Louise Michel
La comune
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PARTE SECONDA La Repubblica del 4 Settembre

VI. L'assemblea di Bordeaux. Entrata dei Prussiani a Parigi.

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VI.
L'assemblea di Bordeaux.
Entrata dei Prussiani a Parigi.

Un'altra dilazione fu accordata fino al 28 febbraio, ed il governo, che non si fidava di Parigi, ottenne che l'armata prussiana entrasse il primo di marzo. Trochu aveva date le dimissioni per mantenere la sua parola, o meglio per fingere di mantenerla. (Il governatore di Parigi non capitolerà mai!). Vinoy, uno dei complici di Napoleone III il 2 dicembre, sostituiva Trochu.

Parigi, come tutta la Francia, compilava le sue liste di candidati prendendoli dal partito repubblicano all'internazionalista.

Quelli che ancora avevano qualche fiducia nelle urne, provarono delle sorprese, come quella di vedere Thiers, che la vigilia della proclamazione ufficiale contava 61 mila voti, cosa che sembrava già un'esagerazione, annunciarne l'indomani 103 mila. Sono i secreti del suffragio universale.

In qualche lista, detta dei quattro comitati, il nome di Blanqui era stato cancellato, per quanto vi si trovassero inscritti parecchi altri internazionalisti; ma Blanqui era lo spauracchio.

I Clubs scelsero i nomi degli internazionalisti, includendovi tanto Liebneck, che aveva energicamente protestato contro la guerra, come gli internazionalisti francesi.

Moltissimi rivoluzionari non avendo fiducia nel suffragio universale, meno universale che mai, si astennero e furono sostituiti, come nel plebiscito precedente, da rifugiati, soldati e territorialisti bretoni.

Thiers, che faceva la campagna elettorale in provincia, seppe usare nelle elezioni di tutti gli spaventi, di tutte le reazioni; seppe blandire tutte le bassezze, così che fu eletto in ventitrè dipartimenti. Fu detto il re dei radicali.

Alla prima seduta di questa assemblea reazionaria, Garibaldi non potè farsi udire, chè il vocìo copriva la sua voce, mentre offriva i figli suoi alla Repubblica. Siccome il Vegliardo restava in piedi in mezzo al tumulto, Gaston Cremieux di Marsiglia, che doveva essere fucilato qualche settimana più tardi, gridò, di fronte agli applausi della folla ammucchiata nelle tribune «Maggioranza rurale, onta della Francia

L'assemblea di Bordeaux fu sino alla fine degna del suo principio: fu impossibile a chi pensasse liberamente di rimanere in mezzo a gente nemica ad ogni idea generosa.

Rochefort, Malon, Ranc, Tridon, Clemenceau diedero le loro dimissioni, collettivamente.

Garibaldi, Vittore Hugo, Felice Pyat, Delescluze diedero ugualmente le dimissioni.

Il governo chiamato nuovo, forse per la sola ragione ch'era uguale all'antico, fu composto con Thiers, capo del potere esecutivo.

Le condizioni di pace erano: la concessione della Alsazia e di parte della Lorena con Metz. Il pagamento entro tre anni di 5 miliardi, quale indennità di guerra. L'occupazione del territorio fino a completo pagamento dei 5 miliardi. L'evacuazione a misura e in proporzione del pagamento.

Il 27 febbraio si sparse per Parigi la notizia dell'entrata dell'armata prussiana.

Subito i Campi Elisi furono affollati di guardie nazionali. L'allarme batteva nella notte. Sulla piazza di Wagram c'erano dei cannoni che le guardie nazionali dei sobborghi avevano comperati per sottoscrizione, e che loro appartenevano, per la difesa di Parigi.

In piazza dei Vosgi c'erano pure dei cannoni comperati dai battaglioni di Marais, ogni quartiere aveva i suoi. Uomini, donne, fanciulli s'armarono: i cannoni di Montmartre rotolati fino sul boulevard Ornano, sono montati sull'altura. Belleville e la Villette trascinano i loro sulle alture di Chaumont.

I pezzi di Marais sono lasciati in piazza dei Vosgi: è il miglior luogo per un parco d'artiglieria. Due mila guardie nazionali si riuniscono al comitato centrale si preparano dei manifesti per l'indomani.

«La guardia nazionale protesta, per mezzo del proprio comitato centrale, contro ogni tentativo di disarmo e dichiara che, ove occorra, resisterà con le armi.

Il Comitato Centrale delle Guardie nazionali

Questo manifesto fu affisso l'indomani 28; così pure il seguente:

«I rivoluzionari non vogliono far sgozzare inutilmente una parte della popolazione.

«Il sentimento della popolazione sembrerebbe di non opporsi a l'entrata dei prussiani in Parigi. Il comitato centrale, che aveva emessa un'opinione contraria, dichiara di attenersi all'ordine seguente.

