, malgrado i battaglioni reazionari che venivano per ingiuriare e minacciare gli oratori.

Io di solito deponevo sul tavolo della presidenza una vecchia pistola senza cane, la quale messa in bella maniera e impugnata a proposito, fece più volte indietreggiare i poliziotti che giungevano picchiando a terra i calci dei loro fucili con la baionetta inastata.

I clubs del quartiere Latino e quelli dei Dipartimenti erano d'accordo.

Un giovanotto diceva, il 13 gennaio, in via di Arras:

«La situazione è disperata, ma la Comune farà appello al coraggio, all'intelligenza, alla energia, alla giovinezza; respingerà i prussiani con uno slancio ammirevole; ma tutti devono accettare la Repubblica sociale; noi tenderemo loro le mani, e segneremo l'ora del benessere dei popoli».

Malgrado l'insistenza di Parigi nel reclamare delle sortite, solamente il 19 gennaio il governo acconsentì a permettere che la guardia nazionale tentasse di riprendere Montretout e Buzenval.

Dapprima queste piazze forti furono prese, ma siccome i soldati sprofondavano fino alla caviglia nel fango, non poterono montare i cannoni sulle colline, e dovettero ritirarsi.

A centinaia morirono, facendo sacrificio di loro vita, le guardie nazionali, uomini del popolo, artisti, giovanetti: la terra bevve ingordamente il sangue di questa prima ecatombe parigina tanto da esserne interamente saturata.

Ma lascio la parola a Cipriani, che nella battaglia di Montretout, faceva parte del 19° reggimento comandato da Rochebrune.

«Lasciammo Parigi, racconta egli, la mattina del 18; verso sera noi accampavamo nei dintorni di Montretout. Il 19 alle cinque del mattino, dopo aver mangiato un boccon di pane e bevuto un bicchier di vino, ci mettemmo in marcia di battaglia: alle sette eravamo al fuoco. Si combatteva ancora dopo due ore.

«Rochebrune si precipita rapidamente nel più forte della mischia; un battaglione comandato da De Boulen restò presso la Fouilleuse, due compagnie attendarono presso il cascinale di Chayne; il rimanente delle truppe si portò arditamente in prima linea.

«Ci si battè ancora per due ore. Poi, Rochebrune, volgendosi a me, disse: – Andate a cercare il battaglione rimasto a Fouilleuse.

«Arrivato a la Fouilleuse, comunicai l'ordine al maggiore de Boulen.

«– M'abbisogna, mi rispose, un ordine del comandante generale per muovermi di qui.

«– Come, gli dissi, il vostro colonnello vi un ordine perchè la battaglia lo esige, e voi vi rifiutate?

«– Io non posso muovermi.

«Dovetti portare questa risposta vile a Rochebrune, che all'udirla si morse le mani per la rabbia e gridò:

«– Tradimento pertutto! – e montato su un muricciuolo che s'ergeva da una parte, diede l'ordine di seguirlo; ma nello stesso momento cadde colpito mortalmente.

«Io ho preso parte a parecchie battaglie, ma in nessuna ho visto dei soldati trovarsi in tante e sì gravi circostanze come le guardie nazionali il 19 gennaio.

«Erano mitragliate in viso dai Prussiani, alle spalle da Mont Valerien, che puntava i suoi cannoni sopra di noi, credendo di vedere l'esercito nemico. si era rifugiato il famoso governatore di Parigi che non si arrende mai; al fianco destro noi eravamo ancora bersaglio di una batteria francese piazzata a Rueil, che aveva creduto di bombardare così i Prussiani.

«Malgrado ciò, neppure uno indietreggiava, e quelli che avevano finito le loro cartuccie s'impossessavano di quelle dei morti.

«Alle 4 dopo mezzogiorno, dopo un combattimento di nove ore, giunse un ordine di Ducrot di battere in ritirata.

«Ci rifiutammo, continuando l'attacco fino alle dieci di sera. Avremmo potuto continuare ancora, sempre, perchè i primi che avevano già levate le tende non avevano alcuna voglia di sorprenderci. Dunque questo 19 gennaio, senza tradimento o imbecillità, l'accerchiamento sarebbe stato rotta, Parigi e la Francia liberate.

«Trochu, Docrut, Virrov e tutti quanti non l'hanno voluto; la Repubblica vittoriosa avrebbe confinate lontane nel passato le speranze dell'impero e provato per sempre l'incapacità dei generali di Napoleone III: per una restaurazione imperiale invece bisognava che la Repubblica s'annientasse: e così fu tentato.

«Durante tutte le ore che durò la fucileria di Montretout, io ho visto Ducrot nascosto dietro un muro, con un prete al fianco, e steso davanti ad essi un negro cui la testa era stata asportata da un obice di Mont Valerien.

«Questo combattimento costò la vita a parecchie migliaia d'uomini. Verso le undici di sera, gli avanzi del 19° reggimento si mettevano in marcia verso Parigi per seppellirvi Rochebrune.

«La notizia dell'insuccesso di Montretout aveva commosso Parigi, tanto che il valoroso Trochu non osò rientrare in città, e Vinoy venne a sostituirlo.

«Il giorno dopo, 20 gennaio, fummo convocati sul Boulevard Richard per assistere ai funerali del nostro povero Rochebrune. Da ogni parte si sentiva dire ch'era ora di sbarazzarsi di coloro che fino allora avevano tradita la patria.

«Si voleva impadronirsi del corpo di Rochebrune e marciare al municipio. Ma era mancato il tempo di avvisare i membri della Legione garibaldina, della lega Repubblicana e dell'Internazionale, disseminati qua e per tutti i battaglioni della guardia nazionale: all'invito si trovarono un pugno d'uomini risoluti, ma purtroppo insufficienti, tanto più che coloro che avevano tutta la fiducia della folla erano in carcere.

«La sepoltura di Rochebrune finì adunque senza il minimo incidente; se non che io vidi De Boulen, che scorgendomi volle stringermi la mano, chiamandomi bravo. Rifiutai rispondendogli: – Può darsi; ma voi non potete saperlo, perchè voi eravate nascosto: voi siete un traditore.

«Per finirla con questo miserabile, dirò che qualche giorno dopo lo incontrai di nuovo: con mio grande stupore lo vidi decorato della Legion d'Onore e colonnello: era il premio del tradimento.

«Un altro fu decorato: il capitano D... che non si era fatto mai vedere durante tutto il tempo della battaglia.

«Ecco i due soli disertori che io ho visto a Montretout: e furono l'uno e l'altro fatti cavalieri della Legion d'Onore.

Amilcare Cipriani


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