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VII.
Le donne del '70.
Fra i più ardenti lottatori, che combatterono l'invasione e difesero la Repubblica come l'aurora della libertà, le donne sono in buon numero.
Si è voluto fare delle donne una casta, e sotto la forza che le schiaccia attraverso gli avvenimenti, la divisione si è compiuta; non ci hanno consultato, per questo, e noi non dobbiamo consultare nessuno. Il mondo rinnovellato ci riunirà a tutta l'umanità libera, nella quale ognuno avrà il proprio posto.
Il diritto delle donne con Maria Deresme marciava coraggiosamente ma esclusivamente per una parte sola dell'umanità, le scuole professionali delle signore Giulia Simon, Paulin, e Giulia Toussaint. L'insegnamento dei bambini di Pape Carpentier, accordandosi in via Hautefeuille con la società d'istruzione, aveva fraternizzato sotto l'Impero, con una sì grande attività che alcuni dei più abili facevano parte contemporaneamente di tutti i gruppi. Noi avevamo in ciò come complice M. Francolin, dell'istruzione elementare, che a causa della sua rassomiglianza con i pazienti dei tempi dell'alchimia, chiamavano il dottor Francolinus. Egli aveva fondato quasi da solo, in via Thévenot, una scuola professionale. I corsi vi avevano luogo la sera. Quelle fra di noi che vi facevano scuola, potevano così recarvisi dopo la loro classe: eravamo quasi tutte istitutrici; c'era Maria La Cecilia, allora giovanissima; ne era direttrice Maria Andreaux. Parecchie altre donne vi tenevano dei corsi; io ne avevo tre: quello di letteratura, per il quale era facile trovare delle citazioni d'autori passati adattabili alle condizioni presenti; la geografia antica, per cui i nomi e le ricerche del passato guidavano alla ricerca ed ai nomi presenti: in entrambi era bello sognare l'avvenire sulle rovine dell'antico, ed io mi ci appassionavo.
Quando gli avvenimenti ingrossarono, Carlo de Sivry prese il corso di letteratura, e la signorina Potin, mia vicina d'istituzione e mia amica, prese quello di disegno. Tutte le società femminili non pensando che alle condizioni tristi in cui vivevano, si unirono alla società di soccorso per le vittime della guerra in cui le borghesi, le mogli di quei membri della difesa nazionale che avevano difeso così poco, furono eroiche. Io lo dico senz'odio di setta, poichè io ero più spesso alla Patria in pericolo o al Comitato di vigilanza, che al Comitato di soccorso per le vittime della guerra; lo spirito ne fu largo e generoso; i soccorsi furono dati, suddivisi anche pur di sollevare un poco tutti gli affanni, pur di impedire ancora e sempre di arrendersi.
Se qualcuno davanti al Comitato di soccorso per le vittime della Guerra avesse parlato di capitolazione sarebbe stato messo alla porta altrettanto energicamente che nei Clubs di Belleville o di Montmartre. V'erano le donne di Parigi, come nei sobborghi, come mi ricordo della società per l'istruzione elementare dove alla destra dell'ufficio nel piccolo gabinetto avevo il mio posto sulla cassa dello scheletro, così alla società di soccorso io avevo il mio posto sopra uno sgabello ai piedi di madama Goodchaux, la quale, simile sotto ai suoi capelli bianchi, ad una marchesa d'altri tempi, gettava talvolta sorridendo, qualche piccola goccia d'acqua fredda sui miei sogni.
Perchè io là ero accolta come una privilegiata? Non saprei; certo è che le donne amano la rivolta. Noi non valiamo più degli uomini, ma il potere non ci ha ancora corrotte. Tanto è vero che esse mi amavano ed io le ricambiavo di pari affetto.
Allorquando dopo il 31 ottobre io ero prigioniera di Cresson, non per aver preso parte ad una dimostrazione, ma per aver detto: Io non ero là che per dividere i pericoli delle donne, non riconoscendo il governo! – Madama Meurice a nome della società per le vittime della guerra venne a reclamare la mia libertà nello stesso momento che a nome dei Clubs, venivano parimenti Ferré, Avronsart, e Christ.