«Saranno innalzate, nei quartieri che devono essere occupati dal nemico, delle barricate destinate ad isolare questa parte della città. Gli abitanti della regione circoscritta dovranno immediatamente sloggiare. La guardia nazionale, d'accordo con l'armata formata in cordone tutt'intorno veglierà affinchè i nemici così isolati in un suolo che non sarà più nostra città, non possano in alcuna maniera comunicare con le parti trincerate di Parigi.

«Il comitato centrale impegna la guardia nazionale a prestare il proprio concorso all'esecuzione delle misure necessarie a questo scopo, e ad evitare qualsiasi aggressione che sarebbe l'immediato sconvolgimento della Repubblica».

Il Comitato Centrale della Guardia Nazionale.

L'armata si ritirò sulla riva sinistra, la guardia nazionale sola, senza paura, senza provocazione, senza debolezza, eseguì il proprio programma.

Quella notte dava come un'impressione di grandezza, Pareva che da qualche parte dello spazio si guardasse giù per veder passare nell'ombra di una città morta, un fantasma armato.

I rintocchi incisivi della campana a martello, cadevano nel buio delle vie deserte.

I due giganteschi tamburi di Montmartre scendevano la via Ramey rullando l'appello sordo come una marcia funebre.

Soffi di rivolta passavano per l'aria; la minima aggressione, come l'aveva preveduta il comitato centrale avrebbe servito di pretesto ad un ristabilimento di dinastia, sotto la protezione di Guglielmo.

Per pochi istanti i drappi neri delle finestre batterono al vento, poi nemmeno un alito di vita.

Della permanenza del comitato di vigilanza non si vedeva che la notte, nella quale batteva la campana a martello. La notte passò grave.

Ai Campi Elisi, freddamente, come si compisse un dovere, si ruppe, in un caffè che aveva aperto ai Prussiani, il banco e tutto ciò ch'era servito a loro, e come per un dovere, senza pietà collera si frustarono parecchi disgraziati che per vedere gl'invasori, avevano in abito di gala, oltrepassate le barriere.

Peccato che non si potesse fare giustizia sommaria di questi prodotti miserabili del vecchio mondo di una società tutta putrefatta.

L'assemblea di Bordeaux continuò a votare una serie di misure infami. Quelli che componevano il governo a Parigi, non avendo promesso, come quelli della difesa nazionale, di morire piuttosto di arrendersi, si abbandonarono ad un'orgia d'infamie.

Temendo tutti gli uomini di coraggio, ch'esso chiamava la feccia dei sobborghi, l'assemblea che non ebbe mai il coraggio di affrontare Parigi, preparava un tradimento per disarmare de' suoi cannoni l'acropoli della ribellione, Montmartre, che noi chiamavamo con tutta la vile moltitudine la cittadella della libertà, il monte sacro. Vi fu un momento in cui scomparendo in mezza alla moltitudine il partito dell'ordine, Parigi non ebbe che un'anima sola, eroica, esortante alla libertà. Thiers, tenendo fra i suoi artigli di gnomo l'assemblea di Bordeaux, la piegava a sua volontà: e quest'assemblea si chiamava la Francia: la Repubblica!

***

Intorno al 71 vi furono ovunque dei grandi sollevamenti d'idee. Un soffio di tempesta le seminava; sono cresciuti alberi giganteschi, ramificanti nell'ombra, in mezzo alle repressioni: sono oggi in fiore; fra poco daranno frutti. Verso il 70, prima, dopo, sempre finchè si sia compiuta la trasformazione del mondo, l'attrazione verso l'ideale continua.

Forse che si potrebbe impedire alla primavera di giungere, anche se si tagliassero tutte le foreste del mondo?

Verso il 70, Cuba, la Grecia, la Spagna rivendicavano la loro libertà; dappertutto gli Schiavi andavano scuotendo le loro catene; le Indie, come oggi, si sollevavano per la libertà.

I cuori s'elevavano, assetati d'Ideale; mentre i despoti implacabili armavano le loro mute incoscienti, aizzandole contro la selvaggina umana, sempre affogata nel sangue, la rivolta risorgeva incessantemente; era dovunque una marea montante verso nuovi lidi più alti, sempre in vista senza poterli approdare.

Le repressioni scatenantesi più feroci, più stupide quanto più la fine si avvicina, sollecitavano, come vediamo ancor oggi, il potere spaventato e oscillante.

Nel novembre 1870 le prigioni della Russia rigurgitavano; uomini, donne, appartenenti come gran parte di noi agli studî, avevano aderito all'Internazionale, e tentavano di svegliare i moujiks curvi, da tanto tempo, sotto la dura Jembia.

Ed a questi uomini semplici bisognava parlare con parole semplici, con delle figure, come il canto del gallo li risveglia la mattina.