Quanti tentativi fecero le donne nel '71 tutte e ovunque! Noi avevamo da principio stabilito delle ambulanze nei forti e siccome, contro l'abitudine, avevamo trovato la Difesa nazionale disposta ad accoglierci, cominciavamo già a credere il governo ben disposto alla guerra, quando esso ci mandò egualmente nei forti una folla di giovani inutili, ignoranti e mezzo morti che gridavano le loro paure mentre i forti tentavano di resistere. Ci affrettammo a dare le nostre dimissioni cercando d'impiegarci un po' più utilmente; – io ho riveduto l'anno dopo una di queste brave infermiere, la signora Gaspard.
Nelle ambulanze, nei comitati di vigilanza, e nelle officine municipali specialmente a Montmartre, le signore Poirier, Excoffon, Blin, Jarry trovavano il mezzo perchè tutte avessero un salario.
La marmitta rivoluzionaria, con la quale durante tutto l'assedio la signora Lamel, della camera sindacale dei Legatori, impedì, non so come, a migliaia di persone di morir di fame, fu un vero sforzo di devozione e di intelligenza. Le donne non si chiedevano se una cosa era impossibile: bastava che fosse utile, e riuscivano a condurla a termine.
Un giorno avendo saputo che Montmartre non aveva ambulanza, io e un'amica della Società per l'istruzione elementare, giovanissima a quell'epoca, risolvemmo di fondarne una. Non avevamo un soldo: ma avevamo escogitato un'idea per raccogliere i fondi.
Conducemmo con noi una guardia nazionale, d'alta statura, dall'aspetto grave come un giacobino del '93, e lo facemmo procedere avanti. Noialtre con delle larghe cinture rosse, tenendo in mano delle borse fatte per la circostanza, dietro a lui, ci dirigemmo alle case dei ricchi, con dei visacci scuri e minacciosi.
Cominciammo dalle chiese. La guardia nazionale camminando avanti nel corridoio e picchiando forte in terra col suo fucile; noi appostandoci ciascuna da una parte della navata cominciammo a questuare invitando per i primi i preti sull'altare; alla loro volta le divote, pallide di spavento versavano tremando il loro obolo nelle nostre bisaccie. Tutti i curati ci regalarono qualcosa, qualcuno anche di buona voglia. Poscia venne la volta di alcuni finanzieri ebrei e cristiani, poi di alcune buone persone. Un farmacista della Butte offrì del materiale. L'ambulanza era fondata.
Si rise molto al municipio di Montmartre di questa spedizione che nessuno avrebbe incoraggiato se noi l'avessimo confidata a qualcuno prima della riuscita.
Mi è rimasto ben nella mente il giorno in cui vennero a trovarmi nella mia scuola le signore Poirier, Blin, Excoffon per fondare il Comitato di vigilanza delle donne. Era sera, dopo la lezione: erano sedute contro il muro, Excoffon colle sue trecce bionde arruffate, mamma Blin già vecchia con un cappellino di lana, e la signora Poirier con un cappuccio di tela indiana rossa. Senza frappor complimenti, senza esitare, mi dissero semplicemente: – Bisogna che voi veniate con noi. – Ed io risposi loro: – Vengo!
C'erano in quel momento nella mia scuola quasi duecento allieve, ragazzette dai sei ai dodici anni, che io e la mia assistente istruivamo, e molti bimbetti da tre ai sei anni, maschi e femmine di cui mia madre s'era presa cura e che viziava con le sue carezze. Le più grandicelle della mia scuola, ora l'una ora l'altra l'aiutavano.
I bambini, i genitori dei quali erano per lo più gente di campagna rifugiati a Parigi, erano stati mandati da Clemenceau; il municipio si era addossata la spesa del vitto: i piccini avevano latte, carne di cavallo, legumi ed assai spesso qualche ghiottoneria. Un giorno il latte tardò a venire; i più piccini non abituati ad aspettare si misero a piangere: mia madre per consolarli piangeva con loro. Per farli attendere con un po' più di pazienza, li minacciai, se non tacevano, di mandarli da Trochu. Ma quelli gridarono con spavento: – Signorina staremo buoni, ma per carità non mandateci da Trochu! – Queste grida e la pazienza con cui attesero, mi fecero capire che essi avevano in gran ben misera stima il governatore di Parigi.
Si è spesso parlato di gelosie fra maestre: io non ne ho provato: prima della guerra ci scambiavamo le lezioni tra vicine, con la signorina Petin ed altre, dando io lezioni di musica in vece sua, ed essa lezione di disegno in vece mia, e conducendo or l'una or l'altra le nostre allieve più grandicelle ai corsi in via Hautefeuille. Durante l'assedio poi, nel tempo che io fui in carcere, la Petin fece tutte le lezioni, per me.