«Il popolo russo, diceva Bakunin, si trova ora nelle stesse condizioni in cui si trovava quando insorse sotto Alessio, padre di Pietro il grande. Allora fu Stanka Razine, cosacco, capo degli insorti, che gli si mise alla testa e gli indicò la via dell'emancipazione. Per sollevarsi oggi, son quasi ventisei anni, il popolo non attende che un nuovo Stanka Razine; e questa volta egli sarà sostituito da legioni di giovani uomini arditi, che ora vivono della vita popolare: Stanka Razine in mezzo ad essi si sente non eroe individuale, ma collettivo e per questo invincibile. E sarà sopra tutto questa giovinezza magnifica che libererà il suo spirito».

In una poesia di Ogareff, amico di Bakunin, (Lo Studente), i giovani dal cuore ardente e generoso vedevano uno d'essi vivere della scienza e dell'umanità attraverso la lotta della miseria.

Costretto dalla vendetta dello zar e dei Boiardi alla vita nomade, andava da ponente a levante gridando ai figli della terra: «Unitevi! sollevatevi!». – Arrestato dalla polizia imperiale, morì nelle pianure sterminate della Siberia, ripetendo fino all'ultimo sospiro, che ogni uomo deve dare la propria vita per la patria e la libertà.

Al tempo dei processi della Comune, un processo degli internazionalisti era tenuto in Russia, con la medesima crudeltà ispirata dal terrore che tutti i despoti hanno della verità.

Il movimento era cominciato in America a Filadelfia nel 1866, dove Urich Stephens propagava l'idea di una lega difensiva dei lavoratori contro lo sfruttamento.

Per parecchi anni le riunioni dei «Knights of labour», cavalieri del lavoro, si mantennero secrete, poi tutto ad un tratto, Giacomo Wright, Roberto Macauley, Guglielmo Cook, Giuseppe Reunedy ed altri si unirono ad Urich Stephens, formarono un primo gruppo di propaganda, seguito subito da altri. Oggi i cavalieri del lavoro si contano non più a centinaia, ma a centinaia di migliaia.

Costoro ebbero poi relazioni per gli scioperi, con le leghe del lavoro e le associazioni operaie dell'America del Nord, e con quelle dell'Irlanda contro le spogliazioni. In realtà, qualunque sia il nome ch'ella prende, quest'unione di spogliati è sempre, attraverso le età, la rivolta contro gli spogliatori; ma in certe epoche, come nel '71 freme di più davanti a delitti più mostruosi, quando forse batte l'ora di infrangere uno dei numerosi anelli della lunga catena di schiavitù.

Nel 70, l'Algeria, stremata sotto la conquista, trova, ne' propri dolori il coraggio dell'insurrezione.

«La nostra amministrazione, diceva lo stesso Giulio Favre, raccoglieva i tristi frutti della politica, alla quale, per parecchi anni, aveva sacrificato gli interessi coloniali».

Verso la fine di febbraio gli Arabi, che conoscevano il despotismo militare, ma ignoravano che cosa fosse il despotismo civile, e preferivano il male noto che il malanno ignoto, cominciano a lamentarsi più gravemente, perchè si mandavano fin nelle loro famiglie dei Francesi, per i quali essi restavano sempre dei vinti; reclamavano per i loro uffici dei compatriotti, e temevano ancora più l'amministrazione civile che s'immischiava negli affari loro.

La rivolta, che presso i popoli fatti schiavi cova sempre sotto la cenere si propagò come un fulmine.

Il vecchio sceicco Haddah uscì dalla cella ove si era tenuto murato da più di trent'anni: vide che il suo paese soffriva la schiavitù, e cominciò a predicare la guerra santa. I suoi due figli, Mohamed e Ben Azis, El Mokrani, Ben Ali Chérif ed altri, sollevarono i Cabili: ebbero presto ai loro ordini una piccola armata, e il 14 marzo il bachaga di Medjana mandò cavallerescamente una dichiarazione di guerra al governatore dell'Algeria.

Per otto giorni gli Arabi assediarono Bordjibon-Arré-ridi, ma le colonne Bonvalet, di parecchie migliaia d'uomini, li accerchiarono.

Uno degli sceik allora scese da cavallo e salì lentamente su di un'altura, dove più batteva la mitraglia.

«Egli ebbe così, dice ancora Giulio Favre, la morte che cercava, orgoglioso e fiero come di un trionfo».

Così nel maggio del '71 doveva fare Delescluze.

Si direbbe che nello scrivere quelle pagine, Giulio Favre si ricordasse dei giorni in cui, circondato dalla gioventù delle scuole egli era stata con noi di una bontà quasi paterna, e noi l'amavamo, come amiamo la rivolta per la Repubblica e per la libertà.

Oh la res publica che noi sognavamo allora, com'era grande e bella!


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